Zed trattenne una risata
affettuosa.
Chas sembrava un bambino
intrappolato in un corpo da gigante. Era nervoso, nervosissimo e
imbarazzato, e si tormentava il maglione cercando fili invisibili da
tirare con le dita, cercando di evitare gli occhi della ragazza.
Zed gli mise una mano sul braccio,
una pacca di amichevole conforto.
«Come hai potuto pensare che
potesse essere un problema, Chas?» disse, scrollandolo leggermente.
«Siamo tutti bisessuali più o meno dichiarati, qua dentro. Il fatto
che stiate insieme non cambia assolutamente le cose, sta'
tranquillo.» Doveva aver usato un tono abbastanza rassicurante,
perché il bambino gigante sollevò lo sguardo. «E in realtà non è
neanche una sorpresa, sai,» aggiunse. «Lo sapevo che prima o poi lo
avreste capito, non potevate essere così stupidi da continuare a
ignorarvi a vicenda.»
Chas alzò un sopracciglio,
frastornato: «Come... Che intendi?»
«Intendo che era evidente che
foste attratti l'uno dall'altro. Voglio dire, dal mio punto di vista
era chiarissimo. Continuavate a girarci intorno senza decidervi; un
altro po' e vi avrei organizzato un appuntamento io, almeno avreste
smesso di rimandare la resa dei conti,» disse Zed, con un sorriso.
Chas sembrò rilassarsi, si lasciò
andare sulla sedia. Ignorava che fosse tutto così chiaro e lampante,
visto da fuori. Avrebbe voluto sapere da quanto tempo avevano
cominciato a mostrare segni d'interesse reciproco: probabilmente, da
molto più di quanto potesse immaginare.
Il pensiero andò a John che non era
venuto al suo matrimonio, alle sue telefonate strane... Ma no, non
poteva essere così da così tanto tempo, di sicuro era una cosa
recente... No?
Si chiese quante volte avesse
inavvertitamente ferito John, senza rendersene conto, ed ebbe paura
della risposta.
Zed si accorse del suo cambio
d'umore.
«Ehi... Che hai?» chiese.
«Dovresti essere felice, è una bella cosa. Cos'è che ti
tormenta?». Ma Chas scosse la testa, chissà cosa stava pensando.
Furono interrotti da un'esplosione improvvisa, da una nuvola densa
di fumo. Si scambiarono un'occhiata allarmata e si precipitarono
nella stanza accanto.
«Tutto bene!» John riemerse dalla
nube tossendo, coperto di fuliggine. «Tutto sotto controllo,»
disse, agitando le mani per diradare il fumo e fermandosi
saltuariamente per soffocare i colpi di tosse.
«John,» disse Chas, con una lieve
sfumatura esasperata nella voce, prima di correre a estinguere le
fiamme residue che ancora si alzavano da una specie di piccole
calderone al centro della stanza.
Aggiunse un punto al suo elenco di
post-it mentali:
Mai lasciare John giocherellare
con fiamme libere senza supervisione.
John si era lievemente scottato una
mano, una cosa da niente, ma Chas aveva insistito lo stesso per
fasciargliela.
Doveva ammettere che gli piaceva da
morire il fatto che Chas fosse sempre pronto a fargli da
crocerossina: lo faceva sentire come se finalmente ci fosse qualcuno
a cui importava davvero come stava, ed era una bella
sensazione.
Il fatto che Chas ritenesse
prioritario occuparsi della sua salute e facesse in modo di farlo
vivere il più a lungo e felicemente possibile era nobilissimo.
Il rovescio della medaglia, però,
era che disapprovava fortemente la sua smodata tendenza a fumare, e
di conseguenza John non poteva lasciare un pacchetto di sigarette in
giro perché Chas trovava subito il modo di farlo sparire.
Curiosò tra gli scaffali, sulla
scrivania, persino sotto la poltrona. Quando ritenne di aver cercato
in tutti i posti possibili, si arrese.
«Chas?»
Nessuna risposta. Era al piano di
sopra, chissà che stava facendo.
«Chas?»
Alla seconda chiamata,
l'interpellato comparve in cima alle scale.
«Le sigarette,» disse John,
spalancando le braccia, come per sottintendere che aveva messo
sottosopra tutta la stanza e non le aveva trovate. Aveva troppa,
troppa voglia di fumare; e non poterla soddisfare era frustrante.
«Al solito posto,» rispose
l'altro, sbrigativo, voltandosi per tornare di sopra. John lo
richiamò.
«Non ci sono. Lo so che le hai
fatte sparire...» Cercò di intenerirlo, sventolò la mano fasciata.
«Ti prego, dimmi dove le hai messe. Sono anche ferito, tutto quello
che chiedo è solo una sigaretta... Una povera, innocente sigaretta--
Giusto per riprendermi un po',» disse, sforzandosi di fare la faccia
più adorabile che poteva.
Chas scrollò le spalle, con
un'espressione che significava Guarda che con me non attacca, e
rispose candidamente:
«Sono sul ripiano.»
John inclinò leggermente la testa
di lato.
«Quale ripiano?». Aveva guardato
dappertutto, e nello scaffale della libreria non c'era proprio
niente.
«L'ultimo,» ghignò Chas,
soddisfatto, scendendo le scale. John alzò gli occhi al cielo e
dovette trattenersi per non lanciare un'antica maledizione in
aramaico.
«Ma io non ci arrivo!» protestò,
allargando le braccia e sollevando lo sguardo per poter continuare a
guardare l'altro negli occhi mentre si avvicinava.
«Lo so. Per questo le ho messe
lì,» replicò Chas, intenzionato a ignorare i suoi capricci. «Ti
fanno male, un giorno mi ringrazierai. E poi, penso che sarebbe
meglio se per un po' ti tenessi lontano da qualunque oggetto che
possa provocare scintille,» disse, oltrepassandolo. Voleva dare una
sistemata all'archivio di Jasper: c'era troppo caos, là dentro, e
sapeva che se fosse dipeso da John sarebbe rimasto esattamente così.
Poteva approfittare del tempo libero per catalogare tutto, e--
«Quello... Quello è stato un
errore di distrazione,» si giustificò John, quasi inseguendolo. Si
aggrappò ad un lembo della sua camicia, lo strattonò per richiamare
la sua attenzione. «Ti prego, Gulliver. Prendile, o potrei morire
per l'astinenza,» lo implorò.
«No.»
«Per favore!» John a volte odiava
profondamente la propria condizione. Poteva esorcizzare qualunque
demone, imbastire rituali di ogni genere e viaggiare attraverso le
dimensioni, ma non riusciva a recuperare un dannato pacchetto di
sigarette che si trovava soltanto venti centimetri al di sopra
delle propria portata.
E tutto questo perché un salutista
dispotico, alto due metri e vestito come un fan dei Nirvana fuori
tempo massimo, si ostinava a nascondergli le cose.
Chas si fermò improvvisamente.
«Primo, non chiamarmi Gulliver.
Secondo, se le rivuoi allora devi fare qualcosa per me,» disse. John
sembrò riprendersi subito. Per riavere le sue sigarette, avrebbe
accettato qualunque condizione.
Sorrise, uno di quei sorrisi
maliziosi tipici del John opportunista, la versione con cui
Chas si trovava a fare i conti ogni volta che in ballo c'erano
sigarette o bottiglie di whisky.
«Vuoi che pulisca il taxi? Vuoi
che impari a cucinare?» Fece un occhiolino ammiccante che però
risultò decisamente comico, vista la situazione. «... Vuoi uno
spogliarello?», chiese, con l'espressione sorniona che ricordava
quella di un gatto.
Chas – che, se fosse stato un
altro, avrebbe fatto volentieri un pensierino sull'ultima proposta;
ma non era così meschino da approfittarsene a quel modo, - sbuffò e
alzò gli occhi al cielo.
«Niente di tutto questo,» disse.
«Mi serve una mano a rimettere a posto l'archivio di Jasper. E tu
mi aiuterai,» aggiunse, puntandogli un dito al petto,
torreggiando su di lui. «Quando avremo finito, riavrai il tuo
pacchetto.»
In quelle parole c'era odore di
trappola, ma John era così obnubilato dal bisogno di nicotina che
non ci fece affatto caso.
«D'accordo, tiranno,» disse,
rimboccandosi le maniche della camicia. «Ma sbrighiamoci, però,
eh?»
Si era fatta sera.
Jasper sembrava aver collezionato
ogni cimelio, libro antico, reperto e documento esoterico del mondo:
cercare una collocazione per ogni cosa fu un lavoro immane e anche
faticoso, nonostante Chas si fosse occupato di spostare gli oggetti
più pesanti. Si erano fatti strada nelle stanze del mulino tossendo,
e ne erano usciti coperti di polvere, ma alla fine avevano riordinato
quasi tutto.
«Finito,» annunciò John,
chiudendo l'ultimo scatolone. «Ora dammi ciò che mi spetta, me lo
sono meritato.»
Chas annuì senza dire niente e
scomparve attraverso la porta. Tornò poco dopo con il pacchetto
delle sigarette, glielo lanciò, John lo afferrò al volo. Già
pregustava la sensazione del filtro caldo tra le labbra, il sublime
crepitio della carta che bruciava, l'odore di fumo che Chas detestava
ma che lui adorava, e non vedeva l'ora di fumarsi la sua santa
sigaret--
«Ma è vuoto!» Agitò il
pacchetto vuoto, con l'impressione di essere stato raggirato. Chas si
limitò a scrollare le spalle.
«Ti ho detto che ti avrei ridato
il pacchetto, non le sigarette,» disse.
«Razza di truffatore
insopportabile,» sbraitò John, gettando il pacchetto vuoto nel
cestino e andando a sprofondare nella poltrona. Si sdraiò di
traverso, scompostamente, coprendosi drammaticamente gli occhi con
l'avambraccio. «Maledizione, mi sto sentendo male,» borbottò,
pieno di disappunto, allentandosi la cravatta. Si era spaccato la
schiena per niente. E aveva così tanta voglia di una sigaretta...
Vedendolo così, Chas sembrò
profondamente pentito del proprio gesto e sentì lo stomaco
stringersi per il rimorso.
«Mi dispiace, ma le ho buttate sul
serio,» disse, costernato. «E lo so che mi detesti per questo, ma
davvero vorrei che smettessi. O che almeno ci provassi,»
aggiunse, accucciandosi accanto alla poltrona per poter guardare
John. «È solo questione di volontà.»
L'esorcista si scoprì gli occhi e
si voltò a guardarlo.
«Ma no, scemo, no che non ti
detesto. Magari vorrei prenderti a schiaffi, in questo momento,
quello sì...» Sbuffò. «... Ma lo so che lo fai per me.» Soffocò
uno sbadiglio, si stiracchiò come poteva. Era stanco, e si vedeva;
lo erano entrambi. E forse era la stanchezza ad addolcirlo così, o
forse il fatto che nessun altro si era mai preoccupato così tanto
per lui e questo lo faceva sentire fortunato – anche se a volte
Chas gli faceva venire voglia di strapparsi i capelli e mettersi
urlare dalla disperazione.
Chas allungò una mano ad
accarezzarlo sulla testa, John chiuse gli occhi.
«Davvero non capisco come mai
cerchi in tutti i modi di farti del male,» sussurrò, e John
ridacchiò piano.
«È un puro fatto estetico,»
scherzò. «Sai, il fascino dell'eroe maledetto con tendenze
autodistruttive.» Sbadigliò di nuovo. «Comunque hai ottenuto
quello che volevi,» aggiunse. «Non ho più voglia di fumare... Sto
solo morendo di sonno.» Non fece in tempo a finire la frase che si
sentì sollevare. Quando John lo guardò, dovette trattenersi per non
scoppiare a ridere. Chas aveva un'aria colpevole che lo faceva
sembrare una specie di bambinone, mentre lo trasportava in camera.
«Ti senti in colpa?» domandò
John.
«Un po',» ammise l'altro.
John gli mise le braccia al collo,
lo baciò sulla guancia.
«Allora adesso voglio che sia tu a
fare qualcosa per me,» disse.
«Cosa?» chiese Chas, adagiandolo
sul letto. Ma non ebbe bisogno di ascoltare la risposta, perché
stavolta John lo baciò con tutta l'anima, con le poche energie che
gli erano rimaste.
«Tu stasera resti qua.» Il tono
di John non ammetteva repliche. «Non facciamo nulla di...
Impegnativo,» specificò, per ricordare a entrambi che dovevano
andare piano, che non dovevano aver fretta. «Ma ti impegnerai a
viziarmi e coccolarmi per non farmi tornare voglia di fumare,»
stabilì, e all'improvviso l'astinenza da nicotina non gli sembrò
più così orribile.
Questa volta il bacio fu
un'iniziativa di Chas: e John la subì volentieri.