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Autore: Ambaraba    11/06/2015    1 recensioni
[Constantine]
Chas era la cosa più simile a una famiglia che avesse mai avuto. Se “famiglia” significava sostegno, calore e fiducia assoluta, allora Chas era la sua famiglia. Senza quel gigante taciturno, che molto spesso si esprimeva a monosillabi quando non addirittura a grugniti, la sua vita sarebbe stata uno schifo.
(John/Chas)
Genere: Generale, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CHASTANTINE 5

    Zed trattenne una risata affettuosa.
Chas sembrava un bambino intrappolato in un corpo da gigante. Era nervoso, nervosissimo e imbarazzato, e si tormentava il maglione cercando fili invisibili da tirare con le dita, cercando di evitare gli occhi della ragazza.
Zed gli mise una mano sul braccio, una pacca di amichevole conforto.
    «Come hai potuto pensare che potesse essere un problema, Chas?» disse, scrollandolo leggermente. «Siamo tutti bisessuali più o meno dichiarati, qua dentro. Il fatto che stiate insieme non cambia assolutamente le cose, sta' tranquillo.» Doveva aver usato un tono abbastanza rassicurante, perché il bambino gigante sollevò lo sguardo. «E in realtà non è neanche una sorpresa, sai,» aggiunse. «Lo sapevo che prima o poi lo avreste capito, non potevate essere così stupidi da continuare a ignorarvi a vicenda.»
    Chas alzò un sopracciglio, frastornato: «Come... Che intendi?»
    «Intendo che era evidente che foste attratti l'uno dall'altro. Voglio dire, dal mio punto di vista era chiarissimo. Continuavate a girarci intorno senza decidervi; un altro po' e vi avrei organizzato un appuntamento io, almeno avreste smesso di rimandare la resa dei conti,» disse Zed, con un sorriso.
    Chas sembrò rilassarsi, si lasciò andare sulla sedia. Ignorava che fosse tutto così chiaro e lampante, visto da fuori. Avrebbe voluto sapere da quanto tempo avevano cominciato a mostrare segni d'interesse reciproco: probabilmente, da molto più di quanto potesse immaginare.
Il pensiero andò a John che non era venuto al suo matrimonio, alle sue telefonate strane... Ma no, non poteva essere così da così tanto tempo, di sicuro era una cosa recente... No?
Si chiese quante volte avesse inavvertitamente ferito John, senza rendersene conto, ed ebbe paura della risposta.
Zed si accorse del suo cambio d'umore.
    «Ehi... Che hai?» chiese. «Dovresti essere felice, è una bella cosa. Cos'è che ti tormenta?». Ma Chas scosse la testa, chissà cosa stava pensando. Furono interrotti da un'esplosione improvvisa, da una nuvola densa di fumo. Si scambiarono un'occhiata allarmata e si precipitarono nella stanza accanto.
    «Tutto bene!» John riemerse dalla nube tossendo, coperto di fuliggine. «Tutto sotto controllo,» disse, agitando le mani per diradare il fumo e fermandosi saltuariamente per soffocare i colpi di tosse.
    «John,» disse Chas, con una lieve sfumatura esasperata nella voce, prima di correre a estinguere le fiamme residue che ancora si alzavano da una specie di piccole calderone al centro della stanza.
Aggiunse un punto al suo elenco di post-it mentali:
    Mai lasciare John giocherellare con fiamme libere senza supervisione.

    John si era lievemente scottato una mano, una cosa da niente, ma Chas aveva insistito lo stesso per fasciargliela.
Doveva ammettere che gli piaceva da morire il fatto che Chas fosse sempre pronto a fargli da crocerossina: lo faceva sentire come se finalmente ci fosse qualcuno a cui importava davvero come stava, ed era una bella sensazione.
Il fatto che Chas ritenesse prioritario occuparsi della sua salute e facesse in modo di farlo vivere il più a lungo e felicemente possibile era nobilissimo.
Il rovescio della medaglia, però, era che disapprovava fortemente la sua smodata tendenza a fumare, e di conseguenza John non poteva lasciare un pacchetto di sigarette in giro perché Chas trovava subito il modo di farlo sparire.
    Curiosò tra gli scaffali, sulla scrivania, persino sotto la poltrona. Quando ritenne di aver cercato in tutti i posti possibili, si arrese.
    «Chas?»
Nessuna risposta. Era al piano di sopra, chissà che stava facendo.
    «Chas?»
Alla seconda chiamata, l'interpellato comparve in cima alle scale.
    «Le sigarette,» disse John, spalancando le braccia, come per sottintendere che aveva messo sottosopra tutta la stanza e non le aveva trovate. Aveva troppa, troppa voglia di fumare; e non poterla soddisfare era frustrante.
    «Al solito posto,» rispose l'altro, sbrigativo, voltandosi per tornare di sopra. John lo richiamò.
    «Non ci sono. Lo so che le hai fatte sparire...» Cercò di intenerirlo, sventolò la mano fasciata. «Ti prego, dimmi dove le hai messe. Sono anche ferito, tutto quello che chiedo è solo una sigaretta... Una povera, innocente sigaretta-- Giusto per riprendermi un po',» disse, sforzandosi di fare la faccia più adorabile che poteva.
Chas scrollò le spalle, con un'espressione che significava Guarda che con me non attacca, e rispose candidamente:
    «Sono sul ripiano.»
John inclinò leggermente la testa di lato.
    «Quale ripiano?». Aveva guardato dappertutto, e nello scaffale della libreria non c'era proprio niente.
    «L'ultimo,» ghignò Chas, soddisfatto, scendendo le scale. John alzò gli occhi al cielo e dovette trattenersi per non lanciare un'antica maledizione in aramaico.
    «Ma io non ci arrivo!» protestò, allargando le braccia e sollevando lo sguardo per poter continuare a guardare l'altro negli occhi mentre si avvicinava.
    «Lo so. Per questo le ho messe lì,» replicò Chas, intenzionato a ignorare i suoi capricci. «Ti fanno male, un giorno mi ringrazierai. E poi, penso che sarebbe meglio se per un po' ti tenessi lontano da qualunque oggetto che possa provocare scintille,» disse, oltrepassandolo. Voleva dare una sistemata all'archivio di Jasper: c'era troppo caos, là dentro, e sapeva che se fosse dipeso da John sarebbe rimasto esattamente così. Poteva approfittare del tempo libero per catalogare tutto, e--
    «Quello... Quello è stato un errore di distrazione,» si giustificò John, quasi inseguendolo. Si aggrappò ad un lembo della sua camicia, lo strattonò per richiamare la sua attenzione. «Ti prego, Gulliver. Prendile, o potrei morire per l'astinenza,» lo implorò.
    «No.»
    «Per favore!» John a volte odiava profondamente la propria condizione. Poteva esorcizzare qualunque demone, imbastire rituali di ogni genere e viaggiare attraverso le dimensioni, ma non riusciva a recuperare un dannato pacchetto di sigarette che si trovava soltanto venti centimetri al di sopra delle propria portata.
E tutto questo perché un salutista dispotico, alto due metri e vestito come un fan dei Nirvana fuori tempo massimo, si ostinava a nascondergli le cose.
Chas si fermò improvvisamente.
    «Primo, non chiamarmi Gulliver. Secondo, se le rivuoi allora devi fare qualcosa per me,» disse. John sembrò riprendersi subito. Per riavere le sue sigarette, avrebbe accettato qualunque condizione.
Sorrise, uno di quei sorrisi maliziosi tipici del John opportunista, la versione con cui Chas si trovava a fare i conti ogni volta che in ballo c'erano sigarette o bottiglie di whisky.
    «Vuoi che pulisca il taxi? Vuoi che impari a cucinare?» Fece un occhiolino ammiccante che però risultò decisamente comico, vista la situazione. «... Vuoi uno spogliarello?», chiese, con l'espressione sorniona che ricordava quella di un gatto.
    Chas – che, se fosse stato un altro, avrebbe fatto volentieri un pensierino sull'ultima proposta; ma non era così meschino da approfittarsene a quel modo, - sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
    «Niente di tutto questo,» disse. «Mi serve una mano a rimettere a posto l'archivio di Jasper. E tu mi aiuterai,» aggiunse, puntandogli un dito al petto, torreggiando su di lui. «Quando avremo finito, riavrai il tuo pacchetto.»
In quelle parole c'era odore di trappola, ma John era così obnubilato dal bisogno di nicotina che non ci fece affatto caso.
    «D'accordo, tiranno,» disse, rimboccandosi le maniche della camicia. «Ma sbrighiamoci, però, eh?»

    Si era fatta sera.
Jasper sembrava aver collezionato ogni cimelio, libro antico, reperto e documento esoterico del mondo: cercare una collocazione per ogni cosa fu un lavoro immane e anche faticoso, nonostante Chas si fosse occupato di spostare gli oggetti più pesanti. Si erano fatti strada nelle stanze del mulino tossendo, e ne erano usciti coperti di polvere, ma alla fine avevano riordinato quasi tutto.
    «Finito,» annunciò John, chiudendo l'ultimo scatolone. «Ora dammi ciò che mi spetta, me lo sono meritato.»
Chas annuì senza dire niente e scomparve attraverso la porta. Tornò poco dopo con il pacchetto delle sigarette, glielo lanciò, John lo afferrò al volo. Già pregustava la sensazione del filtro caldo tra le labbra, il sublime crepitio della carta che bruciava, l'odore di fumo che Chas detestava ma che lui adorava, e non vedeva l'ora di fumarsi la sua santa sigaret--
    «Ma è vuoto!» Agitò il pacchetto vuoto, con l'impressione di essere stato raggirato. Chas si limitò a scrollare le spalle.
    «Ti ho detto che ti avrei ridato il pacchetto, non le sigarette,» disse.
    «Razza di truffatore insopportabile,» sbraitò John, gettando il pacchetto vuoto nel cestino e andando a sprofondare nella poltrona. Si sdraiò di traverso, scompostamente, coprendosi drammaticamente gli occhi con l'avambraccio. «Maledizione, mi sto sentendo male,» borbottò, pieno di disappunto, allentandosi la cravatta. Si era spaccato la schiena per niente. E aveva così tanta voglia di una sigaretta...
    Vedendolo così, Chas sembrò profondamente pentito del proprio gesto e sentì lo stomaco stringersi per il rimorso.
    «Mi dispiace, ma le ho buttate sul serio,» disse, costernato. «E lo so che mi detesti per questo, ma davvero vorrei che smettessi. O che almeno ci provassi,» aggiunse, accucciandosi accanto alla poltrona per poter guardare John. «È solo questione di volontà.»
    L'esorcista si scoprì gli occhi e si voltò a guardarlo.
    «Ma no, scemo, no che non ti detesto. Magari vorrei prenderti a schiaffi, in questo momento, quello sì...» Sbuffò. «... Ma lo so che lo fai per me.» Soffocò uno sbadiglio, si stiracchiò come poteva. Era stanco, e si vedeva; lo erano entrambi. E forse era la stanchezza ad addolcirlo così, o forse il fatto che nessun altro si era mai preoccupato così tanto per lui e questo lo faceva sentire fortunato – anche se a volte Chas gli faceva venire voglia di strapparsi i capelli e mettersi urlare dalla disperazione.
    Chas allungò una mano ad accarezzarlo sulla testa, John chiuse gli occhi.
    «Davvero non capisco come mai cerchi in tutti i modi di farti del male,» sussurrò, e John ridacchiò piano.
    «È un puro fatto estetico,» scherzò. «Sai, il fascino dell'eroe maledetto con tendenze autodistruttive.» Sbadigliò di nuovo. «Comunque hai ottenuto quello che volevi,» aggiunse. «Non ho più voglia di fumare... Sto solo morendo di sonno.» Non fece in tempo a finire la frase che si sentì sollevare. Quando John lo guardò, dovette trattenersi per non scoppiare a ridere. Chas aveva un'aria colpevole che lo faceva sembrare una specie di bambinone, mentre lo trasportava in camera.
    «Ti senti in colpa?» domandò John.
    «Un po',» ammise l'altro.
John gli mise le braccia al collo, lo baciò sulla guancia.
    «Allora adesso voglio che sia tu a fare qualcosa per me,» disse.
    «Cosa?» chiese Chas, adagiandolo sul letto. Ma non ebbe bisogno di ascoltare la risposta, perché stavolta John lo baciò con tutta l'anima, con le poche energie che gli erano rimaste.
    «Tu stasera resti qua.» Il tono di John non ammetteva repliche. «Non facciamo nulla di... Impegnativo,» specificò, per ricordare a entrambi che dovevano andare piano, che non dovevano aver fretta. «Ma ti impegnerai a viziarmi e coccolarmi per non farmi tornare voglia di fumare,» stabilì, e all'improvviso l'astinenza da nicotina non gli sembrò più così orribile.
    Questa volta il bacio fu un'iniziativa di Chas: e John la subì volentieri.


  
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