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Autore: AliNicoKITE    12/06/2015    2 recensioni
Dal testo:
''Ares li percorse con lo sguardo uno a uno: Ermes che giocherellava con i suoi inseparabili braccialetti a forma di serpente, uno rosso corallo l'altro azzurro, Apollo che sorrideva, come se la scena gli ricordasse tempi migliori, Artemide che lo fissava non proprio entusiasta dell'uscita, Zeus esaltato, Poseidone che continuava a infastidire Ade, sempre torvo, per poter usare la sua moto al ritorno.
Era un bel gruppo il loro, lo sapevano, ed erano certi che avrebbero superato tutto quello che stava accadendo assieme. Ares doveva loro molto, e si sentì in dovere di ricambiare.
-Ok ragazzi vediamo di passare una serata indimenticabile. Parola d'ordine Zeus? Suggerimenti?
Il ragazzo in questione sorrise malandrino. Il luccichio dei suoi occhi non faceva presagire niente di buono.
-Parola d'ordine in arrivo: RIMORCHIARE.
I ragazzi esultarono.
Ares si girò, sorrise, e spalancò in un gesto teatrale le porte del Dionisus.''
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Gli Dèi
Note: AU, Lime, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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La ragazza si mise, titubante, di fronte all’entrata del pub.
Insomma, non poteva certo continuare a ignorare ciò che era successo!
Si guardò le mani e,per un attimo, le vide ancora piene di tagli e foglie,con troppi rami nei capelli e sul viso, e ovunque tutto era verde... Un brivido le percorse la spina dorsale mentre cancellava dalla mente quell’attimo di panico. Un volto, un sorriso palesemente indice di idiozia, e ormai tutti la chiamavano Alberello felice. Tutto per colpa di quel montato di uno stalker.
Si irrigidì e sbuffò.
Non avrebbe rinunciato alla sua vita sociale solo per paura di incontrare lui.
Apollo Solace aveva smesso di rovinarle la vita.
Capitolo 10
Parola d’ordine: Alberello felice

DAPHNE / ARES
Daphne Ladondaughter aveva catturato il suo sguardo quando ancora il Cacciatore accusava una lieve cotta per Art ed Ares era solamente il ‘’migliore amico’’ di Afro.
Insomma, qualche anno prima che la situazione degenerasse.
Apollo, quel fatidico giorno, era rimasto ad osservarla da lontano, senza tentare alcun approccio, per ben trenta secondi prima di sorridere e camminare con la palla da basket sotto il braccio verso la ragazza. Un’eternità, per i suoi standard.
Ladondaughter aveva gli occhi verde mela, un colore che prima di allora Apollo aveva visto solo nelle tempere e, beh, nelle mele, e i capelli che cadevano in boccoli chiarissimi fino alle scapole. Era bella e sapeva di esserlo. Aveva dei capelli che stavano magicamente a posto ventiquattro ore su ventiquattro ed era conscia di suscitare tanta invidia tra le sue coetanee. Si palesava, però, nel suo carattere, una modestia timida e genuina che la rendeva restia a parlare di sé. Daphne era timida, asociale e con una spiccata predilezione a ignorare la presenza di esseri maschili nel mondo. Si circondava sempre di altre ragazze del club di giardinaggio, come Eco, bella e pallida come gli oggetti al chiaro di luna ma dalla lingua tagliente come lame.
Era vissuta con i genitori in una villetta sperduta in Canada, là dove era freddo e sbagliavano a pronunciare il suo nome storpiandolo con le liaison francesi, fino a che i servizi sociali non avevano deciso che la bambina dovesse, a sette anni e mezzo vissuti, andare a scuola e conoscere qualcuno che non fosse un membro della sua famiglia.
Dopo numerosi collegi femminili Daphne era arrivata alla Olympus High School con tante nozioni di botanica e poca esperienza a gestire gli ominidi.
Quando Ares aveva sentito la storia della ragazza, la sera del giorno del fatidico incontro, era inorridito nell’unanimità generale. Apollo, invece, era già partito per la tangente: al massimo, diceva, aveva vissuto un po’ da Heidi, ma non c’era nulla di male, no?
Solace aveva poi raccontato che, dopo aver sorriso alla ragazza mentre faceva girare il pallone da basket in equilibrio sull’indice –sbruffone-, questa era corsa via troncando ogni comunicazione, visiva e verbale.
 
Insomma, era cotta di lui.
 
Ermes ricordava bene come aveva sottovalutato la cosa: Apollo era un ragazzo capace di vedere il bello in ogni cosa, era luce e ingenuità fatta persona, si lasciava trasportare da passioni momentanee. Come quando si era fissato con i Queen e aveva cantato ininterrottamente giorno e notte, a scuola e fuori casa, ventiquattro ore su ventiquattro, le loro canzoni prima di essere colpito dalla ‘’miticità’’ di Bob Marley –subito eletto nodello di vita per le successive tre settimane.
Art stava per strozzarlo dopo l’ennesimo tentativo di trovare un decente adattamento di ‘’No woman no cry’’ per violino.
Poi c’era stato il periodo della poesia. Apollo sapeva parlare in rima senza alcuna apparente fatica e si era divertito per quattro mesi ad ossessionarli con composizioni come ‘’al dentifricio’’ o ‘’in morte della sorella gomma da cancellare’’.
‘’Eri la mia musa, tu che correggevi i miei sbagli,
perdevi la tua bianchezza ma rimediavi ai miei abbagli…’’
Spesso Ermes aveva ancora i brividi al pensiero di quei componimenti.
Avevano catalogato Daphne Ladondaughter come l’ennesima sbandata. Ares aveva scommesso che dopo sei rifiuti Apollo avrebbe composto una melodia struggente al pianoforte per poi tornare alla solita routine il giorno dopo.
E invece… si erano sbagliati tutti.
Era stato impossibile prevedere che ogni cosa sarebbe finita con una ragazza che diventava,  additata per l’eternità in quel modo,  Alberello felice.
 
Ares La Rue, ogni giorno, dopo una sana litigata mattutina con la sorella, qualche scazzottata altrettanto salutare con quest’ultima, andava a svegliare la sua bellissima moto per prepararsi ad incrociare al semaforo lo stupendo gioiellino di Apollo Solace. Trovava Art ancora addormentata, seduta affianco al fratello, che invece stava alla guida con, immancabili, occhiali da sole con le lenti a specchio.
Apollo era, e sarebbe sempre stato, il classico ragazzo che non aveva bisogno di guardarsi allo specchio. Era una bellezza classica, dal profilo greco quasi monotono, così perfetto, che si scostava molto dai lineamenti aguzzi di Ares, o dai lievi difetti che si ritrovavano nel viso della stessa Art.
La mattina dopo l’incontro con Daphne, Apollo aveva messo via gli occhiali da sole e si era pettinato i capelli.
La camicia era abbottonata e la cravatta della divisa della scuola era annodata al collo.
Ultimo, terrificante, aspetto, Ares aveva visto, prima di schizzare via pur di allontanarsi da quella visione, lo sguardo di Apollo.
Per la prima volta, il cielo nelle iridi del ragazzo era pieno di nuvole.
E la pioggia, nei suoi occhi, Ares non aveva nessuna voglia di vedere come sarebbe stata.
 
-Apollo è terrorizzato all’idea di non fare colpo su Daphne.
Aveva annunciato la cosa, trafelato, a Zeus, che in qualche modo era riuscito a scroccare un passaggio da Ade. Il minore dei Grace aveva sgranato gli occhi e si era voltato, scettico, in tempo per vedere la bellissima Maserati rossa dei Solace parcheggiare vicino alla scuola. Apollo aveva rischiato di andare a sbattere contro un lampione perché continuava a guardarsi attorno palesemente in cerca di una persona. Zeus si sbracciò per salutarlo, ma il ragazzo non lo degnò di uno sguardo anche dopo essere entrato nel cortile della scuola.
Se prima Zeus non aveva preso il problema sul serio, in quel momento sembrò realizzare ciò che stava succedendo.  Nessuno poteva ignorare Zeus Grace, nemmeno un Apollo innamorato. Ares sorrise sotto i baffi pensando all’orgoglio ferito dell’amico, che entrava in quel momento nella scuola a passo militare.
 
I giorni seguenti erano stati un incubo. Ares era riuscito a vedere Afrodite sì e no per dieci minuti al giorno: appena si ritrovava con la sua migliore amica, una volta schivati gli sguardi rancorosi e astiosi di Efesto –quel ragazzo avrebbe dovuto farsi una vita, prima o poi- qualcuno lo trascinava via con una puntualità preoccupante, ogni volta per lo stesso motivo. Inutile dire che ogni metodo utilizzato aveva solo rallentato l’inevitabile.
 
Giorno uno: Ermes-Ade (di cuffie e mimetismi)
Afrodite gli aveva appena sorriso, dopo aver schivato un paio di cheerleader e di compagne di corso che le stavano per chiedere qualcosa, ed Ares la stava aspettando, appoggiato a un armadietto con un sorriso tagliente dipinto sul viso. Efesto era esattamente tre piani di scale più in basso, nel suo amatissimo laboratorio, quindi Afro lo aveva abbracciato senza particolari problemi e, per non osare troppo, baciato solo sulla guancia. Ares, facendo sospirare un paio di ragazze, aveva sorriso con una sorta di affetto malcelato nello sguardo.
E fin lì, tutto era andato benissimo. Nessuna spia di Efesto appostata per coglierli sul fatto, nessun Grace in giro a esasperare l’anima, nessun professore di italiano pronto a dire ad Ares che no, una ricerca su un libro non poteva essere copiata da Wikipedia dalla prima all’ultima riga –era già successo, quasi si aspettassero che lui davvero leggesse quei libri.
Poi aveva visto il cappellino. Anzi, la cuffia. La grande cuffia del mimetismo, il mitico copricapo del ladro e compagnia bella… e se Ares aveva visto la cuffia tra le foglie dell’alberello finto posto fuori dal laboratorio di scienze, allora erano guai. Ermes Stoll era appostato dietro l’alberello. E, con lui, c’era il vero possessore del potere del mimetismo: Ade Grace.
Come facessero, quei due, uno un po’ di più, uno un po’ di meno, nessuno lo sapeva. Ade aveva cominciato a capire che era palesemente comodo riuscire a nascondersi, per poi non farsi più ritrovare, così da avere un po’ di pace, quando aveva realizzato che i suoi due fratellini, Es non contava, non se ne sarebbero andati via di casa prima di aver compiuto troppi anni. Quindi, se Posy e Zeus non potevano scomparire regalando un po’ di pace, allora aveva capito che era lui quello che non si doveva vedere in giro.
Un giorno Apollo aveva detto che Ade non poteva essere così bravo a scomparire solo perché era bravo -come  come avrebbe fatto altrimenti ad essere migliore di Apollo in persona?–  quindi, per forza, doveva avere con sé un oggetto magico capace di farlo scomparire nel buio.
Mentre diceva quella frase, Ade uscì dalla sua camera con una cappello di lana nero, il suo preferito perché dono di suo padre, quindi tutti convennero, davanti allo sguardo compassionevole e leggermente esasperato del proprietario del cappello, che in quel momento il maggiore dei Grace stava mostrando al mondo il mitico, leggendario elmo dell’invisibilità in pura lana tibetana.  Non importava che il cappellino in stile peruviano fosse, appunto, un cappellino e non un elmo. Ormai era nata la leggenda. E con essa, i relativi accoliti.
Ermes aveva invidiato Ade per molto tempo, perché lui sapeva mettersi in cima ad un albero pur di non essere visto, e disturbato, da ogni essere vivente, tranne forse qualche uccellino. Ade poteva sparire, ed Ermes avrebbe tanto voluto saperlo fare anche lui quando i negozianti lo beccavano a rubare, o quando Maia lo guardava delusa, o, col passare degli anni, quando le pseudo-famiglie adottive lo fissavano, cercando di capire perché anche loro non avevano ricevuto una bambina dagli occhi azzurri e i capelli biondi ricci con un sorriso angelico come era successo ai loro vicini.
Ermes si era costruito da solo la leggenda, prendendo una cuffietta grigia dall’orlo risvolto e cominciando a rubare,e a non farsi beccare, solo con quel copricapo ben calcato sulla testa. Era la cuffia del mimetismo: non era male, anche se le scarpe alate la battevano.
Quindi Ares sapeva bene che Ermes era appostato dietro all’alberello, che ora si muoveva verso di lui in maniera sospetta, e che probabilmente Stoll aveva chiesto l’aiuto di chi, invece, non si vedeva davvero, per preparare una missione, ovviamente in incognito.
Aveva aspettato che Ermes uscisse dalle fronde in plastica e aveva soffocato una imprecazione mista a una risata quando aveva visto le guance di entrambe le spie infiltrate dipinte di nero secondo decorazioni belliche. Ade, invece, non aveva alcuna voglia di ridere.
-Dobbiamo salvare Apollo.-aveva detto.
Poi lo avevano trascinato via.
 
Giorno due: Poseidone-Orion (di gente scomparsa e tattiche violente)
Il secondo giorno, Ares era più preparato: sapeva già che non avrebbe passato troppo tempo con Afro, quella mattina. Peccato che non si aspettasse comunque di essere preso di peso dal migliore amico di Art, il Cacciatore, mentre Possy faceva scrocchiare le nocche in modo inquietante. O meglio, esaltante: Poseidone era bravo nelle risse, il Cacciatore idem, eppure non capiva il motivo di cotanta violenza, anche se non faceva mai male.
Poi Orion, il Cacciatore, l’aveva messo giù, per poi tirare fuori dallo zaino il suo amatissimo arco composito. Pos, invece, aveva già dimostrato di preferire la forza bruta, e aveva proposto ad Ares di usare una mazza da baseball per aiutarli.
La Rue stava per chiedere chi era il fortunato bersaglio, quando per i corridoi era apparsa Daphne, che quasi correva mentre Apollo la implorava di dargli una possibilità.
Si era voltato verso Pos, incredulo. Si sarebbe aspettato una tattica del genere da Zeus, o da sé stesso, ma non dal mitico Possy. Poi aveva notato l’esasperazione nelle iridi verdi di Grace, e la calma serafica di chi è pronto a catturare la preda nella posa rilassata, ma pronta a scattare, di Orion.
-Come facciamo poi col corpo? Apollo è pesantuccio.-aveva provato ad obiettare.
Orion aveva sorriso, indicando, nel parcheggio, la Maserati rossa dei Solace con la capote aperta.
-La gente scompare ogni giorno,no?-aveva detto Pos, ed era uscito con un ghignetto sulle labbra mentre camminava incontro ad Apollo.
 
Giorno tre: Artemide (di fini impreviste, fughe precipitose e buone reputazioni suicide)
Il terzo giorno, Ares Afrodite non l’aveva proprio salutata.
Tutti guardavano, impalliditi, la scena pietosa dal cortile della scuola.
Daphne ed Apollo erano intenti a parlare –quindi Apollo supplicava e Daphne rischiava di ricorrere alla violenza- nell’aula di matematica del primo piano. Dal cortile si poteva benissimo vedere i capelli biondi dei due attraverso la finestra, aperta. I rami del giovane lauro piantato nell’aiuola del club di giardinaggio qualche anno prima sfioravano le ante spalancate, ormai a quell’altezza.
Art voleva fare qualcosa, doveva fare qualcosa, e Ares stava cercando di fare capire che ormai non c’era più nulla da fare. La reputazione di Apollo stava per seguire le orme di Daphne.
Ladondaughter era una ragazza dolce, posata, ma molto emotiva. Era una ragazza paziente, aveva resistito per ben tre giorni di assalti. Ma ormai, si diceva, non ce la faceva più. Apollo continuava a parlarle, a sorridere e a supplicarla, e magari sarebbe anche uscita con lui, se non avesse avuto tanta paura dei ragazzi.
Quindi, in un attimo di follia, decise. Si affacciò alla finestra e saltò nell’albero.
Ad Ares parve proprio di vederla, là, la buona reputazione di Apollo, seguire a ruota la ragazza e incastrarsi tra i rami.
Daphne Ladondaughter venne sospesa per la sua condotta irresponsabile. I suoi bellissimi capelli l’avevano salvata, dato che si era ritrovata incastrata tra i rami dell’albero e non era più riuscita a scendere giù. Inutile dirlo, Eco, da brava pettegola, aveva messo in giro la voce che era stato Apollo a spingere Daphne, ma ormai erano due le buone reputazioni che si erano lanciate giù dalla finestra.
Apollo era rimasto per un po’ additato come stalker, ma gli Olympians si erano ripromessi di contenere le avances dell’amico, in futuro, e tutti, un po’ perché rassicurati da quella promessa, un po’ perché Apollo era fatto così, gli si voleva bene per quello, si erano presto dimenticati dell’accaduto.
A Daphne era andata peggio.
Daphne era diventata Alberello felice, ed aveva cambiato scuola, oltre ad aver sviluppato una certa fobia dei lauri. Ma non aveva dimenticato, e nemmeno Apollo.
Apollo aveva amato Daphne. Era rimasto ferito dalla faccenda quasi come lei, seppur in modo diverso. Era rimasta una questione irrisolta. E Solace, da bravo codardo, non aveva mai più provato a chiedere scusa alla ragazza.
Ma sapevano bene entrambi che la resa dei conti sarebbe arrivata.
 
DAPHNE
Uno schiaffo è plateale, non vero. Non è un pugno, che scarica la rabbia procurando dolore fisico all’avversario. E’ un gesto teatrale, una finzione.
Uno schiaffo non fa male, ma brucia. Uno schiaffo è una offesa personale, un mostrare, schiaffare, il proprio disprezzo verso una persona.
Daphne tirò uno schiaffo in faccia ad Apollo. Ciaff.
E Apollo riuscì a sorprenderla, perché si inginocchiò e le prese la mano con cui lei l’aveva schiaffeggiato. Le disse tanto, le disse le cose più semplici e genuine che aveva provato e che, grazie al cielo, non provava più. Quasi pianse, Apollo Solace, perché era teatrale anche lui, non solo Daphne con il suo schiaffo. Le disse che gli dispiaceva tanto, e che aveva davvero ammirato il fegato della ragazza quando l’aveva vista lanciarsi sull’albero, quasi abbracciandolo. Le disse che un po’ si era mostrata stupida, perché lui mica mordeva. Era stato solo un po’ asfissiante, poteva concederglielo, ma lei avrebbe potuto semplicemente tirargli uno schiaffo un po’ prima, o magari piangere.
Daphne non riusciva a crederci. Lo stalker era completamente pazzo, ma, come lei, non riusciva a provare i sentimenti di un anno prima. Daphne non lo odiava più, ormai era acqua passata. Lo schiaffo era stato per Alberello felice, glielo disse anche.
Apollo rise, anche se dentro di sé aveva ancora una paura tremenda di quella ragazza che era riuscita a sfuggirgli e a spezzargli il cuore.
Daphne non lo avrebbe mai ammesso, ma un po’ l’aveva veramente stupita, lo stalker.
Perché, in fondo, Apollo era fatto così: gli volevi bene (lo compativi) e basta.
 
 
 
NOTE DELL’AUTRICE
*Tanti auguri a me, tanti auguri a me!* Ebbene sì, è da un anno esatto che vi rompo *ehm ehm* che vi delizio con le mie storie! YALLA!
Scherzi a parte, il sacro fuoco dell’ispirazione è tornato quando ho visto che giorno era oggi e quindi…. Sono tornata!
*passa una balla di fieno nel deserto*
Bene bene, vi vedo entusiasti !
Scherzi a parte (parte 2) mi scuso davvero tanto per il ritardo, ma la scuola mi ha impedito di scrivere fino a ieri, cinese escluso. Avrei davvero voluto aggiornare prima, ma spero apprezziate il capitolo lo stesso J. A me piace tanto Ares, mi dispiace. Ares, Ermes, Apollo, Ade… insomma, mi piacciono tanto tutti. Spero anche a voi :P.
Grazie mille delle recensioni, mi fate scoppiare di gioia il cuoricino, e un grazie a coloro che preferiscono/seguono/ricordano. Se vi va, recensite! Mi fate sempre un grande piacere!
(Mi chiedo chi aveva capito chi era arrivato, cioè Daphne, e chi abbia apprezzato la trasportazione del mito nella storia XD è stata un po’ dura )
Ah, finalmente abbiamo il nome del Cacciatore: tante persone sapevano già, spero, che era Orione *yuhuuu*... vedremo tra un po' che gli è successo >.>
Un mega beso
Ali
(non dico più ‘’a presto’’ perché porta sfortuna…)
   
 
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