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Autore: Christa Mason    12/06/2015    1 recensioni
Julian Casablancas è uno studente del Le Rosey e fa tremendamente freddo quando incontra Gil.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Mio padre trasporta qualsiasi cosa, dal tonno in scatola ai computer destinati alle aziende, su grandi camion e furgoni lucidi di fabbrica. Mio padre spariva per giorni, perchè viaggiare su grandi veicoli da trasporto merci è il suo lavoro. Due anni fa mi portò a Londra con sè, nella grande, caotica e meravigliosa Londra, solo per tre giorni che furono i più belli della mia vita, semplicemente i più belli. Quando tornammo in Svizzera fui felice per un po’, anche la mamma sembrava felice, finché mio padre non uscì di casa per uno dei suoi viaggi senza più tornare. Ho smesso di aspettarlo. 
  “Forse gli è successo qualcosa, qualcosa di grave intendo.” dice Julian. 
  “Continua lavorare, ci fa avere dei soldi. Usa la sua carta di credito, compra canne da pesca di buona qualità. Non fa altro che comprare canne da pesca. Abbiamo chiamato chiunque per cercare di rintracciarlo, quando sembrava l’avessimo trovato, lui spariva di nuovo, cambiava città. Semplicemente non vuole più avere a che fare con noi, non vuole più a vedere a che fare con me. Se ci fossimo conosciuti due anni fa, forse ti avrei detto che mi dispiaceva, oggi non lo so.”
  Ci passiamo uno spinello. Facciamo oziose gite in macchina quando finisco di lavorare, osserviamo le piccole luci cittadine che si accumulano ai piedi delle montagne, nell’oscurità notturna ci scaldiamo bevendo Jack Daniel’s. Julian beve ed esagera, esagera sempre. Facciamo l’amore nella sua MG d’epoca, ancora e ancora, ci amiamo finché i finestrini non diventano tutti appannati per freddo di dicembre. Scriviamo stupidaggini sui vetri opachi. Dormo nella sua camera d’albergo, mi sveglio con l’immagine di Julian Casablancas dormiente, sereno tra le pregiate lenzuola del Westfield. Corriamo tra i vicoli di Rolle, ridacchiamo calciando la neve. Ci chiamiamo stupido e stupida e facciamo lunghe chiacchierate sul nulla. Julian fuma, beve e mi desidera senza moderazione. 
  “Anche mio padre è sparito. Mi paga la stanza al Westfield, ma niente di più.”
  Suo padre non era scomparso, era solo lontano. Julian non lo capiva.
  “Quella notte, quando abbiamo tirato Gary Simmons dal lago, avevano chiamato tuo padre, ricordo che l’avevano fatto. Tuo padre c’è, Julian, è rintracciabile. Potresti parlarci quando vuoi.”
  “Forse non voglio, e non credo voglia neanche lui.”
  “Sei proprio uno stupido, Casablancas.”
  “Sono bloccato qui, no? 
  “Che vuoi dire?”
  “Che non posso tornare a casa, Gil. Mio padre mi tiene qui, in questa fottuta Svizzera.”
  “Vorresti tornare a New York?”
  “Ogni tanto.”
  Desidero che si corregga, che dica che vuole restare in Svizzera per sempre, perchè è qui che sono io. Io ti amo Gil, e resterò con te per sempre. Ma mi rendo subito conto che non siamo così, non ci dichiariamo amore eterno, e sappiamo entrambi che presto ci abbandoneremo. Julian a volte  mi viene a trovare al ristorante della stazione sciistica, mi solleva cogliendomi di sorpresa Eccola, la mia Gil. Non si vergogna di mostrare il suo interesse per me con i suoi amici. Lasciami, Julian, mettimi giù. Io rido e penso a lui tutto il giorno, ma non penserò a lui per sempre. Mi ha detto un giorno che sua madre era stata la donna più bella di tutta la Danimarca, aveva vinto un concorso nazionale di bellezza quindi la cosa era stata ufficializzata, e mi sento strana se penso a mia madre, incredibilmente grassa e bloccata sul divano. Immagino un incontro tra sua madre e mia madre, ridicolo. Niente di quello che condividiamo potrebbe mai funzionare.
  “Deve essere bellissima, tua madre.”
  “Lo è, tantissimo.”
 Ritorniamo al Quarto Potere, beviamo e ridiamo di tutto. Julian mi dice che dopo le vacanze frequenterà un corso di storia del teatro, sorrido perché non ha l’aria impostata che avrebbe uno studente che ama questo genere di cose, è troppo americano persino per questo. Non mi curo di quante birre ha bevuto, la sua testa ciondola sul tavolo, mi guarda senza interesse, si sforza di mantenere la conversazione. Mi sento una stronza perchè dovrei desiderare che smetta di bere, che non si distrugga il sangue a forza di bere alcol, ma non desidero niente del genere. Mi piace Julian e basta, ed è anche per questo che mi rassegno al fatto che non siamo fatti l’uno per l’altra. Vorrei così tanto desiderare di salvarlo, di cambiarlo, di amarlo per quello che potrebbe essere senza l’odore di disastro che si porta dietro come un’ombra, ma io non sono così, noi non siamo così. 
  “Andiamo a casa, Jules?” lo chiamo Jules senza neanche rendermene conto, un diminutivo intimo che non ho mai sentito usare da nessun altro. L’ho fatto mio. 
  “Intendi a casa tua?” dopo quella volta non ha più dormito a casa mia. 
  “Sì, a casa mia. A dormire.”
  Annuisce distante. Si rende conto del fatto che il fatto che gli permetta di dormire a casa mia non sia qualcosa che concedo facilmente. Avrei almeno evitato che guidasse ubriaco, l’avrei stretto a me come se non volessi lasciarlo andare, il volto appoggiato sulla sua schiena, ci saremmo abbandonati esausti sulle molle cigolanti del mio letto. 
  “Andiamo, allora.” 
 Alzandosi Julian fa cadere uno dei bicchieri vuoti che erano abbandonati sul nostro tavolo, uno scroscio di mille schegge di vetro attira l’attenzione di tutti. É sabato sera, il bar è pieno di operai stanchi e ragazzi che non hanno dov’altro andare. Un solo fottuto locale in tutto il quartiere. Noto Hans, gli stessi amici con cui era entrato l’altra sera, lo stesso sguardo orgoglioso: vorrebbe chiedermi come sto, chi è lo straniero che mi porto al nostro bar. Ci guardiamo, ci riconosciamo ancora. S’appoggia ad una stecca da biliardo, lui e i suoi amici hanno conquistato il tavolo più grande e tirano a turno esultando. Lui sorridi falsamente disinvolto. Lo immagino che si avvicina coraggiosamente e mi dice che siamo destinati a stare insieme: siamo due ragazzi delle case popolari, il nostro è stato il primo lungo amore per entrambi. Gil, ci saremmo sposati, sarebbe stato meraviglioso, perchè hai mandato tutto a puttane? Prima di Julian, me lo chiedevo tutti i giorni anche io.
  Prendo il viso di Julian e lo colgo di sorpresa, mi allungo sulle punte dei piedi e lo bacio. Perplesso, sento il suo sguardo guardarsi intorno. Un bacio passionale, esagerato. 
  “Per cos’era questo?” mi chiede.
  “Per te.”
  Non è vero, il bacio non era per Julian, era per Hans. Per dimostrargli stupidamente che non sono mai stata la ragazza che conosceva, che sono uno spirito libero, che non sono mai stata la sua Gil. Hans ci ha visti, so che ci ha visti, abbassa gli occhi grattandosi la testa, saturo di imbarazzo. Esco con Julian dal Quarto Potere, d’animo leggera come poche altre sere. 
  
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