Nell’ultimo periodo capitava spesso che, uniti da un tacito accordo, Zoro e Robin si allontanassero dai compagni per appartarsi in un luogo tranquillo e bearsi insieme del silenzio. La ciurma faceva ancora baldoria in lontananza, quando Zoro bevve un nuovo sorso di rum e sorrise soddisfatto asciugandosi le labbra con il dorso della mano. Al suo fianco Robin accarezzava distrattamente la lama di una delle tre preziose, intoccabili spade del compagno, tenendole in grembo come fossero sue figlie. Quando esattamente lui avesse cominciato ad affidargliele, nessuno dei due lo ricordava.
«Dimmi, Zoro, quando ti deciderai a baciarmi?».
Lo spadaccino rischiò di soffocare con il rum in gola.
Allontanò da sé la bottiglia mezza vuota e voltò la testa di lato, rivolgendo alla donna un’occhiata sarcastica.
«E chi ti dice che io voglia baciarti?».
«Oh, di sicuro a quest’ora non staresti qui seduto in mezzo ai fiori, lontano dalla festa».
Zoro aprì la bocca per ribattere, ma non trovò la risposta. La verità era che Robin aveva dannatamente ragione, come sempre, e lui moriva dalla voglia di baciarla. Perché non l’avesse ancora fatto, proprio lui che agiva sempre d’istinto, restava ancora un mistero. Robin, per lui, era un mistero.
La guardò di nuovo e il suo sorriso enigmatico gli fece contorcere le viscere.
Si passò una mano sul viso, esasperato. «Ah, dannata donna...».
Tenendo la bottiglia sollevata con una mano, poggiò l’altra sull’erba e si spinse verso l’archeologa, premendo le labbra sulle sue.
Robin sorrise contro la bocca di lui: sapeva di rum, ma trovò quel bacio ugualmente perfetto, perché era un momento con Zoro.
Perfetto fu anche il modo del tutto casuale in cui lo spadaccino fece scivolare una mano callosa al di sotto della maglia di Robin, accarezzandole la schiena liscia con studiata lentezza. Perché insomma!, era pur sempre Zoro, e se Robin sapeva incantare con le parole, lui invece era un tipo decisamente più fisico, che passava subito ai fatti.
E a Robin, in fondo, andava benissimo così.