Thinking out loud
“Spero
di non aver detto cose
compromettenti” feci imbarazzata. Lucian rise ancora di
più. “Tranquilla. Non
me la prendo. Luke è uno dei miei migliori amici e sa che
può dire ogni cosa di
me, anche se devo ammettere che è stato piuttosto giusto nei
miei confronti con
questa descrizione” disse. Proprio in quel momento,
arrivò Luke. “Si parla del
diavolo” fece Lucian ridacchiando. “Ehi, non
importunare la mia ragazza,
maniaco” scherzò Luke, cingendomi la vita con fare
protettivo. Ridemmo tutti e
Luke adocchiò la pizza nel mio piatto. “Mhm,
amore, la mangi tutta?” mi chiese,
con un tono che in un cartone animato avrebbe accompagnato una leccata
di
baffi. “Sì” dissi subito, schermando il
mio pranzo – e sottolineo, il mio – con
il corpo. Lui mise su un broncio adorabile che mi rese difficile
rimanere sulla
mia decisione. “Luke, se vuoi una fetta di pizza, basta che
la prendi da lì”
fece Lucian perplesso. “No, voglio la sua. Se mi ama me ne
darà una fetta.”
“Che
cosa?!” chiesi io sconvolta.
“Certo.”
“Le
prove d’amore sono la cosa più
insulsa che esista!” esclamai. Luke rise e mi diede un bacio
sulla fronte. “Lo
so, piccola, non te ne chiederei mai una. Stavo scherzando. So cosa ne
pensi.”
“Oh,
siete stomachevoli, ragazzi”
ci punzecchiò divertito Lucian. Luke lo guardò
male, prima di avvicinarsi al
tavolo e servirsi. “Andiamo dai ragazzi, piccola?”
mi chiese poi. Io annuii e
Lucian ci salutò, lasciandoci raggiungere il tavolo dove si
erano sistemati gli
altri. Manuela, quando mi vide arrivare, si sbracciò, quasi
avesse paura che
non l’avessi vista. Mi sedetti accanto a lei.
“Manu, guarda che sono talpa, ma
non fino a questo punto.”
“Non
si sa mai, con una persona che
non saluta nessuno a meno che non sia a due metri di distanza, date le
continue
gaffe.”
“Ma me
lo devi ricordare ogni
volta?”
“Non
è colpa tua se non porti mai
gli occhiali!!”
Michael ci
interruppe. “Allora,
Coco, a quanto pare hai conosciuto Lucian” disse con un
sorrisetto. Io annuii.
“E ho fatto pure una bellissima figura da cretina, se
è per questo” aggiunsi.
Loro si misero a ridere. “Non è la prima volta,
comunque” sussurrò Manuela. Io
le diedi un calcio sul piede e lei soffocò una risata,
rispondendo al fuoco con
uno schiaffo sul braccio. “State buone” ci
rimbeccò, da brava mamma, Carol, con
un ghigno divertito, che fu subito coperto dal bicchiere che lei si
avvicinò
alle labbra.
Mangiammo in
poco tempo, facendo i
turni per i rifornimenti, che puntualmente finivano nel giro di cinque
minuti.
Ad un certo punto, si avvicinò a noi Lucian, che si
appoggiò coi gomiti sugli
schienali delle sedie di Luke e Diana. “Ragazzi, ho bisogno
di un favore”
disse. Noi ci voltammo verso di lui. “Non sta andando al
massimo. Avevo
programmato uno spettacolo di qualche minuto come pezzo forte ma i
ballerini
sono bloccati nel traffico, così credo che dovrò
anticipare il karaoke. E dato
che un uccellino qui mi ha detto che qualcuno
sta per diventare parte di una band famosa, mi chiedevo –
casualmente – se vi
andrebbe di dare una mano ad una povera anima in pena” fece,
sottolineando la
parola ‘ qualcuno’. Ashton fece una smorfia.
“Amico, ti aiuterei pure, ma
vestiti così significa buttarsi via. Già uno
smoking è pesante per conto suo,
pensa se dobbiamo pure suonare. Mi ci vedi, dietro una batteria in
giacca e cravatta?”
fece. Luke e Calum annuirono dispiaciuti, d’accordo con
Ashton. Michael e
Manuela, invece, si alzarono subito in piedi. “Io
vado” fece Manuela, decisa.
“Io pure” aggiunse Michael. Lucian
esultò piano. “Grazie, ragazzi, davvero. Mi
avete salvato” disse, indicando loro prima la sala gremita di
persone, poi un
palchetto a cui prima non avevo fatto caso, che era stato messo
all’inizio
della scalinata. “Quali strumenti vi servono? Vedo cosa posso
procurare” disse.
Michael e Manuela si misero di spalle a noi e iniziarono a discutere
animatamente, probabilmente riguardo alla canzone da fare. Riuscii a
sentire
poco.
“Dai,
cupcake, ti prego!”
“No!
Mi rifiuto di fare ‘pizza’
qui dentro!”
“Ma
è la mia
canzone preferita!”
“Parla
di te!”
“Lo
so! Non sono ancora del tutto
scemo, quando sento ‘Michael wants
another slice’ capisco che si riferisce a
me!”
“Nemmeno
per sogno.”
“Dai!”
“No!”
“E tu
quale proponi allora, mhm?”
Manuela non
rispose e si voltò
verso Lucian. “Hai una tastiera?”
***
Ed eccoli
lì, dopo una decina di
minuti in cui i due si erano preparati e avevano collegato la tastiera
in posti
a me sconosciuti. Lucian salì sul palchetto – che
già aveva attirato qualche
sguardo curioso – e iniziò: “Ciao a
tutti, scusatemi il disturbo, ma come
sapevate dovevamo avere dei ballerini qui, che però sono in
madornale ritardo.
Quindi, per ingannare un po’ l’attesa, avevo
pensato ad un karaoke. Lo so, è
un’idea vista, e rivista, e rivista ancora, ma – si
voltò verso Michael e
Manuela – ragazzi, voi non li avete ancora sentiti cantare,
questi due” fece
con un sorriso. I due sul palco sorrisero a loro volta e Lucian si
dileguò dal
palco in fretta. Da qualche parte – non dal nostro tavolo,
figuriamoci –
qualcuno iniziò ad applaudire – non fu Ashton, no!
– e tutti gli altri lo
seguirono. Nel rumore, cercai di farmi sentire urlando: “In
bocca al lupo,
Manu!” La mia migliore amica mi guardò
riconoscente. Nonostante sembrasse
tranquilla, ero certa che stesse morendo dalla paura, dato che quella
era una
delle prime volte in cui cantava in pubblico, e anche se aveva una voce
bellissima, a mio parere, lei era sempre terrorizzata dal fattore
‘brutte
figure’, in cui si riteneva esperta.
Manuela fece un
profondo respiro da
dietro la tastiera, mentre Michael si voltava verso di lei e le
sorrideva,
facendole l’occhiolino. Era seduto su uno sgabello alto e la
chitarra era in
equilibrio sulle sue gambe. Sembrava tranquillissimo, ma la mano che
impugnava
il manico – non avrei saputo come meglio definirlo
– era bianca, dato che tutto
il sangue se n’era andato quando lui aveva deciso di
stringere troppo per il
nervosismo. Luke si avvicinò al mio orecchio e
sussurrò: “Sai, Michael è uno di
quelli che si fanno prendere molto dall’emozione prima del
concerto. La prima
volta che abbiamo fatto una cosa del genere, è scappato via
e Calum è andato a
riprenderlo nel bagno delle ragazze, dove si era chiuso sperando di non
essere
ritrovato mai più, citando le sue esatte parole.”
Io scoppiai a ridere e lui mi
fece segno di fare silenzio, aggiungendo poi: “Mi ha pregato
di non dirvelo
mai, ma era troppo comico per tenertelo nascosto.” Io annuii,
perfettamente
d’accordo. “Anche Manuela, per me, adesso si
sotterrerebbe volentieri” dissi
poi. “Poi non facciamoci domande se sono la coppia
perfetta” commentò Luke. Io
ridacchiai e Luke mi prese il mento fra due dita, delicato, per
dirigermi verso
le sue labbra. Mi baciò piano, dolcemente, facendomi
sorridere. Poi, mi fece
alzare e sedere sulle sue gambe. “Ho bisogno di contatto
fisico, lo sai” fece
poi con un tono da cucciolo a mo’ di giustificazione. Io
sorrisi e mi
accoccolai contro di lui, mentre Luke mi accarezzava le braccia
conserte. Mi
diede un piccolo bacio sul succhiotto che mi aveva lasciato qualche
giorno
prima, per poi appoggiare il mento alla mia spalla e accoccolarsi
lì. “Sai che
non sparirà mai se continui così?”
chiesi ridacchiando. “Lo so benissimo, ma
non permetterò mai che se ne vada” disse lui con
una risatina malefica. Io risi
a mia volta, mentre lui tornava a torturare per qualche secondo la
pelle
martoriata. “Ahi, fa male” mugolai. Lui smise
subito e mi lasciò un bacio
leggero. “Scusa” sussurrò, tornando ad
appoggiarsi su di me.
Stavo per dire
ancora qualcosa,
quando Michael e Manuela richiamarono l’attenzione. Poi si
scambiarono qualche
parola, di cui riuscii a leggere il labiale: “Parla
tu.”
“No,
tu!”
“Tu
sei matto, sono troppe
persone!”
Andarono avanti
così per qualche
secondo, poi Michael si arrese e posò la sua chitarra a
terra. Si avvicinò di
più al microfono che aveva davanti a sé e,
schiarendosi la voce, disse: “Ehm,
ciao a tutti. Mi chiamo Michael e lei è Manuela. Volevamo
iniziare questa
piccola esibizione di karaoke con una canzone che per noi è
molto importante.
Si chiama Sad song e, beh, ha un
significato bellissimo. Spero vi piaccia.”
Ci fu un
brevissimo applauso – di
nuovo, l’input fu dal nostro tavolo – e poi un
lungo silenzio. Riuscii
addirittura a sentire Manuela che prendeva un lungo respiro, prima di
iniziare
a suonare le note di quella che sembrava una ninnananna. Poi,
Michael iniziò.
You and I, we’re like fireworks and
symphonies exploding in the sky.
With you, I’m alive, like all the
missing pieces of my heart, they finally collide.
So stop time right here in the
moonlight, ‘cause I don’t ever wanna close my
eyes…
Without you, I feel broken, like I’m
half of a whole.
Without you, I’ve got no hand to
hold.
Without you, I feel torn, like a sail
in the storm…
Without you, I’m just a sad song.
Fu il turno di
Manuela.
With you, I fall. It’s like
I’m
leaving all my past and silhouettes up on the wall.
With you, I’m a beautiful mess.
It’s
like we’re standing hand in hand with all our fears upon the
edge.
So stop time right here in the
moonlight, ‘cause I don’t ever wanna close my eyes.
Continuarono a
cantare, nonostante
il nervosismo. Manuela era concentrata sulle sue dita che si muovevano
sulla
tastiera, ma Michael, non avendo nessuno strumento in mano, aveva
scelto
qualcos’altro su cui concentrarsi. I suoi occhi erano fissi
su Manuela, la
guardava con la coda dell’occhio come se non volesse farsi
notare. Quando lei
cantava, lui sorrideva leggermente. La guardava come ogni ragazza sogna
di
essere guardata, e anche se lei non poteva vederlo, pensai che fosse
una delle
cose più dolci del mondo.
Mentre suonava e
cantavano, la sala
era in un silenzio di tomba, tanto che anche io stavo iniziando a
innervosirmi.
Luke notò che continuavo a sistemarmi sulle sue gambe,
così mi diede un piccolo
bacio sulla curva del collo. “Scricciola, tranquilla. Stanno
andando
benissimo.”
“Lo
so, lo so, è che sono tutti in
silenzio, e magari non piace la canzone…”
Luke mi mise le
mani sui fianchi e
mi fece voltare verso di lui. “Amore, calmati. Non
è umanamente possibile che a
cento persone non piaccia una canzone, anche perché molte
delle persone qui dentro
sono miei vecchi compagni di scuola, e so che è un genere
che piace. Tranquilla”
sussurrò con un sorriso rassicurante. Io gli credei e tornai
ad appoggiarmi su
di lui, giusto in tempo per sentire la canzone che finiva. Ci fu un
attimo
interminabile di silenzio, insopportabilmente dilatato. Poi, qualcuno
iniziò ad
applaudire, e stavolta non fu uno al nostro tavolo. In poco, tutti lo
seguirono
e io mi aprii in un sorriso entusiasta. Manuela e Michael sembravano al
settimo
cielo, con dei sorrisi enormi e sinceri a illuminare i loro visi.
Quando, dopo un
po’, scesero
dal palco, ci fu un attimo di esitazione da parte di tutti. Michael si
guardò
intorno ed esclamò: "Ehi, ragazzi, niente scherzi! Ora tocca
a qualcun
altro!" Ci furono delle risatine, poi una ragazza dai capelli tinti di
rosso ciliegia si alzò. Aveva un bellissimo vestito a sirena
verde petrolio
chiaro. "Canto io" disse Diana con un mezzo sorrisetto di sfida.
Michael le passò di fianco e batté il pugno
chiuso contro il suo. "Brava,
sorella di tinta" fece soddisfatto. Io
ridacchiai
mentre Manuela si sedeva di fianco a me e Diana saliva sul palco. Prese
in mano
il microfono, prima di allontanarlo dalla bocca. "Lucian?"
chiamò. Io
mi sorpresi del fatto che lo conoscesse, prima di ricordarmi che,
essendo la
migliore amica di Luke e essendo stata la sua ragazza, sarebbe stato
strano se
non l'avesse conosciuto. Lui si avvicinò a lei e si
appoggiò al bordo del
palco. "Sì, Ariel?" Questo confermò le mie
ipotesi. Diana sorrise e
si chinò. "Karaoke senza computer? Molto furbo."
"Oh,
ma io ho un computer, e anche le casse."
"Posso
chiedertele? La mia canzone non è esattamente acustica."
"Certamente"
fece Lucian ammiccando e andando dietro al palco, mentre Diana lo
seguiva con
lo sguardo. Io inclinai la testa da un lato, non riuscendo a
interpretare lo
sguardo di Diana mentre lei si sistemava i capelli prima di portare
entrambe le
mani sulla pancia. Mentre stava in quella posizione rilassata, mi
sembrò quasi
che fosse gonfia, ma poi guardai verso il basso per rendermi conto che
anche io
lo ero. Probabilmente, la pizza ci aveva riempite troppo.
Lucian
tornò da lei porgendole un computer. "Tutto già
collegato. Scrivi
solamente il nome della canzone, e partirà la base."
"Hai
il programma apposta?"
"Ehi,
sono schifosamente ricco. In qualche modo devo godermi questa
situazione
assolutamente fuori posto per il mio spirito vagabondo."
Si
sorrisero e Diana scrisse velocemente il nome della canzone, che io non
riuscii
a cogliere. Anche quando partirono le prime note, non la riconobbi.
Madison,
però, si drizzò subito sull'attenti. "Ehi, ma io
la conosco!" fece,
voltandosi verso il palco. Intanto, Diana portò il microfono
alle labbra.
Sembrava così sicura di sé che mi chiesi se non
avesse già cantato. Il fatto che
avesse una bella voce e dimostrò di saperla usare non fece
altro che farmi
rimanere sulla mia idea.
Era
una canzone carina, ritmata e simpatica. Mi ritrovai a canticchiare le
note e a
battere il pollice a tempo sul palmo di Luke. Manuela e Calum, invece,
sembravano proprio presi, dato che stavano imitando un ballo solamente
con
braccia e spalle. "Ragazzi, vi sentite bene?" chiese Ashton ridendo.
"Sì, sì, è che è una
canzone di Just
dance che balliamo sempre quando siamo a casa mia!" rispose
Madison,
senza fermarsi. "Ecco dove l'avevo sentita!" esclamò
Michael.
"Piccolina, dopo vado io, ho deciso" disse Calum, guardando Madison,
che ancora ballava da ferma. "Va bene, cosa canti?"
"Sorpresa"
fece lui con un sorriso.
"Maddy,
non ci hai detto una cosa: come si chiama la canzone?" chiesi, curiosa.
"Satellite, di Lena Meyer"
rispose lei mentre la canzone finiva e Diana scendeva dal palco fra gli
applausi. Tornò a sedersi e fu sommersa dai complimenti di
tutto il tavolo.
"Non sapevo che cantassi" fece Lucian appoggiandosi allo schienale
della sua schiena. "Non sai molte cose di me" rispose Diana ammiccando.
"Già. Ci siamo persi di vista, eh?"
"Forse
per un po' troppo tempo."
Si
parlavano con una confidenza che mi fece capire quanto in passato
fossero stati
amici.
Calum
si guardò intorno per vedere se qualcuno si sarebbe offerto,
ma tutti quanti
avevano lo sguardo puntato sul nostro tavolo. “Siamo il
tavolo cantanti?”
chiese Ashton. “Sì” rispose Lucian
ridacchiando. così, Calum salì sul palco.
“Ragazzi, dopo avete intenzione di cantare ancora?”
chiese, rivolgendosi a noi.
Io scossi la testa subito. “Non mi sentirete mai
cantare” esclamai risoluta.
“Mi aggrego” disse Carol.
“Idem” fece Madison. “Io rimango sulla
mia decisione”
fece invece Ashton, mentre anche Luke annuiva. “Noi abbiamo
già dato, grazie e
arrivederci” dissero infine Diana, Manuela e Michael.
“Sentito? Dopo di me, il
tavolo cantanti ha finito la sua offerta! Quindi iniziate a scaldare la
voce,
voi altri!” fece Calum rivolgendosi alla sala, prima di
sedersi sullo sgabello
prima occupato da Michael. prese la chitarra e: “Maddy, vieni
un attimo, per
favore?” Lei, perplessa, obbedì e salì
a passi veloci sul palco. “Ti ricordi quella
volta al parco? Quando finalmente ti ho detto quanto fossi pazzo di
te?”
chiese. Madison fece un sorriso enorme. “Come potrei
dimenticarlo?”
“E
quel bacio a testa in giù?”
“Ricordo
anche quello, amore - fece Madison - ma perché me lo stai
chiedendo?”
“Perché
la terza domanda è: ti ricordi anche quella
canzone?”
Madison
si illuminò e annuì, così Calum si
rivolse alla folla. “Questa canzone l’ho
scritta due anni fa per lei. Spero vi piaccia” disse. Madison
si chinò, gli
lasciò un bacio sulla guancia e fece per andarsene, ma lui
la riacchiappò
tenendola per un polso. “Dove credi di andare, tu?”
chiese. “A sedermi?”
“Siediti
qui” fece Calum, indicandogli speranzoso lo sgabello dietro
alla tastiera. Lei
annuì felice e avvicinò lo sgabello a Calum, che
sorrise entusiasta. “Arrivo
subito” fece, rivolto alla sala. Diede un bacio sulle labbra
a Madison e le
sussurrò qualcosa che io non capii, ma che la fece
ridacchiare. Poi, si voltò
di nuovo verso di noi. “Scusatemi, ora comincio,
giuro” disse ridacchiando. Si
schiarì la voce e iniziò a suonare la chitarra
che non aveva mai lasciato.
You look
so beautiful, no one but me knows you’re insane,
I feel so
damn pathetic, my friends just don’t get it…
‘Cause
you’ve got me under oath, before you I was in a fucking rut.
One day
you’re in the past, that night I ask you back.
It started
out just harmless fun, now you’ve got me thinking
you’re the one…
‘Cause if
you wanna take me home, you know I’m ready to leave,
You’ve got
me under your spell, please don’t set me free!
‘Cause
I’ve been having all these nightmares, seeing you is my only
way
Of feeling
so defenseless, but I’m telling you I wouldn’t
change a thing!
Quando
la canzone finì, io saltai in piedi, facendo trasalire Luke
per lo spavento, ma
m'importò poco: ero entusiasta, quella canzone era una cosa
bellissima e sapere
che Calum l'aveva dedicata a Madison come dichiarazione mi faceva quasi
commuovere. Non fui l'unica ad avere quella reazione: un po' tutta la
sala era
nelle mie condizioni. Mi voltai verso il mio tavolo, incontrando gli
sguardi
felici di tutti... Tranne di Carol e Ashton. Carol era torva, con le
braccia
incrociate, mentre Ashton si era fatto piccolo piccolo sul bordo della
sedia,
il più lontano possibile da Carol, e aveva una faccia a
metà fra il divertito e
il 'ora sono fottuto'. "Carol? Ash? Che succede?" chiesi.
"Succede che questo bandanaro non solo è un bugiardo,
è anche una bella
faccia di tolla."
"Ma
che è successo?"
"Succede
che quando mi ha conosciuta mi ha detto di aver scritto una canzone per
me.
Guarda caso, era proprio questa."
"Beh,
amore - intervenne Ashton - tecnicamente non ho mentito... Ho scritto
questa
canzone per te su un bel foglio con i bordi dorati e te l'ho
consegnato... Ho
solo omesso il fatto che l'autore è Calum, ma tecnicamente
non hai motivo di
essere così arrabbiata."
"Bandanaro,
stai zitto, stai solamente facendo risvegliare il mio istinto omicida."
"Tu
lo sai che ti amo, vero?"
"Ti
amo anche io, ma ti ucciderò lo stesso."
***
Cantarono
ancora più o meno cinque persone, poi nessuno ebbe
più il coraggio di andare
sul palco, oppure nessuno trovò la canzone adatta;
così, Lucian interruppe il
karaoke: “I ballerini sono a pochissimo da qui. Vi consiglio
di non andarvene,
se non volete perderli!” Mentre diceva questo, qualcuno lo
aiutò a spostare i
tavoli dal centro. Io feci per mettermi in un angolino della stanza per
non
intralciare il lavoro, ma Luke mi prese per una mano e mi
trascinò
delicatamente via. “Vieni” disse,
“Vieni.” Io lo seguii, non sapendo dove mi
stesse portando. Quando vidi che stavamo salendo su per le scale,
però, mi
allarmai. “
Luke?! Non possiamo!”
“Tranquilla,
non ci vedrà nessuno.”
Io
sperai che fosse vero. Lanciai un’occhiata alla fine delle
scale, chiuse dal
nastro rosso, e notai che non c’era traccia
dell’uomo che Lucian aveva messo
come sentinella. Sentii l’ansia smorzarsi lievemente mentre
superavamo il
nastro e ci nascondevamo dietro al primo angolo. “Togliti le
scarpe, o ci
sentiranno subito” mi sussurrò lui. Io obbedii.
“Dove stiamo andando?” chiesi
curiosa. “Lo vedrai, ma sono sicuro che ti
piacerà” rispose lui, prendendomi di
nuovo la mano e portandomi verso la fine del corridoio buio. Ci
fermammo
davanti ad una porta bianca, lucida. Sul muro accanto c’era
una targa dorata. La
lessi e mi venne da
sorridere:
My advice is: don’t spend your money
on therapy. Spend it in a record store. – Wim Wenders.
“È
la stessa cosa che Carol
ha scritto in camera sua, sai?” chiesi. Lui annuì,
poi si posizionò dietro di
me e mi mise una mano sugli occhi. “Apri la porta”
mi sussurrò piano
nell’orecchio. Io lo feci e lui mi guidò nella
stanza. Sentii il cigolio della
porta che si richiudeva, poi lui mi lasciò. “Non
guardare ancora” mi disse. Si
sentì uno scatto e vidi attraverso le palpebre che aveva
acceso la luce. Ero
così curiosa che non sapevo come avevo fatto a non sbirciare
ancora. Lo sentii
rovistare alla mia destra e mi chiesi cosa stesse combinando, poi
sentii delle
note di chitarra inconfondibili. Dei passi si avvicinarono a me e Luke
mi prese
le mani da dietro. “Ora puoi guardare” mi disse,
lasciandomi un piccolo bacio
sul collo, mentre nella stanza si sentivano le prime parole di Wherever you will go.
So lately, I’ve been wondering, who
will be there to take my place?
When I’m gone, you’ll need
love to
light the shadows on your face
Rimasi a bocca
aperta. La
stanza non era enorme, illuminata da una luce calda e soffusa, con le
pareti
colorate di un pallido color pesca. Il pavimento era di marmo bianco,
immacolato, lucido come uno specchio.
If a great wave shall fall, and fall
upon us all,
Then between the sand and stone,
could you make it on your own?
La
parete destra era completamente coperta da una libreria imponente; gli
scaffali
superiori contenevano cd, quelli inferiori vinili. Una scala mobile
permetteva
di arrivare ai cd più in alto. Il mezzo alla libreria
stessa, un ripiano era
lasciato allo stereo, che in quel momento era acceso.
If I
could, then I would, I’ll go wherever you will go
Way up
high, or down low, I’ll go wherever you will go
Ai
quattro angoli della stanza, in alto, c’erano delle casse,
che diffondevano
quella dolce canzone.
And maybe,
I’ll find out a way to make it back someday
To watch
you, to guide you, through the darkest of your days
All’angolo
fra la parete sinistra e la parete frontale c’era un
pianoforte a coda nero.
Sul muro sinistro, poi, c’erano diverse mensole, tutte
occupate da uno
strumento diverso: una chitarra, un flauto traverso, un violino, un
tamburello,
un’arpa in miniatura; di fianco al pianoforte,
un’arpa a dimensioni reali.
If a great
wave shall fall, and fall upon us all,
Well, then
I hope there’s someone out there who can bring me back to you
La
parete alle mie spalle era decorate come se fosse un grande foglio
pentagrammato,
ma non c’erano note, nemmeno le chiavi all’inizio
di ogni riga. Su un tavolino
nell’angolo con la libreria erano appoggiati diversi
contenitori, ognuno
contenente un tipo di nota diverso: c’erano quarti, ottavi,
interi, e poi
pause, corone, chiavi… Di fianco, una piccola targa, che
recitava così: “Non
avrai mai una sola canzone in testa. La musica è bella
perché è libera e
volubile. Quindi, anche queste note saranno libere. Libere
di essere tutto quello che vorrai.”
If I
could, then I would, I’ll go wherever you will go
Way up
high, or down low, I’ll go wherever you will go
La
parete di fronte a noi era occupata da una serie di finestre a ogiva,
con vetri
colorati che proiettavano disegni immaginari sul marmo bianco, che
grazie a
loro diventava di ogni colore possibile.
Runaway
with my heart,
Runaway
with my hope,
Runaway
with my love…
Dal
soffitto scendevano fili invisibili, a cui erano appesi foglietti di
ogni
sfumatura dell’arancione, del giallo, del rosa e del rosso.
Mi avvicinai ad uno
di essi e lessi: “La musica esprime ciò che
è impossibile dire e su cui è
impossibile tacere.”
I know
now, just quite how, my life and love may still go on
In your
heart, in your mind
I’ll stay
with you for all the time
Mi
voltai verso Luke, che mi guardava con un sorriso. “Ti
piace?” mi chiese. Io
annuii, incapace di dire altro.
If I
could, then I would, I’ll go wherever you will go
Way up
high, or down low, I’ll go wherever you will go
Il
suo sorriso si aprì ancora di più. “Ci
speravo, sai? Anche se, conoscendoti,
sapevo che una cosa del genere avrebbe avuto solo un effetto del genere
su di
te, così come lo ha avuto su di me.”
If I could
turn back time, I’ll go wherever you will go
If I could
make you mine, I’ll go wherever you will go
Mi
prese il viso fra le mani e mi posò piano un bacio sulle
labbra, lentamente,
dolce, senza alcuna fretta.
I’ll go
wherever you will go.
Quando
si staccò da me, fece un mezzo sorriso. “Coco, a
costo di fare la figura
peggiore della mia vita…” Mentre diceva questo,
partirono le note di Iris.
“Posso chiederti un ballo?” Io
sorrisi. “Non so ballare, Luke.”
“Nemmeno
io.”
“E
allora perché me lo chiedi?”
“Perché
so che ogni ragazza vorrebbe essere una principessa almeno per un
giorno. Tu
sei la mia principessa ogni giorno, e voglio dimostrartelo.”
Queste
parole fecero sorgere sul mio viso un sorriso intenerito, mentre lui mi
prendeva la mano e la portava sul proprio braccio. “Tanto per
chiedere, cosa si
balla?”
“Ehm,
sulla musica di Iris, forse?”
“Sì,
ma cosa?”
Lui
mi guardò perso. “Devo anche dirti il nome?
Perché non lo so.” Io scoppiai a
ridere. “Vogliamo davvero sottoporci a tale
umiliazione?” chiesi.
“Sinceramente, non sapendo ballare, sarebbe solo meglio se
smettessimo. Tu non
hai visto che casino è successo stamattina mentre Calum
provava a insegnarmi le
cose basilari, e spero che nessuno di quei tre maledetti ti faccia
vedere il
video che hanno fatto. Solo, mi dispiace aver fatto un discorso
semi-bello e
poi non aver saputo mantenere la parola.”
“Luke?”
“Sì?”
“Non
ho bisogno di un ballo per sentirmi fortunata di fianco a te.”
Lui
fece prima un mezzo sorriso, che poi si aprì in uno di
quelli enormi e
contagiosi, facendomi sorridere a mia volta. “Ti amo, Coco,
non hai idea
quanto” sussurrò prima di baciarmi piano. Io
ricambiai dolcemente, mentre lui
giocherellava con un ciuffo di capelli al lato del mio viso.
“Voi
due – ci interruppe una voce scocciata – siete dei
piccoli maledetti, sapete?”
Ci voltammo verso la porta e incontrammo lo sguardo irritato di Lucian.
“Se
volete, la prossima volta ci metto un cartello alla fine delle scale:
vietato
passare. Ma credevo che un nastro rosso e un omone potessero essere
sufficienti. A quanto pare, non basta a fermarvi.”
“Lucian…”
“Non
dire nulla, Luke. Cosa significa: non andate via, o vi perderete i
ballerini?”
“Sappi
solo che è stata una mia idea, non prendertela con
Coralie.”
Lucian
ridacchiò. “Non sono arrabbiato, stupido. O
meglio, forse un po’ lo sono, però
avrei fatto la stessa cosa se fossi stato in te, quindi non posso
rimproverarti. Mi dispiace solo che vi siate persi due esibizioni. Ora,
mi fate
il favore di scendere a guardare almeno l’ultima?”
Io
e Luke, veloci, sgattaiolammo via dalla stanza, che Lucian chiuse a
chiave
dietro di noi. “Questa la prendo io” disse poi,
mettendosi la chiave in tasca.
Scendemmo tutti e tre in fretta, per trovare la stanza immersa nella
penombra.
“Andate a sedervi sugli ultimi gradini, bestiacce”
fece Lucian sospingendoci
piano mentre si lasciava scappare una risatina. Noi obbedimmo, non ci
tenevamo
a fare arrabbiare il padrone di casa. Appena in tempo: un occhio di bue
si posò
sui due angoli della “pista”, illuminando due
figure; il ragazzo era vestito elegantemente,
con camicia bianca, pantaloni e gilet neri; La ragazza aveva un vestito
bianco
e i capelli mori raccolti in una treccia, ed era scalza. Rimasi a bocca
aperta.
“Ehi, ma loro non sono amici tuoi?” mi chiese Luke
sussurrando. Io annuii,
guardando basita Giorgia e Francesco che iniziavano a ballare sulle
note di Thinking out loud.
“Lui è il batterista
di quel concorso, vero? Quello di End up
here? E lei la tua amica di scuola? Non mi sto confondendo,
vero?” mi
chiese lui di nuovo. “No, no, sono loro” risposi
scioccata. “Non sapevo che
ballassero.”
“Non
sapevo che lui ballasse”
dissi io.
“Magari ha imparato per lei. Cosa che io, ehm, non sono stato
in grado di fare”
fece lui con un tono imbarazzato. Quando vide che io non rispondevo,
troppo
stupita e presa, non disse più niente e intrecciò
le dita delle sue mani alle
mie. Poi, mi attirò verso di lui.
Intanto,
sulla pista, Giorgia e Francesco continuavano a ballare. Spesso
sussultavo
mentre vedevo Giorgia esibirsi in salti, piroette e acrobazie che, se
avessi
provato a imitarle, mi avrebbero ucciso seduta stante. Mi immaginai la
testata
di un giornale: ‘Foca ritardata cerca di imitare
l’amica e cade di collo,
prognosi riservata’. Per poco non scoppiai a ridere nel
silenzio affascinato in
cui risuonava la voce di Ed Sheeran. Così, per evitare altre
figure orribili,
mi concentrai sui due.
Non
avrei saputo come descrivere i loro passi, ma una cosa la sapevo: il
gioco di
sguardi fra loro era incredibile. Ogni volta che potevano si
scambiavano
sguardi carichi di messaggi. Mi veniva da sorridere mentre vedevo
quanto i loro
occhi si cercavano in ogni momento. Sembravano comunicare solo
così. Quasi
potevo sentire ciò che si dicevano:
“Sto
andando bene?”
“Non
preoccuparti, stai andando benissimo.”
Erano
così belli insieme, che quasi mi dimenticai di respirare,
tanto ero impegnata a
guardarli. “Su una scala da uno a dieci, quanto si amano quei
due?” mi chiese
Luke in un orecchio. “Fortuna che i numeri sono infiniti, a
questo punto”
risposi a bassissima voce. Luke sorrise e mi strinse a sé.
Ero
così presa, che quasi ci rimase male quando loro si
sdraiarono, sulle ultime
parole di Ed. Ci fu un attimo di silenzio attonito, poi la sala
risuonò di
applausi, fischi, ovazioni. Io stessa mi unii al coro: “Siete
stati fenomenali!”
urlai. Giorgia, mentre si guardava intorno con un sorriso enorme,
incontrò il
mio sguardo e i suoi occhi sembrarono illuminarsi ancora di
più. Prese la mano
di Francesco e insieme fecero un inchino, poi le luci si spensero e
Giorgia,
come al suo solito, volò via dal palco, lasciando
l’altro quasi basito dalla
rapidità con cui lei si era dileguata. Scoppiai a ridere e
mi alzai per seguire
la mia amica, mentre le luci si riaccendevano. “Luke, vieni
anche tu?”
“No,
ti raggiungo dopo, fammi parlare con lui, che, poverino, ci
è rimasto
malissimo, guarda che faccia che ha” fece lui ridendo. Io mi
voltai verso
Francesco e lo vidi quasi sconvolto. Scoppiai a ridere e lo chiamai.
“Ehi, tu,
batterista!”
Lui
si voltò verso di me e mi riconobbe con un sorriso.
“Ma buonasera, lei!”
“Sei
stato bravissimo!”
“Grazie,
ma ha fatto tutto lei! Ero solo un accompagnatore!”
“E
che accompagnatore, se permetti!”
Lui
scoppiò a ridere e io lo salutai, mentre Luke si avvicinava
a lui per parlarci.
Mi voltai e cercai nella folla quella pazza di Giorgia. La trovai
grazie ad un
urlo, che identificai come quello di Manuela: “Siete stati
eccezionali!” In
poco, trovai le due. Insieme a loro, c’era anche Carol. Mi
buttai di peso in
mezzo a loro, urlando felice. Per poco non le ammazzai, ma nessuna
delle tre ci
fece caso. “Ti faceva schifo dirci che avresti ballato
qui?!” chiese Carol.
“Non sapevo che sareste venute!”
“Saremmo
venute comunque per te!”
“Ma
non potevate imbucarvi!”
Manuela
inarcò un sopracciglio. “Tesoro, sai con chi stai
parlando, vero? Sono riuscita
a infiltrarmi alla festa di pensionamento della vicepreside due anni
fa. Se
posso fare questo, posso imbucarmi a qualsiasi festa
possibile.”
“Poi
ti ha beccato con la torta e tu le hai detto che eri stata assunta come
assaggiatrice,
per evitare che qualcuno la avvelenasse. Non so come chiamare questo
tuo
aspetto, se pazzia o prontezza di spirito.”
“Si
chiama genialità!”
Tutte
scoppiammo a ridere al ricordo del selfie che Manuela ci aveva mandato
con la
vicepreside, in cui entrambe avevano le guance sporche della crema
della torta.
Quella donna era adorabile.
Ricordavo
il suo racconto come se fosse stato riferito quello stesso giorno:
“Sapete,
è stata una cosa epica. Alla faccia
di voi fifone che avevate paura di mettervi nei guai! Allora, sono
entrata
dalla finestra sul retro. Era un po’ in alto, avreste dovuto
vedere la scena…
‘ce la faccio, ce la faccio!’ sono caduta di faccia
sul parquet, era una scena
da registrare per le generazioni future. Non volevo farmi beccare dagli
altri
prof, dato che ce n’erano anche alcuni, come quello
d’informatica, che non
avevo voglia di vedere. Così, mi sono nascosta
nell’armadio all’ingresso, e
sbirciavo per trovare la vicepreside. Stava andando tutto bene, ve lo
giuro…
Poi hanno tirato fuori quella torta enorme, e non ho saputo resistere.
Sono
andata a prendere una fetta e stavo per tornare a nascondermi, quando
sono
andata a sbattere contro la vicepreside. È stato bellissimo.
Mi guardava a metà
fra il sorpreso e il rassegnato. ‘Manuela – ha
detto – dovevo immaginare che
fossi tu.’ Al che, io: ‘Lei mi conosce, prof. Non
me ne sarei andata senza
salutarla.’ Lei ha alzato gli occhi al cielo
perché voleva fare la scocciata,
ma non le è venuta bene. ‘ E che ci fai
qui?’ mi ha chiesto. ‘Prof, sono la sua
assaggiatrice personale. La torta è buona.’ A quel
punto ha smesso di essere
scocciata e mi ha detto: ‘Sai che ci sono quasi rimasta male
quando non ti sei
presentata all’ingresso? Pensavo che te ne fossi
dimenticata’ ha detto. E a
quel punto le ho risposto: ‘Doveva aspettarsi una mia entrata
in scena
spettacolare. Ah e, tanto per avvisarla, la serratura della finestra
sul retro
è molto debole. Vuole un pezzo di torta?’
È così che ho guadagnato un selfie
con la vicepreside, e un’altra fetta di torta.”
***
Passammo
una buona mezz’ora a parlare con Giorgia. Ad un certo punto,
Lucian si
intromise. “Scusate, ragazze. Coralie, posso parlarti un
momento?”
“Solo
perché hai ricordato il mio nome.”
“Molto
divertente” fece lui ridendo. Io salutai Giorgia con un
abbraccio
spacca-costole e seguii Lucian. “Posso chiamarti Coco,
vero?”
“Certo.”
“Perfetto.
Coco, Luke ti ha parlato del fatto che vivo una storia a distanza. Mi
chiedevo,
ti andrebbe di conoscere la mia ragazza?”
“Certamente!
Ma perché me lo chiedi?”
“Perché
sei la ragazza dei uno dei miei migliori amici, e perché
penso che possiate
andare d’accordo.”
Mentre
diceva questo, si era fermato davanti a un gruppetto di persone che
reggevano
fra le dita dei flute di champagne. Lucian picchiettò il
dito sulla spalla di
una ragazza completamente vestita di bianco e quella si
voltò. “Lucian, ecco
dov’eri! Ti avevo perso di vista!”
“Scusami,
stavo cercando una persona. Marceline, ti ricordi Luke?”
“Il
tuo amico del liceo?”
“Sì,
il biondino discretamente figo.”
“Sì,
sì, me lo ricordo.”
“Bene.
Lei è la sua ragazza, Coralie. Ci tenevo a presentartela,
sai, dato che Luke è
come uno di famiglia.”
L’altra
mi guardò con un sorriso cordiale. “Mi chiamo
Marceline. È un piacere
conoscerti, Coralie.”
“Il
piacere è tutto mio” feci ricambiando il sorriso.
Marceline era una bellissima
ragazza: bionda, con occhi azzurri dolcissimi e il viso ovale, il naso
a punta
e le labbra carnose. I capelli a boccoli erano sciolti, tranne due
ciocche che
dai lati del viso arrivavano fin dietro la testa. Prima che Lucian me
la presentasse,
avevo visto che all’incontro fra i due ciuffi era infilato un
fiore di velo da
sposa, quei fiorellini bianchi minuscoli usati come riempitivo nei
bouquet. Il
vestito era bianco, con una scollatura a cuore e il corpetto stretto.
Marceline
indossava una collana di perle abbinata al bracciale.
Era
una bellissima ragazza, sì, ma mi sembrava quasi troppo
raffinata per un tipo
come Lucian. Che so, lui l’avrei visto, in
quell’occasione, con una come Diana.
Anzi, i due sembravano proprio aver scelto il tema
‘Sirenetta’ insieme.
“Ti
piace lo champagne, Coralie?” mi chiese Marceline, porgendomi
un flute identico
al suo in cui ribollivano le bollicine del liquido, dorato come le sue
unghie.
“Mi dispiace, alla mia Coco non piacciono queste cose, e
nemmeno a me” disse la
voce di Luke dietro di me. Luke si affiancò a me e sorrise
in direzione di
Marceline. “Ehi, ne è passato di tempo,
vero?” fece. Lei annuì, sempre con quel
suo sorriso cordiale. “Ci siamo visti quando,
l’ultima volta? Uno, due anni
fa?”
“Sì,
più o meno, l’ultima volta che sei venuta a fare
visita a Lucian è stato prima
che compissi i diciassette anni.”
“Purtroppo
sono sempre impegnata, sapete come sono fatta, e come è
fatta la mia famiglia.”
“Sì,
sì, capisco, e non ti invidio per niente, se devo essere
sincero.”
“Ragazzi
– fece Lucian – io mi sento tanto un pesce fuor
d’acqua qui, siete tutti biondi
con occhi azzurri e poi ci sono io, quindi credo che me ne
andrò a parlare con
un’altra persona non bionda.”
“Lì
c’è Diana, se vuoi” disse Luke,
indicando con un cenno della testa il tavolo
vicino a noi. “Ecco, andrò da Diana, lei
sì che mi capisce” fece lui con un
broncio offeso. Noi ci mettemmo a ridere, mentre Lucian raggiungeva la
nostra
amica.
Rimanemmo
a parlare ancora un po’, poi un ragazzo del gruppo dove prima
era Marceline la
chiamò. “Scusatemi tanto, devo tornare da loro.
È stato un piacere conoscerti,
Coralie, ed è stato altrettanto un piacere rivederti, Luke.
Spero che la
prossima volta non passi ancora un anno. Devo andare, grazie per la
chiacchierata e buona serata!” disse lei, voltandosi di
nuovo. “Serata?” chiesi
io voltandomi verso Luke. Lui annuì. “Sono le
sette, piccolina” mi disse,
facendomi rimanere a bocca aperta. “Davvero il tempo
è volato così in fretta?”
chiesi. “Già. Senti, ti va di tornare a
casa?”
“Perché?
Non ti diverti?”
“No,
al contrario, mi piace molto… È che vorrei
passare del tempo da solo con te. Ci
abbiamo provato qui, ma non sembra esistere un posto in cui possiamo
starcene
tranquilli” spiegò lui con un faccino adorabile da
cane bastonato. Non riuscii
a resistere. “Va bene, andiamo a casa” dissi. Ci
voltammo per avvertire almeno
Lucian, ma, non trovandolo, chiedemmo a Marceline di riferirgli il
nostro
chilometrico messaggio su come quella festa fosse stata magnifica, su
quanto ci
fossimo divertiti e su quanto ci dispiacesse scappare così,
ma inventammo una
scusa e dicemmo di dover andare via. Lei annuì e ci
salutò con un abbraccio.
Poco dopo, uscimmo dalla casa di Lucian, per scoprire che fuori
c’era già buio.
Non potevamo prendere il furgone, sia perché non avevamo la
patente che perché
non avevamo il cuore di lasciare gli altri a piedi, così:
“Cerchiamo un taxi?”
chiesi. Lui annuì. “C’è una
fermata a un paio di isolati da qui” mi disse poi.
Ci
incamminammo, mano nella mano, lungo il marciapiede illuminato da
lampioni
gialli. Continuavamo a parlare e ridere, raccontandoci ogni impressione
su
quella giornata memorabile. Luke, ad un certo punto, prese a camminare
giù dal
marciapiede, così io lo superavo in altezza, ma solo grazie
ai tacchi,
diciamocelo. Non vedevo l’ora di togliermeli, mi stavano
uccidendo lentamente.
Luke sembrò accorgersi del fatto che stavo rallentando,
così si fermò. “Metti
un braccio attorno alle mie spalle” mi disse. Io lo guardai
confusa, ma
obbedii. Lui, a quel punto, mi sollevò stile principessa.
“Luke, dai, mettimi
giù! Peso!”
“Ma
non dire stupidate!” fece lui ridacchiando, con la voce
tremolante per lo
sforzo. Non servirono a nulla le mie lamentele: Luke mi
portò in braccio fino
alla fermata.
Non
dovemmo aspettare molto: un taxi passò di lì nel
giro di dieci minuti.
***
Arrivati
a casa, ci cambiammo in fretta. Con un sospiro di sollievo, scalciai le
scarpe
lontano da me, per poi togliermi anche il vestito e sostituirlo con la
maglietta di Luke che usavo come pigiama. Appoggiai i piedi a terra e
fu come
non aver mai camminato senza scarpe prima: una rivelazione.
“Fanno malissimo”
gemetti. Luke, dopo essersi messo a sua volta una tuta comoda, si
avvicinò a me
da dietro e mi posò un bacio sul collo. “Andiamo a
mangiare qualcosa? Cucino
io” mugolò nel mio orecchio. “Non se ne
parla, cuciniamo insieme” dissi
risoluta. Lui alzò gli occhi al cielo e rise. “Va
bene, va bene” accettò. Mi
prese per i fianchi e mi voltò. “Vieni, ti porto
in braccio io.”
“Luke,
ti ho già schiavizzato per strada…”
“Non
mi hai schiavizzato, sono stato io a decidere di farti questo favore, e
lo
decido anche ora. Sali?”
Io
scossi la testa e lui mise il broncio. “Bene, allora non mi
schiodo da qui”
disse, sedendosi sul bordo del mio letto. “Luke!”
feci, ridendo. “Non c’è Luke
che tenga, tesoro. Stavolta non mollo” disse lui con aria di
superiorità. Io
gli presi i polsi e provai a farlo alzare, ma senza risultato. A lui,
al
contrario, bastò un semplice strattone per attirarmi a
sé. “Non puoi battermi,
cucciola” disse a un soffio dalle mie labbra, prima di
baciarmi quasi con
prepotenza. Mi fece sedere sulle sue gambe mentre continuavamo a
baciarci. Ad
un certo punto, si alzò, tenendomi ben stretta.
“Luke, mettimi giù!” feci
ridendo. “Ti avevo avvertito, con me non puoi vincere in
questo caso” fece
risoluto. Io non potei fare altro che allacciare le gambe attorno alla
sua
vita. Lui fece un sorrisino soddisfatto che mi fece ridere.
“Hai proprio una
bella faccia da schiaffi” sussurrai, prima di appoggiare la
testa sulla sua
spalla. Iniziai a lasciare baci umidi a caso, giusto per distrarlo
mentre
scendeva le scale, nonostante sapessi che fosse una pessima idea.
Arrivati
in sala, Luke mi lanciò di peso sul divano, facendomi urlare
divertita. “Cosa
le va di mangiare, signorina?” mi chiese lui. “Mi
stupisca” feci, reggendo il
suo gioco. “Oggi lo chef propone un raffinato piatto di pasta
lunga condita con
olio d’oliva e scagliette di parmigiano.”
“Eh?”
“Spaghetti
con formaggio grattugiato.”
“Ah,
ora ho capito” feci ridendo. “Tu sei
pazzo” aggiunsi poi. “La vuoi una bella
frase da cliché?” mi chiese. Io annuii curiosa e
lui si inginocchiò davanti a
me. Mi prese una mano e ci lasciò un bacio leggero, poi
sussurrò: “Sì, sono
pazzo, ma di te.”
“Avevi
ragione, è da cliché.”
“Fin
troppo.”
“Andiamo
a cucinare?”
“Io
faccio gli spaghetti.”
“E
io che faccio?”
“Guardi
il tuo chef preferito mentre cerca di non far scuocere la pasta,
ovvio” rispose
lui. Io risi, di nuovo. Quella serata stava andando di bene in meglio.
Luke
mi fece alzare e mi attirò a sé.
Iniziò a canticchiare, mentre andavamo in
cucina:
Oh, is
something about,
Just
something about the way she move.
I can't
figure it out,
Is
something about her…
Iniziammo
a cantare Miss independent, mentre
Luke metteva su l’acqua per la pasta. Cantammo
di tutto, da Miss Independent a Why don’t we go there. In poche parole,
ricostruimmo quel karaoke che ci eravamo negati da soli
quel pomeriggio.
***
Dopo
mangiato, eravamo sdraiati sul divano a guardare un film molto
mascolino, un
thriller di quelli difficili da sopportare: Big
Hero 6. Al diavolo le persone che pensano che i cartoni sono
da bambini: in
quel cartone – ve lo garantisco – c’era
molto più di una semplice storiella.
“Amore,
mi regali un Baymax?” chiese Luke adorante. Io risi.
“Lo voglio anche io”
aggiunsi poi. Luke mi offrì il suo pugno chiuso, a cui io
feci combaciare il
mio. “Balalalalla!” facemmo insieme, per poi
scoppiare a ridere. “Oh, quanto
amo questo film” sussurrai ridacchiando e stringendomi di
più a Luke. “Oh, io
amo di più te” sussurrò lui nel mio
orecchio, prima di baciarmi piano, con
dolcezza. Io ricambiai. Poco a poco, in esso si infilò
sempre più foga, tanto
che, quando sentimmo il rumore del telecomando che cadeva a terra, non
ce ne
curammo.
Però,
ci curammo di un altro rumore, che avvertimmo una decina di minuti
più tardi:
il rumore sordo di una chiave che girava nella serratura. Scattammo a
sedere e
tentammo di ricomporci. Appena in tempo: Michael entrò in
casa, ridendo come un
matto. “Ecco dove eravate! Non si sparisce senza
avvisare!” fece Calum da
dietro di lui. “Almeno ci hanno lasciato il
furgone” disse Michael, mentre
anche tutti gli altri entravano. “Ah, sapete, ragazzi? Il
furgone ha ricevuto
qualche critica. C’erano queste due tipe con la puzza sotto
il naso che
guardavano male il cartello, così io… Ragazzi,
abbiamo interrotto qualcosa?” chiese
poi. Noi scuotemmo la testa veementemente. Così, lui
ricominciò: “Bene. Dicevo,
io le ho guardate male a mia volta e ho detto loro: ‘sapete,
non tutti hanno
soldi per permettersi una limousine. Ma presumo che voi li
abbiate… Altrimenti
come vi sareste pagate il silicone che avete nei reggi-”
“Michael,
piantala!” fece Manuela ridendo e tappandogli la bocca. Tutti
scoppiarono a
ridere, e noi con loro. “Sono tornati i pazzi,
baby!” esclamò Michael, alzando
al cielo una bottiglia di… champagne?
“Scusateci,
ragazzi. Siamo un po’ tocchi” fece Madison ridendo
e seguendo Carol e Diana,
barcollanti, su per le scale. Poco a poco, tutti si incamminarono sugli
scalini.
Rimase solo Ashton, che vedendoci così sconvolti si mise a
ridere. “Sì, diciamo
che Lucian ha avuto la cattiva idea di offrire da bere a
Michael… E da quel
momento sono degenerati. Sono brilli, di brutto.”
“Tu
no?”
“Ho
bevuto solo mezzo bicchiere. Dovevo riportarli a casa in qualche
modo.”
“Bravo
papà Ash” feci soddisfatta. Lui si mise a ridere.
“Papà Ash?”
“E
come ti dovrei chiamare?”
“Mhm,
va bene papà Ash” rispose lui ridacchiando. Io e
Luke ridemmo con lui e Luke mi
fece appoggiare su di lui, come eravamo all’inizio del film.
Ashton ci guardò
intenerito. “Ragazzi,
godeteveli, questi momenti. Fra quattordici giorni,
vi potrete vedere solo via Skype” disse con un mezzo sorriso
triste, mentre se
ne andava. Me n’ero completamente dimenticata.
Mancavano solo
quattordici giorni
alla loro partenza per Londra. Quattordici giorni, prima che il loro
sogno
prendesse il via, finalmente. Quattordici giorni… e poi
chissà quando avrei
rivisto Luke.
In quel momento,
quella
consapevolezza mi colpì come uno schiaffo in faccia.
Quattordici
giorni. Sembrava il
conto alla rovescia di un condannato a morte.
Angolo autrice:
SONO TORNATA
DALLE PROFONDITÀ
DELL’INFERNO, BUAHAHAH. DITELO, CHE ORMAI NON CI SPERAVATE
PIÙ. No, aspettate,
così è strano. Un attimo, ricomincio.
Ehiii, ciao a
tutti! Mi scuso per
l’immenso ritardo ma – una volta tanto –
avevo avvertito. Record, wow! Uhm,
allora, scrivo questo spazio autrice per sei motivi:
Beh, dopo questo
avviso/appello
disperato riguardante Photographs, vi saluto, sperando di aggiornare
prima la
prossima volta!! Ciauuu
Ranyadel