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Autore: Squilibrata    13/06/2015    1 recensioni
Descrivere lei è come parlare di un fulmine, un arcobaleno. Il profumo dei tigli, gli occhi di una tigre ferita, la Fiamma, le onde del mare.
Descrivere me è come parlare di... un'idiota; seguivo una lepre Bianca e ho trovato un paese delle meraviglie.
Per descrivere noi, descriverci insieme, si può dire solo che "C'eravamo abbastanza amate".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
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  • Alice
Quella voce si è fatta spazio nella mia testa come la luce di una torcia in mezzo alla nebbia fitta. L’avevo sentita, sì, peccato però che non avessi alcuna intenzione di alzarmi dal letto, al momento.
  • Alice sono le otto, svegliati!
Questa volta alla voce si è accompagnata una mano che mi ha scosso piano la spalla. Oh, le otto? Avevo dormito appena tre ore…
Insieme al rumore di una tapparella tirata su, è arrivata anche la luce; non accecante come mi aspettavo, ma abbastanza forte da modificare la percezione che avevo della stanza.
  • Alice, seriamente, i miei saranno a casa tra massimo un’ora e ti ho già detto che non voglio che ti trovino qui
Ho socchiuso gli occhi a fatica, la testa pesantissima sprofondata nel cuscino, senza però riuscire a incontrare lo sguardo di lei. Mi dava le spalle, seduta sul letto mentre si infilava dei pantaloncini.
  • Bianca, rilassati
Ho borbottato. Mancava ancora un’ora all’arrivo dei suoi genitori! Non c’era motivo di agitarsi. Lei si è girata a guardarmi con quegli occhi verdi preoccupati, mentre si allacciava il reggiseno, nei gesti la sua solita fretta di fare tutto in perfetto orario. La stessa fretta di un ladro che vuole sloggiare velocemente e senza lasciare tracce dalla zona del crimine per non essere scoperto.
Ho faticato per trattenere una risata; avevo sempre trovato divertente e in qualche modo eccitante quell’atteggiamento da coniglio sempre pronto alla fuga, mi piaceva pensare di essere l’unica capace di farla temporeggiare, l’unica in grado di sconvolgere i suoi schemi di cristallo. Mi sono messa a sedere sul letto e, allungandomi, le ho preso il polso per tirarla vicino a me.
Lei non ha opposto resistenza, nemmeno quando ho poggiato l’altra mano sulla sua nuca, nemmeno quando la mia lingua le ha toccato le labbra, anche se sentivo la sua schiena restare rigida. Ma quando le nostre labbra si sono di nuovo toccate, così come le nostre lingue, l’ho sentita letteralmente sciogliersi tra le mie braccia, e subito dopo ecco quel brivido di puro piacere e soddisfazione percorrermi la schiena mentre mi rendevo conto che, se avessi voluto, avrei potuto rovinarle i piani ancora una volta, e lei non avrebbe comunque potuto prendersela con me.
Nel momento in cui me ne sono resa conto io, probabilmente e n’è accora anche lei, perché ha spalancato gli occhi con quello sguardo da preda impaurita e si è fermata.
  • Alice…
Ha sussurrato, a un millimetro dalla mia bocca, quasi fosse una preghiera.
A quel punto ho sorriso, le ho morso il labbro facendole emettere un gemito sottile e schioccandole un ultimo bacio l’ho allontanata da me, mettendomi a cercare i miei vestiti tra le lenzuola.

Mi sono vestita in fretta perché nonostante avessi temporeggiato con Bianca fino a poco prima, non avevo nessuna voglia di incontrare davvero i suoi genitori; erano amici dei miei e ricordavo perfettamente, nelle cene tra amici di famiglia, che tipo di persone erano: borghesi bigotti e ipocriti, proprio come i miei, del resto.
Non li vedevo a dire il vero dall’ultima cena alla quale avevo partecipato, circa quattro anni prima, e l’unica con la quale mi ero tenuta in contatto era stata Bianca.

Le sue mani sui miei fianchi mi hanno riportata bruscamente alla realtà, insieme alla sua bocca che mi sfiorava l’orecchio. Mi sono girata di scatto, bloccandola contro il muro del corridoio e mordendo piano la pelle del suo collo.
Sì, con Bianca ero rimasta davvero in buoni rapporti.
  • Credevo non avessimo più tempo
Sussurrai al suo orecchio, soffiando piano sulla sua pelle bagnata per vedere la pelle d’oca formarsi.
  • Infatti non ne abbiamo, non oggi… mi chiamerai?
Mi sono allontanata da lei di nuovo, buttandomi lo zaino sulla spalla, ma sorridendo.
  • Forse
L’ho vista aggrottare le sopracciglia scure sugli occhi color giada, aprire la bocca come a protestare inutilmente come sempre, ma il rumore di chiavi nella serratura ci ha interrotte. Io ho sentito un moto di fastidio alla base dello stomaco, ma il volto di Bianca è cambiato completamente: è tornata quell’espressione da preda messa all’angolo dal cacciatore, spalle contro il muro, occhi spalancati e colorito del volto che diventava sempre più rosa. La porta si è aperta e io, che gli stavo dando le spalle, mi sono girata per trovarmi almeno faccia a faccia con i cacciatori della situazione, ma davanti a me ho trovato tutt’altro.

Una figura snella stava sulla porta  e mi scrutava diffidente, quasi confusa; i capelli lunghi e scuri erano totalmente spettinati, l’espressione era dura e contratta e sotto gli occhi compariva il fantasma violaceo delle occhiaie. Ho cercato nel suo volto le iridi di Bianca, senza trovarle: il colore era più scuro e sembrava avere diverse sfumature ambrate, ma non ho avuto il tempo, in quel momento, di notare altro.

Dietro di me, ho sentito Bianca riprendere a respirare.
  • Fiamma
Ha detto, con una nota di fastidio, ma soprattutto di sollievo, nella voce.
  • Vado a dormire, ciao
La ragazza mi ha lanciato uno sguardo quasi sprezzante per poi voltare la testa e dopo nulla, sparita nel corridoio, verso le camere da letto.
Bianca mi si è avvicinata, poggiandomi una mano sulla spalla.
  • Scusala, è mia sorella, non so se te la ricordi…
  • Mmh
Fiamma… sinceramente non me la ricordavo così.
  • Okay, allora… ci vediamo
Ho annuito, per poi varcare definitivamente la soglia della casa, senza guardarmi indietro. Fiamma… la sorella minore di Bianca. Ricordavo vagamente una figurina imbronciata seduta in disparte durante le cene. Forse era la stessa che una volta mi aveva detto di odiare il suo vestito, in un momento di confidenza. Me lo ricordo perché, benché fossi già molto più grande di lei, anche io odiavo quei ridicoli vestitini che la mia famiglia ci teneva a farmi indossare in situazioni simili. Più in generale, odiavo quelle situazioni e basta.
Ho scosso la testa, entrando in ascensore, per allontanare quel pensiero. Era comunque tutto passato ormai, pensarci tanto non aveva senso. Niente cene, niente vestiti… ho sorriso amaramente, guardandomi nello specchio dell’ascensore. Non ero niente di tutto quello che volevano diventassi.

Uscendo, nell’androne del palazzo, mi sono tirata su il cappuccio. Era un’assurda giornata di Giugno, grigia e piovosa, un sollievo dopo le settimane di caldo torrido che mi aveva anche permesso di indossare una felpa, e di non farmi riconoscere dai genitori di Bianca quando, come previsto, li ho incrociati al cancello.
La madre aveva gli stessi occhi colori giada, lo stesso sguardo da lepre… il padre non l’ho visto in faccia. Chissà se era da lui che Fiamma aveva preso i suoi occhi.
La cara macchina era appena fuori dal cancello del condominio, dove l’avevo parcheggiata ieri sera.

Prima di salire mi sono accesa una tanto desiderata sigaretta che ho finito velocemente, perché desideravo altrettanto tornarmene a casa.

Sono salita tirandomi giù il cappuccio e indossando un paio di occhiali da sole: odiavo la luce delle mattine di pioggia, così bianca e accecante. Ho annusato per un attimo l’aria profumata dentro l’abitacolo osservando con orgoglio i sedili immacolati e il cruscotto in perfetto ordine. Poi sono partita, nelle mia mente il pensiero fisso del mio letto caldo.
Non mi era mai piaciuto dormire a casa degli altri, figuriamoci a casa di Bianca, con il timore fisso di essere scoperta. Delle volte quella lì riusciva persino a contagiare me, con quel suo atteggiamento furtivo.
“Se ci scoprissero, Alice, la mia vita sarebbe finita, finita!, capisci? Filippo mi lascerebbe e i miei… oddio i miei mi caccerebbero di casa”.
Ho alzato gli occhi al cielo ripensando alle parole che Bianca mi aveva rivolto qualche tempo prima, all’inizio di quella specie di rapporto che si era instaurato. La verità era che lei provava un’incredibile attrazione fisica nei miei confronti e che ciò la sconvolgeva, ma, chissene frega? Tutto ciò che facevo era prendere ciò che mi interessava in quella faccenda, e Bianca, almeno fisicamente, mi interessava.

Sono arrivata a casa senza nemmeno accorgermene, sovrappensiero com’ero. Ogni tanto nella mia mente faceva capolino quella faccetta pallida e imbronciata che avevo visto sulla soglia di casa di Bianca.
Neanche il tempo di aprire la porta per gettarmi a letto, che il telefono ha cominciato a vibrare contro la mia gamba.
  • Pronto, Franci!
  • Ommioddio Alice, mi stai rispondendo al telefono, quale onore!
Risi del suo tono plateale mentre entravo in casa lasciando lo zaino all’ingresso.
  • Non cominciare a dire che non ti chiamo mai
  • No no, dico solo che sei… mmh… sparita?
Franci era sempre il solito. Ho stappato una birra gettandomi sul divano.
  • Bhe, allora, come mai questa telefonata?
  • Volevo chiederti se uscivi, stasera
Ho lanciato un’occhiata al calendario, era venerdì.
  • No Fra, lo sai che il venerdì sera lavoro praticamente tutta la notte…
  • Allora facciamo domani
  • Domani dovrei esserci, ho il turno pomeridiano
Ho allontanato il telefono per evitare di sorbirmi tutti i gridolini felici del mio amico, inframmezzati da frasi tipo “Ommioddio”, “Alice esce con noi!”, dopodiché ci siamo salutati e ho chiuso.
Mi sono accesa una sigaretta e sono rimasta ancora un po’a sorseggiare la birra fredda fissando la finestra, mentre la televisione è rimasta spenta. Da quanto tempo non uscivo con i miei vecchi amici? La mia vita fino a quel momento era stata solo lavoro lavoro lavoro… con qualche pausa di sesso, certo, ma comunque concentrata sul lavoro. Forse mi ci voleva un po’ di svago… in fondo avevo pur sempre ventidue anni.
 
 
***
 
 
L’acqua scorreva sulla mia testa, calda, quasi bollente. Fuori, Giugno sembrava aver lasciato improvvisamente spazio a Novembre: dal cielo plumbeo cadevano gocce sottili come spilli ma altrettanto fastidiose, stare in casa era un sollievo. Ero quasi tentata a rimandare, mentre mi insaponavo la testa. Avrei potuto chiamare il Franci e dirgli che per quella sera non me la sentivo… in fondo che c’era di male a disdire un appuntamento? Certo, non vedevo la mia vecchia compagnia da chissà quanto, ma proprio quella sera doveva diluviare?
Neanche il tempo di pensarlo che il mio telefono iniziò a vibrare contro la superficie della lavatrice. Sullo schermo il nome mi sembrava comparisse più grande del solito: Franci.
Risposi mettendo il vivavoce e spegnendo l’acqua un momento.
  • Alice, ci vediamo alle dieci al Pub
Il suo tono di voce era così allegro e soddisfatto che semplicemente non sono riuscita a parlare del mio piano B, ovvero bidonarli e restare a casa. Così ho risposto che andava bene e sono uscita dalla doccia, o forse dovrei dire vasca da bagno.
Ecco, conoscevo davvero pochissimi bilocali completi di vasca da bagno, forse il mio era semplicemente l’unico in circolazione, e, indovinate, era toccato proprio a me. Non so cos’avrei dato per avere un box doccia. Ovviamente, non avrei dato i soldi necessari ad installarlo, perché non li avevo. Lo stipendio di una cameriera non era un granchè, mi accontentavo di avere sempre il frigo pieno di birra, le tasche complete di sigarette e la macchina piena di benzina, e non era poco!

Mi sono infilata del jeans sbiaditi e una felpa a caso aspettandomi il peggio una volta uscita di casa e maledicendo quel giorno in cui avevo dimenticato al lavoro il mio unico ombrello senza più trovarlo, ma, una volta uscita fuori, il paesaggio mi ha sorpresa. L’aria mi pungeva la nuca scoperta, frizzante, forse umida, ma priva di pioggia. Il marciapiede e il parabrezza della mia macchina erano bagnati da minuscole goccioline che però avevano smesso di cadere già da qualche minuto, e il cielo notturno sembrava si stesse liberando dei nuvoloni violacei come un volto guarisce dai lividi. La morsa del caldo era allentata dalle piogge ormai da diversi giorni, ma quella era la prima sera in cui l’atmosfera  era piacevole e trasmetteva serenità. In quel momento Giugno mi sembrò molto più bello del solito e ricordo che saltai in macchina piena di aspettative.
Purtroppo avevo dimenticato socchiuso il finestrino del passeggero, dal quale era entrata tutta la pioggia, bagnando il sedile e l’interno dello sportello, così sono partita, tra un’imprecazione e l’altra.

Il Pub era un locale non molto lontano da casa mia; era lì che ci riunivamo il sabato sera io e i miei compagni di classe delle superiori. Il Franci e gli altri, come da tradizione, erano seduti ad una delle tavolate fuori, e quando mi hanno visto mi sono corsi in contro per saltarmi al collo. Erano quasi tutte persone con le quali ero stata in classe insieme; alle medie avevo condiviso l’aula con il Franci e la Bianca, ma quest’ultima fortunatamente  non c’era.
Nella mente mi è apparso quel viso pallido e ovale, gli occhi di giada e le sopracciglia scure, le sue solite ridicole smorfie.
  • L’unica che non conosci è lei
La voce del Franci mi ha riportata alla realtà, quindi mi aspettavo di veder scomparire il volto di Bianca dai miei pensieri, ma il quello era ancora lì. Ho socchiuso gli occhi osservando la figurina nera che mi si era parata davanti. La linea della mascella era però vagamente più marcata, gli zigomi più alti e poi, gli occhi. Nella penombra sembravano color nocciola.
  • Piacere, Fiamma
  
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