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Autore: Tersy    10/01/2009    0 recensioni
Londra, XVIII secolo. Al giovane Josiah, ceramista affermato, viene commissionato un cameo.
Ma s’invaghisce del destinatario del dono, la licenziosa Anna, la quale è, però, già promessa ad un altro uomo...
**Estratto**
Tutto si può creare.
Molti pensano che sia la mente a comporre e reinventare. Non nego all’intelletto il ruolo di dirigente primo, ma se non ci fossero le mani a realizzare e mettere in pratica ciò che gli viene comandato, non esisterebbe una sola cosa in questo mondo. Nemmeno la natura, poiché perirebbe se il contadino non fosse così carico di premure e dovizia da accudirla con le sue mani. Nemmeno i sentimenti, se non fossimo vogliosi di abbracciare od uccidere rispettivamente chi amiamo e odiamo.
Ne sono convinto: l’amore nasce dal desiderio di toccarsi.
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2


Tutto si può creare. Molti pensano che sia la mente a comporre e reinventare. Non nego all’intelletto il ruolo di dirigente primo, ma se non ci fossero le mani a realizzare e mettere in pratica ciò che gli viene comandato, non esisterebbe una sola cosa in questo mondo. Nemmeno la natura, poiché perirebbe se il contadino non fosse così carico di premure e dovizia da accudirla con le sue mani. Nemmeno i sentimenti, se non fossimo vogliosi di abbracciare od uccidere rispettivamente chi amiamo e odiamo.
Ne sono convinto: l’amore nasce dal desiderio di toccarsi.


« È permesso?» un timbro vocale sottile e soave si impadronì della stanza. Dalla piccola finestra penetravano pochi raggi splendenti. La figura si addentrò nello studio con estrema cautela, guardandosi intorno incuriosita ed intimorita. Non avendo ricevuto alcuna risposta, insistette.
« Mr. Wedgwood? C’è nessuno? » davanti a lei, si presentava lo scrittoio, ma non c’era nessuno dall’altro capo. All’apparenza, il luogo era disabitato.
Fu un rumore sordo e secco a far ridestare la sua attenzione. Il rumore di una goccia che piombava dall’alto e si immergeva in un’infinita di altre gemelle, divenendo indistinguibile. Fece roteare le sue dolci iridi azzurre per giungere all’origine di quel suono. Che era ai suoi piedi, riverso a terra, con una piuma d’oca sporca di nero inchiostro, che gocciolava dritto nella bocca del calamaio. Vide il suo petto sollevarsi ed abbassarsi ritmicamente e capì che era completamente crogiolato nel sonno.
Anna sorrise a quella vista. Era la prima volta che vedeva un uomo così indifeso, fragile, bisognoso d’attenzione e non ebbe alcun arcigno pensiero di svegliarlo. Così, si accovacciò presso di lui, delicatamente estrasse la piuma dalla sua morsa tra pollice ed indice e assieme al calamaio la ripose sulla scrivania. Avrebbe voluto posizionarlo in modo più consono, ma non avrebbe saputo come sollevarlo con le sue esili forze. Tuttavia, prese la briga di togliersi il mantello e posarlo sul suo corpo disteso per preservarlo, per quanto possibile dal freddo. Carino, questo ceramista. Un ciuffo gli copriva la fronte fino al naso, rendendolo maggiormente infantile ed amabile.
Tremarono le sue ciglia. I muscoli oculari si sforzarono per portare la mente del proprietario in quella stanza, in quel momento. In massima tensione, finché non riuscirono a fargli spalancare le palpebre. Josiah posò una mano dietro la nuca, sparpagliando i capelli. Strizzò più volte le palpebre per poi sbadigliare con grande sonoro.
« Per quanto eleviamo al cielo la nostra spiritualità, è alla terra che dobbiamo affidarci. Oh Signore, se lo leggesse il monsignore, sarebbe colpito da febbre improvvisa! » La sua vocina penetrante giunse limpida alle orecchie del ragazzo che si riscoprì in terra dinanzi ad una splendida donna in abito merlettato. Era seduta e leggeva dei fogli ad alta voce. Non ci mise molto a capire chi era e cosa stesse leggendo.
« Miss Aikin? » ancora occhi sbarrati e sguardo perso, confuso. Come se tutto ciò che stava accadendo esulasse dalla sua volontà e stesse vivendo il sogno di qualcun altro.
« Oh! » la sua boccuccia si contrasse in un cerchietto costituito dalle sue rosee labbra. « Vi siete svegliato. Sono state forse le mie letture ad alta voce? Se fosse così, Vi chiedo umilmente perdono. »
« No, no. Non dovete scusarvi, non è colpa vostra. Sono io il maleducato ad essermi fatto trovare in pessime condizioni. Sono terribilmente desolato. » precipitò in un inchino verso la dama, facendo scuotere la sua chioma castana.
« Bene, credo che ci siamo scusati abbastanza. » portò il dorso della mano destra dinanzi alla bocca, per nascondere un accenno di risata.
« Ehm » ritornò eretto e si spolverò gli abiti per essere più presentabile. « Io sono Josiah Wedgwood, l’umile ceramista che ha il compito di ritrarvi.»
« Lo so chi siete. » lo stupì con tali parole, ma non la interruppe. « Ho visto il vostro vasellame esposto in teche di cristallo in casa di nobili dell’elite londinese. Non ho potuto non pensare che foste un genio, anche perché erano così ben realizzate, curate fin nei minimi dettagli. Le figure disegnate sembrano vive e in grado di uscire fuori dal vaso. E poi quell’azzurro... » intrecciò le dita dinanzi al petto. « Non ho visto nessuno usare un colore simile per la ceramica. »
« Beh... la ringrazio, Miss. È... È fin troppo gentile. » le sue pupille si piazzarono sul pavimento, laddove sarebbe rimaste a lungo.
« Dico solo la verità. Avete un grandissimo talento, ve lo meritate davvero. »
« Se per questo, avrei anche un nome battesimo e vorrei che mi chiamaste così. Non occorre che mi diate del voi.»
« Talentuoso, modesto... ma credo anche piuttosto giovane. Le tue gote non mentono, arrossate alla vista di una donna. Quanti anni hai, dunque? » sembrava un interrogatorio, quasi avesse dovuto dare spiegazioni di un qualche reato.
Josiah aprì la bocca con l’intento di dire qualcosa che potesse scagionarlo, ovvero farlo sembrare molto più adulto di quello che era in verità. Ma ne uscirono sono singhiozzi e balbettii, che non aiutarono molto a dimostrare questa tesi.
« Diciotto, ma di donne ne ho visto ed amate già a decine. Non crediate che possa davvero arrossire come un fanciullino. Mi capita solo con le belle donne. »
« È un complimento? » domandò, spolverando un velo di cinismo.
« Dico solo la verità. » ricambiò la replica, sorridendo maliziosamente.
Anna lo osservò con occhietti vispi che parevano ammonirlo o scandagliarlo. Invece il suo sguardo divenne ridente e le labbra si piegarono di conseguenza, palesando la sua migliore espressione. La cute pallida acquistò una grande lucentezza e la tonalità delle sue iridi acquisì sfumature eleganti e dolcissime.
« Ci stiamo perdendo in chiacchiere. Forse dovremmo rendere proficuo questo nostro incontro. »
“Baciami, allora” volante, rapido, infido. Un pensiero.
« Tu, l’artista ed io, la modella, benché non sappia quanto possa reggere il confronto. »
« Quale modella migliore di voi per voi stessa? » mentre tesseva la domanda retorica, afferrò carta da disegno e matita.
La sua modella troneggiava su di un sedile di fronte al suo, composta, deliziosa, una vera matrona. Una donna da sposare, che qualcuno, in effetti, stava per sposare. Particolare che Josiah avrebbe fatto meglio a non dimenticare mai. Invece se lo dimenticò spesso. Troppo spesso. Le aveva chiesto di restare immobile e di non parlare, ma mentre abbozzava i tratti del volto, iniziò a provare nostalgia per la sua voce.
« Il vostro futuro sposo mi ha detto che vi piacciono i miei colori. In che senso “i miei”? I colori sono di tutti, non sono ad appannaggio di nessuno in particolare. »
C’era pochi argomenti che potessero inserire Josiah Wedgwood in una conversazione, ma erano altrettanto poche le persone con cui ne poteva parlare. A dire il vero, lei era la prima con cui riusciva a dialogare davvero, il tanto desiderato scambio di opinione che non gli era mai stato concesso. Erano solo comunicazioni a senso unico, a cui non poteva mai replicare. Invece lei lo ascoltava e sembrava davvero interessata al suo punto di vista.
« È vero, i colori ce li ha dati la natura, è stata lei ha crearli. Quando la luce colpisce un oggetto e ci restituisce la sua esteriorità, ci sentiamo tutti parte di un’unica prospettiva. E poi, chi vivrebbe in un mondo grigio? » musicali le sue parole, come parte di un componimento poetico.
« Ma anche il grigio è un colore, con la stessa dignità degli altri. » ricolme di vigore, passionalità. È il suo cuore che parla, come fosse l’avvocato del grigio. Ma lui era il legale di tutti i colori, indistintamente.
« Credo sia un gioco di sensazioni. Il grigio esprime malinconia, solitudine, tedio. » rabbuì il volto, quasi fosse entrato nel cuore quel grigio che odiava.
« E se fosse il colore di un corpetto? Non si tradurrebbe in sensualità? E se fosse la copertina di un libro, non sarebbe la saggezza. Niente è assoluto. La natura ci dà la materia prima, ma dobbiamo essere noi a lavorarla o non avrà mai valore. »
« Già. » lo interruppe « Non nego all’intelletto il ruolo di dirigente primo, ma se non ci fossero le mani a realizzare e mettere in pratica ciò che gli viene comandato, non esisterebbe una sola cosa in questo mondo. Giusto? Segui il corpo e non lo spirito. Allora le mie poesie? Sono frutto della mia mente. »
Si sorprese della sua impeccabile memoria, le era bastata una sola lettura per potergli penetrare le idee, la filosofia, la teoria, anche se quello non era trattato, ma puri pensieri di un uomo che vuole dimostrare di saper pensare. Posò momentaneamente i suoi “attrezzi ” e si avvicinò ad Anna. Le prese entrambe le mani e carezzandole disse:
« Le vostre dita hanno sorretto la piuma, si sono macchiate dell’inchiostro, si sono strofinate contro la carta. Non disprezzare le vostre mani. » le strinse tra le sue e se le passò sul viso. « L’ho notato solo adesso: ma i vostri occhi... » accorciò le distanze tra i loro nasi « Sono dello stesso colore della mia ceramica. Color Wedgwood.»
« Color Wedgwood?! Avverto una certa presunzione. Non avevi forse detto che è la natura a creare i colori e che non sono ad appannaggio di nessuno? Ed ora ti vanti, dando il tuo nome ad un colore? »
« Sì, ma la natura mi ha dato il bianco ed il blu, non l’azzurro. Io creo e sono al servizio degli altri. Non tengo per me ciò che realizzo, ma lo condivido. D’ora in poi questo azzurro » indicò un vaso lì nei pressi « verrà presentato dai pittori come la sfumatura del cielo quando il sole rigonfia di luce propria o delle intime profondità di una splendida poetessa, che si fa commissionare un cameo da un povero e semplice “fanciullo” che arrossisce alla sua vista. In altre parole: color Wedgwood. »
« Non sarà forse un tentativo subdolo per rubarmi il mestiere? » allungò il collo verso di lui.
« È tentativo, spero non subdolo, per rubarvi un bacio. »
« Perché continui a darmi del voi, quando il tuo cuore mi chiama per nome? Anch’io ho un nome... »
« Miss Aikin, io... » due polpastrelli si posarono sulla sua bocca, trascinando il labbro inferiore con sé.
« Anna. Ripetilo. Anna. » custodì i suoi occhi tra le palpebre e , mentre le sue labbra si assottigliavano, inclinò il capo verso destra per trovare il giusto incastro con quelle di Josiah, perché era nate per questo, lo sapeva. Ed in ogni caso avrebbe fatto in modo che lo fossero.
   
 
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