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Autore: T_V_F_B_    14/06/2015    0 recensioni
Ho ancora Valse Scherzo nella testa. Un Valzer, eppure no. È difficile a livelli indicibili. Eppure ogni tanto ritorna il motivetto del valzer. È una presa in giro ben architettata, che si serve dell’arte e dell’artista per ammaliare l’ascoltatore e poi tradirlo con un pezzo impossibile. Esattamente come lui, come la semplicità dei suoi sorrisi, il provocante rossore delle sue labbra, la sua rassicurante risata gioviale, la sua barbetta incolta mi adeschino ogni volta per
poi farmi crollare, schiava, ai piedi della sua Arte Musicale e dei tredici anni che ci separano.
Signore e Signori, “Valse Scherzo”.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Se mai dovessi leggere questo, sappi che ti amo e ti odio. E questa è per te.
 
Tchaikovsky - Valse Scherzo

 
Un “bis” di troppo.
La sala è magnifica, affrescata, molto alta, lunga e non troppo larga, splendente di uno sfarzo antico e misterioso; d’altronde, è proprio qui che furono condannati Giordano Bruno e Galileo Galilei. Ciascuno colpevole di aver sostenuto il proprio pensiero a fronte di una società limitata da canoni imposti dalla Chiesa. Non che la società di ora, 2015, sia particolarmente aperta; per esempio, cos’è questa storia dell’età? Perché in una coppia l’uomo deve essere più grande, e se lo è di “troppo” , la cosa sfocia nell’indecenza? L’amore è amore. Vario, incondizionato, magnifico. E ognuno lo interpreta a proprio modo. Come la Musica.
Ed è proprio la Musica che pervade l’aria. Ne è piena, la respiro, entra da occhi, naso, orecchie, bocca, riempie il mio cervello e provoca brividi inquietanti.  La Musica, quella vera, fa questo.
Eccomi qui, inerme, imbambolata a guardare quell’uomo –perché è un uomo, mentre io sono solo una donna in un corpo di ragazzina- alzare con delicatezza l’arco dalle corde, gli occhi semichiusi, la fronte imperlata di sudore, la mano sinistra che ancora vibra, delicatamente, chiudendo quello che è stato un concerto magnifico. Guarda la pianista, sua sorella maggiore, la  quale toglie le mani dal piano, si alza e gli va accanto, sorridente, stremata e felice. Lei non è molto bella: bassina, leggermente sovrappeso, denti da cavallo. Eppure il suo sorriso è radioso, ed è vestita con tanta eleganza che mi scordo del suo mediocre aspetto fisico. Sembra una stella, in questo momento.
Lui, be’, che dire; decisamente più alto di lei, collo lungo, naso aquilino, capelli lunghi raccolti in una sorta di coda, camicia nera. Occhi azzurri, labbra rosse, volto rubizzo. La nostra caratteristica.
Sì, perché è un violinista come lo sono io, e mi ha cresciuta come se fossi stata sua Allieva. Ma anche no. Sono innamorata di lui da quando avevo nove anni, da quando lo vidi per la prima volta. Fu a quel concerto, quando lui era solo un adolescente alla fine del liceo e io una bambina delle elementari, che decisi il violino sarebbe stata la mia strada. E le nostre vite sono legate a doppio filo. Ciò che provo per lui, oltre che un’ammirazione sconfinata, è un amore ossessivo, appassionato, profondo quanto la Musica che aleggia in questa sala. Purtroppo lui non saprà mai, non deve sapere. A parte l’età, troppi ostacoli sono posti fra noi due. Eppure in cuor mio spero ancora che in futuro quell’ammirazione reciproca sfoci in qualcosa di diverso. Sciocche, masochiste intenzioni. Propositi bruciati. Ore passate a piangere, a ridere istericamente, a riporre i miei sentimenti nello studio dello strumento, il tutto nel patetico tentativo di mimetizzarmi nella massa di adolescenti problematici. Ma no, non appartengo a questa categoria. Almeno, non del tutto. Suono lo strumento del Diavolo, ispirata dal Diavolo, mossa dall’amore per quest’uomo e per l’Armonia tra le note.
Sto applaudendo come una forsennata, sento il volto avvampare, probabilmente sono rossa quanto lui. Mi guarda, lo guardo. Mi sorride, poi sposta lo sguardo da qualche altra parte nel pubblico, sempre sorridendo, annuendo con la testa di rimando agli applausi, chinandosi occasionalmente per ringraziare gli spettatori. La sorella gli stringe una spalla e gli dice qualcosa sottovoce. Lui, sempre con lo sguardo rivolto al pubblico, le risponde. Si guardano, annuiscono, e lei torna al piano. Il Maestro ci concede un bis.
L’applauso si calma, lui parla con voce leggermente rauca, probabilmente la stanchezza del concerto e l’emozione:
-Eseguiremo per voi Valse Scherso, Opera 34 di Tchaikovsky… grazie!
Il mio cuore sbatte con forza contro le costole. Amo questo pezzo. Ed è un’ammazzata dal punto di vista violinistico. È matto ad eseguirlo come bis. Ma sono talmente euforica che mi scordo d’esser in ansia. E poi sono gli ultimi minuti che mi rimangono per guardarlo come mai mi è concesso di fare, e cioè come si guarda un Dio sceso in terra. Bocca semiaperta, sguardo perso, innamorato. Per fortuna i miei genitori e la madre di lui, che io considero un po’ come una zia, sono seduti due file dietro di me.
Silenzio.
Poi lui inspira, forte, dà il levare, e la magia riprende. Ed è lussuria, nella mia testa, e sento la donna e la musicista che prepotentemente graffiano contro l’interno del mio corpo per poter uscire. Per poterlo amare.
Dura troppo, troppo poco. Appena sei minuti e mezzo. E tutto finisce con la sottoscritta in lacrime, il respiro mozzo, il cuore fermo in gola. E mai mi è stato più chiaro il senso della Musica.
Sono la prima ad iniziare ad applaudire e l’ultima a smettere. Non mi guarda. Non importa, l’ha fatto prima, vivo di dettagli.
E approfitto del momento per salutare gli artisti per essere un po’ più espansiva del solito, per potermi permettere un abbraccio e un bacio un po’ più lunghi del solito, un po’ più “intimi”.
Saluto prima la sorella, le porto dei fiori, la bacio sulla guancia. Radiosa, dolce. Mi complimento con lei e le dico che ci saremmo incontrate al Conservatorio, dove lei insegna, dopo il weekend. Parole vuote, le mie, per quanto le voglia bene. Il mio obiettivo è superare la folla e giungere dal fratello.
A forza di sgomitate –per quanto possano esser definite tali a un concerto di musica classica, dove se sgomiti troppo rischi di ammazzare qualche nonnetto-, arrivo da lui. Manda un forte odore di sudore, che molte persone potrebbero definire puzza, ma in questo momento sono più feticista del solito, e vorrei tanto avere un campione di quell’odore da portare con me. Sono patetica. Il mio portafortuna è una monetina da 50 centesimi che mi diede una volta non ricordo per quale ragione. Ha posto fisso nella mia custodia del violino e mi accompagna in ogni concerto, ogni concorso, ogni esame.
Mi sorride, mi sento volare.
Mi butto con le braccia attorno al suo collo forse con troppa foga, ma ormai è fatta. È in questi momenti che la mia follia supera la mia timidezza. È in questi momenti che vorrei si rendesse conto di ciò che provo, anche se la cosa ora come ora mi rovinerebbe la vita.  Risponde all’abbraccio, parliamo con foga del concerto, ma lui sembra troppo stanco per poter stare a sentire me e i miei discorsetti adoranti. Il suo sguardo è altrove. Mi congeda con un buffetto sulla guancia. Come si fa con i ragazzini di cinque anni. E si dirige verso una giovane donna, alquanto bella, vicino la porta della sala. La stringe a sé. Non vorrei, non dovrei guardare, ma lo faccio. La bacia. Non a lungo, è alquanto discreto. Ma qualcosa dentro me, quel piccolo mostriciattolo che mi fa tanto soffrire con la sua voce, grida di dolore. E vorrei gridare anche io.
Non sapevo si fosse fidanzato di nuovo. Avevo saputo della fine della sua vecchia relazione, risalente a un paio di mesi fa. Ed ora eccolo là, con una bella donna fra le braccia. Vorrei ucciderla, farla a pezzi, esserci io, tra quelle braccia, avere le sue labbra sulle mie, condividere la Musica e la vita. Spetta a me, non a lei.
Scivolano fuori dalla porta troppo lentamente, vorrei ucciderli. Esco di corsa, devo vedere di più.
Camminano mano nella mano nel chiostro di questo meraviglioso convento benedettino, illuminati dai raggi della luna in questa meravigliosa sera di giugno. Lui si accende una sigaretta, lei ride, ride come un’oca. La odio.
Vorrei non essere rimasta, vorrei non essere mai venuta, vorrei non averlo mai incontrato, vorrei non essere mai nata e via con le climaches in pieno stile depressione che il Maestro mi provoca.
Ho ancora Valse Scherzo nella testa. Un Valzer, eppure no. È difficile a livelli indicibili. Eppure ogni tanto ritorna il motivetto del valzer. È una presa in giro ben architettata, che si serve dell’arte e dell’artista per ammaliare l’ascoltatore e poi tradirlo con un pezzo impossibile. Esattamente come lui, come la semplicità dei suoi sorrisi, il provocante rossore delle sue labbra, la sua rassicurante risata gioviale, la sua barbetta incolta mi adeschino ogni volta per
poi farmi crollare, schiava, ai piedi della sua Arte Musicale e dei tredici anni che ci separano.
 
Signore e Signori, “Valse Scherzo”.

Nota dell'autrice: Storia e contesto assolutamente reali. Piccolo sfogo della sottoscritta, spero vi sia piaciuto!

 
  
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