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Autore: scodika    15/06/2015    11 recensioni
Proprio due settimane fa, Lylia e suo padre Charles Fosc si sono trasferiti dalla lontana periferia al centro di Londra, per agevolare entrambi a un nuovo inizio. Lia ha cambiato scuola, lasciando le sue vecchie abitudini nella piccola succursale a due minuti da dove abitava e le piccole amicizie che, mano mano, erano diventate semplici conoscenze. Quindi dire addio non è stato tanto difficile, se non quanto dare il benvenuto alla sua nuova vita.
Dal secondo capitolo:
Lo sguardo di Lia balzò dal loro contatto ai suoi occhi, che scoprì essere di un dolce verde acqua. Il suo sguardo impaurito lo fece accigliare tornando alla realtà, e capì subito di aver appena oltrepassato un confine che Lia non voleva conoscere.
«Piacere Josh», disse dopo un momento di esitazione, porgendole la mano.
«Hum... mi sono sempre presentata come Lia. Ma tu chiamami Lylia», rispose la ragazza tornando a salire le scale ed evitando un altro contatto, forse più personale e voluto.
«Perché?»
Lia si voltò, trovandosi davanti un volto incuriosito. «Lia è riservato agli amici. E tu non sei mio amico»
«Allora sarei onorato se lo diventassi, Lia»
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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«When I was a child»
 

«Non posso crederci, Lia. L’ha lasciato», continuò Rudi appena la ragazza rientrò in stanza, con la scatola di fazzoletti per fermarle le lacrime. Lia ridacchiò e si sedette sul letto, accanto all’amica, la quale le fece spazio buttando per terra tutte le medicine e i fazzoletti umidicci. «L’ultima puntata della stagione e lei lo lascia?»
«Vedrai che nella prossima, torneranno insieme», la rassicurò Lia. Mettersi a fare la consulente di telenovele era diventato il suo nuovo lavoro? Lo sanno tutti che in questo genere di programma esiste sempre il lieto fine. Tranne in Grey’s Anatomy, lì avrebbero potuto mettere fine alla storia di Derek e Meredith in altro modo.
«Non sono mai stati insieme! Lei l’ha lasciato prima che potesse succedere. “Ho paura di innamorarmi”, e questa la chiami una scusa?», rispose Rudi camuffando la voce e ruotando gli occhi al cielo.
Lia assentì. «Avrà avuto le sue ragioni»
«Ragioni? Non puoi decidere se o di chi innamorati. Si vedeva anche da questo lato della televisione che erano pazzi l’uno dell’altro!»
«Puoi evitarlo, però», sussurrò Lia guardando le sue mani torturarsi a vicenda.
Rudi si asciugò l’ultima lacrima, decisa a mettere da parte la sua rabbia verso i due finti amanti. «Sei mai stata innamorata?», le chiese, osservandola.
Lia scosse la testa. «Io non credo nell’amore», le svelò.
Rudi osservò la sua espressione, ma non riuscì a decifrarla. «Non ci hai mai creduto o no ci credi più?». L’amica scosse la testa, non aveva intenzione di parlarne. «È successo qualcosa?», si sistemò meglio sul letto, afferrando la tazza di thè caldo sul comodino.
Lia aspettò che facesse qualche sorso per iniziare a cambiare discorso, ma non si aspettava che i ricordi della sua infanzia facessero capolino nella sua mente.
 
«Do, Re, Mi, Do», le fece vedere l’insegnante di pianoforte.
Quelle note dolci le piacevano, ne era catturata. Da grande avrebbe voluto suonare quello strumento come una vera professionista e con un insegnante come Mrs Jones ci sarebbe riuscita. Ripeté le note mostrate dalla sua maestra e la voglia di saltare giù dallo sgabello e iniziare a danzare le stava sfiorando la mente. Batté le mani orgogliosa di sé.
«Adesso aggiungo altre note, va bene?», le sorrise. Lia annuì. «Do, Re, Mi, Do, Do, Re, Mi, Do. Te le ricordi?»
La bambina si morse il labbro, annuendo con la fronte corrucciata cercando di ricordarsele una ad una. Erano sempre le stesse, infondo. Con un po’ di sforzo riuscì a recuperare e l’orgoglio nel petto crebbe.
«Perfetto!», esclamò Mrs Jones. «Sei molto brava, sai? Scommetto che un giorno riuscirai ad esibirti in tutti i teatri più famosi del mondo», si congratulò.
Gli occhi di Lia si illuminarono e il sorriso più grande che ebbe mai fatto le spuntò sulle labbra. Continuarono finché la piccola Lia imparò tutta la canzone di Fra’ Martino. Poi saltò giù dallo sgabello e si diresse in cucina, voleva farsi sentire da mamma e papà.
Scivolò sul pavimento lucido a causa delle sue scarpette di vernice, che non avevano una gomma ben aderente al suolo. Non si fece scoraggiare e si rialzò in piedi, mettendo da parte il dolore al ginocchio che era diventato rosso. «La mamma e il papà?», chiese a Claire, la governante, intenta a cucinare.
«Non so, tesoro, prova a vedere nello studio della mamma». Lia annuì sorridente e ci si diresse. Si fermò davanti alla porta chiusa, e la felicità che aveva divenne paura. I suoi genitori stavano litigando, ancora. Si alzò sulle punte dei piedi per arrivare alla maniglia e aprì lentamente la porta, sbirciando con un solo occhio.
Suo papà aveva la parola. «Ti avevo chiesto di non farne parola con nessuno. Ti avevo detto che avrei saldato quel debito, Camille». Cosa sta succedendo? Cosa significa questo? Siamo diventati poveri? Lia iniziò a tempestarsi di domande, le quali mai avrebbero avuto risposta.
«Charles, per favore. Volevo solo aiutarti. Prima avremmo pagato, prima ci saremmo tolti il pensiero»
«IO mi sarei tolto il pensiero. Non avrei dovuto dirlo nemmeno a te, non avrei dovuto farti preoccupare», il tono di suo padre si calmò. Stanno facendo la pace. Sua madre gli si avvicinò e Charles la prese in un abbraccio, poi la baciò.
Lia sorrise. Non le piaceva veder litigare i suoi genitori. Fece un colpo di tosse per attirare l’attenzione, non le piaceva nemmeno vederli baciarsi. Blah, che schifo.
«Lylette, amore mio», Camille si accovacciò tendendo le braccia verso la figlia. Lia le andò in contro e l’abbracciò forte perché voleva dimostrarle quanto le voleva bene e che era brutto fare la guerra. L’amore, l’amore in lei esisteva. Un giorno avrebbe voluto avere un fidanzato come il papà, quando non si arrabbiava.
«Mrs Jones mi ha insegnato una canzone al pianoforte, volete sentire? Sono bravissima»
«Facci vedere, Lylette», la incitò dandola una leggera pacca sul sederino e alzandosi.
Guardò suo marito sorridente alla vista del rapporto che Camille aveva con la loro bambina e le seguì fino in salotto. I tacchi riecheggiavano per tutta la casa ed era bello il suono.
Lia si affrettò a sedersi accanto a Mrs Jones e a iniziare il testo, desiderosa di farsi vedere dai suoi genitori. «Do, Re, Mi, Do, Do, Re, Mi, Do, Mi, Fa, Sol, Mi, Fa, Sol…», recitava sopra ogni nota che il pianoforte produceva.
Alla fine della canzone, seguì un applauso pieno di gioia e orgoglio. Camille e Charles le si avvicinarono e la presero in un abbraccio, baciandole i capelli dorati.
«Sei stata fantastica, Lylette, non brava. Complimenti, amore mio»
«Si, grazie mille Mrs Jones», aggiunse Charles, accarezzando la testolina della piccola Lia felice.
«Signori Fosc, il pranzo è pronto», annunciò Claire entrando nel salotto con il grembiule macchiato ad avvolgerle la vita.
«Grazie, Claire. Tesoro, vai a chiamare Adrian, dovrebbe essere in giardino», le chiese dolcemente la mamma avviandosi in sala da pranzo. «Mrs Jones, lei si unisce a noi?», chiese poi, ricordandosi di lei.
«Oh, non si preoccupi. Ho i miei nipotini ad aspettarmi», le sorrise.
Salutò Lia, prese le sue cose, chiuse la tastiera del grande pianoforte nero a corde appena comprato e se ne andò. La bambina zampettò fino alla grande finestra che affacciava sul giardino e lo vide proprio lì, Adrian, seduto sull’erba a strapparne i fili.
«Raccogli dei fiori per la mamma?», gli chiese notando le margherite attorno a lui.
«No», rispose secco.
Lia si sedette accanto al fratello, guardando le sue manine, ma sempre più grandi delle sue, strappare i piccoli quadrifogli e i fili d’erba e buttarli a terra. Lia gli fermò la mano, odiava vedere poco rispetto nei confronti della natura. «È pronto da mangiare», gli disse.
«Non ho fame»
«Come no? Claire ha preparato l’anatra. Ho riconosciuto l’odore quando sono entrata in cucina per cercare mamma e papà. Ho imparato Fra’ Martino al pianoforte», gli svelò, sperando di notare un sorriso felice anche sul suo volto. Ma non lo vide.
Adrian continuava a guardare i suoi piedi incrociati e fremeva dalla voglia di continuare a tagliuzzare l’erba. «Domani è Lunedì», le disse.
«E inizia la scuola, non è fantastico? La seconda elementare»
«E io la prima media. No, non è fantastico», disse Adrian duramente strappando la sua mano dalla presa di Lia. Ritornò a infastidire il prato e la bambina lo lasciò fare. Era triste e aveva bisogno di sfogarsi.
«Perché non sei contento, Adr?»
Adrian alzò lo sguardo, incontrando gli occhi nocciola della sorella. Era così dolce, ed era lì, seduta sul verde accanto a lui. Con indosso il vestitino azzurro, nonostante la mamma si fosse raccomandata tante volte con lei di non sporcarsi. «Ho sentito che, alle medie, i più grandi picchiano i più piccoli»
Lia continuò a guardarlo e vide in lui la paura mischiata all’ansia. Non voleva andare a scuola perché aveva paura di essere picchiato e avrebbe avuto l’ansia nel petto fin quando non l'avessero fatto. «Diciamolo alla mamma»
«No!», la prese per il polso per fermarla quando la vide alzarsi da terra. «Non voglio farla preoccupare»
Lia annuì e tornò seduta. «Però promettimi che se ti picchieranno, andrai a dirlo alla mamma»
Adrian scosse la testa. «Non voglio farla preoccupare», ripeté. Far preoccupare Camille era una delle cose che i maschi Fosc non accettavano.
«Allora lo dirai a me e io lo dirò alla mamma»
«No, Lia, no!», alzò la voce.
Lia sentì gli occhi colmarsi di lacrime. Mai suo fratello aveva alzato la voce con lei. «Allora promettimi che ti difenderai»
 
«Lia, tutto bene?», le chiese Rudi, riportandola alla realtà.
La ragazza chiuse gli occhi per un momento, cercando di ricordarsi il volto di sua madre. Le mancava, tanto. Fece due respiri profondi, si piazzò un sorriso sulle labbra e si voltò verso Rudi. «Si, tutto bene. Ho solo… ricordato»
Rudi annuì e poggiò la tazza nuovamente sul comodino e spense la televisione. «Ti hanno fatto del male?»
«Sai cosa?», chiese Lia, quasi senza dare il tempo a Rudi di finire la domanda. «Dicono che dove c’è amore non c’è dolore», riprese. «Oppure che due persone innamorate non possono essere separate. Invece non è così. C’è dolore ovunque», disse ripensando alla sua famiglia, a Adrian e a Camille e Charles. Prese un fazzoletto dalla scatola e si asciugò gli occhi, le cui lacrime le stavano offuscando la vista.
«Cosa ti è successo, Lia?»
Dallo sguardo di Rudi, sembrava essere preoccupata. Lia non voleva assolutamente svelare il suo segreto, non era pronta. Sorrise tra le lacrime e scrollò le spalle. «Mi sto solo difendendo», corrucciò la fronte come se quella risposta fosse la più plausibile.
L’amica aveva uno sguardo interrogativo sul volto, ma si voltò lasciando che Lia si calmasse. Non avrebbe avuto senso spingerla a parlare se stava ancora piangendo e con il fiato bloccato in gola. Respirò. Se non l’avesse fatto di lì a qualche secondo sarebbe sicuramente svenuta. Le vene sul collo minacciavano di scoppiarle, per lo sforzo che stava facendo nel contenere le lacrime.
Odiava mostrarsi vulnerabile e fragile davanti ad altre persone: Rudi fu la prima, dopo tanto tempo. Asciugandosi le guance dall’ultima goccia, parve tornare la Lia di sempre.
«Allora, signorinella, quando avevi intenzione di dirmi della partita?»
Rudi alzò le spalle e si asciugò il naso, cambiando notoriamente espressione. «Non pensavo ti interessasse»
Lia si accigliò. «Infatti non mi interessa», disse con voce flebile, intimorita dal tono di Rudi e dal suo cambio di personalità. «Ma avresti potuto lo stesso chiedermelo, non trovi?»
«Per sentirmi dire per l’ennesima volta di no?»
Lia si scosse. Non l’aveva mai sentita parlare così, non sembrava stesse scherzando. «Parli come se fossi un ragazzo al quale ho dato buca decine di volte»
«L’idea è quella, con la differenza che non sono un ragazzo», alzò gli occhi al cielo.
Lia la osservò. No, non sembrava per niente che stesse scherzando. Doveva esserle passato qualcosa per la mente, sembrava infastidita. «Mi spieghi cos’hai? Mi stai facendo leggermente paura, Rudi»
Rudi scosse la testa e fece un’espressione che chiuse definitivamente il discorso. Ma poi ci ripensò e sputò il rospo. «È da un po’ che sto messaggiando con un tizio, un certo Lake», iniziò soffiandosi poi il naso. «Sembra un tipo apposto, l’ho visto una volta sola ad una festa, per il resto ci sentiamo solo tramite messaggi. Lui è di un’altra scuola. Una relazione non può nascere in questo modo, non può evolversi. Siamo sempre allo stesso punto. Ultimamente litighiamo sempre, non andiamo più d’accordo. Non so nemmeno come mi sento», si prese un po’ per prendere fiato, mentre Lia pensava a se rispondere o a se l’amica avesse altro da dire. «Voglio dire, non voglio immaginare a cosa faccia nella sua dannata vita con altre stupide ragazza. Quando me ne nomina una e mostro qualche segno di gelosia, lui si incazza. Cos’ha da incazzarsi?»
«Cos’hai tu da essere gelosa?», chiese Lia prima che continuasse. Voleva chiarire questo punto, nonostante Rudi lo avesse descritto come un dettaglio da poco.
Rudi sembrò stupita dalla domanda e ci pensò su. «Io… non lo so. Non dovrei?»
«Non puoi controllare la tua gelosia ma questo non mi sembra il caso di esserlo. Andiamo, come fai a innamorarti di una persona che non vedi mai! Non sai nemmeno chi si nasconde dietro quel dannato telefono, e come se non bastasse per colpa di “Lake” e dei soldi che hai speso per lui hai mandato Josh da me. Josh!». Lia volle schiaffeggiarsi per essersi fatta prendere la mano dal discorso e strinse gli occhi sperando che Rudi tralasciasse anche il suo, di dettaglio.
«Hai qualche problema con Josh?»
Appunto. «No! Ma non andiamo particolarmente d’accordo… cioè, non penso di essergli molto simpatica», si corresse subito.
«Io invece trovo che ci sia un feeling, tra voi due»
Lia sgranò gli occhi, voltandosi verso l’amica che aveva appena sfoggiato un sorriso malizioso a trentadue denti, forse anche di più. Se Rudi aveva pensato ciò, non era del tutto un segreto, quello che stava succedendo. Cos’era esattamente, che stava succedendo? Niente! Rudi stava facendo una supposizione, era un suo pensiero, niente da privare. Non tutti i pensieri possono essere esatti. Il suo era decisamente sbagliato.
«Quindi… com’è questo Lake?», cambiò discorso, spostando l’attenzione da sé.
«Moro, occhi azzurri», rispose velocemente Rudi, irritata ma sognante. «E invece, com’è mio fratello?»
«Ne stiamo davvero parlando?», Lia sembrò stupita dal fatto che l’amica volesse parlare di… Josh.
«Oh si. Ne stiamo davvero parlando, e non provare a cambiare di nuovo discorso»
Lia alzò gli occhi al cielo divertita. «Non c’è niente da dire!»
Avrebbe negato fino alla morte che tra lei e Josh ci fosse qualcosa, non avrebbe confermato quel “feeling”. Non le dava fastidio immaginare suo fratello con lei, la sua amica?
«Stavo scherzando! Non accetterei mai un vostro rapporto che va oltre quello attuale», rispose sorridendo maliziosamente. Non c’era da preoccuparsi, era una cosa che si era posta Lia già precedentemente.
Anche se le risultava difficile stargli alla larga, annuì. «Nemmeno io»
Continuarono a parlare togliendo da mezzo un possibile legame tra i due. Lia scoprì di Lake cose che Rudi non aveva rivelato a nessuno. Avendo molte conoscenze, non riusciva a immaginare cosa sarebbe accaduto se avesse raccontato in giro di lei e Lake. Anche se dubitava che molte persone lo conoscessero, ritenne giusto non farne parola con nessuno, almeno fin quando non avesse decifrato i suoi veri sentimenti che nutriva verso il ragazzo.
Trovava inaccettabile una lontananza fisica e mentale anche se abitavano la stessa città. Nessuno dei due aveva proposto all’altro di rivedersi, dopo la festa alla quale si erano presentati. Si può dire che per Rudi fosse stato un colpo di fulmine, e Lia strizzò gli occhi e scosse il capo come se avesse addentato una fetta di limone. Colpo di fulmine, pff! Non sopportava l’idea di infatuarsi di qualcuno, figuriamoci così in fretta. No, non avrebbe mai capito Rudi. Non c’era quasi niente da dire riguardo la loro relazione se non che messaggiavano la maggior parte della giornata, parlando di cosa facevano, con chi stavano, trattandosi da innamorati diabetici con nomignoli disgustosamente romantici, eccetera.
Lia le parlò del progetto del corso di fotografia. Rudi aveva una Nikon tutta sua, così avrebbero potuto dividersi il lavoro per lavorare di squadra, dal momento che non era stata presente alla lezione. Si sarebbero divise i compiti. Quel sabato, oltre alla partita di basket, c’era anche la prima del football, all’aria aperta nel grande campo verde all’esterno. Anche se si disputavano con mezz’ora di differenza l’una dall’altra, Lia si propose di “sacrificarsi” per la gelida aria di novembre, utilizzando la scusa che Rudi avrebbe potuto prendere una ricaduta. Rudi accettò entusiasta, inconscia del fatto che il motivo della decisione presa fosse del tutto ben diversa. Dettagli.
Si fecero le otto e quarantacinque e per Lia arrivò il momento di tornare a casa. Salutò l’amica augurandole di rimettersi presto e le promise di raccontarle ogni cosa fosse successa durante i suoi giorni di assenza.
«Tienimi d’occhio Josh e Dave. Non si sa mai»
Lia annuì. Anche se la curiosità di chiederle il motivo fosse quasi uscita dalle sue labbra, si morse la lingua e uscì dalla stanza. Scendendo le scale, sentì il rumore di un coltello da cucina.
«Ciao!», esclamò una signora seduta all’enorme isola. «Tu devi essere Lia! Rudi mi ha parlato molto di te»
«Piacere di conoscerla, signora…», Lia si fermò prima che potesse pronunciare il suo nome. Guardò Josh alle prese col coltello, affettando le cosce di un pollo. Non sapeva se meravigliarsi del fatto che stesse cucinando o se cogliere al volo il suggerimento mimato dalle sue labbra. «Jeggins!», sorrise.
Ricambiò il sorriso ma, anche se debole, il suo sguardo si intristì immediatamente. «Ti fermi a mangiare? Stavamo giusto preparando la cena». Dal suo tono esageratamente entusiasta, Lia riuscì a capire che stava cercando di non mostrare la sua sofferenza a riguardo.
«Mi spiace tanto, ma mio padre mi starà aspettando», disse indicando frettolosamente la porta d’ingresso alle sue spalle.
«Tua madre non è a casa?», la signora Jeggins fece un’espressione derisoria osservando l’ondeggiare dell’acqua nel bicchiere nella sua mano.
Fece uno sforzo enorme nel pronunciare quelle parole. «In realtà, è da un po’ che se n’è andata»
Josh smise di accoltellare il pollo e si voltò verso di lei. C’era da aspettarsi che sarebbe rimasto del tutto sorpreso, ma Lia eliminò dalla mente l’espressione di Josh e tornò con l’attenzione sulla madre.
La guardava, forse in modo comprensivo, notando il viso sconsolato della ragazza. «Sei figlia unica, tesoro?»
«Ho un fratello, ma non vive con noi», rispose educatamente, nascondendo l’irritazione nel sangue. Se non se ne fosse andata subito, sarebbe scoppiata. Dalla rabbia e in lacrime. «Buon appetito allora»
Si precipitò alla porta, ma prima che potesse aprirla lo fece qualcun altro. «Mi dispiace», Josh le sussurrò all’orecchio.
Senza neanche voltarsi, corse verso la fine del vialetto e della strada, arrivando fino alla fermata dell’autobus. Suo padre non sarebbe riuscito ad arrivare fin lì con la macchina, perciò dovette prendere l’autobus. Fuori era buio, il cielo era di un viola scuro, senza nuvole, e le stelle erano leggibili. Gli alberi attorno a lei oscuravano la strada, c’era solo un palo della luce che ne emanava una di un arancione intenso da farle male alla vista. Dovette aspettare qualche minuto perché il bus arrivasse, forse l’ultimo della giornata.
Tornata a casa, sentì l’acqua della doccia aperta e la cena non era ancora stata preparata. Tirò dal frigo due confezioni di wurstel e li mise a riscaldare, non aveva voglia di cimentarsi in piatti da Masterchef. Non aveva tutte quelle doti, ma il libro di ricette che sua nonna le aveva regalato prima di trasferirsi l’aiutava molto, quando il suo stomaco si lamentava del troppo cibo spazzatura.
Si riunì con Charles a tavola appena quest’ultimo finì di vestirsi con un pantalone della tuta e una maglia di cotone. Non aveva ancora ottenuto il lavoro, gli avrebbero dato una risposta entro la fine della settimana accorciando così il mese di prova, essendo a corto di personale per via degli abituali licenziamenti imprevisti. Forse la fortuna, per una volta, stava dalla loro parte. Charles avrebbe dovuto comunque alzarsi presto, perciò subito dopo aver velocemente finito la cena, si alzò e si diresse in camera sua, chiudendo la porta.
Lia lavò i pochi piatti e posate e andò in bagno a farsi una doccia veloce. Era stanca e aveva bisogno di riposarsi e alleggerirsi la mente. La discussione con la signora Jeggins l’aveva scossa e stava trattenendo le lacrime da quando Josh le sussurrò all’orecchio le sue scuse per conto della madre. Immaginò che la situazione del loro divorzio non facesse piacere a nessuno, specialmente alla ex signora David. Di sicuro non era sua intenzione ferire i sentimenti di Lia, nessuno sapeva della sua famiglia, lei aveva solo chiesto: per fare conversazione, per informarsi, per sputtanare suo marito. Ma tutto ciò a Lia non interessava.
Si stese sul letto con i capelli ancora umidicci, nonostante fuori tirasse un vento forte che sbatteva contro la finestra di camera sua. Senza nemmeno accorgersene, Lia si addormentò quasi subito, mentre ripensava alla sua famiglia.
 
Lia stava colorando un disegno di arte, stando attenta a non uscire fuori dai margini. Avevano appena finito di mangiare, senza Adrian perché lui era ancora a scuola. Così aveva iniziato a fare i compiti aspettando il suo ritorno, per avere tutto il pomeriggio a disposizione per giocare con lui. Camille era andata a lavoro, Charles era in camera a fare il suo solito sonnellino pomeridiano. Da quando fu messo in cassa integrazione, non tutti i giorni lavorava.
Quando Adrian arrivò, chiuse la porta d’ingresso con un tonfo e, senza salutare la sorella e Claire, corse in camera sua con lo zaino pesante che gli rimbalzava sulla schiena ad ogni scalino che saliva. Lia guardò Claire, la quale fece spallucce e tornò a pulire i fornelli. Ma quello, a Lia, non sembrava un comportamento da meritarsi solo un’alzata di spalle.
Posando i pastelli sul tavolo della cucina, scese dalla sedia con un balzo e trotterellò al piano di sopra, dove trovò la porta di Adr chiusa. Lui non la chiudeva mai. Aveva paura di entrare, forse avrebbe dovuto bussare, ma aveva paura anche di quello. La scuola era iniziata ormai da più di due mesi e da allora Adrian si comportava in modo strano. Rispondeva ai genitori, trattava male Lia, non giocava con lei, mangiava poco, non faceva i compiti assegnati inventando la scusa che i professori non avessero assegnato.
Un giorno tornò a casa con il ginocchio sbucciato e già coperto da crosticine, e Camille e Charles pensavano fosse caduto durante l’ora di educazione motoria. Ma Adrian nascondeva qualcosa.
«Fratellino?», chiese Lia, appendendosi alla maniglia.
Senza farlo apposta, l’aprì. Adrian si infuriò per essere entrata senza il suo permesso e la spinse facendola cadere a terra sbattendo la testa contro il muro. Lia se la massaggiò e il gomito cominciò a bruciarle per aver attutito la caduta.
«Vattene, Lylia», Adrian le chiuse la porta in faccia.
Se non avesse avuto gli occhi colmi di lacrime avrebbe notato il labbro inferiore di suo fratello gonfio e rosso. Si alzò da terra e si strofinò il vestitino, pensando che Adrian non aveva ancora fatto merenda, e scese in cucina a prendergli la fetta di torta alle mele che Claire posò in un piattino. Bussò di nuovo alla porta, assicurandosi di non aprirla prima del dovuto.
«Sparisci ho detto!», urlò Adr.
«Ti ho portato la torta che ha fatto Claire. È buonissima»
Dopo un po’, vide la maniglia abbassarsi e sorrise. Adrian aprì la porta, e Lia notò che aveva il colletto del maglione della scuola tra i denti. Si fece avanti per entrare, ma lui non le fece spazio. Osservò il piccolo sorriso di Lia e se non avesse avuto la vista appannata dalla rabbia avrebbe notato anche gli occhi colmi di terrore. Le prese il piattino dalle mani e improvvisamente divenne un tutt’uno con la faccia di Lia. Lo fece cadere a terra e  chiuse di nuovo la porta sbattendola.
Lia si tolse l’impasto e le mele dal viso e corse in bagno a pulirsi prima che qualcuno la vedesse e la sgridasse. Adrian era arrabbiato e quel giorno nessuno avrebbe giocato con lei.
 
Si svegliò a causa delle urla provenire dalla fine del corridoio. Si strofinò gli occhi e si alzò velocemente scostando le coperte. Osservò i numeri a led sull’orologio digitale. 03:56. Cercò di correre fino alla camera di Charles, ma gli occhi assonnati e il buio della casa non l’aiutarono affatto.
Quando entrò nella sua stanza, suo padre aveva gli occhi chiusi ma si dimenava a destra e manca. Nel sonno, si era preso la testa tra le mani, come se gli stesse per scoppiare e si rannicchiò difendendosi dal dolore.
«Papà, papà!», alzò la voce Lia, per sovrastare quella del padre. Gli afferrò i polsi e cercò di staccargli le mani dalle tempie, ma la presa di Charles era troppo forte, anche da addormentato. «Papà, svegliati!», urlò più forte. Charles aprì gli occhi, mostrando il suo sguardo disorientato, sconvolto, addolorato. Aveva il respiro affannato e Lia lo aiutò a mettersi seduto con le spalle al muro. «Era un sogno»
Lia uscì dalla stanza dirigendosi in cucina per preparare una camomilla. Quando tornò era ancora bollente e la poggiò sul comodino per farla raffreddare. Charles sembrava aver ripreso il fiato, ma non si azzardava a muovere lo sguardo da terra. «Era un incubo»
«Vuoi che dorma con te?», gli chiese Lia. Charles non rispose. Raggiunse lo stesso l’altro lato del letto e si infilò sotto le coperte, accanto a suo padre, malgrado il suo stato.
«È stata colpa mia», sussurrò.
«No, papà. Sappiamo entrambi che non è così»
«Si, invece. Se non fosse stato per me non sarebbe uscita di casa, quella notte»
«Non darti delle colpe che non hai, papà», cercò di consolarlo. «Era un periodo difficile per tutti e aveva bisogno di prendere un po’ d’aria per schiarirsi le idee»
Nonostante Lia avesse ripetuto quelle parole miliardi di volte, Charles non voleva mettersi l’anima in pace. Si dava la colpa, e la dava anche ad Adrian. Lia non pensava a niente. Se il destino voleva che Camille se ne andasse, nessuno avrebbe potuto impedirlo.







SCODIKA.
Buon 15 giugno, gente! Sono contenta di aver aggiornato con una settimana di distanza dall'ultimo capitolo, senza aspettare mesi e mesi. When I was a child è forse uno dei miei capitoli preferiti finora, perchè - caspita! - ci sono dei flashback molto importanti, che hanno influito molto sulla formazione del carattere di Lia. Abbiamo conosciuto anche Camille! È una donna fantastica e bella, appartenente ad una famiglia (nel primo flashback) armoniosa e unita. Il secondo, forse, è un po' troppo crudele per una piccola Lia, ma la differenza di età tra lui ed Adrian si sente. E lui sembra essere vittima di bullismo. L'ultima parte, dedicata a Charles, è davvero importante: ammette le sue colpe, ma ancora non sappiamo per cosa. Qualcuno a qualche idea?
Ho voluto concentrare anche questo capitolo sulla famiglia, perchè mi sembrava un enorme passo avanti. Josh, qui, è solo una comparsa. Ma, nonostante ciò, ha avuto effetto su Lia.
Spero che vi sia piaciuto, è un po' particolare, lo so. Potrebbe non piacere a tutti, e se così fosse vorrei che mi diceste cosa ho sbagliato o cosa non avete gradito, per magari rispondere ai vostri dubbi e domande.
Ci vediamo presto, o almeno spero. Un bacio!
   
 
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