Libri > Hunger Games
Segui la storia  |       
Autore: Bolide Everdeen    15/06/2015    3 recensioni
[Storia interattiva-Tributi al completo]
C'è una nazione, Panem.
C'è un anniversario, il cinquecentesimo della creazione di questo stato.
C'è un nuovo presidente, Coriolanus Snow.
C'è un'edizione speciale degli Hunger Games.
Ci sono ventiquattro tributi.
Ci sarà solo un sopravvissuto.
***
Dal primo capitolo:
"Ma Panem è simile ad un'enorme arena.
Non si può fuggire.
Solo combattere, o morire.
A voi la scelta."
Genere: Azione, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Altri tributi, Caesar Flickerman, Presidente Snow
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
- Questa storia fa parte della serie '500 - Behind the scenes'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Epilogo

La voragine

«Pronto, Milton?»

Con uno scatto, Milton ritirò la mano dai bottoni della giacca che stava torturando. Annuì con un'esagerata velocità nervosa alla sua accompagnatrice, dal volto eccitato ed illuminato per la presentazione del suo primo vincitore. Cosa altro avrebbe potuto rispondere Milton? Era condannato ad essere pronto, per il resto della sua vita. Sarebbe voluto rimanere lì, in quell'indaffarato dietro le quinte dove tutti gli porgevano cordiali sorrisi di congratulazioni, anche se sarebbe finito per sentirsi destabilizzato anche da quelli. Come era possibile che fosse riverito in questo modo di complimenti, nonostante il suo merito nella vittoria era solo quello di una fortuna sfacciata?

Il coltello di Athena si era depositato a pochi centimetri dal petto di Milton, poi un'indegna corrente aveva deciso di preservare la vita del ragazzo trascinando la lama in lontananza, segnando il suo fallimento facendola tintinnare a terra. E come era potuto succedere? Osservando con la freddezza di un estraneo imposta dal suo cuore per non lasciarsi sfuggire a lacrime ricavate da emozioni ancora imprecisate dalla confusione, si era accorto che c'era qualcosa di fittizio, in quel lancio.

Ma c'era sempre stato qualcosa di fittizio. Il dettaglio strano era che il suo perdono verso quel rivolo di vento non arrivava, neanche se era stata la sua vita l'oggetto del gioco.

 

La famiglia del sindaco cadde nel più profondo lutto a sentire della morte di Jeremy Corgan.

Chris, il suo ragazzo, non ebbe il coraggio per alcuni giorni di affrontare il mondo dopo la sua perdita. Sarebbe dovuto essere lui, riverso nella sconfitta. Invece, Jeremy gli aveva lasciato la possibilità di vedere il mondo.

E lui la sfruttò. Si riprese. Ma non dimenticò mai Jeremy.

 

Fuyumi Albarn non fu scordata dal gruppo di ragazzi con il quale abitava. Osservarono la sua fine nella piazza principale, dove la morte non era altro che la più coraggiosa delle umiliazioni e non il tragico buio offerto da Capitol City.

Si ribellarono. Furono catturati e uccisi come traditori della Capitale.

 

Carlotta Wilson fu vista cadere dai suoi amici e dai suoi parenti nel tentativo di difendere l'alleata, e istituirono quella immagine come il ricordo del suo spirito: dedito agli altri.

Il suo romanzo non fu terminato, e neanche recuperato, perché si trovava nelle camere del Centro d'Addestramento.

Un altro sogno spezzato dalla Capitale.

 

Il ricordo di Athena si annidava in ogni profondità delle sue azioni; e quando non era lei, si trattava di Myrtle, o di Emilie, o di qualunque persona che avesse incrociato il suo sguardo nell'arena. Ancora non si era svegliato. Ancora si trovava nella più potente delle fantasie, ancora il mondo non era suo, anche se sembrava prostrarsi ai suoi piedi.

Ma lo faceva per ordine del presidente; lo ringraziavano come rappresentante dei tributi per il divertimento offerto. E lui ne soffriva. Com'era possibile? Un lato di sé era soffocato all'interno di quella struttura, la sua innocenza, la sua stabilità.

Ogni tanto le vedeva, addirittura. Vedeva Myrtle sconvolta dalla fame e dalla sete, sdraiata sul terreno durante i suoi pranzi. Vedeva Emilie accasciarsi a terra vittima di una vendetta quando qualcuno lo tradiva con una pacca sulle spalle. E vedeva il cadavere di Athena riverso a terra, con il destino ad oltraggiarle il petto, in un'espressione quasi calma, dormiente. Era l'immagine più presente nel suo animo sconvolto, tremante. Lampeggiò anche in quel momento. Le pregò di non farlo, ma la rossa era lì, insieme alle altre. Anche la ragazza che aveva ucciso, ogni tanto, si presentava nei suoi incubi a regolare i conti. Milton trasaliva, cercava di andare avanti. Ma quello rimaneva un mondo fin troppo splendente, un'illusione.

 

Le sorelline di Nathaniel River furono spiazzate nel non trovare più il loro fratello, se non nell'immagine di una televisione. E poi, si stabilì nei loro ricordi, e mai scomparì.

Avevano quasi creduto alle sue promesse. Forse questo fu il maggiore motivo delle loro lacrime.

 

Le previsioni della nonna di Morgane Willblues si rivelarono veritiere. Probabilmente per la conoscenza del futuro i suoi occhi non si commiserarono in lacrime.

D'altronde, era il destino. Era la malvagità del destino, che aveva affidato a Capitol City.

Non era nella loro strada contenderla, non per il momento.

 

Le manfrine della madre di Grace Noèl, attrice, si protrassero per gran parte della sua vita, così da apportarle pubblicità. Nessuno seppe la verità dietro alle lacrime.

La stanza in cui Grace alloggiava all'Accademia era ormai occupata da una nuova speranza del distretto 2. L'unico che se ne accorse fu il suo amico Gioele. E la sensazione di perdita non scivolò.

 

«In scena!» qualcuno inferì nella mente di Milton. Non voleva assolutamente uscire, non voleva parlare della contentezza di essere lì a condividere la sua vittoria con gli occhi e le mani plaudenti del pubblico. No, avrebbe dovuto ancora riflettere, sarebbe dovuto rinascere. Eppure, come un cucciolo d'improvviso precipitato in questa dimensione parallela, già lo spingevano fuori.

Le voci di Caesar Flickerman si precipitavano dalla ribalta, le sue grida. Erano riferite a lui? Una prospettiva semplicemente spaventosa. Lo stava esaltando? Quali bugie stava raccontando sul suo conto? Quante ne avrebbe dovute raccontare lui?

E così, la sua squadra di preparatori entrò in una sfilata di applausi. Gli addetti al centro estetico, lo stilista, l'accompagnatrice, il mentore. Eppure, loro non erano la sua vera squadra. La sua squadra era scomparsa nell'arena, si era sgretolata in pezzettini di carta straccia, era stata strappata da qualcuno che si voleva sostituite. Loro non c'erano mai stati, se non con qualche parola, con qualche stretta di mano, con un sorriso per promuoverlo.

Si sentiva così solo. Si sentiva isolato.

 

Mihael Stivens lasciò sola una famiglia che ne aveva un furioso bisogno di lui.

Tante notti si svegliarono, attendendo nel buio il figlio od il fratello che mai più sarebbe tornato, allungando le mani e affogando nell'aria.

Eppure, furono notti vane.

 

Il padre di Lynton Hamilton digerì la morte del figlio come quella della moglie: bevendo. E, sotto i litri di alcool che gli frizzavano nella gola, alla fine dimenticò persino il motivo di quelle bottiglie vuote.

Meredith Arrington, la sua unica amica, cercò di aiutarlo. Ma si accorse di quanto fosse impossibile, e ritornò nei suoi passi calpestando la sabbia dove tempo prima lei e Lynton passeggiavano.

 

Astrid Wright rimase nei ghiacci perenni della memoria delle scarse persone che l'avevano conosciuta al 7. Suo fratello si sentì disidratato dalla disperazione. Avrebbe voluto gridare, ma la Capitale lo aveva privato persino della lingua per manifestarsi.

Nel distretto 3, invece, non accadde nulla. A casa di Ivan, Connor e Edward deglutirono solamente il ricordo della “signorina”, con l'amarezza che portava.

 

Erano rimasti lui e delle luci soffuse, in quel sontuoso retroscena che sarebbe potuto essere il palco stesso. Il suo team raccoglieva le più calorose acclamazioni, mentre lui... lui non sapeva cosa fare. Sussurrava a se stesso le battute d'obbligo, impartite dall'accompagnatrice. Quanto avrebbe potuto dire. Quanto non avrebbe potuto dire.

Il momento arrivò, assieme alla presentazione di Caesar Flickerman:«E, ultimo ma non meno importante... signore e signori, preparate le vostre più fragorose urla, predisponetevi ai più rumorosi applausi per il vincitore dell'edizione del 500, Milton Marvin!»

Non fu sicuro di avanzare sulle sue stesse gambe, in quel momento. Una qualche spinta lo fece precipitare sul palco, sotto gli occhi stupefatti ed acclamanti di una folla sconosciuta.

Sorrise, sventolando la mano, come se fossero stati da sempre i suoi amici. Eppure, non aveva alcun legame con loro, né loro avevano un motivo per complimentarsi in questo modo ad un superstite, o forse un assassino, o forse un semplice ragazzo sperduto.

In quel momento, Milton si accorse nonostante tutto di disprezzarli.

 

Serena Hamilton non trovò suo padre prima della sua morte, ma lui la vide. Riconobbe i suoi lineamenti dolci, il suo temperamento determinato, la sua frizzante dolcezza.

Ed invocò il perdono delle ombre.

 

La morte di Aaron Hepburn fu solo un argomento di conversazione al tavolo della sua famiglia. D'altronde, non aveva conquistato il cuore di nessuno dei suoi parenti; era troppo renitente all'idea di perfezione familiare della loro fantasia.

Ma quale perfezione c'era, nella distruzione?

 

Emerald Goldspace godette di una delle più umilianti morti dell'edizione. Per evitare simili peccati, gli addestratori spalancarono le porte dell'Accademia, allungarono l'orario, coltivarono il soldato in ogni bambino o ragazzo.

Quanti morirono senza saperlo, per questo.

 

Non c'erano vie di scampo. Avrebbe voluto sfogare l'inquietudine di ogni sua membra con una persona cara; ma tutte loro si trovavano a chilometri o dimensioni di distanza. Sentì qualcosa risucchiare ogni suo coraggio, e capì perfettamente di cosa si trattasse: una voragine sul suo cuore.

Si accomodarono in due soffici poltrone di velluto. Appena affondò in essa, Milton sentì delle voci gridare, protestare, scacciarlo da tutta quella comodità: non doveva permettere alla frivolezza di Capitol City di conquistarlo. Dopo tutti quelli che si erano sacrificati senza saperlo per lui; si era arreso già così tante volte, ma non davanti a un peccato esorbitante come quello.

Eppure, sentiva mani cingergli il collo da ogni lato esistente: dagli addetti dietro alle quinte, dal suo team seduto alle sue spalle, dal presentatore davanti a lui, dal pubblico che lo fronteggiava. Per cancellare il turbamento dal volto sincero di Milton, Caesar esplose:«Guarda questo, Milton: è tutto per te!»

Un altro applauso scaturì dalle mani affamate dai capitolini, e lui si costrinse ad assumere una smorfia sorridente. Ma qualcosa gli aveva sfiorato il cuore, lacerato. Era come se gli avessero consegnato fagotti d'aria, cascate di parole. Era tutto per lui, ma non lo sentiva suo.

Era colpa di quella voragine sul suo cuore.

 

Quando Reed Fox fu sopraffatto dall'ibrido, il suo mentore, Ivan, si lasciò ad andare ad una vigorosa risata di rivalsa. Aveva raccontato la sua storia, nonostante ciò nessuno lo aveva potuto ascoltare, perché gli Strateghi avevano favorito altre scene. Ma lui, lui doveva essere ugualmente punito.

I suoi compagni di sventura rimasero rinchiusi nella stessa trappola fino all'eternità. Le cicatrici smisero di formarsi sulla loro pelle solo alla morte di Ivan.

 

Lexie, la ragazza di Emanuele Hepburn, accartocciò con velocità il ricordo della fidanzata, dirigendo gli occhi verso il futuro che le era stato destinato. D'altronde, qualcuno si era offerto volontario per lei; si meritava di vivere, no?

Elle andò spesso a trovarla nei suoi incubi. Lexie morì improvvisamente sei mesi dopo.

 

La madre di Myrtle Hopkins trovò quasi sollievo nella morte della figlia, unica testimone dell'omicidio del padre compiuto da lei. In questo modo, avrebbe avuto anche più soldi.

Incrociava spesso lo sguardo di Harvey Thomas, il migliore amico di Myrtle, l'unico a conoscenza della verità. E lui lo disertava, sentendo la voce dell'amica che gli sussurrava di farlo.

Harvey la denunciò. La madre di Myrtle passò la sua eternità in galera.

 

Qualche domanda di rito era stata posta, e qualche risposta di rito era stata rispettata. Adesso, davanti agli occhi di Milton, sfilavano le atrocità che aveva vissuto e convissuto, alcune delle quali anche sconosciute. Perché nessuno gli aveva rivelato le circostanze che l'avevano elevato a vincitore? Perché? Più volte, durante l'atroce spettacolo, fu costretto a riparare le sue urla portando la sua mano davanti alla bocca. Provò pietà nelle persone aggredite da Andrea, legate da lui da un indefinito destino; e avrebbe voluto presenziare, per difenderle come accaduto con Athena.

Provò pietà, e quasi anche una malinconica compassione, nel vedere Emilie quasi uccisa dai ragazzi del 5 e del 12; e sarebbe voluto lui stesso intervenire per non lasciarla nella solitudine subito.

Provò un'incomprensibile pietà per la figura del ragazzo del 3 nel momento in cui pugnalava Astrid, ed era solo un misero corpo tremante; e sarebbe voluto apparire ad abbracciare entrambi, segnati da chissà quali obblighi che li trascinavano alle più oscure colpe.

Provò pietà persino per i Favoriti, traditi dalla sete di sangue di Andrea, al posto di quella lealtà che dovrebbe essere chiara per gli alleati; e avrebbe voluto affiancarli per ricordare al loro assassino dei principi, anche se non credeva seriamente di poter offrire una reale protezione ai Favoriti.

Provò pietà negli sguardi di sfida di Athena e del ragazzo del 10, mentre si trascinavano avanti con una mano sullo stomaco per contenere la fame; e avrebbe voluto donare loro il cibo che abbondava sulle tavole di Capitol City, posto per le bocche più meschine.

Provò pietà per Athena minata dal temporale, mentre si contraeva sotto la grandine più furiosa; e le avrebbe voluto donare più protezione della scarsa che si era creata da sola.

Provò pietà per coloro che lui stesso aveva ucciso, trovandosi improvvisamente con la bocca asciutta confrontando loro alle prese con la vita e loro alle prese con la morte; e si sarebbe voluto scusare, ma ormai erano solo anime.

Provò pietà per le scene viste e quelle sconosciute; fu sul punto di inumidire gli occhi quando Myrtle raggiungeva il cielo, quando Emilie raggiungeva la terra, e quando tutti quelli che aveva conosciuto chiudevano gli occhi a favore dell'infinito. C'era così tanto che avrebbe potuto fare, e invece era costretto a combattere come un animale.

E perché, poi?

 

Il patrigno di Eaves Isinthaw ebbe in lui il primo figlio perso, e la sua esperienza negli Hunger Games tornò a galleggiare con un'inossidabile pesantezza sul suo spirito.

Ripose le armi alle quali stava educando i suoi figli, i fratelli Eaves. Si dedicò solo al suo freddo amore che aveva donato loro, e combatté affinché i tributi a lui affidati potessero tornare con tutta la sua anima.

 

Di persone che veramente volevano bene ad Eracle Chentaurion rimasero solo il suo maestro, Chirone, e la sua ragazza, Deianira. Lo videro spesso apparire nei gesti comuni, quelli di tutti giorni, quelli a cui lui spesso partecipava. E si ritrovavano a chinare il capo e trattenere le lacrime.

 

Il migliore amico di Who Powell, Chuck, si stupì a non scorgere più intorno la sua amica. La madre gli spiegò il viaggio per la quale era partita, e dal quale non sarebbe mai più potuta tornare.

Chuck conobbe così gli Hunger Games. E il ricordo di Who maturò lui, insieme alla paura, a sussurrargli di essere forte, anche quando si trovava nei reticolati della piazza e il nome estratto sarebbe potuto essere il suo.

 

Le luci si risvegliarono su di lui, mentre Caesar poneva i suoi quesiti relativi a cosa fosse passato nella mente del vincitore in vari momenti. Si sentì improvvisamente impotente, vuoto, quasi nullo nel ribattezzare le sue credenze con i suggerimenti della sua accompagnatrice, nel dire quanto coraggio improvvisamente aveva provato in quei momenti. Avvertiva qualcosa volgergli lo spirito, opporsi, cercare di conquistare la sua bocca. Ma Milton realizzò un'altra cosa: voleva vivere. Quest'idea si era manifestata come naturale nell'arena, era divenuta la sua ragione, il motivo per il quale non si era spinto in baratri troppo pericolosi.

E poi, le domande si persero in una difficoltà assurda, almeno per lui, che lo costringeva nel ritrarsi nei suoi pensieri almeno per un attimo per raccogliere i veri motivi.

«Allora, Milton. Fra i momenti più toccanti di quest'edizione c'è stato sicuramente quando hai aiutato Athena ad alzarsi... perché l'hai fatto? Cosa hai pensato, in quegli istanti?» chiese il presentatore, con sguardo estremamente interessato, in cui all'improvviso Milton colse qualche sfumatura straniera.

Qualcosa di... oscuro, minaccioso, fin troppo, per un compito simile. E lo riconobbe: era lo sguardo del presidente Snow, che rimproverava le sue voci interne le quali lo spingevano ad eludere la sorveglianza capitolina, ed esaltare i valori commerciati da loro e creduti reali da tutto quel pubblico. Ecco qual era il suo compito: essere il giullare dei capitolini, non deludere le loro aspettative per far loro riporre più fiducia nelle mani del capo.

Aveva alternative? Sentiva la gola infiammarsi, bruciare ogni parola che avrebbe voluto gridare ma sarebbe rimasta solo un ricordo. E, alla fine, sopravvissero solo quelle adatte alla situazione, avventandosi nella sua lingua come il rossore sulle sue guance:«Volevo mostrare a tutti quanti i valori che Capitol City c'insegna tutti i giorni. E fra questi c'è anche quello di rispettare il nemico, come quello che alla fine della rivoluzione Capitol City ha avuto per noi distretti.»

Il nervosismo si scaldò nelle sue mani. Disfece più volte la sua chioma, ferì la sua lingua con profondi morsi, squadrò l'intero enorme studio come per analizzare il suo futuro: sarebbe stato quello? Una menzogna, dei riflettori puntati su di lui?

Sarebbe voluto scappare. C'era un metodo per ritornare nel passato?

O sarebbe stato meglio morire, che continuare a incespicare respiri in quel modo?

 

La vita del padre di Julian Winntoh, che l'aveva ripudiato alla nascita, continuò senza sussulti. Sperava di avere una possibilità nel momento in cui aveva visto un ragazzo del suo distretto fra gli ultimi, ma la possibilità si riferiva ad una nuova ricchezza, una nuova fama.

Ogni tanto, la madre di Julian, Eugenie, era tentata di gridargli la sua codardia. Ma si era trovata un lavoro, una nuova desolata vita, e non valeva la pena di devastarla per vendetta.

Julian le mancava come il respiro.

 

Nel passato, Emilie Levieva aveva perso la visione di una stella nel suo terreno cielo del distretto 3 a causa degli Hunger Games: suo fratello Dimitri. E questa era scomparsa anche dalla vita della sua famiglia, che si era abituata al buio dopo lungo tempo. E così anche come per Emilie.

Le tapparelle rimasero chiuse per settimane, prima che i suoi parenti ebbero il coraggio di affrontare la sfortuna che il mondo aveva apportato loro.

Quella sfortuna si chiamava Capitol City, e comandava ogni loro respiro.

 

La disperazione dei genitori di Savannah Sparks fu lustrata in un modo fin troppo scintillante alla sua morte dalla sua famiglia borghese. Probabilmente, avrebbe infastidito persino lei. Qualche giorno dopo la sua partenza, il Palazzo di Giustizia era insolitamente silenzioso: qualcuno non lo animava più come una volta, con le sue marachelle.

Il Capo Pacificatore, Near, la rimproverava sempre. Solo allora si accorse di quanto si divertisse con quella ragazzina.

 

Quando arrivarono agli ultimi respiri dell'intervista, Milton era stremato dalle parole a lui rivolte e quelle da lui pronunciate. E, soprattutto, dalle figure presentate sullo schermo, che gli avevano ricordato come certe persone fossero state fondamentali nel suo cammino, e quanto lui avesse ripagato in maniera terrificante. Sembrava aver abbandonato ogni onestà, per mantenere la sua vita.

Osservava i volti dei ventitré caduti. Alcuni lo squadravano con particolare cattiveria, giurando vendetta dall'aldilà, mentre altri gli sorridevano comprensivi. Era tutto ciò che era rimasto dei combattenti, d'altronde. L'unico loro ricordo. Avrebbe dovuto conservare loro nel cuore, paragonarli ad ogni momento della giornata, e lasciare che non avessero vissuto invano.

Chissà come si sarebbero sentiti gli altri, al posto suo. Lui non aveva nelle vene sangue di vincitore, ma solo qualche goccia trasfusa da Capitol City dopo le sue perdite. E lo avvertiva come un intruso nel suo circolo, lo avrebbe voluto estrapolare, depennare dal suo corpo; se solo l'idea non l'avesse inorridito, se solo non fosse stato proibito.

Si sentiva terrorizzato, anche se non riusciva ad ammetterlo. Lui era il vincitore. Era potente, inafferrabile, magnificente su tutti gli altri. E lui si specchiava solo come più miserabile.

Probabilmente, dietro le quinte si stavano adoperando per renderlo tale.

 

Quando Andrea White morì, l'unica reazione dell'intero distretto fu una massiccia delusione: se avesse sterminato il ragazzo del 7, loro avrebbero avuto un'intera fornitura di cibo per un anno. Alla fine, rimase solo Athena per cui tifare. E il suo corpo rimase riverso lì, aggressivamente morto, con la vita decisamente terminata.

Non conosceva nessuno, e nessuna lacrima fu per lui, pianse, e cadde nel feroce oblio a cui si era predisposto.

Nessuno seppe mai se la morte era stata appagante quanto lui avesse pensato.

 

Athena Rainway perse in un attimo, per pura sfortuna: il suo migliore amico Rhys fu troppo sconvolto per accorgersene. Si rese conto solo di aver perso qualcuno, e rimase seduto sulla sua poltrona, con un nuovo vuoto nel cuore.

Sua madre invece, Lawra, vide qualcosa di anormale, di pilotato nella morte della figlia, e lo denunciò agli Strateghi.

Il giorno dopo, delusa da tutte quelle perdite, fu trovata impiccata in casa sua.

Nessuno indagò oltre.

 

«Un'ultima domanda, Milton» intervenne Caesar, liberando un profondo masso sul cuore del ragazzo. Era arrivato alla conclusione delle sue bugie, con qualche lacrima che gli fiammeggiava negli occhi, e le mani sul punto di tremare. Quanto tempo era passato? Quanto ancora lo condannava?

«Quando eri nell'arena... qual è stato il pensiero che ti ha mandato avanti? Insomma, la tua carica principale.» Il presentatore pose ancora quel suo sorriso cordiale ed affascinato, mentre Milton radunava le sue ultime idee su cosa poter dire. Cosa era stato veramente? Cosa sarebbe dovuto essere?

Si ricordò di quella furiosa voce interna che istigava i suoi passi ed i suoi colpi contro gli altri. Eppure, nessuno avrebbe creduto ad essa.«È stata la mia famiglia. Sai... loro mi hanno cresciuto da quando sono nato, e sarei veramente voluto tornare da loro. Io... voglio molto bene a loro.»

Un'altra menzogna. Non aveva mai pensato alla sua famiglia, lì dentro. Aveva incrociato spesso gli occhi delle sue alleate, aveva temuto le possibili piogge, i possibili veleni, i possibili scontri; ma la sua famiglia era troppo lontana da rievocare. Eppure Caesar sorrise ed assentì, posandogli una mano sulla spalla:«Capisco.»

E, all'improvviso, un altro pensiero avuto nell'arena si manifestò nei suo ricordi: nessuno avrebbe mai capito la sua situazione, se prima non fosse stato condannato allo stesso suo destino. E si era permesso di correggere chi si sarebbe accusato di ingiuriarlo in un modo simile. Eppure annuì, mentre raccoglieva i suoi applausi ed attendeva l'incoronazione.

Fra i fischi, le grida, tutte quelle frivolezze che la gente avrebbe creduto il suo sostentamento, determinò il tempo delle bugie: non sarebbero mai terminate.

 

Nonostante il regolamento non lo prevedesse, Milton Marvin si trasferì nel Villaggio dei Vincitori e diventò mentore negli Hunger Games successivi, svolti subito dopo il Tour della Vittoria.

Trovò solamente in alcuni suoi colleghi sopravvissuti le persone con cui sfogarsi, a cui raccontare la sua situazione. Erano tutti estranei, che gli sorridevano, ma nonostante questo lo capivano solamente a parole. E grazie ai confronti con gli altri vincitori, Milton riuscì a non affogare.

Un suo piccolo segreto fu una minuscola raccolta di fotografie tenuta sempre con sé, in cui erano raffigurati tutti e ventitré volti dei suoi compagni di sventura. Così, fu sicuro che essi non sarebbero mai stati mai inutili.

Ne fu certo quando, quarantatré anni dopo, la rivolta iniziò ad infuriare a Capitol City.

Ed allora i giochi si conclusero veramente.

 

Spazio autrice

Allora.

Allora, questo è il capitolo conclusivo di “500”, ed io non vi stuferò una volta di più di quanto sia terrificante la presenza di una voragine persino nel mio di cuore. Ovviamente, è minore di quella figurata nel cuore di Milton, ma... è sempre una parte di me.

Inizierò presto con le one shot, che tratteranno più argomenti relativi al passato dei tributi (di cui ho parlato poco nella fan fiction, ma comunque mi affascinavano, e mi sembrava uno spreco lasciare lì), e spero che vi soddisfino, come spero che vi abbia soddisfatto questo capitolo. Spero di non aver dimenticato nessuno (sarebbe veramente umiliante, ma anche ingiusto), soprattutto perché volevo avere uno spazio per tutti all'interno di questo capitolo. Milton non li ha dimenticati, come ho scritto e, credetemi, non sono stati inutili. Grazie mille, ancora, a tutti quanti.

Volevo augurare buone vacanze ed, eventualmente, buoni esami a chi, come me, è in terza media, o deve affrontare la maturità (credo. Ancora non è un argomento che m'interessa). Non siate troppo preoccupati, d'altronde... ci sono giochi peggiori a cui giocare, no?

Devo chiudere. Signore e signori, 500 è arrivata al momento in cui il sipario si chiude, ma non disperate: se un giorno penserete a uno qualunque dei protagonisti di questa storia, saprete che loro sono ancora con voi, e sono grati per non averli scordati. Come me, dopotutto.

Grazie ancora.

E possa la fortuna sempre essere a vostro favore.

 

Bolide

P.S.= 1050 visualizzazioni. Grazie ancora, scusate la mia ripetitività. Ciao, ragazzi.

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Hunger Games / Vai alla pagina dell'autore: Bolide Everdeen