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Autore: gingersnapped    15/06/2015    2 recensioni
“Respira. Quando non respiri, non pensi.”
Le sue parole l’avevano colpito. Quelle stesse parole, pronunciate dalla sua piccola bocca in un giorno assai lontano da quello, ma chiare come se le avesse pronunciate qualche istante prima, risuonavano nella testa di Hiccup. La ricordava ancora davanti a lui, i lunghi riccioli rossi che si muovevano con la lieve brezza del vento, l’arco (il suo arco) in mano, gli occhi acquamarina sorridenti. Sembrava così lontana in quel momento.
Genere: Avventura, Commedia, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hiccup Horrendous Haddock III, Jack Frost, Merida, Rapunzel, Un po' tutti
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’inizio della fine
 
 

Il tempo si fermò, almeno per lui. Posò i grandi occhi verdi su ciò che aveva attorno a sé, non riuscendo a distinguere altro che distruzione e morte. Accanto a lui persone ancora lottavano, chi per difendersi e chi per il piacere di uccidere. Forse c’era ancora qualcuno che lottava per i propri ideali in mezzo a loro ma in quel momento non sarebbe stato in grado di riconoscerlo. Una figura attirò la sua attenzione, tra la massa di persone che conosceva (d’altronde, come non avrebbe potuto riconoscere i suoi stessi concittadini?), che si precipitò a fornire aiuto a chi forse ne meritava di più, ma era difficile scegliere. Tutti, lì, erano vivi oppure morti. E chi era vivo stava per morire.
“Hiccup”, lo richiamò Jack, a primo impatto irriconoscibile con quell’elmo se non dalla voce fin troppo familiare, “dovremmo andarcene.”
“Andarcene, dici?”, chiese il giovane, accennando ad un sorriso. “Non possiamo. È la nostra casa, Jack.”
Jack si tolse l’elmo, gettandoglielo a terra. E nel gesto, il giovane artista riuscì a cogliere una smorfia.
“E allora combatti. Combatti fino alla fine.”
Hiccup guardò attentamente l’elmo ai suoi piedi, poi, con un sinuoso movimento, lo raccolse da terra e lo indossò.
“Per Dunbroch”, disse, facendo roteare la spada.
“Per Dunbroch”, ripeté l’altro alzando la lancia.

 
(Palazzo reale: un giorno prima)



“Madre!”, si lamentò Merida, all’ennesima spazzolata di Elinor. Odiava quelle circostanze, che da piccola aveva ben imparato a riconoscere. Ogni volta che la madre le veniva incontro, abbracciandola e dicendo che aveva buone notizie, significava sempre il contrario: ogni grande occasione per la madre, era una pessima occorrenza per la figlia. Specialmente se questa consisteva nel pettinarle i capelli, da sempre ribelli e selvaggi, i cui riccioli fitti erano intricati di nodi.
“Su, Merida, domani conoscerai il tuo futuro Lord”, la rimproverò la madre, fermando un attimo per quella tortura giusto per mettere una ciocca, sfuggita alla sua complicata acconciatura, al suo posto.
“Io non avrò Lord”, disse la ragazza, usando un tono di voce tagliente. “Né ora, né mai.”
“Fatto sta che ti sposerai lo stesso, ti piaccia o no”, replicò stizzita la regina, ricominciando a pettinare i capelli.
“Non mi piacerà, infatti.”
“Anch’io avevo dei ripensamenti su tuo padre, il giorno delle nozze..”, iniziò a raccontare la madre, cercando di far comprendere alla figlia che il suo matrimonio non era stato così meraviglioso come pensava lei.
“Tu e papà già vi conoscevate. Tu e papà già vi amavate. Non cercare di apparire simile ai miei occhi, risulteresti solo meschina.”
Dopo questa insinuazione, Elinor continuò la sua attività in completo silenzio, interrotto ogni tanto dai lamenti della figlia.
“Chi è?”, chiese poi la ragazza, gli occhi acquamarina privi del fuoco che la caratterizzava. Sembrava spenti, distaccati, come se non appartenessero a lei.
“Verranno molti nobili per sfidarsi e ottenere la tua mano.”
La giovane sbuffò. Ovviamente conosceva la tradizione, sua madre gliel’aveva insegnata quando era ancora troppo piccola per capire o immaginare cosa sarebbe successo, quando giocare con i figli dei servitori era ancora normale.
“E chi può partecipare?”
“Chiunque abbia origini nobili”, rispose Elinor. Fortunatamente si trovava dietro la figlia, non accorgendosi dell’espressione luminosa che le si era dipinta sul volto. Forse aveva un’idea.

 
(Altrove: un giorno prima)



“Grazie per tutto quello che hai fatto per me, ma ora è il momento che me ne vada.”
Rapunzel aveva  le lacrime agli occhi, eppure trovò la forza di sorridere e di abbracciare il suo insegnante, che alle parole della fanciulla, non poteva fare altro che emozionarsi.
“Sei stata un’allieva meravigliosa, la migliore.”
“Grazie di tutto.”
Alla vista dell’abbraccio tra i due, il giovane Aladdin, disteso sul divano intento a mangiare un po’ della frutta del Genio, si rattristò.
“Vuol dire che non verrai più qui?”, chiese, smettendo di mangiare.
Rapunzel sciolse l’abbraccio con l’uomo, si asciugò le lacrime e scosse la testa. “Assolutamente no! Quando finirà la guerra, tornerò a trovarvi”, disse, sedendosi accanto ad Al. “Ho ancora tanto da imparare”, aggiunse, rivolta al Genio.
“E io sarò fiero di insegnarti tutto quello che so.”
Aladdin fece una smorfia, incrociando le gambe. “Ma non devi andare per forza.”
Rapunzel sorrise amaramente. “Tutti i miei amici combattono.”
“Appunto! Lascia combattere loro! Sono certo che ti difenderanno”, disse Aladdin, ricevendo uno sguardo di rimprovero dal Genio che però non si espresse. Anche lui non voleva che Rapunzel si trovasse nel campo di battaglia, era troppo delicata.
“E chi difenderà loro?”, domandò semplicemente lei. Aladdin e il Genio si scambiarono un’occhiata, poi l’abbracciarono contemporaneamente.
“Cerca di ritornare viva”, le augurò Aladdin.
“Cerca di ritornare te stessa”, disse invece Genio.


 
(Palazzo reale: tempo presente)



Merida e Rapunzel correvano senza sosta. Il palazzo, la sua casa –si ritrovò a pensare la rossa-, era piena non solo di stranieri, ma di nemici. Nemici che avevano già catturato sua madre e i suoi fratelli. E proprio questo pensiero le consentiva di camminare, correre, sempre più veloce. Mentre continuava a correre, la principessa si girò: riconobbe suo padre che, con spada e scudo, stava combattendo contro due uomini contemporaneamente –uccidendone proprio in quell’istante uno-, e Stoick, accanto al padre, che gli difendeva le spalle. Questo bastò a rasserenarla, e continuò a correre più veloce insieme a Rapunzel.
“Dove andiamo?”, chiese questa, in procinto di piangere, fermandosi per riprendere fiato. Merida non sapeva cosa risponderle al momento, ma era certa che non sarebbe andate da nessuna parte con niente. Le serviva una spada, e un arco.
“Mi servono delle armi”, rispose, guardandosi furtivamente le spalle. “E possibilmente degli altri abiti.”
Quel vestito vistoso di seta azzurra con i ricami in oro non era certamente il più adatto per una fuga.
Rapunzel annuì, ma rabbrividì vedendo il continuo scontro tra gli uomini di Dunbroch e quella di Drachma. “E dove possiamo prenderli?”
Merida si voltò dietro, come se le fosse balenata l’idea di tornare indietro e prendere le armi nella sua stanza, ma sapeva che era pressoché impossibile tuffarsi in quell’inferno senza venire catturate. E poi..
“Hiccup!”, esclamò, sussurrando appena. Allo sguardo interrogativo di Rapunzel cercò di spiegare: “Hiccup ha una cassa piena di armi, possiamo anche cambiarci lì”, propose. La bionda annuì. Adesso dovevano solo passare dal mercato senza farsi travolgere dalla gente. 

 
 (Campo di addestramento: un giorno prima)



Gobber guardò ad uno ad uno quei ragazzi che nell’arco di qualche mese aveva addestrato. Non l’avrebbe mai detto loro, ma si era affezionato, anche ai più incapaci come Fishlegs, e in quel frangente sperò ardentemente di riuscire ad abbracciare almeno la metà di loro a guerra terminata.
“Allora”, gracchiò, interrompendo quel silenzio che iniziava a essere imbarazzante, “ci siamo. È arrivato il gran momento. Dovete dar prova di voi stessi, dovete proteggere non solo chi amate, ma chi non si può proteggere. Sarete in grado?”
Sarete in grado di uccidere, e di sopravvivere? Il vecchio artista guardò Hiccup, che nel corso di quei mesi era cambiato fisicamente: non era più così tanto mingherlino, era diventato più alto, gli era cresciuta l’ombra della barba e qualche muscolo –non al livello di Snotlout- faceva la sua comparsa plasmando il suo fisico asciutto. Il contrasto con quel ragazzino, troppo piccolo e insieme così testardo, che un giorno di molti anni fa aveva bussato alla sua porta, era evidente, e Gobber non avrebbe potuto essere più fiero.
“Dobbiamo”, disse Aster, proferendo una sentenza. Era la seconda o terza volta in assoluto che Hiccup lo sentiva parlare, eppure disse qualcosa di estremamente vero.
“E lo faremo”, aggiunse Astrid, facendo roteare la sua ascia, guardando con i suoi occhi glaciali ognuno dei presenti, soffermandosi qualche secondo in più su Hiccup e poi passando oltre.
“Spero che a fine guerra il re ci nomini tutti lord”, disse Tuffnut, dando una gomitata affettuosa a Jack che ricambiò con un sorriso stranito. Gobber rise grossolanamente.
“Sono certo che succederà come dici tu!”
Hiccup si voltò a guardare Gobber, con le sopracciglia corrugate: non aveva mai sentito dire dal suo maestro una frase del genere in anni di conoscenza. Che si stesse addolcendo con l’età?
“Davvero?”, chiese infatti Snotlout –anche lui conosceva bene il vecchio artista- “sono molto onorato che tu dica questo..”
“Sono molto bugiardo”, replicò Gobber, rivolgendo uno sguardo complice a Hiccup, che sorrise di rimando. Jack, tra i gemelli Tuffnut e Ruffnut , si mise a ridacchiare, ricevendo un’occhiataccia dalla bionda glaciale.
“Mi raccomando”, disse infine, ritornando estremamente serio, “state uniti, aiutatevi e cercate di non morire.”


 
(Fuori, mercato delle pulci: tempo presente)



“Oh, andiamo Rapunzel!”, cercò di richiamarla Merida, con i nervi a fior di pelle. Erano riuscite miracolosamente ad arrivare al mercato, di lì la strada fino all’abitazione del moro era molto breve, ma la bionda continuava a fermarsi per ogni cadavere che incontrava, convinta che potesse esserci qualcuno che era in grado di salvare.
“Sono tutti morti!”, esclamò Merida, prendendole –non molto garbatamente- il braccio e trascinandola fuori dall’onta. “E moriremo anche noi se resteremo qui.”
“Ma io..”, cercò di replicare Rapunzel, ma la rossa non le diede il tempo.
“Punzie, è più importante prendere quelle armi ora piuttosto di rischiare la nostra vita tentando di salvare persone che non si possono più salvare.”
“Questo non lo sai! Potrebbe esserci qualcuno, lì in mezzo, che ha bisogno di noi!”
Merida respirò a lungo, trattenendosi nell’urlare contro l’amica e farsi individuare dai nemici. “Andiamo a prendere le armi, e poi ti aiuterò io stessa.”
Rapunzel diede un ultimo sguardo alle sue spalle, alla pila dei corpi distesi a terra, chi con gravi ferite e chi con superficiali tagli, accanto alla quale combattevano le guardie cittadine contro gli invasori. E in quel momento, sperò ardentemente che i suoi amici fossero ancora vivi.

 
(“Mi ha salvato”)



Hiccup non aveva mai temuto la morte, non per davvero. Certo, non era uno sciocco desideroso di morire solo per sapere cosa avrebbe provato, ma non temeva la morte. Aveva ben imparato dal padre, in tenera età, che ognuno se ne sarebbe andato quando sarebbe stato il suo tempo, come sua madre. L’unica cosa che poteva fare un uomo, arrivato quel momento, era dire “non oggi” e sperare che la sua richiesta venisse accettata.
Hiccup non aveva mai temuto la morte fino a quel momento. Quando si ritrovò, puntata ai suoi occhi, la lama di una spada, ammise che si trovò completamente impietrito dalla paura, che non gli consentiva nemmeno di respirare. Pertanto, quando pensò, pregò, quel “non oggi” e vide che la sua richiesta fu stata accettata, la sua mente iniziò a pensare che forse esistevano delle forze più grandi dell’uomo. Non ebbe il tempo di reagire, o di realizzare l’intero accaduto: una freccia, velocissima, gli era passata vicino l’orecchio destro tagliandogli qualche capello e colpendo con meticolosa precisione l’occhio sinistro del suo aggressore.
Jack, accorgendosi in quel momento della condizione dell’amico, gli si avvicinò, allontanandolo dal corpo esanime dell’uomo di Drachma.
“Stai bene, Hic?”, gli domandò Jack, ma il moro si voltò immediatamente, cercando l’autore del colpo. E lo vide, o meglio, la vide. Jack, vedendo il comportamento dell’amico, si voltò anche lui, individuando immediatamente due figure estranee a quel paesaggio.
“Mi ha salvato”, sussurrò Hiccup, più a se stesso che a Jack.
“So che non ci credi ma sottile è il confine tra coincidenza e fato”, disse Jack, dirigendosi verso quella fonte di attenzione. Il giovane artista lo seguì, la spada ancora in mano, mentre si avvicinava anche lui a quelle uniche figure amiche presenti. Si soffermò sulla prima, la più vicina, china su un corpo che riconobbe come quella della signora Brot. La conosceva fin troppo bene. Molte volte si erano incontrati lì, in un periodo che qualsiasi altra persona avrebbe definito felice. Hiccup avanzò di qualche passo, inginocchiandosi anche lui sulla signora Brot, e la figura alzò gli occhi verdi. Il moro la ricordava ancora con quei lunghi nastri tra i capelli intrecciati, il vestito svolazzante per il gran vento e il girasole in mano e l’immagine che si presentò davanti non era poi così dissimile, eppure era totalmente diversa. La posa era essenzialmente la stessa: i lunghi capelli dorati erano legati, impedendo al vento di descrivere ampie onde con essi, indossava uno dei suoi soliti abiti graziosi, forse anche più sontuoso del solito ma in mano teneva una garza con la quale cercava di rallentare l’emorragia della panettiera. Agli occhi dell’inventore non sfuggì un solo particolare, nemmeno quel pugnale che teneva non molto nascosto nella borsa –ricordava di averne una simile, anzi, identica- sulla sua spalla sinistra.
“Ciao”, lo salutò lei, un triste sorriso sulle labbra sottili.
“Ciao”, ricambiò lui, tentando di imitarla.
“Sono contenta di vederti”, disse Rapunzel, abbandonando la garza e abbracciando di slancio il moro.
“Odio interrompere questi momenti”, disse la voce roca di Merida, “ma ce ne dobbiamo andare se non vogliamo morire”. Hiccup si staccò dall’amica, posando i suoi occhi su quelli della principessa. Il volto, serio, non lasciava spazio a nessun sorriso, nemmeno di stanchezza o di gentilezza come quelli che riservava Rapunzel in quel momento, e i capelli, stranamente non ricci, sembravano in quel contesto sempre più simili al sangue. Merida sembrava la raffigurazione della perdita di ogni speranza in quel momento, la più cruda realtà.
“E dove?”, chiese Rapunzel, ricominciando a premere la garza sulla ferita.  Jack guardò ad uno ad uno i presenti, poi parlò.
“So dove andare.”

 
(Il grande ballo: il giorno prima)



“Sembro ridicola”, annunciò Merida, guardandosi allo specchio dopo le ore di lavoro della madre. I capelli, i suoi capelli ricci, erano sistemati in onde morbide e raccolti in una semi acconciatura, che lasciava ricadere sul volto due piccole ciocche di capelli, anch’esse magistralmente acconciate in morbidi boccoli. L’abito, rigorosamente di seta, celeste, era fin troppo eccessivo: non bastavano i ricami in oro su tutta la parte superiore e la coda dell’abito, evidentemente sua madre ci teneva talmente tanto a sbarazzarsi di lei da progettare una scollatura posteriore, sotto le scapole fin sopra il bacino, che lasciava intravedere la pelle bianca della fanciulla, macchiata da qualche efelide.
“Sei assolutamente perfetta”, disse invece la madre, aggiustandole qualche dettaglio dell’abito.
“Sì, perfettamente ridicola”, sbuffò lei, insofferente. “Quanto tempo dovrò stare con questo ‘coso’?”
Elinor assottigliò i grandi occhi castani, fingendo di non aver sentito quell’orrore dalla figlia. “Per tutto il tempo necessario”, rispose, lisciandosi il suo di abito, verde smeraldo, più semplice ma non per questo meno regale. Poi, come se si fosse ricordata improvvisamente qualcosa, iniziò a cercare un oggetto nella stanza, trovandolo qualche momento dopo e aggiungendolo alla figlia. Era una corona, piccola e graziosa, che pesava però quanto un lingotto.
“Per le mutande di Odino, pesa un accidente!”, esclamò Merida, appena Elinor gliela mise in testa.
“Merida, modera il linguaggio!”, la rimproverò, assottigliando gli occhi.
“Alquanto pesantuccia, madre”, replicò la figlia, ironicamente, mentre la madre la metteva davanti lo specchio in modo da potersi ammirare. Ma Merida non sembrava convinta: continuava a cercare qualcosa di se stessa in quell’aspetto che non sembrava appartenerle. E lo trovò in un ciuffo ribelle, rimasto riccio, che lei mise davanti in bella mostra.
“Oh, è ora!”, esclamò la madre, mettendole di nuovo quel ciuffo dentro l’acconciatura –gesto che la fece sbuffare-. “E mi raccomando, sorridi”.

Era tutto agghindato magnificamente, questo Merida lo doveva ammettere. Ogni singolo centimetro del palazzo risplendeva e tutti, sudditi inclusi, erano vestiti bene. Pure Maudie, che probabilmente per il nervosismo, continuava a guardarsi attorno. La principessa non attese a sedersi nel suo posto, alla sinistra della madre, in una posizione non molto corretta per, appunto, una persona regale. La madre non perse tempo ad accorgersene e ad indicarle la posizione eretta, sistemandole nuovamente il ciuffo ribelle uscito dalla chioma.
“Oh, Rapunzel!”, esclamò Merida, abbracciando l’amica appena la vide. Indossava un abito lilla, con pochi decori, una scollatura non molto pronunciata che metteva ben in vista una semplice collana. A Merida non sarebbe piaciuto ugualmente indossare quell’abito, ma doveva riconoscere che era meglio del suo.
“Merida!”, ricambiò l’altra, accarezzandole i lunghi capelli ondulati. “Che hai fatto ai capelli?”, chiese, stranita. Come risposta ottenne solo uno sguardo esasperato dalla rossa, che la invitò a sedersi accanto a lei.
“Come è andato il tuo addestramento?”, chiese la principessa, curiosa di sapere cosa avesse fatto Rapunzel durante quel periodo, dato che si erano sentite appena.
“Direi bene”, rispose la bionda, con qualche incertezza. “Ho imparato molto, spero solo che sia sufficiente”, si affrettò a dire. “Tu, invece?”
Merida sorrise, soppesando la risposta, poi decise di fare un resoconto. “Non ho imparato niente di nuovo, riguardo la tecnica. Ho insegnato ad Hiccup come si tiene una spada, ho scoperto durante un combattimento con una compagna di corso che l’ultima cosa che devo fare in un combattimento è distrarmi e.. temo che Macintosh sia uno dei pretendenti per mia mano”.
Rapunzel la ascoltò, rapita, sorridendo. “Sono contenta che hai insegnato ad Hiccup qualcosa. È sempre stato sveglio, ma nelle faccende pratiche un po’ meno”, commentò la fanciulla, sistemandosi una ciocca dietro l’orecchio.
“Hai ragione”, concordò l’altra, sorridendo.
“E adesso che succede?”
“In che senso?”
“Ti sposerai davvero?”, chiese in un sussurro Rapunzel.
“Prima dovranno passare sul mio cadavere”, rispose Merida. “Gareggerò io stessa per ottenere la mia mano.”
“E si può fare?”
“Non mi importa”, disse la rossa, posando lo sguardo sul corteo che stava avanzando davanti a lei. Varie casate sfilavano, non solo quelle dei nobili più antichi di Dunbroch –tra le quali spiccava, come aveva previsto lei, Macintosh- ma anche famiglie nobili di altri regni. Merida li guardò annoiata, ricordandosi di meno della metà dei ragazzi visti, come ad esempio Hercules, un ragazzo che aveva scoperto di essere nobile da poco, Hans –Merida non aveva la più pallida idea di dove venisse-  di cui aveva notato i capelli ugualmente rossi ma molto più scuri dei suoi, e un certo Chang. O Shang. Dopo la sfilata dei pretendenti, un vessillo a Merida sconosciuto emerse. Non ricordava di averne mai visto uno simile, ma pensò in un primo momento di non essere stata molto attenta alle lezioni della madre. Quindi si girò verso la madre, curiosa di sapere di quale casata si trattasse, ma Elinor aveva assunto un’espressione terrorizzata. Confusa, Merida puntò gli occhi su chi portava quel vessillo e riconobbe quella che lei chiamava morte. L’aveva già visto prima d’ora, ed era ancor più terrificante di quanto ricordasse.
“Mor’du”, sussurrò, esalando appena. Sapeva che era l’inizio della fine.

 
(Bagno di fuoco)



Hiccup le camminava accanto. Jack e Rapunzel avevano molto da raccontarsi, parlando a bassa voce, ogni tanto interrompendosi per la voce spezzata . Hiccup invece le camminava accanto in silenzio, vedendo che la principessa sembrava persa nei suoi pensieri, sicuramente rivolti all’invasione di Drachma. Certo, se l’aspettavano, ma come avevano fatto ad entrare nel palazzo senza invadere la tranquillità cittadina? Ricordava molto l’omicidio della prima guardia. Aprì la bocca per parlare, per dire anche la più scontata sciocchezza, ma l’aspetto della rossa lo dissuase. Hiccup era certo che l’abito doveva essere stato meraviglioso, privo delle macchie di fango e sangue, anche se non adatto. I capelli erano l’aspetto che più gli facevano storcere il naso: non erano assolutamente i suoi, e non avrebbero mai potuto cogliere la sua essenza. Guardandola ogni cosa sembrava sbagliata.
“Sono contenta che tu sia ancora vivo”, disse lei, dopo un lungo lasso di tempo.
“Anch’io.”
Lei non rispose subito: si limitò a guardarlo a lungo negli occhi, soffermandosi sull’estremo pallore del moro che non faceva altro che far risaltare gli occhi verdi. Sembrava ardessero come quella volta in cui lei, seduta con la sua famiglia, lo sentì pronunciare quel discorso sul futuro, e sulle capacità dell’uomo di saperlo costruire, intravedendo in quel momento gran parte della passione che l’avevano costretta ad affezionarsi a quel ragazzo. Forse era semplicemente una sua impressione –che tuttavia per l’imbarazzo si costrinse a spostare lo sguardo, fulminea- ma Hiccup era diverso, più grande, più maturo. Si era accorta in quell’istante, guardando Hiccup in quelle sue iridi frondose, rigogliose come una foresta in primavera, che tutto era cambiato, a partire da quel principio di barbetta alla base delle sue mascelle, dalle caviglie perennemente scoperte di Jack, diventato ormai troppo alto, e dalla figura più morbida e formosa della bionda amica. Erano cambiati rimanendo esattamente gli stessi, al contrario di come si sentiva lei. In quel frangente voleva solo abbracciare la sua famiglia ma il pensiero che loro fossero stati catturati e suo padre che combatteva la fecero intristire ancora di più. Era avvenuto tutto così velocemente che ricordava a malapena come si erano svolti i fatti ma l’ultima scena, suo padre che uccideva uno dei soldati di Drachma, era vivida nella sua mente. Si asciugò in fretta quelle lacrime che le erano uscite di sfuggita senza che se ne accorgesse, e si voltò verso Hiccup, che nel frattempo si era avvicinato per darle un appoggio. Quello sguardo -intenso, carico di sentimento- mosse qualcosa in Hiccup, non sapeva bene se fosse il cuore o lo stomaco a fare delle continue capriole in quel momento.
“Cosa intendi fare?”, le chiese, timoroso, vedendo il cambiamento nella ragazza.
“Ucciderò personalmente chi ha dato inizio a tutta questa follia, a partire da Mor’du”, rispose lei, toccando istintivamente l’arco poggiato alle spalle. “Lascerò che le fiamme mi bagnino finché non avrò raggiunto il mio obiettivo. Io sono nata qui e morirò qui. Non ho intenzione di lasciare la mia libertà e quella del mio popolo a dei barbari.”
Hiccup l’ascoltava rapito, fin quando Jack non si fermò ed indicò una piccola abitazione nascosta.
“Siamo arrivati”, disse, aprendo la porta e facendo entrare per prime le due ragazze. Poi, quando fu il turno di Hiccup, lo fermò.
“Sta calando la notte.. qualcuno dovrebbe fare la guardia. La faccio io o tu?”
Hiccup spostò la propria attenzione sull’abitazione, dove vi era una piccola bambina che stava accogliendo le due ragazze, Rapunzel come al solito radiosa mentre Merida esibiva un sorriso di circostanza, evidentemente troppo scossa e concentrata sull’invasione per poter fare altro. Jack aveva ragione, la notte stava calando, e Hiccup si sentiva moralmente in dovere di proteggere il regno, ma di più la principessa. Per quel che l’etica gli urlava al momento, le avrebbe fatto da guardia fino alla propria morte, anche se aveva già consacrato la propria vita all’arte e alla conoscenza.
“Inizio io”, disse Hiccup, rimanendo fuori. 





Mi scuso per il ritardo, ma sono di maturità e l'ansia mi sta assalendo -aiuto, piango la notte e anche il giorno, salvatemi-. E con questo capitolo si entra finalmente nella vera trama della storia (e tendo a sottilineare finalmente perché, per come è strutturata, non siamo neanche ad un quarto). Io vi voglio ringraziare per le letture, ma mi rendereste davvero molto contenta se commentaste, dicendomi cosa cambiare, modificare o migliorare. Un commento non costa niente, è gratis. Spero che per mi dedichiate un minutino della vostra vita per dirmi cosa ne pensiate. Un abbraccio, 
Gianni Morandi gingersnapped
   
 
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