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Autore: Miss Y    16/06/2015    4 recensioni
"- Sarebbero solo dieci giorni, Eli, - si giustificò mentre usciva dall’ascensore prima che lui potesse dire qualsiasi cosa, - considerala una vacanza.
- Eccetto che non è una vacanza, Alicia, stai andando a difendere un serial killer. Come credi che gioverebbe all’immagine di Peter?
Alicia entrò in auto e si sedette, appoggiando il telefono in vivavoce sul cruscotto e abbandonandosi contro il sedile di pelle.
- Perché credi che tutto quello che faccio vada a discapito di Peter? – domandò poi, mal celando una venatura infastidita della voce. – E’ un caso come un altro. Farà guadagnare più visibilità allo studio, e comunque farà più scalpore in Maryland che qui.
- Stai scherzando, spero – l’ironia irritata della voce di Eli era inconfondibile, - cosa pensi che siano nati a fare i tabloid? Peter perderebbe l’appoggio delle famiglie e degli elettori anziani. Nessuno si sente al sicuro con un Governatore di Stato che appoggia gli assassini seriali.
- Non stiamo appoggiando nessuno. Soprattutto non Peter. E’ una mia decisione, non ha niente a che fare con mio marito. Volo a Baltimora domani mattina."
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Alana Bloom, Freddie Lounds, Hannibal Lecter, Will Graham
Note: AU, Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Inizio con il dire che è bello essere tornata a scrivere nella sezione dopo quasi un anno intero di silenzio; e mi fa piacere inaugurare questa nuova stagione di scrittura con una fic particolare che permette di incontrarsi a due dei miei personaggi preferiti di sempre: Hannibal Lecter e Alicia Florrick.
 
Originariamente doveva essere una One Shot, ma prevedibilmente il progetto mi è sfuggito di mano e ho cominciato a scrivere a manetta tirando giù parecchio più materiale del piano originario, per cui mi vedo costretta a pubblicarla a più riprese (se tutto va secondo i piani saranno 3, ma visto che niente va mai secondo i piani con me non assicuro niente a nessuno).
 
Questa fan fiction poco convenzionale è un crossover tra The Good Wife e Hannibal, e pur essendo evidente la predominanza dei personaggi del primo, ho deciso di pubblicarla in questa sezione perché è più attiva e perché, navigandoci già da un po’, ho un po' più di confidenza.
 
E’ in ogni caso completamente accessibile a chiunque non abbia mai guardato The Good Wife: i riferimenti alla trama della serie sono molto pochi, tutto il resto è piuttosto semplice da capire sapendo che TGW è un telefilm che parla, sostanzialmente, di avvocati. Quindi, be’. Va da sé che i personaggi da esso tratti siano, sorprendentemente, avvocati. (pazzesco)
Chiunque si trovi interessato alla serie, in ogni caso, è vivamente invitato ad approfondire la curiosità. Dio ce ne scampi che io crei qualche piccolo fan in erba di The Good Wife… (guardatelo. davvero. vale la pena.)
 
Per chiunque abbia familiarità con The Good Wife e voglia avere a disposizione un inquadramento cronologico, la fic si colloca circa tra la fine della quinta e l’inizio della sesta stagione. Lo studio di riferimento è il Florrick, Agos & Lockhart e Finn Polmar ci lavora più per licenza poetica presa da me che per effettivo canon della trama (ma del resto non è che fosse particolarmente chiaro il collocamento esatto di Finn dopo l’uscita dall’ufficio del Procuratore). Se ci sono incongruenze logistiche mi scuso in anticipo.
 
Chiaramente ho scelto il periodo peggiore per pubblicare questa fic, ovvero il mezzo della terza stagione di Hannibal. Nulla esclude che la prossima settimana esca un episodio che tratta gli stessi esatti temi di questa storia e che smentisca ogni singola frase che ho scritto. Purtroppo non posso farci niente, non ho il controllo sulle menti degli sceneggiatori del telefilm. Non ancora.
 
Grazie per l’attenzione e buona lettura !
 
H x
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
- Studio legale Florrick, Agos & Lockhart, posso esserle d’aiuto?
- Vorrei parlare con la signora Florrick, per cortesia.
- Gliela passo immediatamente. Attenda in linea.
 
- Pronto?
- Salve, signora Florrick. Ho un caso da sottoporre alla sua attenzione.
- Mi dispiace, al momento sono molto occupata e non prendo nuovi clienti, ma sono sicura che parlando con uno dei miei soci…
- La voglio a difesa del mio processo. Ho sentito molto parlare di lei.
- Mi auguro che siano state voci positive. Mi dispiace, ma non posso aiutarla. Posso passarle il mio socio, Cary Agos? E’ un ottimo avvocato.
- Non parlerò con nessun altro. Penso che troverà la mia proposta interessante. Ha mai sentito parlare del caso Chesapeake?
- Posso sapere con chi sto parlando?
- Sono il dottor Hannibal Lecter, signora Florrick.
Silenzio. Lo sguardo di Alicia si sollevò dai documenti che stava compilando. Dall’altro capo giunse una risata bassa, formale.
- Ho catturato la sua attenzione?
 
**
 
- Una vittoria nel caso Chesapeake giocherebbe un ruolo decisivo nell’acquisto di nuovi clienti e investitori sulla costa Est, Alicia. E’ un evento clamoroso, la stampa impazzirebbe.
- E’ un caso perso, Cary! Basta guardare il notiziario, le prove che hanno sono schiaccianti. Come pensi che difendere un assassino cannibale possa aiutare l’immagine dello studio?
- Proprio perché è un caso perso la stampa ci si butterà come una belva. Basta anche solo una piccola vittoria. Nessuno si aspetta niente.
 
Il litigio, dalle tonalità aspre e sottilmente rancorose, avveniva sotto lo sguardo spazientito di Diane Lockhart, appoggiata a braccia incrociate sul petto allo schienale della poltrona di pelle. Passando davanti alla sua porta di vetro, David Lee gettò un’occhiata nell’ufficio.
Cary era in piedi di fianco all’entrata, proteso in avanti, le braccia allungate mentre gesticolava per placare la venatura irata nella propria voce; Alicia era di fianco alla scrivania di Diane, esasperata, il telefono cellulare in mano nella trepidante attesa che Peter la richiamasse per discutere della possibilità che lei si dovesse assentare da Chicago per quasi due settimane.
Assurdo.
Le era sembrato assurdo dal primo momento in cui l’uomo al telefono, la cui voce era sporcata da una forte inflessione germanica, si era presentato.
Hannibal Lecter.
 
- E’ un’idea folle, Cary. Bishop non è già abbastanza? Dobbiamo stare attenti, o passeremo per lo studio che simpatizza con pluriomicidi.  
Cary alzò gli occhi al cielo e contrasse la mascella.
- E’ sempre la stessa storia. Non si tratta di simpatizzare, il lavoro è lavoro. Vincere ci farebbe un’ottima pubblicità.
-  Non ti offendere, ma non mi sembra una mossa intelligente.
- Non si tratta di dimostrare che è innocente, - intervenne Diane osservando Alicia da sopra gli occhiali da vista, - devi solo ottenere uno sconto della pena e fare in modo che non venga condannato a morte.
- E’ un serial killer, Diane. Non un sospetto. Gli sono attribuite decine di omicidi. Come ti aspetti che una qualsiasi giuria consideri uno sconto della pena una buona idea?
- Sai quanto poco mi piace essere d’accordo con Cary, Alicia, ma per una volta, per quanto insolita, in questa circostanza ha ragione.  
- Se vincessimo guadagneremmo abbastanza visibilità da poter aprire uno studio affiliato a Baltimora, in un paio d’anni, - aggiunse Cary, voltandosi dal davanzale della finestra da cui stava osservando la skyline di Chicago, - forse addirittura in pochi mesi.
Diane allungò una mano fino a posarla sul braccio di Alicia, che abbassò lo sguardo per incontrare i suoi occhi.
- Prendilo in considerazione, per favore. Parlane con Peter. E’ la visibilità che ci serve, dopo il brutto colpo che abbiamo subito.  
Alicia ebbe un’esitazione. Si riferiva alla morte di Will.
- E’ un caso complesso – disse infine guardando verso Cary. Il giovane avvocato aveva le mani nelle tasche dei pantaloni del completo e fissava la moquette, la fronte corrugata. Era assorto.
- Qualcuno ti darà una mano, non sarai da sola. Potresti andare tu con lei, Cary. O forse Finn Polmar. Ti manderei David Lee, ma non penso lo vorresti. – le due donne risero, Cary accennò una smorfia divertita. - E Kalinda.
Alicia schiuse le labbra. – Lasceresti Kalinda venire con me a Baltimora?
Diane accennò un sorriso.
- E’ un caso complesso – citò.
Alicia sorrise.
 
**
 
Il dottor Hannibal Lecter, psichiatra forense, in una foto segnaletica.
 
Così diceva la legenda sotto una foto sbiadita sul sito ufficiale dell’FBI. Il viso dello psichiatra non le era nuovo; quella fotografia e un paio d’altre erano state virali in rete e sulla televisione nazionale fino a due mesi prima, al momento della cattura.
Alicia prese un altro sorso di vino rosso e appoggiò il calice sul tavolino da caffè per tornare a concentrarsi sulle pagine Internet che aveva aperto.
Oltre alle ordinarie foto segnaletiche, ora giravano in rete anche un paio di foto del medico in manette, con la divisa arancione dei detenuti. I suoi capelli non erano più tenuti indietro ordinatamente, ma tagliati corti e ingrigiti sulle tempie, e le luci al neon della prigione gettavano chiaroscuri taglienti sotto gli zigomi pronunciati.
L’uomo, 50 anni, nato in Lituania ma naturalizzato americano, un metro e ottantacinque di altezza per ottanta chili, era detto essere responsabile di trentadue delitti efferati.
 
La differenza tra gli assassini ordinari e i killer seriali era spesso che i secondi non apparivano affatto diversi da qualsiasi essere umano. Chi uccide una volta sola ne rimane segnato a vita; la luce folle negli occhi di chi ha dato la morte non può essere spenta. Ciò che metteva angoscia nel volto dei serial killer era che erano perfettamente normali.
Perfettamente abituati alla morte.
Perfettamente mostruosi.
 
Gli occhi del dottor Lecter erano scuri, e nella foto segnaletica della prigione, in cui reggeva davanti a sé il cartellino con il nome, le luci calde e intense facevano brillare le sue iridi castane di una sfumatura rossastra.
Non erano gli occhi di un pentito.
La durezza del suo sguardo incuteva un senso di disagio quasi viscerale anche attraverso lo schermo di un computer.
 
Era un uomo affascinante, si sorprese a pensare Alicia mentre prendeva un altro sorso di vino.
Visto da fuori, sarebbe sembrato a chiunque un professionista serio e competente.
Nessuno aveva mai sospettato del mostro.
 
Nessuno tranne Will Graham.
Alicia aveva trovato il suo nome su diversi siti ufficiali, ma mai collegato a una descrizione del suo ruolo o una sua foto.
L’unico sito in cui c’erano delle sue foto non sembrava particolarmente attendibile. Si trattava di TattleCrime.com, un tabloid scandalistico gestito da una giornalista freelance di nome Freddie Lounds che non pareva farsi scrupoli a pubblicare materiale sensibile alle indagini dell’FBI.
C’era addirittura una foto che violavano la privacy di Will Graham, ragionò Alicia scorrendo tra le pagine che lo riguardavano; una, in particolare, era più sfocata delle altre e lo ritraeva intubato, disteso su un letto d’ospedale, il torace fasciato da bende macchiate di sangue. L’articolo sottostante descriveva le dinamiche dell’aggressione: Hannibal Lecter l’aveva sventrato con un coltello da linoleum la stessa sera in cui aveva tagliato la gola all’agente speciale Crawford, il Capodipartimento di Scienze Comportamentali di Quantico, sopravvissuto per miracolo, defenestrato la dottoressa Alana Bloom, collega e amica, rimasta paralizzata dal collo in giù, e sgozzato una ragazza di diciannove anni, Abigail Hobbs, fino a quel momento creduta morta. La ragazza non era sopravvissuta, gli altri sì.
 
Quella sera il pavimento della cucina di Lecter era coperto da litri di sangue.
Alicia trovò alcune immagini dell’abitazione. Lo psichiatra era evidentemente molto benestante. Del resto non avrebbe potuto pagarsi un processo del genere se non avesse avuto un’ampia disponibilità pecuniaria.
 
Will Graham era stato accusato, quasi un anno prima, dei crimini commessi da Lecter. Aveva subito un regolare processo che però non si era mai concluso a causa della violenta morte del giudice, a opera di Lecter stesso. Alicia rinunciò a cercare altre immagini degli omicidi dopo aver visto una foto del cadavere del giudice: la nausea la assalì e fu costretta a chiudere la pagina.
Graham era un profiler e insegnante all’FBI, aveva una laurea in psicologia e un dottorato in criminal profiling; Alicia non aveva dubbi che l’accusa l’avrebbe chiamato a testimoniare contro l’imputato.
 
Non era un caso semplice, Alicia lo sapeva. Il verdetto sarebbe stato di colpevolezza: le circostanze erano schiaccianti, c’erano testimoni e prove. Non sperava di ottenerne il rilascio, naturalmente, ma forse avrebbe potuto ottenere uno sconto della pena. Non sarebbe stato facile. Uno psichiatra ignoto dell’FBI ne aveva attestato la capacità di intendere e di volere, ma Alicia sapeva di poter lavorare con un discreto margine sulla faccenda dell’infermità mentale. Era l’attenuante più semplice da ottenere in un caso come quello.
 
Ad Alicia non erano mai piaciuti i casi efferati, né difendere colpevoli.
Era per questo che nella maggior parte della sua carriera si era buttata sul civile; il penale l’aveva sempre fatta sentire a disagio con se stessa. Metteva in discussione i suoi valori morali, a volte.
Ma quella volta sentiva una strana carica; era quel caso folle che tutti gli avvocati accettavano prima o poi nella vita.
 
Forse era la crisi di mezza età, pensò Alicia sospirando mentre abbassava lo schermo del laptop e prendeva un altro sorso di vino. Le luci basse del salotto conferivano alla bevanda la stessa sfumatura rossastra degli occhi di Lecter.
 
- Stai bene, mamma?
Alicia si voltò e sorrise a Grace. La ragazza attraversò la stanza e si sedette accanto alla madre sul divano, incrociando le gambe e protendendosi verso di lei.
- Sì, ma sono sfinita – la donna sorrise stancamente.
Grace aggrottò la fronte.
- Hai l'aria trasognata. Sicura che vada tutto bene?
- Non so se accettare un caso. - confessò Alicia riordinando i documenti sul dottor Lecter che aveva stampato in studio.
- Come mai?
- Da una parte mi incuriosisce e mi piace l’idea di mettermi alla prova, ma d’altro canto mi chiedo se sia moralmente accettabile.
- Chi devi difendere?
Alicia scosse la testa.
- Non devo difendere nessuno. Sto decidendo.
Grace sospirò e rise. – Non devi dirmelo per forza. A volte ci vengono date delle opportunità diverse dal solito per un motivo, comunque.
- Vorrei crederci come ci credi tu, Grace.
La ragazza arcuò un angolo della bocca e si grattò il gomito.
- Cosa c’è per cena? – chiese infine, alzandosi per accendere la televisione.
Alicia la seguì con lo sguardo, sorridendo involontariamente. Era fiera di sua figlia.
- Quello che vuoi. Chiama Pizza Hut, possiamo mangiare qualche schifezza per festeggiare.
Grace si voltò, sorpresa.
- Festeggiare cosa?
Alicia sorrise lentamente.
- Accetterò l’incarico. Vado a Baltimora.
 
Grace Florrick emise un gridolino di gioia e corse ad abbracciare sua madre, che ricambiò l’abbraccio quasi rigidamente.
- Sono felice per te.
- Fai la brava. Dirò a Jackie di venire a stare con te per un paio di settimane.
- Un paio di settimane?  - Grace sgranò gli occhi, quindi rise. – Ma hai davvero accettato un incarico o vai in vacanza?
 
Madre e figlia risero mentre il telefono di casa squillava.
- Vai a rispondere, è Zach.
Alicia si alzò dal divano per rispondere alla chiamata di suo figlio maggiore, mentre si rendeva conto che l’ultimo ostacolo sarebbe stato suo marito.
 
E il comitato di suo marito.
Eli Gold.
 
**
 
Quando Eli la richiamò, Alicia si stava preparando per tornare a casa. Entrò in ascensore indossando il cappotto bianco e tenendo il telefono incastrato tra il lato della testa e la spalla.
- Tu cosa?!
Alicia fece una smorfia e allontanò il telefono dall’orecchio prendendolo con la mano libera. C’erano altre due persone nell’ascensore: una segretaria neoassunta, il cui nome era forse Jodie, o Julie, e un avvocato anziano. Entrambi le gettarono un’occhiata incuriosita; Alicia si scusò con uno sguardo esasperato.
- Sarebbero solo dieci giorni, Eli, - si giustificò mentre usciva dall’ascensore prima che lui potesse dire qualsiasi cosa, - considerala una vacanza.
- Eccetto che non è una vacanza, Alicia, stai andando a difendere un serial killer. Come credi che gioverebbe all’immagine di Peter?
Alicia entrò in auto e si sedette, appoggiando il telefono in vivavoce sul cruscotto e abbandonandosi contro il sedile di pelle.
- Perché credi che tutto quello che faccio vada a discapito di Peter? – domandò poi, mal celando una venatura infastidita della voce. – E’ un caso come un altro. Farà guadagnare più visibilità allo studio, e comunque farà più scalpore in Maryland che qui.
- Stai scherzando, spero – l’ironia irritata della voce di Eli era inconfondibile, - cosa pensi che siano nati a fare i tabloid? Peter perderebbe l’appoggio delle famiglie e degli elettori anziani. Nessuno si sente al sicuro con un Governatore di Stato che appoggia gli assassini seriali.
- Non stiamo appoggiando nessuno. Soprattutto non Peter. E’ una mia decisione, non ha niente a che fare con mio marito. Volo a Baltimora domani mattina. E nulla toglie che gli elettori lo vedano come un semplice incarico. Non è detto che… - il tentativo di Alicia giustificarsi fu interrotto dal signor Gold.  
- Hai già dimenticato cosa è successo quando hai difeso Colin Sweeney, Alicia? Avvallerai Peter, me lo sento. Sarò costretto a vendere la casa. Mi dedicherò a coltivare patate. Non so neanche se sia un lavoro!
- Pensi che Peter si sia mai preoccupato della mia carriera? Non è un problema suo, Eli. Non è affatto una cattiva idea.
- No, infatti, è una pessima idea. – fu la risposta lapidaria di Eli.
- Peter non ha mai dovuto rendere conto a me. E nemmeno io a lui.
- Maledetto il giorno in cui mi ha assunto – considerò cupo il signor Gold.
Alicia sorrise tra sé.
- All’inizio non piaceva neanche a me, ma comincia a interessarmi. E’ un caso eccezionalmente complesso e ho bisogno di aria nuova.
- Sembra che cospiriate tutti a rovinarmi la vita – ringhiò Eli dall’altro capo. Alicia accennò un sorriso e accese il motore mentre interrompeva la chiamata.
 
- Sì – rispose tra sé e sé imboccando la statale verso casa.
 
**
 
- Ciao, Alicia. – erano settimane che Alicia non vedeva Kalinda Sharma, l’investigatrice privata dello studio Florrick, Agos & Lockhart che Diane aveva portato con sé dal Lockhart & Gardner quando era diventata socia dello studio di Alicia e Cary.
- Kalinda. – le due donne si abbracciarono.
L’aeroporto era molto affollato; erano quasi le dieci del mattino, e l’aereo per Baltimora sarebbe partito due ore più tardi.
 
Del resto, il Chicago O’Hare era affollato a tutte le ore del giorno.
 
- Ti sei già informata sul caso? – domandò Alicia in tono pratico mentre si dirigevano verso l’area di check-in.
- Non ne ho avuto il tempo, ma ho visto qualcosa per televisione.
 
- Signore – le salutò formalmente Finn Polmar, giungendo dalla direzione opposta. Un sorriso divertito gli illuminava gli occhi azzurri.
- Finn – ricambiò Alicia stringendogli la mano. Lavorare con lui era sempre una scoperta.
 
Finn era l’ultimo essere umano con cui Will Gardner aveva avuto contatti prima di morire nella sparatoria in tribunale quasi un anno prima.
La sua voce, l’ultima che aveva sentito.
Il suo viso, l’ultimo che aveva visto.
 
Alicia se lo ripeteva in continuazione, e inconsciamente era arrivata a chiedersi a che cosa avesse pensato, Will, in quegli ultimi attimi sfocati di vita.
 
- Come stai? – le chiese l’avvocato riscuotendola dai suoi pensieri.
Alicia riemerse dai ricordi come da una vasca di acqua fredda.
- Bene – mentì con un sorriso di circostanza, - tu?
- Bene. – gli occhi di Finn scintillarono.
 
Si fermarono in fila per il check-in e Kalinda si allontanò per qualche minuto per rispondere a una telefonata.
 
- Hai già guardato il caso? – le chiese Finn, riproponendole la stessa domanda di circostanza che lei stessa aveva posto a Kalinda solo pochi minuti prima.
- Sì, non sarà facile. Hai in mente una strategia?
Finn Polmar era più alto di lei di una ventina di centimetri, poco più di Peter. Era molto più di quanto lo era stato Will.
Alicia scosse la testa un attimo prima che il suo silenzio si facesse bizzarro.
- Ho avuto molte cose a cui pensare. Comincerò a guardare i documenti in aereo.
- I documenti faxati dai suoi avvocati. Non è strano?
Alicia era distratta. Seguiva i volti dei passanti, concentrandosi più sui propri pensieri che sulla conversazione. Si sentiva stranamente irrequieta.
- Prego? – chiese dopo un lungo attimo di esitazione, riportando lo sguardo sul viso di Finn. Lui sorrideva, sembrava divertito.
- Dico, non è strano?
- Cosa?
- Che Lecter abbia già degli avvocati, eppure li abbia congedati per chiamare te. Perché proprio te? Se voleva un avvocato esotico avrebbe dovuto cercare un po’ più in là di Chicago. – ridacchiò, e Alicia lo imitò.
- Non lo so. Non me lo sono chiesta. – ammise.
- A me sembra strano. E’ una persona agghiacciante. Mi mette i brividi.
- E’ un cliente come un altro – rispose lei in tono affabile.
- E’ un pericoloso serial killer che stiamo cercando di rimettere in libertà.
- Bentornato, A.S.A. Polmar – scherzò Alicia alludendo al suo passato come assistente del Procuratore James Castro.
Lo sguardo di Finn lampeggiò, a metà tra il serio e l’ironico.
- Non me ne sono mai andato.
 
**
 
L’ultima volta che Alicia era stata in un carcere per fare visita a qualcuno, era stato Peter.
Ricordava, come vecchie fotografie sfocate, le immagini di sé e di suo marito nel momento più duro della loro vita matrimoniale, quando il loro legame era stato sul punto di spezzarsi come una vecchia corda.
Le sarebbe piaciuto pensare che fossero riusciti a superarlo—in verità, se mai c’era stato, quel legame si era logorato da tempo. Peter e Alicia Florrick, la coppia per eccellenza nell’ambiente politico dell’Illinois, non erano che il pallido fantasma di ciò che erano stati un tempo, sorrisi finti nelle fotografie ufficiali che nascondevano profonde crepe in un matrimonio che ormai era solo di facciata.
 
Santa Alicia.
Era così che la chiamavano i tabloid dopo quello che era successo.
Ma Alicia non era una santa.
 
Entrare nel carcere federale di Baltimora risvegliò in lei ricordi che pensava di aver dimenticato, violenti come colpi allo stomaco, e Alicia dovette tenersi al corrimano fissato sulla parete per non fermarsi a respirare profondamente.
 
Accanto al viso serio di Peter, nella mente di Alicia si alternavano i sorrisi sinceri del volto familiare di Will Gardner.
 
Sorrisi che ormai, così come il suo matrimonio con Peter, sarebbero esistiti solo nelle fotografie.
 
Alicia si sforzò di sorridere mentre mostrava i propri documenti alla guardia carceraria e tentò di distrarsi gettandosi attorno occhiate attente; sfilarono tra corridoi semibui e silenziosi fino a fermarsi davanti a una stanza in fondo al corridoio, una delle tante adibite agli incontri tra i detenuti e i loro avvocati.
Lecter era già all’interno, aveva detto la guardia.
La aspettava con trepidanza, aveva aggiunto con un sorriso quasi sarcastico prima di aprire la porta e lasciarla passare; Alicia ringraziò con un cenno educato del capo.
 
La stanza era disadorna; le pareti dipinte di un grigio scrostato rendevano l’ambiente, per quanto ben illuminato, claustrofobico e angosciante. Al centro, un grosso tavolo di ferro.
 
Il detenuto alzò gli occhi su di lei non appena l’avvocato varcò la porta.
Nel suo sguardo ermetico ma vagamente interessato Alicia riconobbe la stessa flemma sicura di sé di Colin Sweeney, l’uxoricida che aveva recentemente difeso, e la sensazione che le diede non le piacque.
Lo psichiatra indossava la tenuta arancione dei detenuti nei carceri federali, e la catenella che teneva insieme le manette era stata fatta passare all’interno di un anello metallico fissato al tavolo, in modo che non potesse alzarsi o fare movimenti bruschi.
 
- Buongiorno, dottor Lecter – salutò pacatamente Alicia avvicinandosi.
- Buongiorno, signora Florrick. Mi dovrà perdonare la maleducazione, ma temo di non potermi alzare e salutarla come si deve.
- Non si preoccupi – lo rassicurò lei in tono volutamente formale mentre si sedeva di fronte a lui e si scostava i capelli dalla fronte. Appoggiò i documenti e il blocco degli appunti sul tavolo e alzò lo sguardo su di lui.
 
I capelli dello psichiatra non erano ordinatamente tenuti indietro come in alcune delle foto che aveva visto, ma tagliati più corti e leggermente spettinati. Nonostante il suo viso fosse perfettamente serio ad Alicia parve irrazionalmente di scorgere una scintilla divertita nel suo sguardo scuro.
Appena seduta aveva controllato automaticamente che la distanza tra di loro non fosse sufficiente perché lui potesse raggiungerla in alcun modo; era un controllo di routine, lo faceva ogni volta che aveva a che fare con un cliente potenzialmente aggressivo, ma in quel momento più che mai le parve essenziale.
 
- Grazie per essere venuta. Spero che il viaggio sia stato agevole. – pronunciò l’uomo spezzando il silenzio che si era creato. Non sembrava a disagio. Nemmeno Alicia lo era. Scelse di ignorare di proposito le sue parole, non tanto per essere scortese quando per evitare di entrare nel personale. Il caporeparto della prigione l’aveva avvisata che lui avrebbe cercato di carpire informazioni private.
- Ora le farò qualche domanda, dottor Lecter. Le chiedo di rispondere nel modo più sincero e diretto che le riesce.
Lui annuì con un breve cenno del capo e della mano destra che sarebbe stato più eloquente se il movimento non fosse stato impedito dalle manette.
- Mentire a lei andrebbe contro i miei stessi interessi, non crede?
- Non è così raro che succeda, ma sono felice che lei la pensi così. Ci faciliterà il lavoro.
- Ha intenzione di chiedermi se sono innocente, signora Florrick?
Alicia sorrise, formale.
- No. Se dovessi chiedere a tutti i miei clienti se sono colpevoli dei fatti di cui sono accusati non farei l’avvocato difensore. Il mio lavoro non è dimostrare che i miei clienti sono innocenti, dottor Lecter, il mio lavoro è dimostrare che non è detto che siano colpevoli. Di solito.
- Dice “di solito” perché questo è un caso eccezionale – dedusse Lecter.
- Penso che lei sia d’accordo quando le dico che non c’è modo in cui io possa istillare nella mente della giuria un ragionevole dubbio sulla sua colpevolezza.
- Sono d’accordo – convenne lo psichiatra. Il suo tono era talmente pacato che ad Alicia parve che non si rendesse conto che stava per andare alla sedia elettrica. Sembrava intento in una calma discussione di politica.
Se l’avesse conosciuto in qualsiasi altro contesto avrebbe detto che era un repubblicano, ma ora non era così sicura che quell’uomo rientrasse in qualsiasi categoria di pensiero.
- C’è una sola cosa che posso tentare di fare: evitarle la pena di morte. – prese un documento e lo girò verso di lui in modo che potesse leggerne le scritte. Lo psichiatra si sporse impercettibilmente. - Ci sono prove schiaccianti che la collegano ad almeno dieci omicidi e tre tentati omicidi; questo basterebbe ad un qualsiasi giudice che non abbia completamente perso il senno per…
Si fermò di scatto, resasi conto digli occhi su di lui per sondare la sua reazione, ma lui si limitò a rispondere con uno sguardo indecifrabile.
- Mi scusi. – disse infine Alicia con lo stesso tono che avrebbe usato in tribunale. Non voleva sembrare realmente dispiaciuta. Un contatto emotivo sarebbe stato inappropriato.
Lui sorrise. Era la prima volta che dava a vedere chiaramente una qualsiasi emozione, ma anziché rassicurarla quel sorriso le parve sinistro e allarmante.
- Si figuri. Vada avanti.
Alicia si fece più attenta e scandì le parole. – Basterebbe a un qualsiasi giudice per giudicarla colpevole e darle la pena capitale. Ci sono troppe aggravanti agli omicidi per sperare nella clemenza della giuria. I suoi precedenti avvocati hanno lasciato qualche idea per il processo?
Il dottor Lecter unì le mani intrecciando le dita.
- I miei precedenti avvocati si sono licenziali. L’ho trovato scortese e poco professionale.
- Capisco. – Alicia esibì un sorriso di circostanza. – Ho un’idea da proporle.
Lecter allargò le mani e la invitò a continuare.
- Ho intenzione di trovarle un’attenuante, e l’unica che a me e al mio collega è parsa plausibile nella sua situazione è quella dell’infermità mentale.
 
Sondò attentamente la reazione di Lecter, che non arrivò. Le parve di vederlo contrarre la mandibola quasi impercettibilmente.
 
- Lei pensa che io non sia in grado di intendere e di volere, signora Florrick? – domandò in tono neutrale, da psicanalista. Il suo approccio asettico ad una questione che lo riguardava tanto personalmente non smetteva di stupire Alicia, che tuttavia mantenne un’espressione indifferente senza difficoltà. Parlare con Lecter non era più difficile che essere intervistata in diretta.
 
- Non importa quello che penso io, - considerò, - importerà quello che penserà la giuria. Lei ha assistito al processo Commonwealth contro Will Graham, dottore?
Lecter annuì brevemente.
- Ho fatto più che assistere. Vi ho partecipato personalmente.
Alicia rifiutò di domandarsi se si stesse riferendo alla testimonianza che aveva fornito o al fatto di aver ucciso il giudice in carica.
- Bene. Vorrei che le fosse chiara la sua situazione. Will Graham era affetto, - Alicia evidenziò in giallo le parole su un documento e voltò il foglio perché Lecter potesse leggere, - da encefalite autoimmune. Dico bene? Patologia che si è aggravata durante i mesi in cui sono stati commessi i crimini di cui era accurato.
 
Lo psichiatra si limitò ad osservarla.
- L’encefalite rientra tra le patologie neurologiche che condizionano la capacità d’intendere e di volere dell’imputato, - spiegò Alicia, - Per questo motivo la linea difensiva di Graham era semplice, e se il processo si fosse concluso con un verdetto di colpevolezza, la dichiarazione da parte del giudice della sua infermità mentale avrebbe evitato a Will Graham la sedia elettrica.
- Purtroppo il processo non si è mai concluso – osservò il detenuto sondando la sua reazione. Alicia gli rivolse uno sguardo indifferente.
- Il suo processo si concluderà, invece, dottor Lecter. E se il verdetto sarà di colpevolezza, come prevedo sia difficile evitare, se non avremo preso adeguate misure le sarà data la pena di morte.
 
Ci fu uno scambio di sguardi. Alicia non abbassò gli occhi finché non fu lui stesso a tornare a concentrarsi sul documento.
 
- Sono sano, signora Florrick. Sono in grado di intendere e di volere.
- Questa è una di quelle cose che non deve assolutamente mai dire in tribunale o davanti all’accusa.
- Non ho nessun interesse che si pensi che non sono in possesso delle mie facoltà mentali.
- Trova più interessante la sedia elettrica?
 
Era una provocazione e Alicia lo sapeva, ma l’aveva pronunciata in tono incolore, con la stessa cadenza inespressiva che usava lui.
Il dottor Lecter la squadrò per qualche secondo. Era chiaro che ormai la loro conversazione si fosse trasformata in un gioco di potere.
 
- Non le sarà facile dimostrare la mia infermità mentale.
- Ma non impossibile, altrimenti non sarei qui. Non abbiamo molto tempo, le chiedo di essere collaborativo. L’udienza preliminare sarà domattina, e l’accusa ha già fissato l’interrogatorio dei loro testimoni per dopodomani pomeriggio, dobbiamo avere già un’idea di chi sono e che cosa diranno contro di lei. Questi nomi le dicono qualcosa?
 
Alicia allungò al detenuto una breve lista di nominativi.
 
- Sì. Hanno interesse a testimoniare contro di me; sono un profiler, un caposezione all'FBI e una psichiatra.
- Will Graham, Jack Crawford e Alana Bloom, dico bene?
- Sì.
- Non le sembra strano che i testimoni chiave dell’accusa siano soltanto due? E’ accusato di trentadue omicidi.
- Non ci sono altri testimoni. Sono morti. – Lo disse in tono rilassato, come se stesse commentando le condizioni meteorologiche.
Alicia ritrasse i documenti.
- Nell’udienza preliminare chiarirò le mie intenzioni per la linea di difesa, quindi quello che i testimoni saranno istruiti a fare sarà dimostrare che lei è perfettamente sano. Lo scopo del mio controinterrogatorio è smentirli e dimostrare che la loro testimonianza non è affidabile; quindi avremo circa cinque giorni di tempo per trovare dei testimoni a favore o uno psichiatra che possa fornire una valutazione psicologica a favore della nostra linea di difesa.
- Intende mentire alla giuria?
- No, dottor Lecter, quello che facciamo non è mentire; è mostrare tutte le sfaccettature della verità.

Lecter sollevò un angolo della bocca.
- Disturbo da stress post traumatico. – disse dopo un lungo attimo di silenzio.  Alicia accennò un sorriso.
- E’ quello a cui abbiamo pensato anche noi. Ci siamo permessi di richiedere alcuni fascicoli su di lei, dottore.
- A mali estremi.
- Sono felice di trovarla d’accordo. Non mi piace usare fatti personali in tribunale, ma la morte di sua sorella è un evento abbastanza traumatico da sottoporla a profondo stress emotivo.
- Non è una difesa solida. Non ci sono testimoni o documenti per provare alcunché.
- Si deve fidare di me e del mio collega, dottor Lecter… troveremo qualcosa.
 
Lo psichiatra alzò lo sguardo su di lei.
 
- Lo so. Non avrei chiamato lei, se avessi avuto dei dubbi.
 
- La nostra priorità in questo momento, dottor Lecter, è screditare i testimoni dell’accusa. E’ in possesso di qualche informazione che possa aiutarci in questo frangente?
 
Lo psichiatra si limitò a scuotere il capo quasi impercettibilmente tenendo lo sguardo fisso su di lei.
 
- Ne è sicuro?
- Sono fiducioso nelle sue capacità, signora Florrick.
 
Alicia trovò la risposta profondamente insoddisfacente, impregnata di un tono ironico che non agevolò la comprensione.
Si limitò ad annuire.
 
**
 
- Trovato niente?
 
Alicia incastrò il telefono tra la spalla e l’orecchio mentre cercava le chiavi della macchina a noleggio nella borsetta nera.
Kalinda sospirò dall’altro capo prima di rispondere.
 
- Sono sulle tracce di una giornalista. Sembra sapere qualcosa di interessante su Will Graham e Alana Bloom.  Si chiama Freddie Lounds.
- Mi ricordo il suo nome. Penso gestisca un tabloid.
- TattleCrime.com, sì. Ho avuto qualche difficoltà a contattarla, le mandato un’email tre ore fa a cui non ha risposto. Ho appena trovato il numero di un suo vecchio datore di lavoro.
- Quanto credi che ci metterai ad ottenere un colloquio con lei?
- Non prima di domani. Si sta facendo tardi ora.
- Pensi che possa esserci utile?
- Non lo so. Vedrò quello che posso fare.
- Grazie, Kalinda.
 
**
 
 
- Tutti in piedi per l’Onorevole Giudice Jeremy Ramsay.
 
Alicia smise immediatamente di parlare con Finn, alla sua destra, e si alzò in piedi. L’A.S.A. incaricato dall’accusa era la punta di diamante dell’Ufficio del Procuratore Frosh, Thomas Olson. Alto, di bell’aspetto, aveva un tipico sorriso americano e un accento del Maryland molto marcato. Ad Alicia ricordò istintivamente Peter; non seppe se fosse un bene o un male.
Il tribunale federale di Baltimora era simile in tutto e per tutto a quello di Chicago, ma molto meno spazioso.
Riportò alla mente quello che Diane e Cary le avevano detto sul giudice nella telefonata della sera prima: repubblicano, sposato da quarant’anni, aveva concluso quasi tutte le cause con un verdetto di colpevolezza. Sarebbe stato un osso duro.
 
Nemmeno la giuria popolare sembrava favorevole. Era composta da cinque uomini e sette donne, tutti bianchi a eccezione di un’afroamericana di trentadue anni, tutti più o meno benestanti, e soprattutto otto su dodici non avevano votato Obama. Il numero di giurati favorevoli alla pena di morte era pericoloso.
 
Hannibal Lecter non era al banco.
Del resto era solo un’udienza preliminare, e il detenuto era stato giudicato troppo pericoloso per trasportarlo fuori dal tribunale per quell’occasione puramente simbolica.
L’accusa avrebbe presentato la lista dei testimoni e le prove. Lei avrebbe soltanto dovuto annunciare di non aver intenzione di patteggiare e chiedere una proroga alla data entro cui presentare i nominativi dei testimoni della difesa.
 
Kalinda aveva cercato ovunque, ma quando l’aveva chiamata, subito prima dell’udienza, aveva ammesso di non aver trovato nessuno. Non che ci fosse molto da testimoniare, in ogni caso.
 
Non c’erano molti spettatori dietro le bancate. Qualche giornalista volenteroso e un paio di curiosi.
La stampa si sarebbe accalcata per gli interrogatori e soprattutto per il verdetto finale.
 
- A.S.A. Olson, A.S.A. Randall, buongiorno. – gli avvocati dell’accusa salutarono il giudice con il cenno del capo.
- Signora Florrick, signor… Polmar. – Ramsay dovette mettere gli occhiali per leggere i loro nomi su un foglio che aveva sul banco, - venite da Chicago, dico bene?
- Sì, Vostro Onore – fu la risposta asciutta di Alicia.
- Lei è la famosa moglie del Governatore Florrick?
Alicia schiuse le labbra, sorpresa; quindi accennò un sorriso di circostanza.
- Famosa, Vostro Onore?
- Ah, ci sono pochi posti negli Stati Uniti in cui Peter Florrick e le sue vicende non sono ben conosciuti – il giudice rise di gusto mentre si sedeva.
 
Alicia e Finn si lanciarono un’occhiata.
Se il giudice conosceva Peter poteva essere un ottimo segno o un pessimo segno. Non c’erano vie di mezzo.
 
- Cerchiamo di sbrigarci. Ho un impegno per pranzo.
- Sì, Vostro Onore, - fu la risposta tempestiva dell’accusa, - chiedo il permesso di avvicinarmi al banco per consegnare la lista dei testimoni dell’accusa.
- Permesso accordato. La difesa ha particolari richieste?
- Sì, Vostro Onore. Vorremmo chiedere una proroga per la consegna della lista dei testimoni della difesa.
- Dipende. Quanti sono i testimoni dell’accusa?
 
L’assistente del procuratore Olson si alzò in piedi per rispondere, indicando con un gesto eloquente del capo la lista che il giudice aveva in mano.
- Due, Vostro Onore.
- Oh, oh, cielo, giusto. Grazie, A.S.A. Olson. Be’, in tal caso confermo l’interrogatorio dei testimoni dell’accusa a domani pomeriggio alle quattro, e fisso un’udienza venerdì perché la difesa abbia il tempo di trovare i propri. Solo perché siete nuovi da queste parti. – l’anziano giudice rivolse uno sguardo indecifrabile ad Alicia, che si chiese come dovesse interpretarlo. Bonario? Sarcastico? Si scambiò un’occhiata perplessa con Finn.
 
- Grazie, Vostro Onore. – rispose infine con il sorriso più formale che le riuscì.
 
- Se gli avvocati non hanno altro da aggiungere, la seduta è tolta e ci aggiorniamo a domani.
 
**
 
- Un buon inizio – azzardò Finn dopo la seconda tequila.
Alicia lo scrutò a lungo prima di scoppiare a ridere e allungare il braccio per chiedere un altro shot al barista.
- Un ottimo inizio, direi. Niente testimoni, niente prove. Non ho mai iniziato un processo meglio di così.
La sua voce era modulata dagli effetti dell’alcol, ma la signora Florrick non era ubriaca: solo piacevolmente brilla. Con Finn si sentiva sufficientemente a proprio agio da permettersi di lasciarsi andare.
- Hai notizie di Kalinda?
Alicia scosse il capo e mandò giù il liquido trasparente d’un fiato, strizzando gli occhi per la fiammata di calore che le lasciò in gola.
- Credo sia fuori città per cercare una giornalista, una certa Freddie Lounds. Spero che trovi qualcosa entro stasera.
- Altrimenti dovremo inventare. Vai così.
 
Alzò la mano perché lei gli desse il cinque, e Alicia acconsentì ridendo.
 
- E’ da tanto che non esco da Chicago per lavoro, - ammise poi tornando seria una volta fissato lo sguardo sulle proprie mani, - almeno tre anni. L’ultima volta è stata a New York.
Anche Finn tornò rapidamente serio.
- Con Will Gardner?
Alicia annuì brevemente, assalita dai ricordi. Il silenzio tra di loro calò per qualche secondo soltanto, poi Alicia gli rivolse un sorriso cordiale.
- Tu? Vai spesso in vacanza?
Finn sorrise e giocherellò con il proprio bicchiere vuoto. I suoi occhi azzurri sembravano dorati sotto la luce calda delle lampade da bar.
- No, non vado spesso in vacanza. Questa è la prima volta in molti anni che esco dall’Illinois, ad essere sincero.
Di nuovo silenzio. Alicia iniziò a domandarsi quanto pericolose si stessero facendo, quelle pause, e soprattutto quanto comunicassero più delle parole.
 
Furono salvati dallo squillare del telefono di Alicia; la donna rispose al primo squillo notando che la telefonata proveniva da Kalinda. Si scusò con un cenno della mano e si alzò dallo sgabello, avvicinandosi all’uscita del locale per sentire meglio.
 
- Kalinda? Non ti sento bene, sono fuori.
- Ciao, Alicia. Ho parlato con Freddie Lounds.
- Con chi?
- Con la giornalista del TattleCrime. Ha delle notizie, - una pausa dall’altro capo, - molto interessanti.
- Davvero?
- Will Graham avrebbe motivo di mentire sul dottor Lecter perché, - altra pausa, - è lungo da spiegare. Possiamo parlarne domani di persona?
Alicia era sorpresa, ma non commentò.
- Certo. Ma perché non stasera all’hotel?
- No, sono… sono fuori città. Torno tardi. Comunque abbiamo notizie a sufficienza per far crollare le loro testimonianze.
- Ottimo lavoro, Kalinda. A domani.
- A domani, Alicia.
 
Tornando al banco, Alicia si guardò intorno sorridendo prima di fare un gesto di vittoria. Finn le gettò un’occhiata divertita.
- Novità positive?
- Molto positive.
- Un’altra tequila? – propose infine l’avvocato sorridendole.
- Un’altra tequila – convenne Alicia scostandosi i capelli dal viso. 
  
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