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Autore: MeikuccH    11/01/2009    3 recensioni
Un pc non piange. Un pc, secondo gli umani, non potrebbe provare sentimenti. Tutto il contrario.
Un pc triste, a lato di una strada. Gli occhi persi nel vuoto. Quella ero io, finché non arrivò lei. “Vieni con me... avrò bisogno di te...”

La storia di tre pc con un potere particolare a contatto con il mondo reale e...con gli umani.
Una piccola fan fiction tutta dedicata alle mie socie, a cui voglio un mondo di bene. LisettaH, Pinky...questa è tutta per voi ^__^ Socie PawaH!
Ogni commento è gradito ^__^
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo - Sorella

Quella che sto per raccontare è la mia storia. Non so il perché di tutto questo. Ma a volte non esiste un perché. Ricordo quando me lo dicesti tu... Meroko.

 

Guardava con curiosità il lungo corridoio che stava percorrendo, illuminato grazie al sole che faceva entrare la sua luce dalle grandi vetrate. Sbirciò all’interno di una classe per assicurarsi che non ci fosse nessuno, quindi vi entrò. Passò dapprima accanto alla grande lavagna scura, immaginando grandi formule scrittevi sopra dall’insegnante durante l’ora di lezione. Si spostò tra i banchi, scegliendone uno che le ispirasse più degli altri; rimase in piedi davanti ad esso, come indecisa se sedersi su quella sedia.

Decise di proseguire il suo viaggio alla scoperta di quel luogo, sicura che presto avrebbe vissuto tante esperienze da ricordare.

 

Soddisfatta, si avviava dunque a passi veloci verso casa, mentre la sua mente era ancora legata indissolubilmente a quell’edificio. Aveva desiderato girarlo fino in fondo, almeno per quanto possibile. Le era piaciuta in particolare quella il piccolo teatro adiacente: passò parecchio tempo ad ammirare gli abiti di scena, resistendo alla curiosità di provarne qualcuno, per poi muoversi verso lo spazio più ampio, e a passi lenti percorse le scale che la portavano più vicina al modesto palco. Le era sembrato un momento magico e, sebbene lo desiderasse, si impose di non proseguire oltre. Salire su quel palco sarebbe stato un segno di vittoria, avrebbe significato essere lì in qualità di alunna di quel liceo.

Immersa nei suoi pensieri, senza volerlo aveva preso la strada più lunga verso casa. Se ne accorse solo quando giunse nel centro della città. Si fermò davanti ad un poster attaccato al muro di un negozio, vicino all’entrata di vetro. Raffigurava l’idol più amata del momento. Ma lei... lei non era una idol come tante. Lei era un pc. Era raro che potessero diventare veramente famosi, poiché gli umani lo consideravano ingiusto. I pc sono creati come vogliono i loro creatori. Gli uomini no.

Ma le eccezioni accadono e lei ne era la prova. Tutti la conoscevano, anche solo il suo nome: Pinky.

Inoltre lei non era un pc come tanti. Quel suo particolare…probabilmente rimase a guardarlo su quel poster per diversi minuti, prima di staccare lo sguardo. Il pc dagli occhi rossi.

Su quel poster c’era scritto che sarebbe stata in città durante i giorni seguenti, per due concerti. Ma sapeva che non ci sarebbe andata: di certo, l’ultima cosa che avrebbe voluto fare era disturbare Meroko con i suoi capricci da bambina.

Sorrise, per poi correre verso casa.

 

Un pc non  piange. Un pc, secondo gli umani, non potrebbe provare sentimenti. Tutto il contrario.

Un pc triste, a lato di una strada. Gli occhi persi nel vuoto. Quella ero io, finché non arrivò lei.

“Vieni con me... avrò bisogno di te...”

 

“Sono a casa, Meroko!”

“Piaciuta la gita?”, chiese in tono ironico. “Ha la ferma convinzione che non dovrei andare a scuola”, pensò Meiko, d’istinto, alla domanda della coinquilina. Sebbene se ne chiedesse ancora il perché, aveva desistito nell’ottenere una risposta dall’altra. Ogni volta era la stessa risposta. “Coloro che sono destinate a comandare su questo mondo sono esentate da qualunque attività scolastica.”

Non capiva bene il motivo di quelle parole, e ci rideva su, decisa a prenderla come una battuta. Ma era decisa a non indagare, per non creare alcun fastidio. Quindi, le sorrideva e annuiva con il capo. Dopotutto, se ora poteva sorridere era merito suo.

“Sì, tutto a posto come sempre!”, disse sporgendosi con la testa nella camera dell’altro pc. Meroko era stesa supina sul letto e accarezzava dolcemente la gatta bianca accanto a lei, mentre lo sguardo era rivolto al nulla. I suoi capelli azzurro tenue risplendevano della luce candida di sempre, come a mostrare una grande attenzione nel curarli. La pelle chiara le dava quel che di angelico che aveva affascinato molti umani; mai però Meroko aveva degnato un umano della propria compagnia. Non per presunzione, ma perché – contrariamente a come poteva sembrare – amava la solitudine. Con disattenzione la chiamò, ma il suo tono sembrava presagire un discorso serio.

“Non voglio che tu vada là”, disse secca, con un tono che non lasciava spazio ad alcuna discussione. Gettò i depliant che riguardavano proprio la scuola da cui veniva in questo momento la moretta, come se la stesse incriminando di qualcosa e quelle fossero le prove.

Solitamente, in questi casi, era proprio così che finiva. Solitamente, appunto.

“Meroko, perché?”, mormorò con tristezza. L’incertezza le toglieva la voce e il coraggio, ma il suo cuore stava urlando. Perché…?

“Non è adatto al tuo ruolo, Meiko.”

Non era la Meroko allegra di sempre, la Meroko che le aveva dato la possibilità di un sorriso. Era tremendamente seria. Ripeté ancora quella frase, la solita. “Coloro che sono destinate a dominare questo mondo sono esentate da qualunque attività scolastica, – smise di accarezzare la gatta, per posare gli occhi fissi sul pc – ricordi?”

“Meroko, io…”

La gatta ora avvicinava il muso al volto del pc, in attesa di altre coccole. Il pc tornò quindi ad accarezzarla, mentre aspettava che l’altra continuasse a parlare.

“Non importa…”

Non è vero che i pc non provano sentimenti. Perché ora la tristezza di quel divieto riempiva quel qualcosa dentro ai pc che poteva definirsi il loro cuore. Se ne andò nell’altra stanza, chiuse la porta e vi si appoggiò sopra, lasciando che i ricordi prendessero ancora una volta possesso della sua memoria informatica… per pensare di avere fatto la cosa giusta.

 

Posò la penna sulla scrivania, per poi alzare il foglio quasi a voler vedere meglio le parole scarabocchiate su di esso. La luce del sole nei suoi ultimi momenti di quella giornata dipingeva di un rosso tenue il foglio leggero su cui la biondina vi aveva scritto con una penna stilografica. Lo esaminò per qualche minuto, orgogliosa del lavoro svolto, quindi sorrise e strinse al petto il pezzo di carta.

“Un nuovo pezzo è fatto!”, disse tra sé. Non c’era cosa che potesse renderla più felice che scrivere le proprie canzoni. “Se faccio in tempo ad arrangiarla, la canterò al prossimo concerto!”

Un misto di ingenuità scorreva attraverso quell’espressione di bambina felice, come una piccola  luce in quella figura che tanto trasmetteva un’aria di mistero.

Strinse leggermente i codini che raccoglievano parte dei capelli biondi, pensando che ora era tempo di svagarsi un momento. Avrebbe dato una nuova occhiata alla canzone prima di presentarla al produttore… più tardi. Canticchiando una delle sue canzoni più famose, si diresse verso l’uscita della stanza, facendo ovviamente attenzione, nell’uscita, a non essere scoperta. “Sembra quasi di essere in gabbia”, pensò, mentre con una rapida corsa, simile a quella di un felino, riuscì nella sua missione. Respirò l’aria fresca, godendosi la vittoria di un’avventura finita forse troppo presto e sorrise soddisfatta. Iniziò a camminare, senza trattenere un brivido di freddo; era strano pensare che quel freddo pungente fosse reale, mentre gli occhi afferravano i colori caldi di quel tramonto.

In pochi minuti raggiunse quello che lei amava chiamare “il suo luogo segreto”, benché in quel posto vi stesse solo da pochi giorni: era un piccolo spiazzo verde che donava una fantastica vista sull’intera cittadina, un posto accessibile soltanto da un passaggio nel bosco difficile da rintracciare. Era lontana dalla città, per una scelta del suo manager. Per proteggerla da giornalisti, o fan. Ma niente di tutto quello avrebbe potuto privarla di vedere la sua città natia almeno da lontano.

Sentiva che quel posto era legato a lei e lei a quel posto.

Iniziò a intonare una melodia nuova, che avrebbe desiderato per la nuova canzone. Era una canzone diversa dalle solite: parlava di un destino sconosciuto, di un legame da scoprire e di un potere difficile da definire.

L’ispirazione venne una notte, in cui fece un sogno strano di cui tuttavia non ricordava nulla eccetto un pc dai capelli azzurri e la pelle chiara, vestito di bianco, come un angelo.

Il filo che unisce l’angelo e il demone, l’intreccio che la Solitudine unisce. Come le fossero venute in mente quelle parole, non lo sapeva.

“Il gioco è finito.” Con aria spavalda, un giovane fissava il pc dai capelli biondi. Il suo sorriso lo rendeva presuntuoso agli occhi degli altri e la luce che sembrava presente nei suoi occhi era un chiaro segno del divertimento che provava a giocare a quella sorta di nascondino.

“Mi hai trovato anche stavolta, eh, Aoi?”, gli rispose lei, voltandosi quel che bastava per sorridergli dolcemente. “Sei bravo.”

“Ti ringrazio”, dichiarò dunque avvicinandosi di qualche passo, fino a raggiungerla. Si piegò dunque sulle ginocchia, accanto a lei e le sorrise a sua volta, senza alcun segno di spavalderia. “Niente trucchi.”

“Allora devi andarne fiero.” Adorava la complicità che aveva con lui, l’unica persona di cui si fidasse davvero. Era il suo manager, ma anche un amico e un confidente. Il fatto che egli fosse un pc era puramente un caso.

Gli sistemò la cravatta nera, come se la cosa avesse importanza in quel frangente. “Ho finito una nuova canzone. La vuoi leggere?” Il tono che la sua voce assumeva quando il suo interlocutore era lui si faceva inspiegabilmente dolce e giocosa.

“Ero venuto a chiamarti per lavorare, ma vedo che non c’è bisogno”, dichiarò lui con un sorriso soddisfatto. Tuttavia, suonava più come una presa in giro. I due, in una tacita complicità, lasciarono passare qualche istante di silenzio e poi scoppiarono a ridere. Così erano insieme, quando non erano la Star e il manager. Lui porse la mano con il palmo rivolto verso l’alto e attese.

“L’ho lasciata in camera, andiamo.” Rivolse un ultimo sguardo al paesaggio, un tacito saluto, un istante per catturarne ancora i colori. Dunque mosse leggeri passi verso il percorso che aveva intrapreso non molto tempo prima.

 

Il cielo iniziava a scurirsi, mentre la luna donava un leggero conforto con il suo candore. Guardava fuori desiderando di raggiungere le stelle, di volare lassù e vedere il mondo che voleva suo.

Aveva fatto bene a rifiutare il desiderio della sua protetta…? Ne era certa, senza ombra di dubbio. Serrò la mano appoggiata sul freddo vetro in un pugno, mentre senza volerlo tutto intorno a lei si stava espandendo una strana luce blu oceano. Avrebbero imparato cos’è il rispetto.

“Meroko, va tutto bene…?”

La voce preoccupata di Meiko la richiamò dai ricordi, con quella dolcezza che solo lei riusciva ad esercitare con successo su di lei. “Sì, non ti preoccupare”, tagliò corto lei.

“È colpa, mia Meroko…?Per quello che ho detto oggi…?”. Incrociò le braccia al petto, stringendosi forte come se avesse paura. Paura di perdere lei. “Non andrò a scuola…”

Meroko le si avvicinò e con delicatezza posò le mani sulle spalle di lei. “Sono felice di sentirtelo dire, Meiko. Ma i miei pensieri non c’entravano affatto con tutto questo.”

Sorrise, così da tranquillizzarla. 

 

Appena sveglia, la mattina seguente, Meiko si trovò a pochi centimetri dagli occhi un pezzo di carta di un azzurro tenue. Lo prese, mentre ancora la mano di Meroko lo teneva saldo e lo ammirò per qualche minuto. Non aveva bisogno di tutto quel tempo, ovviamente; non era il sonno a impedire alla sua mente di capire. Ma amava sentirsi umana, e dormire la notte la faceva star bene. Per lo più era finzione, qualche volta funzionava come un caricatore di batteria.

“Questo…cos’è?” Incredula, si portò davanti agli occhi più e più volte il rettangolare pezzo di carta, per poi farlo girare in senso orario, come se in questo modo le lettere impresse cambiassero.

“Un biglietto per il concerto. Quella Pinky è…la tua missione, definiamola in questo modo.” Meroko si sistemò i capelli che disordinatamente ricadevano sul suo petto di modo da farli cadere sulla schiena, mentre la sua attenzione era rivolta ad un cielo blu che avrebbe potuto rapire chiunque. Ma non lei, non in quel momento. Tutto quello che pensava era il futuro, determinato da quello che sarebbe successo quella sera stessa al concerto. Era sicura del successo del suo piano, ma non poteva davvero immaginare il resto. Era emozionata all’idea, ma sapeva nasconderlo bene.

L’espressione sul volto di Meiko si fece seria, poi fece un cenno con la testa. “Ho capito. Cosa devo fare?”

“Vai e divertiti, mia piccola Meiko”, disse dunque avvicinandosi alla giovane interlocutrice, avvicinando il viso tanto da lasciare qualche centimetro di distanza. Il sorriso sicuro di sé faceva trasparire un che di sincero. “Non preoccuparti di nulla, perché sarà come se io fossi con te.”

La giovane non capì il significato di quelle parole, ma sorrise. “Allora continua a fidarti di me, e vedrai che sarò capace di renderti fiera del mio lavoro.”

 

Si sentì un po’ a disagio tra quelle persone, mentre cantavano a squarciagola il primo pezzo della cantante. Meiko, circondata da una folla forse fin troppo numerosa perché ci si abituasse con facilità, continuava a seguire in silenzio lo spettacolo; si lasciava cullare dalle note e dalla voce melodiosa di Pinky. Aveva sentito solo una sua canzone, e sperava davvero si sentirla di nuovo in quella occasione.

Non fu difficile per la moretta memorizzare i ritornelli di tutte le altre canzoni a lei sconosciute, e alla terza canzone decise che, alla prossima, si sarebbe unita al coro di fan scatenati. Si stava divertendo, divertendo davvero, e doveva ringraziare Meroko per questo.

Le sembrava di fare parte di un mondo a se stante, fatto di luci colorate un po’ bizzarre e mai nello stesso posto, senza dare importanza a qualcuno in particolare, mentre la mente sapeva che c’era una voce sopra tutte, un’importanza sopra le altre. Un mondo dove solo quella musica esisteva e ti rendeva prigioniera di essa, o forse ti proteggeva. L’altro pc, la bionda cantante, sfavillava tra quella luce e Meiko non riusciva a fare altro che guardarla, nei rari momenti in cui non chiudeva gli occhi per lasciare che la melodia avesse pieno controllo su di lei.

Con estrema sorpresa, notò che la nuova canzone cominciò con lievi note tristi, ma allo stesso tempo intrise di dolcezza, cambiando l’atmosfera di quel concerto. Era la canzone che aspettava.

Vide Pinky sorridere dolcemente, mentre un pizzico di imbarazzo comparve  nei suoi occhi; volse lo sguardo a terra, per qualche istante, così da cercare di ritrovare il suo fare spigliato. Tutti i presenti lasciarono all’idol la prima parola, per poi accompagnarla subito dopo.

Meiko si lasciò trasportare, e la sua voce fu libera, insieme a tutte le altre. Tuttavia, nel suo canto c’era una strana eco, simile al canto di una sirena in fondo al mare. Non dipendeva dal fatto che anche lei, come Pinky, fosse un pc…ma dalla particolare sintonia che aveva legato le due.

Tutti si zittirono all’istante per sentire la nuova voce che ora vibrava nell’intero spazio, la moretta al centro dell’attenzione. Pinky sorrise e continuò a cantare, con lei, per evitare che l’evidente imbarazzo della sconosciuta le impedisse di continuare. Le sorrise dolcemente. La folla fece spazio, come se la regina stessa dovesse passare. Pensavano che Pinky passasse. Invece, incalzando in quella melodia sempre più sua, Meiko aveva allungato la mano verso la cantante lontana e, con passi che non sembravano che sfiorare il terreno, poco dopo, le si mosse incontro.

La stessa bionda ora, piegata sulle ginocchia, tendeva la mano in attesa del delicato contatto delle loro dita, nell’impazienza di pochi secondi.

 

“Ti ho trovata, Sorella.”

  
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