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Autore: riccardoIII    16/06/2015    2 recensioni
"Solo dopo qualche istante in cui i suoi timpani furono lacerati dallo strazio di quella belva ferita si rese conto che l’urlo era dentro di lui, che era lui la belva ferita che gridava la sua angoscia, che le sue labbra erano spalancate e la mano che stava sulla sua spalla si era ritirata di scatto."
La morte di Sirius vissuta da Remus, e uno squarcio sulla loro amicizia.
I personaggi appartengono a J.K. Rowling; scrivo senza scopo di lucro.
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Harry Potter, Ordine della Fenice, Remus Lupin, Sirius Black
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
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Si accasciò lungo la parete di pietra, portò le mani tra i capelli e tirò fin quasi a strapparli, gli occhi serrati e i denti che stridevano gli uni contro gli altri.
 
Non riusciva a pensare a nulla, sentiva solo un fuoco bruciare e consumare il suo corpo dell’interno, lentamente, per prolungare l’agonia.
 
Dietro le palpebre chiuse si spegnevano miliardi di scintille argentate, piccole stelle che esplodevano, e questo non faceva che accelerare ancor di più i battiti del suo cuore; l’esplosione di stelle non era decisamente un argomento che si sentiva in grado di trattare in quel momento.
 
Le fiamme divampavano nel suo petto e tuttavia il loro scoppiettare non copriva i rumori che lo attorniavano: sentiva lo scalpiccio di numerosi piedi che si muovevano lì intorno, voci che si accavallavano, gente che lo chiamava, lo raggiungeva, gli parlava, gli posava una mano sulla spalla, eppure non reagì. Lasciò che il fuoco riducesse in cenere quel poco che era rimasto di lui tacendo, il fiato mozzo in gola, i denti digrignati come quelli di un cane rabbioso e le unghie che graffiavano il cuoio capelluto.
 
Un urlo esplose attorno a lui, atroce, pieno di dolore sordo e disperazione. Per un attimo una parte del suo cervello si chiese chi potesse soffrire tanto in quel momento, tanto quanto lui; solo dopo qualche istante in cui i suoi timpani furono lacerati dallo strazio di quella belva ferita si rese conto che l’urlo era dentro di lui, che era lui la belva ferita che gridava la sua angoscia, che le sue labbra erano spalancate e la mano che stava sulla sua spalla si era ritratta di scatto.
 
Non smise: urlò e urlò sempre più forte nella speranza di riuscire a sentirsi meglio, ma il dolore non si placò nel suo petto e nella sua testa e le lacrime presero a scendere sulle sue guance fino a entrare, salate e amare, nella sua bocca spalancata.
 
Il grido si trasformò in singhiozzo, prese a graffiarsi le braccia e per la prima volta nella sua vita sperò che la luna piena sorgesse, sperò di trasformarsi in un mostro assetato di sangue e di mordersi, di ferirsi, di squarciarsi il cuore perché il dolore fisico scacciasse quel fuoco.
 
Per la seconda volta nella sua miserabile vita sperò realmente di morire.
 
-Remus-
 
Una voce calma, pacata e profonda. Due mani più calde delle precedenti che si posarono sulle sue braccia, cercando di disincagliare le unghie dalla sua stessa carne.
 
-Vattene-
 
Un mormorio freddo, distante, uscì dalle sue labbra. Non aveva alcuna inflessione, niente rabbia, rancore o dolore; era la voce di un morto.
 
-Remus, alzati. Dobbiamo andarcene, devi essere curato. Quelli del Ministero stanno arrivando-
 
-Vattene-
 
Le stesse sillabe, lo stesso tono. Non riusciva a pensare, non riusciva a farsi del male, non riusciva a fare altro che lasciarsi sommergere dal dolore atroce. Le mani posate sulle sue braccia rafforzarono la presa, tentarono di sollevarlo di peso e lui si oppose.
 
-Ti scongiuro. Ti supplico, va’ via. Lasciami in pace-
 
Questa volta le parole che lasciarono le sue labbra martoriate erano piene. Piene della sua disperazione. Questo dovette sortire qualche effetto, perché l’uomo si allontanò da lui.
 
 
 
È freddo. Ormai l’autunno è cominciato e nelle Highlands il vento gelido si insinua sotto i suoi vestiti, già di per sé non troppo pesanti. Si infila nel primo pub che vede lungo la via, The Golden Hyppogriff, e subito il tepore lo avvolge; il locale è praticamente del tutto vuoto nonostante sia un giorno di festa, l’ora è tarda e gli avventori scarseggiano anche in posti molto più frequentati di quello di quei tempi, così si avvicina al bancone per ordinare una Burrobirra con cannella, porge il denaro all’oste e poi si dirige col suo boccale verso il tavolo vuoto accanto al caminetto in cui scoppiettano alte fiamme. Si accascia sulla sedia scompagnata più prossima al fuoco e prende un sorso del liquido caldo, pensando a cosa staranno mai facendo i suoi amici a Casa. “Casa è dove si trova il cuore”, gli dice sempre Lily, ed è lì che lui ha lasciato il suo.
 
Si chiede da cosa James abbia insistito per travestire Harry quella sera ma lanciando uno sguardo all’orologio si rende conto che ormai il piccolo sarà già a letto da un bel po’ di ore. Probabilmente Sirius è stato con loro per Halloween, a giocare con Harry rincorrendolo in forma canina; chissà perché quel pensiero gli pungola sgradevolmente lo stomaco. È forse invidia, quella?
 
Un sorriso amaro sforma le sue labbra e prende un altro sorso di bibita per scacciare il fastidio che lo rende un uomo peggiore di quello che vorrebbe essere. Mentre posa il boccale sul piano desolatamente spoglio e vecchio di fronte a lui coglie uno stralcio di conversazione del tavolo accanto e non fa in tempo a posare il bicchiere.
 
-… Sì, ti dico che è vero! Un paio d’ore fa la testa di Will è comparsa nel mio caminetto e me l’ha detto! Dice, “Non potevo aspettare che il gufo ti raggiungesse, è troppo importante, è una notizia sconvolgente!”, e poi attacca a raccontare una storia assurda, così quando sparisce scendo qui al pub e chiedo un po’ in giro, e pare proprio che non sia l’unica ad avere questa versione della storia!-
 
-Ma andiamo, Beth, come credi che sia possibile? Perché mai Lui avrebbe dovuto attaccare due ragazzini? Cioè, non che si sia mai fatto scrupoli, però perché andare di persona a far fuori una coppietta di vent’anni appena? Senza nemmeno lanciare il Marchio, poi! E la storia del bambinetto che piangeva tra le macerie, sul serio, è assurda! Un neonato che scampa alla Sua bacchetta?-
 
Il sangue si gela, l’orecchio si tende, il boccale cozza rudemente col lurido tavolo di legno su cui qualcuno ha inciso parole scurrili e iniziali di nomi dimenticati.
 
-John, ti dico che Will dice la verità! Suo fratello lavora al Ministero, fa parte degli Obliviatori, e Will era a cena a casa sua per Halloween quando è stato richiamato al lavoro per un’urgenza! Il messaggio diceva che c’era stata un’esplosione a Godric’s Hollow e che tutti gli Obliviatori e gli Auror disponibili dovevano immediatamente recarsi lì! Prima di sparire Kevin, il fratello di Will, si capisce, ha fatto promettere a Will e a sua moglie di barricarsi in casa e quando è ritornato qualche ora dopo gli ha raccontato, facendogli giurare di mantenere il massimo riserbo, che i due giovani erano morti stecchiti, probabilmente freddati con la Maledizione che Uccide, sotto cumuli di macerie della loro stessa casa e che Hagrid si era portato via il piccolo che frignava senza nemmeno aspettare gli ordini del Ministero. Pare che nella faccenda c’entrasse un certo Black, che a quanto dice Will era a Hogwarts al primo anno quando lui era all’ultimo, e dice pure che girava sempre con il giovane finito ammazzato!-
 
La mente si svuota, le mani tremano e stringono spasmodicamente il bicchiere ancora mezzo pieno, facendo oscillare il liquido all’interno; l’intero corpo si paralizza e la paura attanaglia lo stomaco in una morsa di ghiaccio.
 
-… E ovviamente per Will “Massimo riserbo” significa venirlo a raccontare a te, che sei venuta a spiattellarlo per tutto l’Hyppogriff!-
 
-Domani sarà tutto scritto sulla Gazzetta, che senso aveva aspettare? E, in più, pare che di Lui non ci sia traccia!-
 
-Oh, andiamo, Beth! Quando mai Lui lascia tracce? Pensavi sarebbe rimasto ad aspettare che tutto il Ministero arrivasse e si costituisse?-
 
-Però non c’era il Marchio! Quando mai dopo un Loro attacco non c’è il Marchio? E, come dicevi tu, perché non ha mandato i Mangiamorte e c’è andato di persona?-
 
-Via, non sappiamo nemmeno se tutto questo è vero! Non c’era nessuno, come fai a stabilire che fosse Lui?-
 
-Beh, ovviamente gli Obliviatori hanno interrogato tutti i Babbani prima di modificargli la memoria e pare che un bambino che faceva “dolcetto o scherzetto”, sai quella cosa che fanno i bambini babbani per Halloween, l’abbia identificato!-
 
-Ma magari era solo qualcuno mascherato!-
 
-E la vecchia Bath, allora? Abita proprio lì accanto, sembra stia tutto il tempo a guardare fuori dalla finestra e farsi i fatti degli altri, ma non ha visto nessuno! Pensi che uno stuolo di Mangiamorte sarebbe passato inosservato?-
 
-Penso che tu sia solo ridicolmente ottimista! Non puoi credere sul serio che sia tutto finito, una guerra che dura da dieci anni, solo perché un bambino di un anno è sopravvissuto in una casa in cui tutti sono stati assassinati e l’omicidio non è stato rivendicato da nessuno!-
 
Si alza in piedi di scatto, d’istinto, facendo sobbalzare il vecchio mago e la strega di mezz’età che ancora confabulano dietro di lui e si scaraventa fuori dal locale dove, senza curarsi minimamente di essere in mezzo alla strada dove tutti possono vederlo, si Smaterializza.
 
Riappare in mezzo a un’altra strada, lontano miglia e miglia da quel paesello delle Highlands, col cuore in gola per il terrore; quello che vede lo fa crollare in ginocchio.
 
La casa è distrutta. La parte destra del piano superiore è crollata, là dove lui sa che c’era la camera di Harry. Tutto attorno, nonostante ormai sia l’alba, la gente si accalca per sbirciare mentre impiegati del Ministero tentano di arginare i curiosi. Qualche uomo in divisa entra ed esce da quella che era stata Casa e due barelle emergono dalla porta d’ingresso, coperte da teli neri; devono essere riusciti a tirarli fuori dai detriti solo allora.
 
Un urlo disumano squarcia il cielo proprio quando i primi raggi del sole spuntano all’orizzonte e Remus, le mani nei capelli e le lacrime sul viso, implora chiunque ci sia lassù di così perfido da aver permesso la morte di James e Lily di prendersi anche lui, di farlo morire lì, subito. Ma non viene ascoltato.
 
 
 
L’effetto dell’angoscia fu simile a quello dei Dissennatori, riportando alla memoria il ricordo di uno dei momenti peggiori della sua vita (si contendeva il primato con il giorno in cui era stato morso, ma allora era stato troppo piccolo e ormai non ricordava altro se non puzzo di sangue e sudore, bagliore di denti nel buio e terrore e dolore). Le lacrime continuarono a correre sul suo viso straziato e segnato, le unghie continuarono a scendere in profondità nella carne delle braccia già costellate delle cicatrici e, mentre passi pesanti, squilibrati, disarmonici si avvicinavano, si abbandonò ancora una volta alla disperazione.
 
 
 
Il vagone è al buio. Tre ragazzi si chiedono cosa stia succedendo, e nell’oscurità non si scorge nulla dei loro profili. La porta si apre di botto e lui estrae la bacchetta, pronto a fronteggiare la minaccia, eppure dalla statura delle due sagome indistinguibili quelli che sta tenendo sotto tiro non possono che essere allievi della scuola. Gli si stringe il cuore quando capisce che uno dei nuovi arrivati si chiamava Neville, e una morsa costringe i suoi polmoni a emettere tutta l’aria incamerata quando viene pronunciato un altro nome. I due neo occupanti dello scompartimento tentano di avere informazioni sull’accaduto dai loro compagni e al contempo cercano di sedersi senza calpestare nessuno ma il trambusto che producono impedisce a Remus di capire cosa stia accadendo e così, senza nemmeno pensarci, prende il comando della situazione intimando il silenzio.
 
È strano vedere come tutti gli obbediscano istantaneamente, sembra che come professore riuscirà a farsi rispettare molto più che come prefetto. Accende delle fiammelle e reggendole in una mano si fa spazio tra gli studenti scossi, ben attento a non guardarli in faccia; non è ancora pronto a scoprire chi sia stato suo compagno di viaggio quel giorno. Mentre si avvicina alla porta dello scompartimento però questa si apre di nuovo, stavolta su un’alta figura fluttuante e ammantata di nero.
 
Un gelo terribile cala su di loro e l’essere nasconde la mano putrida sotto i lembi del mantello. La mente di Remus si riempie di ricordi che gli mangiano l’anima e tuttavia si sforza di restare lucido; vede uno dei ragazzi, un ragazzo con capelli ricci e neri parecchio disordinati, scivolare dal sedile e cadere a terra e qualcosa si accende nel suo cervello e nel suo cuore, qualcosa che credeva perso per sempre. Il professore leva la bacchetta, scavalca il giovane che si contorce sulla moquette lisa del vagone e, dopo aver rivolto un paio di parole all’essere che comunque non accenna ad andare via (per la prima volta dopo molto tempo usa il Suo nome), pronuncia l’incantesimo pensando al calore che l’aveva avvolto il giorno in cui i suoi migliori amici gli avevano messo in braccio un fagotto verde da cui spuntavano già un sacco di capelli neri, dimostrando ancora una volta quanto tenessero a lui. Un lupo argenteo scaturisce dalla sua bacchetta e si avventa contro il Dissennatore, che scompare dall’uscio con rapidità ma senza riprendersi quell’aria fredda e mortifera che continua ad aleggiare loro attorno.
 
Le torce si riaccendono a un pigro movimento della bacchetta del professore; ancor prima che lui si volti per controllare lo stato di salute dei suoi alunni, la preoccupazione e l’ansia che lo investono a ondate, due degli occupanti dello scompartimento sono già chini sul ragazzo a terra che ancora non smette di contorcersi, mentre il treno comincia nuovamente a muoversi. Lo chiamano per nome, un nome doloroso, e quando finalmente Remus riesce a guardarlo quello che vede è il suo vecchio amico, è James in ogni sfumatura (a parte forse il naso leggermente più corto e gli occhi dal taglio un po’ diverso), e lui non si sente in grado di reagire. Aveva saputo per tutto il viaggio di non essere pronto, di non poter fronteggiare il suo passato, e ora quello si impone di prepotenza alla sua presenza senza che lui possa ancora chiudere gli occhi, assumendo la forma di un tredicenne magro e smunto, vestito di abiti troppo grandi e vecchi per lui, con un paio di occhiali tondi poggiati storti sul naso e i ricci neri ribelli. Non ha bisogno che i suoi amici continuino a gridare il suo nome per sapere chi sia con una certezza che sa molto di istinto prepotente, non ha bisogno di guardare sotto la sua frangia per cercare una cicatrice sulla sua fronte e non ha bisogno di guardare i suoi occhi aprirsi per sapere che sono verdi e brillanti come quelli di Lily. Quello sdraiato davanti a lui, con le palpebre ancora leggermente calate e un’aria spaesata e terrorizzata insieme sul volto, è Harry Potter. E si sente morire quando Harry passa lo sguardo su di lui senza riconoscerlo, senza sapere chi sia. Aveva stretto tra le braccia quel ragazzo qualche ora dopo la sua nascita, gli aveva cambiato i pannolini, lo aveva visto gattonare e l’aveva sentito pronunciare per la prima volta la parola “Mo-ony” vedendolo entrare nella camera e slanciandosi con entusiasmo verso di lui, cadendo al terzo passo traballante, sotto gli occhi commossi e orgogliosi di James. E ora, ora Harry lo sta guardando di nuovo dopo dodici anni e non sa più chi sia.
 
Era preparato forse al dolore che si sarebbe scatenato riaprendo le ferite del suo passato ma non è preparato a quello. A essere uno sconosciuto. A essere il professor Lupin, freddo e distaccato, quando dovrebbe essere parte integrante della vita di quel giovane uomo.
 
Una lama di ghiaccio ben più potente del freddo dei Dissennatori gli trafigge il petto brutalmente e annaspa alla ricerca d’aria. Distoglie lo sguardo dal ragazzo che, confuso, cerca ancora risposte negli occhi dei suoi amici, cerca di capire chi ha urlato. E, spezzando del cioccolato appena raccattato dalla tasca del suo abito logoro con più forza di quanta non sia necessaria, si chiede se le urla che Harry ha appena riascoltato, probabilmente memoria inconscia di un bambino di un anno, siano di suo padre o di sua madre. Di James o di Lily.
 
Distribuisce pezzi di cioccolato agli occupanti dello scompartimento insieme alle risposte per le domande che Harry pone sull’Essere appena uscito, e intima ai ragazzi di mangiarlo. È una vecchia tecnica, quella di usare il cioccolato contro la disperazione; anche i Babbani conoscono gli influssi benefici di quella sostanza meravigliosa. Esce dallo scompartimento con la scusa di parlare col macchinista, in realtà per controllare che nel treno sia tornata la calma e per spedire un gufo a Hogwarts. Silente deve essere informato.
 
Ma soprattutto lui deve chiudersi in bagno e versare le lacrime che ha trattenuto fin da quando ha visto un ragazzino magro e con capelli ricci e neri accasciarsi davanti a lui, soggiogato dal potere del Dissennatore. I Dissennatori rievocano i momenti peggiori della nostra vita, e quel ragazzo ha visto morire i suoi genitori. Oggi ha probabilmente riascoltato le loro voci. E lui non è stato in grado di proteggerlo, proprio come non aveva protetto loro, proprio come non riesce a proteggere se stesso.
 
 
 
Le lacrime avevano smesso di scendere, gli occhi erano asciutti e lui non sapeva come tirarsi fuori da quel baratro. L’aveva odiato, aveva desiderato ucciderlo sopra ogni altra cosa per dodici anni, aveva smesso di pronunciare il suo nome cercando di tenerlo lontano da sé, fallendo; eppure aveva comunque desiderato vederlo morire, più di quanto non abbia mai desiderato di morire lui stesso, almeno fino a quel giorno. E ora era solo, di nuovo, ancora, con pesi e pesi troppo grandi che continuavano ad accumularsi sulle sue spalle. E lui era così stanco, cosi stanco di dover vivere…
 
-Lupin. In piedi, andiamo via di qui-
 
-Non sono in vena di conversazioni, Alastor. Vattene e lasciami in pace-
 
-Non lascio da soli i miei uomini, non farò un’eccezione per te. Abbiamo bisogno di cure, di verificare i danni, dobbiamo pianificare una scusa credibile e decidere come agire d’ora in poi…-
 
-LASCIAMI IN PACE, MOODY! VATTENE VIA E LASCIAMI IN PACE, PER MORGANA! –
 
La furia era sbottata, alla fine, e sapeva fin troppo bene che nei suoi occhi ora c’era la bestia, il Lupo.
 
Perché non potevano semplicemente andarsene, tutti, e lasciarlo morire lì, dove era morto lui, dove il dolore atroce l’aveva sommerso… Non sarebbe riuscito ad alzarsi, non questa volta... Non aveva le forze per combattere ancora…
 
 
 
Sta schiaffeggiando Harry. Lui è lungo disteso sul freddo pavimento della stanza, si sta contorcendo. Ancora una volta non è riuscito a evocare il Patronus, e Remus si chiede se non lo faccia per riascoltare la voce di sua madre di nuovo.
 
Il ragazzo ammette di aver sentito suo padre questa volta e lui incautamente nomina James, tradendosi. Si giustifica con una mezza verità, confessando che cono stati amici a scuola ma non ammettendo quanto amici fossero. Dice a Harry che è meglio smetterla, che è stanco, che l’incantesimo è troppo difficile però lui lo blocca; afferma di voler riprovare, che deve farcela, e in quel momento gli ricorda così tanto suo padre da non riuscire proprio a dissuaderlo.
 
Apre di nuovo la cassa e il Molliccio-Dissennatore sbuca fuori, però questa volta il ragazzo è pronto. Pronuncia l’incantesimo e dalla sua bacchetta fuoriesce vapore argenteo che pian piano si condensa in una forma non del tutto definita ma sicuramente imponente.
 
Il professore costringe il Molliccio a rientrare nella cassa e si complimenta con Harry, del tutto sinceramente. Gli è parso per un attimo di rivedere nel suo Patronus una forma familiare, ma probabilmente si è sbagliato; si è lasciato suggestionare.
 
Lui tenta di convincerlo a riprovare eppure Remus stavolta non ha intenzione di lasciarsi abbindolare. Gli porge del cioccolato e lo osserva mentre lo smangiucchia sovrappensiero, spegnendo le torce. Quando ormai crede che il ragazzo si sia allontanato lo sente porgli una domanda che lo gela sul posto. Come fa a saperlo?
 
Gli chiede perché lo supponga e lui risponde che sa che James e Lui erano amici a Hogwarts, quindi si suppone che conoscendo uno avrebbe dovuto conoscere anche l’altro. Non ha idea di come sappia che loro due fossero amici, sempre che la parola amici sia abbastanza per ciò che li aveva legati, però risponde comunque, brevemente e forse un po’meno educatamente del solito, invitandolo ad andarsene. Quando Harry finalmente lascia l’aula Remus si appoggia alla scrivania, una mano sul viso, spossato.
 
Chissà cosa penserebbe Lui vedendo cosa quei demoni scatenano in Harry. Forse ne sarebbe felice, forse riderebbe guardandolo cadere a terra, inerme, sconvolto dalle convulsioni e da ricordi che non sapeva nemmeno di avere. Esulterebbe vedendo il suo figlioccio, Merlino, il suo figlioccio, in quello stato, lui che non passava momento in sua compagnia quando Harry era ancora un bimbo senza stringerlo a sé, senza raccontargli le loro avventure, senza lodarlo per ogni piccola conquista, che fosse stare in piedi da solo per la prima volta o far ammattire il gatto.
 
Come può essere accaduto tutto questo?
 
Lui amava Harry, gli brillavano gli occhi di orgoglio quando lo guardava, era quasi come se fosse un po’ anche suo.
 
Lui amava James, era sempre alla sua destra da che li aveva conosciuti, che fosse per spalleggiarlo in uno stupido scherzo o per parare un incantesimo diretto a suo fratello durante un duello.
 
Lui amava Lily, e sì, forse ci aveva messo un po’ ad accettare di condividere James con qualcuno, eppure aveva imparato a scommettere su di lei, a volerle bene come se fosse una sorellina più piccola da proteggere da tutti i mali del mondo.
 
Ma era Lui il male. E come questo era stato possibile lui non riusciva proprio a spiegarselo, nonostante gli anni in cui ci aveva ripensato notte e giorno, durante il sonno e nelle ore di veglia; alla fine aveva dovuto accettarlo, perché forse il motivo non c’era però quella era la verità e la verità sarebbe stata sempre.
 
 
 
La verità. Una cosa così assurdamente precaria, labile, falsa. La migliore menzogna che sia mai stata concepita a memoria d’uomo. Che senso aveva conoscere la verità se doveva comunque essere tanto dolorosa? Era morto, morto, non sarebbe più tornato, proprio come aveva detto a Harry un po’ di tempo prima; esattamente quanto tempo prima non avrebbe saputo dirlo, perché Harry si era divincolato dalle sue braccia cercando vendetta e lui era crollato a pezzi su quel pavimento senza curarsi di nient’altro. Non era riuscito a preoccuparsi per lui, per i suoi amici, per i compagni dell’Ordine che erano stati feriti… Non riusciva a prescindere dalla propria stessa sofferenza, dal proprio vuoto, dai propri ricordi dolorosi. Non si era nemmeno reso conto che dopo la sua sfuriata Moody l’aveva rimesso in piedi, sollevandolo per il bavero della giacca e schiaffandolo contro il muro, la bacchetta puntata contro la sua gola e un’invettiva di ingiurie gettate sulla sua faccia senza il minimo riguardo; probabilmente Malocchio pensava che sarebbero servite a scuoterlo, a provocarlo, ma non ebbero decisamente l’effetto desiderato. Alla fine l’ex Auror lo abbandonò lì, in piedi contro uno dei gradoni della Sala della Morte, a qualche passo dall’Arco e Remus fissò il Velo ondeggiare leggermente e udì deboli sussurri provenire dal niente che quello celava. Il dolore sordo faceva ancora sanguinare la sua anima, sulle braccia scorreva il liquido rossastro e viscoso uscito dalle ferite che si era procurato da solo e davanti a lui le persone si affaccendavano attorno ai feriti e ai Mangiamorte catturati da Silente. Nessuno badava a quel relitto di uomo che si avvicinava piano alla piattaforma dell’arco, il volto trasfigurato in una maschera di sofferenza.
 
Voleva solo sentire i bisbigli, capire cosa avessero da dirgli. Non sapeva se credere alla spiegazione più razionale o a quella più mistica, se credere che fosse un metodo di caccia del Lethifold per attirare le sue vittime o se i bisbigli provenissero da chi era al di là del Velo, da chi ormai apparteneva al mondo dei morti. Sinceramente non gli interessava. Voleva solo sentire, farsi un po’ più vicino, ascoltare ancora una volta la Sua voce, sentirlo ridere con James e Lily dall’altra parte, sentirlo felice come non lo vedeva ormai da quattordici anni, sentirlo completo com’era stato solo quando aveva avuto James al suo fianco.
 
Salì il gradino e fece un passo verso l’Arco. Se avesse allungato la mano avrebbe potuto toccare il “tessuto”, scostarlo, guardare al di là. Magari li avrebbe visti. Magari avrebbe potuto fare un piccolo passo, attraversare lo spazio di niente che lo separava dal Tutto. Da Casa.
 
 
 
È in una buia cucina in un seminterrato, seduto a un lungo tavolo con un bicchiere di whisky davanti. La porta si apre e una figura entra nella stanza, costringendolo a levare lo sguardo. L’uomo lo scruta, quasi truce, certamente indagatore, e i suoi occhi grigi brillano come lame di coltelli; di sicuro sono altrettanto affilati.
 
-Non ti sembra un po’ macabro, Remus, starsene seduto qui alle tre di notte bevendo Whisky Incendiario al buio e in solitudine? Non per essere egocentrico, ma la parte dell’alcolista disperato è mia-
 
Un ghigno si forma sul suo viso mentre alza il bicchiere in direzione del nuovo venuto, come a volergli dedicare il brindisi, e scola tutto d’un fiato il contenuto del bicchiere di cristallo pregiato.
 
Lui si avvicina, si accomoda con inconsueta e incurante grazia sulla sedia di fronte alla sua, Appella un secondo bicchiere e li riempie entrambi.
 
-A cosa brindiamo, Moony? Cosa festeggiamo in questa cupa notte trascorsa in questa ancor più cupa e austera dimora?-
 
-Alla morte, Pads. Alla morte che si porta via un pezzo di noi ogni giorno, finché non ci inghiotte del tutto-
 
-Ribadisco che questo non è il tuo ruolo, Professor Prefetto-Perfetto Lupin. Sono io quello che dovrebbe ubriacarsi per la disperazione, tu dovresti stare qui ad ascoltarmi e portarmi a letto quando sarò così zuppo di alcol da non reggermi in piedi-
 
-È quello che faccio tutte le sere. Potresti essere così gentile da ricambiare il favore per una volta?-
 
Gli occhi dei due uomini si perdono gli uni nell’abisso degli altri.
 
-Mi spieghi cosa ti sta succedendo?-
 
-La faccenda di Arthur mi ha, diciamo, scosso-
 
Qualche istante di silenzio.
 
-Moony-
 
L’interpellato capisce il messaggio e abbassa lo sguardo sul bicchiere pieno.
 
-Arthur ha una famiglia. Una moglie, dei figli. Stava per morire. E non so neanche se essere felice o meno del fatto che Harry ci abbia permesso di salvarlo, perché ora quel ragazzo si è rintanato nella sua stanza e non credo ne uscirà tanto presto-
 
-Remus, questa è una guerra. L’abbiamo già vissuta, abbiamo visto la gente morire ogni dannatissimo giorno. Sono morti nostri colleghi, compagni, amici. Il fatto che Voldemort non sia ancora uscito allo scoperto non significa che non ci saranno perdite, lo sappiamo. Lo sapevamo già a diciassette anni, eppure non abbiamo esitato nemmeno un secondo. Edgar Bones aveva una famiglia. James aveva una famiglia, aveva noi. Lily aveva un figlio di un anno. Abbiamo convissuto con la morte per anni, ogni singolo giorno-
 
-Lo so!-
 
L’ha quasi urlato. Sul serio, non riesce a capire perché quella storia lo abbia sconvolto tanto. Sirius ha ragione, dopo aver visto morire James e Lily pensava che poco o nulla l’avrebbe più turbato. Ciononostante…
 
-A volte, quasi ogni giorno, penso che avrei preferito morire. Penso che sarebbe stato meglio essere uno dei caduti della Prima Guerra. Non riesco a trovare un motivo per cui io sia dovuto sopravvivere. Perdere James è stato… Devastante. La cosa più atroce che io abbia dovuto sopportare. Ogni volta che apro gli occhi e mi ricordo che lui non c’è muoio un altro po’. Azkaban è nulla in confronto. Guardami, Remus, sono un relitto, e non mi ricordo nemmeno più com’ero prima. Sono un mucchio di ossa che continuano a muoversi perché qualcuno tira i fili. All’inizio pensavo che sarei potuto almeno stare vicino a Harry, svolgere il mio compito, ma poi…-
Remus leva finalmente lo sguardo, l’attenzione richiamata dal dolore nel tono della voce dell’altro, e scorge nei suoi occhi lacrime che, lui lo sa, non usciranno mai.
 
-Harry ti vuole bene, Sirius-
 
-Ma io non sono capace di fare nulla! Sono qui, a struggermi, a preoccuparmi, a cercare disperatamente di essergli utile, però non conto nulla. Molly Weasley è molto più presente di me-
 
-Ora basta dire cazzate. Harry ti ama come non ama nessuno sulla faccia di questa terra-
 
-E io non faccio altro che deluderlo! L’ho punito, Remus, accusandolo di codardia perché non ha acconsentito a una mia scappatella a Hogsmade per vederlo! Lui tenta di proteggermi, di salvarmi, e io rimpiango di non avere James al suo posto! Sono egoista, sono insensibile, e non riesco nemmeno ad abbracciarlo quando lo vedo, non gli ho mai detto che gli voglio bene come se fosse mio figlio, come se fosse mio fratello, come volevo bene a suo padre! E lui mi ha salvato e continua a salvarmi ogni giorno, e io mi comporta come un ragazzino immaturo!-
 
Lo sfogo lo lascia a bocca aperta, quasi non trova parole per rispondere. Alla fine le lacrime sono cadute tra una frase rabbiosa e un’altra disperata, e questo lo sconvolge più di ogni altra cosa: Sirius non piange mai.
 
-Lui lo sa, Sirius. Lo sappiamo tutti. Vediamo come lo guardi, sappiamo che lui è ciò che ami di più al mondo. Non sottovalutare la sua intelligenza-
 
Gli occhi di Sirius si abbassano, vergognosi, e i bicchieri vengono svuotati all’unisono. Quando le voci si sono ricomposte, liberandosi dal peso del pianto soppresso, l’altro riprende a parlare.
 
-A volte, Moony, quasi ogni giorno, vorrei essere morto. Ma non è così che funziona, vero? Potevano prendersi me, solo, e lasciare in pace James e Lily, però non l’hanno fatto. Non si può scegliere chi deve morire, non puoi ingannare la morte; le storie di Beda sono solo favole. Pensa a come ho cercato di gabbarla per loro, scambiandomi con Peter, e guarda cos’ho ottenuto. Però in fondo morire è troppo semplice, vero? Sarebbe troppo facile andarsene quando si decide di farlo. La morte non è nemmeno così lontanamente paurosa come sembra: il problema non è morire, il problema è guardare morire gli altri. È sopravvivere quando desideri solo tagliarti la gola. Il peggio non è per chi muore, Remus, il peggio è per chi nonostante tutto, vive, portando con sé la consapevolezza di quello che è successo agli altri. È per questo che non ti chiedo ora, supplicandoti di liberarmi di questo schifo di vita, di farmi fuori e di buttare il mio corpo nel Tamigi. Non ho paura di morire, non credo sia possibile l’esistenza di qualcosa di peggiore rispetto a quello che ho già vissuto. Ma non voglio che Harry perda anche me. Non voglio che soffra ancora. E sinceramente non so quanto ti farebbe male la mia morte, vecchio Moony, altrimenti mi preoccuperei anche di te. Così mi limito a guardarvi rischiare la vita ogni volta che mettete il naso fuori dalla porta di questa stramaledetta topaia gigante, sperando di vedervi ritornare da me-
 
Un ghigno si forma sulle sue labbra.
 
-Se è una dichiarazione d’amore, Padfoot, non ti è riuscita molto bene-
 
Una sghignazzata molto canina, un colpo di bacchetta e i bicchieri che si riempiono.
 
-Brindiamo alla morte, dunque, dolce conforto per le anime dei combattenti!-
 
Remus ingoia tutto in un lungo sorso, e l’alcol brucia sulle pareti della gola e i bicchieri cozzano contro il tavolo di legno.
 
-Promettimi, Moony, che se dovessi morire ti occuperai di lui meglio di quanto avrei mai fatto io-
 
-Pads, non morirai prima di me, rassegnati. Hai una pellaccia troppo dura-
 
In risposta alla battuta ottiene una risata sguaiata e uno sguardo divertito, ma l’ombra delle lacrime c’è ancora negli occhi di Sirius.
 
-Puoi dirmelo che la pensi come Mocciosus, giuro che non me la prendo-
 
-Se ho mai incontrato qualcuno meno incline di te a pensare alla propria sopravvivenza, Pads, non lo ricordo. Non vedi l’ora di buttarti in una battaglia da quando avevi quindici anni-
 
Un’altra risata, un altro colpo di bacchetta, i bicchieri di nuovo pieni levati tra loro.
 
-Non ti nego che uno scontro sarebbe parecchio divertente. Ma tu devi promettermelo, Remus. Che io venga azzannato da un Doxy, strangolato dal vecchio completo di mio padre o ucciso da un Mangiamorte, tu dovrai prendere il mio posto-
 
L’espressione di Sirius è seria, carica di parole mai dette, di pensieri confusi e di aspettativa.
 
-Lo giuro, Sirius. Rimarrò indietro fino a quando potrò e tenterò di fare del mio meglio-
 
Sancirono il patto con un nuovo brindisi, col tintinnio di cristallo contro cristallo; il liquido bruciò di nuovo le pareti della gola.
 
 
 
Il ritorno al presente fu rude: si rese conto che la mano era già protesa a toccare il Velo e la ritirò bruscamente, facendo contemporaneamente un passo indietro. Dal mare di dolore riemerse un briciolo di lucidità, portato in superficie dal ricordo; fece di nuovo un passo avanti, accostandosi all’arco, sentendo i bisbigli farsi più frequenti e aumentare di volume.
 
-Ho giurato, Pads, e manterrò la promessa. Ma sappi che è la cosa più crudele che tu mi abbia mai costretto a fare. Avevi ragione, il peggio è per chi resta. E certo che ti voglio bene-
 
 
 
Note:
le parti in corsivo nel testo sono ricordi di Remus; tra questi, due sono quelli che io ho immaginato potessero essere i suoi pensieri in due momenti di "Harry Potter e il prigioniero di Azkaban"

 

 
   
 
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