Non è incredibile come sia labile la percezione che i
bambini
hanno del tempo e nonostante ciò riescano a ricordare i
particolari di alcuni eventi in maniera così dettagliata da
essere simile a una fotografia?
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Questa è la
prima cosa che pubblico, in realtà è una scemata
che mi è fenuta in mente a mezzanotte e l'ho scritta di
getto.
La pubblico solo per mettere qualcosa in attesa sistemare la fic che
sto scrivendo, che credo abbia bisogno di qualche revisione e forse
un'allungata; preferirei aggiungere qualche altro capitolo, visto che
come one-shot verrebbe troppo lunga.
In ogni caso questa è una storiella così, parla
di tutto e di niente. Ho avuto l'ispirazione dal titolo di un tema che
avevano dato a scuola qualche tempo fa. Spero non risulti troppo
brutta...^^
Non è incredibile come sia labile la percezione che i
bambini
hanno del tempo e nonostante ciò riescano a ricordare i
particolari di alcuni eventi in maniera così dettagliata da
essere simile a una fotografia?
È inspiegabile come alcune volte nella mente di questi
rimangano
impressi ricordi cosi vividi. Di come certe immagini penetrino con
violenza nella mente rimanendovi impresse, vivide e attuali, anche a
distanza di più di dieci anni.
L’altra notte mentre osservavo nella direzione del soffitto,
dico
così perché le tenebre mi impedivano di scorgerlo
effettivamente, mi ritornò in mente un ricordo che
all’epoca credo mi abbia fatto male.
Chiudendo gli occhi mi è parso di rivivere tutto con una
lucida
freddezza. La stanza bianca e luminosa, così grande ai miei
occhi di bimba, il viso stanco di mia madre che giocava con me per ore
ed ore e la nonna seduta ai piedi di questo che mi guardava in
silenzio, era distante.
All’epoca credo avessi all’incirca sette, massimo
otto,
anni; questo perciò non è affatto il mio primo
ricordo
-non sono nata così grande di certo-; di quello non ho
certezza,
come ho già detto la mia memoria infantile è
piuttosto
confusa.
Rivedo tutto attraverso i miei stessi occhi, anche se è
passato
così tanto tempo. Io che giocavo con la creta che mi avevano
regalato i miei genitori. Era una scatola piuttosto grande, sulla cui
facciata era ritratta la foto di un tempio greco in stile ionico,
bianco, modello di ciò a cui sarebbe dovuto somigliare anche
il
mio –così però non fu, ovviamente.
Io cercavo di impastare la sostanza grigia con le mie deboli, piccole
dita, rese tali dall’età o forse dalla
malattia;
ricordo mia madre seduta al mio fianco che mi aiutava a dare le forme a
colonne e capitelli aiutandosi con gli stampi, lei ci riusciva senza
fatica, è sempre stata brava nei lavori manuali, molto
più di me. Stavamo parlando di qualcosa, forse mi stavo
lamentando della mia incapacità, ma a un tratto ricordo mi
lasciò andando in cucina, io rimasi sola con la nonna che mi
osservava, credo fosse triste.
Guardai il panno che copriva la testiera del letto dei miei genitori.
C’erano molti capelli scuri di media lunghezza, una delle
punte
era bianca mentre il resto scura, rossiccia o nera, fatico ancora a
definire il colore della tinta di mia madre. Mi voltai verso questa e
li raccolsi, non ricordavo che quello era in punto in cui il capo della
mamma era appoggiato sino a poco tempo prima, volevo farle uno scherzo,
sono sempre stata una persona che ama farli, troppo spesso senza
pensare alle conseguenze.
Comunque li misi insieme a formare una ciocca consistente e la nascosi
sotto il cuscino in attesa che lei tornasse per continuare a giocare
con me.
Non so dopo quanto si rifece viva, fatto sta, che quando si
riaccomodò al mio fianco io presi i capelli e glieli
mostrai,
esclamando:
«Guarda mamma, ti si è staccata una ciocca di
capelli!»
Dubito di essere in grado di descrivere la sua espressione. Credo sia
impallidita e abbia sgranato gli occhi, e finalmente anche io mi fermai
a pensare a ciò che stringevo tra le dita.
Li guardai credo terrorizzata: i capelli che avevo raccolto e stringevo
in mano e formavano una ciocca piuttosto compatta e ben unita, era
spessa, e ora che la rivedo, piuttosto impressionante. Guardai mia
madre e cercai di tranquillizzarla come faccio sempre, anche se
l’amara consapevolezza che quella non era la
realtà mi
tormentava la mente. Quando lo capii sentì qualcosa di
materiale, eppure invisibile, bloccarmi la gola, sensazione che provo
tutt’ora.
Non ripenso mai a quel periodo che ha segnato in maniera profonda tutta
la mia famiglia. Anche se io ne sono protagonista, la causa di tutto,
non riesco a mettere ordine nelle cose.
Ho sempre pensato che il ricordo sia una sorta di finestra sul passato,
dalla quale, affacciandosi, si possono scorgere cose più o
meno
lontane nel tempo. A volte, proprio come il paesaggio che si
può
scorgere da essa, le immagini possono essere nitide
–soleggiate-,
confuse –avvolte da una nebbia più o meno fitta- o
anche
dolorose –come bagnate da una pioggia insistente e
fastidiosa-,
questo per farne alcuni esempi.
Di quegli anni ricordo soprattutto le notti caratterizzate dal vomito
causato dalla febbre alta; successivamente, verso la fine di questi, le
sere che temevo e il dolore, che volevo rifuggire, delle mattine
successive, quando non riuscivo a dormire perché non potevo
rimanere sdraiata né seduta senza soffrire.
Come mai, vi chiederete, ci penso adesso?
Non lo so con certezza. Magari dipende tutto dal fatto che sono
cresciuta e non temo più di ripensare a quel male, o forse,
più semplicemente, dall’ora tarda che porta una
strana
lucidità nella mia mente. Ripeto, non so.
L’unica cosa su cui non ho dubbi è che il tempio
non
l’ho mai finito; tornando alla vita normale il tempo non mi
bastava più, e la creta si era indurita divenendo
inutilizzabile, forse non ne avevo neanche più tanta voglia.
O
forse non ne avevo mai avuta. Chissà.
Continuo a guardare nella finestra dei miei ricordi e mi chiedo fin
quando potrò farlo.
Per ora, se mi volto e guardo avanti, magari da un’altra
ipotetica finestra questa volta del mio futuro, vedo solo un cielo
scuro del quale non riesco a definire l’aspetto.
Nuvoloso o sereno che sia io non sono in grado di prevederlo,
perciò mi preoccupo di quell’altra piccola
apertura nel
muro della mia mente, o anima, e pesco un po’ a caso, un
po’ di proposito, le immagini del passato. Mentre il cielo mi
osserva infinito senza far nulla.