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Autore: Black_Oleander    11/01/2009    0 recensioni
Non è incredibile come sia labile la percezione che i bambini hanno del tempo e nonostante ciò riescano a ricordare i particolari di alcuni eventi in maniera così dettagliata da essere simile a una fotografia?
Genere: Triste, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa è la prima cosa che pubblico, in realtà è una scemata che mi è fenuta in mente a mezzanotte e l'ho scritta di getto.
La pubblico solo per mettere qualcosa in attesa sistemare la fic che sto scrivendo, che credo abbia bisogno di qualche revisione e forse un'allungata; preferirei aggiungere qualche altro capitolo, visto che come one-shot verrebbe troppo lunga.
In ogni caso questa è una storiella così, parla di tutto e di niente. Ho avuto l'ispirazione dal titolo di un tema che avevano dato a scuola qualche tempo fa. Spero non risulti troppo brutta...^^






Non è incredibile come sia labile la percezione che i bambini hanno del tempo e nonostante ciò riescano a ricordare i particolari di alcuni eventi in maniera così dettagliata da essere simile a una fotografia?
È inspiegabile come alcune volte nella mente di questi rimangano impressi ricordi cosi vividi. Di come certe immagini penetrino con violenza nella mente rimanendovi impresse, vivide e attuali, anche a distanza di più di dieci anni.

L’altra notte mentre osservavo nella direzione del soffitto, dico così perché le tenebre mi impedivano di scorgerlo effettivamente, mi ritornò in mente un ricordo che all’epoca credo mi abbia fatto male.
Chiudendo gli occhi mi è parso di rivivere tutto con una lucida freddezza. La stanza bianca e luminosa, così grande ai miei occhi di bimba, il viso stanco di mia madre che giocava con me per ore ed ore e la nonna seduta ai piedi di questo che mi guardava in silenzio, era distante.
All’epoca credo avessi all’incirca sette, massimo otto, anni; questo perciò non è affatto il mio primo ricordo -non sono nata così grande di certo-; di quello non ho certezza, come ho già detto la mia memoria infantile è piuttosto confusa.
Rivedo tutto attraverso i miei stessi occhi, anche se è passato così tanto tempo. Io che giocavo con la creta che mi avevano regalato i miei genitori. Era una scatola piuttosto grande, sulla cui facciata era ritratta la foto di un tempio greco in stile ionico, bianco, modello di ciò a cui sarebbe dovuto somigliare anche il mio –così però non fu, ovviamente.
Io cercavo di impastare la sostanza grigia con le mie deboli, piccole dita, rese tali dall’età o forse dalla  malattia; ricordo mia madre seduta al mio fianco che mi aiutava a dare le forme a colonne e capitelli aiutandosi con gli stampi, lei ci riusciva senza fatica, è sempre stata brava nei lavori manuali, molto più di me. Stavamo parlando di qualcosa, forse mi stavo lamentando della mia incapacità, ma a un tratto ricordo mi lasciò andando in cucina, io rimasi sola con la nonna che mi osservava, credo fosse triste.
Guardai il panno che copriva la testiera del letto dei miei genitori. C’erano molti capelli scuri di media lunghezza, una delle punte era bianca mentre il resto scura, rossiccia o nera, fatico ancora a definire il colore della tinta di mia madre. Mi voltai verso questa e li raccolsi, non ricordavo che quello era in punto in cui il capo della mamma era appoggiato sino a poco tempo prima, volevo farle uno scherzo, sono sempre stata una persona che ama farli, troppo spesso senza pensare alle conseguenze.
Comunque li misi insieme a formare una ciocca consistente e la nascosi sotto il cuscino in attesa che lei tornasse per continuare a giocare con me.
Non so dopo quanto si rifece viva, fatto sta, che quando si riaccomodò al mio fianco io presi i capelli e glieli mostrai, esclamando:
«Guarda mamma, ti si è staccata una ciocca di capelli!»
Dubito di essere in grado di descrivere la sua espressione. Credo sia impallidita e abbia sgranato gli occhi, e finalmente anche io mi fermai a pensare a ciò che stringevo tra le dita.
Li guardai credo terrorizzata: i capelli che avevo raccolto e stringevo in mano e formavano una ciocca piuttosto compatta e ben unita, era spessa, e ora che la rivedo, piuttosto impressionante. Guardai mia madre e cercai di tranquillizzarla come faccio sempre, anche se l’amara consapevolezza che quella non era la realtà mi tormentava la mente. Quando lo capii sentì qualcosa di materiale, eppure invisibile, bloccarmi la gola, sensazione che provo tutt’ora.
 
Non ripenso mai a quel periodo che ha segnato in maniera profonda tutta la mia famiglia. Anche se io ne sono protagonista, la causa di tutto, non riesco a mettere ordine nelle cose.
Ho sempre pensato che il ricordo sia una sorta di finestra sul passato, dalla quale, affacciandosi, si possono scorgere cose più o meno lontane nel tempo. A volte, proprio come il paesaggio che si può scorgere da essa, le immagini possono essere nitide –soleggiate-, confuse –avvolte da una nebbia più o meno fitta- o anche dolorose –come bagnate da una pioggia insistente e fastidiosa-, questo per farne alcuni esempi.
Di quegli anni ricordo soprattutto le notti caratterizzate dal vomito causato dalla febbre alta; successivamente, verso la fine di questi, le sere che temevo e il dolore, che volevo rifuggire, delle mattine successive, quando non riuscivo a dormire perché non potevo rimanere sdraiata né seduta senza soffrire.
Come mai, vi chiederete, ci penso adesso?
Non lo so con certezza. Magari dipende tutto dal fatto che sono cresciuta e non temo più di ripensare a quel male, o forse, più semplicemente, dall’ora tarda che porta una strana lucidità nella mia mente. Ripeto, non so.
L’unica cosa su cui non ho dubbi è che il tempio non l’ho mai finito; tornando alla vita normale il tempo non mi bastava più, e la creta si era indurita divenendo inutilizzabile, forse non ne avevo neanche più tanta voglia. O forse non ne avevo mai avuta. Chissà.
Continuo a guardare nella finestra dei miei ricordi e mi chiedo fin quando potrò farlo.
Per ora, se mi volto e guardo avanti, magari da un’altra ipotetica finestra questa volta del mio futuro, vedo solo un cielo scuro del quale non riesco a definire l’aspetto.
Nuvoloso o sereno che sia io non sono in grado di prevederlo, perciò mi preoccupo di quell’altra piccola apertura nel muro della mia mente, o anima, e pesco un po’ a caso, un po’ di proposito, le immagini del passato. Mentre il cielo mi osserva infinito senza far nulla.
  
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