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Autore: Mue    18/06/2015    2 recensioni
«Ehi, Folletto Saputello!»
Ecco come nei corridoi di Hogwarts il divino James Sirius Potter apostrofa Emily Hale, Corvonero, anonima, impacciata e senz'altra dote -se dote si può chiamare- che non un'estrema bibliofilia.
Sarebbe un episodio di potteriana impertinenza come tanti altri che Emily è costretta a subire se Stuart Dunneth, suo misantropo e ambiguo compagno di classe, non si trovasse per caso nei paraggi.
Emily, ligia alle regole, timida all'ennesima potenza e avversa a qualsiasi tipo di azione eroica, ancora non sa che questo incontro la coinvolgerà nel vischioso mistero che avvolge il ragazzo e sarà costretta, suo malgrado, a dare fondo a tutte le sue risorse per risolvere quello che, da giallo inquietante, potrebbe rivelarsi invece una storia dell'orrore delle peggiori. E i Potter, con le loro smanie di protagonismo, ovviamente non possono stare molto lontani.
Genere: Generale, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'I Figli della Pace'
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XXII.
Magia e ragione


Emily era ferma davanti alla porta, lacerata da una terribile lotta interiore.
Coraggio, Emily, apri questa porta! È l’unico modo per capire.
Ma, per quanto cercasse di convincersi di quelle parole, non riusciva ad allungare la mano verso la maniglia e abbassarla.
Era ancora preda dell’indecisione quando la porta si aprì da sola e ne emerse Stuart, pallido e stanco. La vide e si bloccò.
«Oh!», fece debolmente. Poi fece un sorriso tirato. «Emily! Da quanto sei qui?», domandò con acume.
Emily arrossì. «Da un po’», confessò. «Posso…?»
Stuart fece un’espressione sorpresa ma si scostò e la invitò ad entrare. «Certo.»
Emily varcò la soglia. Il dormitorio maschile era un po’ più grande di quello femminile, rotondo e con grandi finestre luminose. I letti a baldacchino con le tende blu erano ancora disfatti. Era una domenica mattina, e gli studenti si erano alzati tardi. A quell’ora erano tutti a colazione nella Sala Grande. Tutti tranne Emily e Stuart.
«Siediti», le disse lui, indicandole un letto, probabilmente il suo.
Emily obbedì a disagio, e tenne lo sguardo basso mentre lui faceva altrettanto, accanto a lei.
«Stai bene?», chiese Stuart, togliendole l’imbarazzo di cominciare il discorso.
Emily annuì.
«E gli altri?», proseguì atono lui.
«Stanno tutti bene. Nessuno di noi si è fatto male.»
Stuart fece un cenno, come a dire che aveva capito, ma non parlò. Rimasero tutti e due in silenzio per un bel po’, a corto di convenevoli.
Poi Emily, facendo un gran respiro, si decise. «Stuart?»
Stuart levò gli occhi dal pavimento su di lei, in attesa.
«Stuart, puoi… puoi dirmi perché…?» Non aggiunse altro. Non ce n’era bisogno, sapevano già entrambi qual’era la domanda che Emily voleva fare.
Stuart lasciò passare diversi istanti prima di rispondere. Alla fine sospirò e guardò Emily negli occhi.
«Dimmi, cos’hanno detto i tuoi genitori quando hai ricevuto la lettera per Hogwarts?», chiese all’improvviso.
Emily restò per un attimo senza parole, spiazzata dalla domanda. «Be’, loro… ecco, all’inizio non ci credevano, e nemmeno io a dire il vero, ma poi ne sono arrivate altre. Alla fine hanno deciso di vedere chi stesse dietro a quello scherzo assurdo e andammo insieme nel posto indicato per comprare le cose di scuola, Diagon Alley… e allora hanno capito che era la verità, non uno scherzo.»
«Ma cos’hanno fatto quando hanno capito che era la verità?», insisté Stuart.
Emily lo guardò interrogativa. «In che senso?»
«Sì, insomma, erano… erano felici o… o dispiaciuti?»
Emily rimase sbalordita. «Ma erano felici, ovviamente! Cioè, insomma, non è che avere una figlia che facesse magie fosse sempre stato il desiderio più grande della loro vita, non se l’erano mai nemmeno sognati, ma a loro andava bene così.»
Stuart annuì tornando a fissare il pavimento, in silenzio.
Emily non capì il perché di quella domanda apparentemente fuori luogo, poi fu presa da un sospetto. «E i tuoi, invece? Sono… ehm, sono stati felici o…?»
La smorfia dolorosa sul volto di Stuart rispose da sola alla sua domanda. «No, non lo erano.»
Emily si sentì improvvisamente a disagio. Forse doveva tacere e non chiedere altro, o magari consolarlo, ma era troppo incuriosita per trattenersi.
«Perché?», domandò piano.
Stuart scosse la testa. «I miei genitori… o, almeno, mio padre è… una persona con i piedi per terra, come si dice. Uno di quelli che crede solo nelle cose che la scienza può provare. Tutto quello che è al di fuori della… della normalità, come direbbe lui, non esiste o non è qualcosa che valga la pena prendere in considerazione. Insomma, è l’ultima persona che crederebbe nella magia, nelle streghe e cose simili. E poi gli piace programmare: avevo già un posto assicurato a Harrow per quando avrei compiuto tredici anni.»
Emily cominciava a capire. «Che cos’ha fatto quando hai ricevuto la lettera?»
Stuart deglutì. «Non gliel’ho detto. L’ho tenuta nascosta, non so bene perché. In realtà nemmeno io, allora, credevo nelle cose sovrannaturali, ma poi ne sono arrivate altre…»
Fece una pausa, e un sorriso triste gli sfiorò le labbra. «Ho fatto sempre più fatica a nasconderle. Per qualche strana ragione non volevo distruggerle, così quelle si accumulavano nella mia stanza. Erano sempre di più. Mia madre sapeva che arrivavano, ma aveva paura di quello che mio padre avrebbe potuto dirmi o farmi…» Si accigliò. «Alla fine, però, tornò a casa prima, un giorno, e ne vide una. La aprì e si infuriò, dicendo che quel genere di scherzi non era ammissibile. Mi chiese se conoscessi il mittente della lettera, o se sapessi chi poteva essere stato…»
«E…?», lo incoraggiò Emily, quando lui si interruppe e non proseguì.
«Gli disse la verità: che non lo sapevo. Ma lui si insospettì e venne in camera mia. E trovò tutte le altre.» Si interruppe di nuovo, e deglutì un’altra volta rumorosamente. «Non l’avevo mai visto così arrabbiato. Le bruciò tutte, ingiungendomi di non farmi più prendere in giro da scherzi simili. Ma il giorno dopo ne arrivarono altre, moltissime altre. Alla fine mio padre, esasperato, come i tuoi genitori, anche se magari con molta più rabbia di loro, decise di recarsi con me e mia madre a Diagon Alley. E lì…» Sorrise. «Be’, a quel punto dovette crederci. Non poteva non farlo, non so se capisci cosa intendo.»
Emily annuì con un sorriso. Nessuno, davanti alle vetrine scoppiettanti dei negozi di incantesimi, ai barili di ingredienti magici della farmacia e ai libri animati del Ghirigoro avrebbe potuto onestamente dire di non credere alla magia.
Stuart sorrise, vedendo che lo comprendeva. «Così fu deciso che sarei andato a Hogwarts. Mia madre si occupò di accompagnarmi nei negozi e comprarmi quello che mi serviva. Mio padre era troppo sconvolto per poter rendersi bene conto di quello che gli succedeva intorno. Quando tornammo a casa, quella sera, si rifugiò nel suo studio.»
La sua espressione si incupì di nuovo. «Lui… è sempre stato un uomo severo, ma anche affettuoso. Quand’ero piccolo andavamo sempre in montagna a pescare, o a fare escursioni, e quando mia madre poteva, perché qualcuno si occupava di mio fratello, veniva anche lei. Eravamo una famiglia unita…»
«E adesso?», chiese Emily con una vocina piccola piccola.
Stuart chiuse gli occhi. «Dopo quel giorno a Diagon Alley non mi parlò più. Nel senso che se doveva dirmi qualcosa, come chiedermi che ore sono, se doveva accompagnarmi in macchina da qualche parte o altre cose simili lo faceva, ma… niente di più. Era come se fossi un estraneo per lui. Credo di averlo deluso terribilmente.»
Emily sentì un nodo allo stomaco, avvertendo che la risposta alla sua domanda stava arrivando. «E quindi hai pensato…»
Stuart annuì. «Che magari, se fossi stato il migliore in ciò che facevo, se gli dimostravo di avere successo, di essere ineguagliabile come mago, forse si sarebbe sentito orgoglioso di me, forse mi avrebbe rivalutato, e avrebbe rivalutato il mondo a cui appartenevo… Ormai era un pensiero fisso: dimostrargli che valevo qualcosa, che non ero una nullità, che meritavo la sua stima... a tutti i costi.»
Emily ammutolì.
Stuart alzò gli occhi e la fissò con una smorfia amara. «Sono davvero uno stupido. Non sarei mai dovuto entrare nella Casa di Corvonero. Se avessi avuto davvero un cervello come il tuo mi sarei reso conto che sbagliavo…»
«Tu hai un gran cervello, Stuart», lo contraddisse Emily.
Lui scosse la testa. «Niente affatto. Ho scoperto dov’era la strega e non ho esitato un solo secondo a chiederle di farmi diventare brillante, un mago abilissimo, senza pensare alle conseguenze.»
Emily aprì la bocca per parlare, ma lui, ora che aveva svuotato il sacco, non riusciva più a trattenersi. «E poi, pian piano, mi sono reso conto della mostruosità che avevo fatto! La mia vita in cambio di un po’ di successo, credendo che fosse questo che mi avrebbe fatto guadagnare il rispetto di mio padre! E invece, quando l’anno scorso anche mio fratello si è rivelato un mago, mio padre si è rassegnato alla realtà e… ed è tornato quello di prima. Mi ha persino... mi ha chiesto scusa. Ma per me era troppo tardi! Sono caduto in un baratro di depressione: sapevo che la strega avrebbe chiesto in fretta quello che le avevo promesso!» Si coprì il volto dalle mani. «Mi sentivo già morto. Non riuscivo a stare con gli altri; tutto il mondo sembrava girarmi attorno pieno di vita, mentre io mi stavo spegnendo! Parlare con gli altri, mangiare con loro, quando sapevo di dover morire era insopportabile. Non so nemmeno perché ti ho avvicinata. Forse perché mi sembravi così gentile…»
Emily sorrise. «Non sono gentile. Sono solo troppo vigliacca per essere prepotente.»
Stuart scoppiò a ridere. «Probabile.»
Si guardarono.
«Stuart, io penso che tu sia un vero Corvonero. Nessuno, nemmeno un preside di Hogwarts come Silente aveva mai scoperto il nascondiglio della strega. Tu, invece, lo hai fatto. Se non fosse stato per la coincidenza della mia punizione sul lago, quando ho visto la luce del pozzo, nemmeno io avrei mai saputo riuscire a fare altrettanto. Hai un gran cervello, proprio quello di cui andrebbe fiero un padre come il tuo.»
Stuart scrollò le spalle, ma non negò.
Emily cercò qualcos’altro da dire per convincerlo di quella verità, ma la fatica le fu risparmiata dalla porta che si apriva. Sulla soglia comparvero Drilla ed Al –ancora una volta in un dormitorio che non era il suo-, che videro Stuart sveglio e più o meno in forma e sorrisero.
«Stuart, stai bene?», chiese allegramente Al.
Stuart annuì. «Sì. grazie per quello che avete fatto.» La sua espressione si rabbuiò. «Già, perché vi siete scomodati tanto per me?»
Drilla sogghignò e gli tirò un pugno su una spalla. «Idiota! A che servono gli amici, se non a salvarti la pelle tutte le volte che capita l’occasione?»
Al ed Emily concordarono con un rigoroso cenno del capo. Stuart sorrise.
«Piuttosto, come diavolo hanno fatto Jamie e quella calamità ambulante di Steeval ad arrivare sull’isola? Sembrava che sapessero proprio tutto!», osservò Drilla pensierosa.
«Quando mi sono svegliato, ero debole, ma non abbastanza da non rendermi conto di quello che doveva essere successo», disse Stuart. «Ho capito che qualcuno doveva aver cambiato il patto con la strega, perché non c’era nulla che l’avrebbe trattenuta dall’uccidermi. Perciò mi sono alzato e mi sono trascinato fino alla Sala dei Trofei.» Ridacchiò. «Indovinate chi ci ho trovato?»
«Mio fratello e David», rispose subito Al. «Che ne stavano combinando un’altra delle loro.»
Stuart annuì. «Credo che stessero facendo un agguato a Nick-Quasi-Senza-Testa per spaventarlo a morte, ma non ne sono sicuro. Comunque quando mi hanno visto si sono quasi presi un colpo. Quasi», specificò. «Ho raccontato loro tutto. David era convinto che stessi delirando. Jamie, invece, ci ha creduto subito, è corso al dormitorio, ha visto che tu, Al, non c’eri, perciò si è trascinato dietro David fino al lago. Credo che Quebec li abbia beccati mentre uscivano dal portone.»
Al annuì. «Sì, è andata così. Ed è stata una fortuna, perché senza di lui non sarebbero mai riusciti ad arrivare sull’isola.»
Drilla non sembrava così soddisfatta. «Sarà, ma chiamare Ravenscar sarebbe stato più ragionevole. Almeno non ci avrebbe messi tutti quanti in punizione. E adesso non ci ritroveremmo con il mal di schiena e le mani dolenti perché ci costringe ogni sera a pulire i sotterranei della scuola senza magia e con le spugne di ferro!»
Tutti gli altri risero, anche se sia Al che Emily si guardarono le mani piene di vesciche con un po' di rimpianto.
«Insomma, l'unico che si meritava una bella punizione eri tu, Stuart, e invece te la sei cavata. Continuerai a rimanere un genio perché il tuo patto con la strega ormai l’hai pagato, ma sei vivo perché Emily ne ha fatto un altro. Oh, e, tra l’altro, adesso che sei quasi resuscitato dalla morte e con quel pallore somigli a un vampiro un sacco di ragazze non stanno aspettando altro che tu esca da questa tua torre d’avorio per metterti le mani addosso. Auguri», concluse maliziosa.
«Dici sul serio?», chiese Stuart allarmato.
«È vero, ho sentite anch’io parlare di te ai bagni femminili l’altro giorno», disse Emily pensierosa. «Per fortuna che la storia della strega non si è diffusa.»
«Ravenscar e Quebec non volevano che altri studenti fossero incoraggiati ad andarsene alla ricerca di qualche altra strega sopravvissuta, o magari di cercare di resuscitarne una dai tumuli della foresta», spiegò Al.
Stuart non sembrava affatto felice. «State scherzando, vero? Riguardo alle ragazze intendo…»
Drilla sorrise astuta. «Per niente. Anzi, tra dieci minuti comincerà l’ultima partita dell’anno, Grifondoro contro Tassorosso. Perché non vieni con noi a guardarla così verifichi di persona?»
Stuart, sebbene riluttante, alla fine si fece convincere, e li seguì fuori dal dormitorio. Evidentemente Drilla aveva ragione perché dovunque gli sguardi femminili si voltavano a osservare il quartetto di amici.
«Se continua così ruberai tutta l’attenzione femminile a Steeval», osservò ghignando Drilla mentre uscivano dal portone e percorrevano il vialetto verso lo stadio, da cui già proveniva un forte brusio di voci.
Emily la guardò acuta. «Sembri molto soddisfatta della cosa. Gelosia?»
Drilla le tirò un pugno su un braccio, facendole molto male. «Ma quando mai? Piuttosto, spero che Tassorosso schiacci Grifondoro, oggi, perché se lo meritano!»
Emily e gli altri risero, ma nessuno disse più nulla ed entrarono insieme nel grosso stadio per godersi l’ultima partita di quell’anno scolastico.

   
 
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