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Autore: Marra Superwholocked    19/06/2015    3 recensioni
AAA
1. Idea originale del titolo: "Carry Salt"
2. SPOILER per chi non ha ancora visto la settima (per lo meno la quinta!) stagione di Supernatural!
– 25 marzo 2012 – Perrine, Florida –
In America è appena uscito "The Born-Again Identity" ("Nato due volte"), la diciassettesima puntata della settima stagione di "Supernatural". Questa stessa puntata è uscita qui in Italia il 15 agosto del 2013 (programmazione televisiva italiana). Ma Silvia e Catherine, due liceali italiane, sono partite che era il 2014 con il TARDIS del Dottore... Cos'è successo durante il loro ultimo viaggio?
Ma soprattutto, siamo sicuri che Lucifero abbia ucciso Gabriele?
(Questa storia è il seguito di "Correte, la Nebbia sta arrivando")
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Gabriel, Sam Winchester, Un po' tutti
Note: Cross-over, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Settima stagione
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Capitolo 6
Forti di fronte ai più piccoli


Per quella notte, i quattro avventurieri dell'impossibile decisero di provare a tornare al motel in cui poco prima erano stati attaccati dal fantasma più famoso della tv. Dean parcheggiò proprio davanti alla finestra della loro camera. «Sembrerebbe tutto tranquillo» disse uscendo dalla macchina.
«Già, come se quel fantasma ce l'avesse solamente con noi» confermò subito Sam.
I grilli continuavano a cantare, inconsapevoli dei fatti da poco accaduti. Tre ritrovamenti di cadaveri senza testa, un fantasma che amava prendersi gioco di due cacciatori, due ragazze catapultate all'improvviso da un universo all'altro... Insomma, cose che accadono tutti i giorni.
«Faremo i turni o...?» Silvia era appena entrata nella camera. Si sfilò di dosso la felpa. Soffriva terribilmente il caldo e quella notte, sebbene fosse marzo, sembrava di essere ai tropici.
«N'ah» rispose Dean. Notò un'altra volta la maglia di Silvia e preferì voltarsi. «Non avete altro da mettervi? Insomma, Catherine ha una maglietta bellissima, ma tu...»
«Che c'è di male? In fondo è solo una maglia!» Silvia cercò l'aiuto di Catherine, la quale avrebbe voluto prendere le sue difese dicendo che Mark Sheppard ha il suo perché, ma fu interrotta da una maglietta volante che colpì Silvia in pieno volto.
«Quella dovrebbe andarti bene» disse Dean, svuotando la sua sacca da viaggio per tirar fuori una seconda maglietta.
«M-ma... No, aspetta, ho delle cose comprate durante i viaggi col Dottore. Fammi solo ricordare dove ho messo lo zaino» disse guardandosi intorno mentre Dean e Sam, davanti ai loro occhi, si sfilavano come se nulla fosse le camicie immacolate per mettersi delle maglie per dormire.
«Quale zaino?» chiese Sam seduto sul letto e già con i capelli scompigliati. «Quando siete arrivate, eravate a mani vuote.»
Catherine e Silvia si guardarono negli occhi. Oh, no, pensarono entrambe.
«A quanto pare, il vostro amico non vi ha detto un bel po' di cose.» Dean stava porgendo un'altra maglia a Catherine. Magari anche lei avrebbe voluto indossare qualcosa di più comodo come una maglia di due taglie in più.
«Cosa vuoi dire?»
«Be', Catherine... Se non risponde al telefono, può anche darsi che sia impegnato, okay?»
«Mh-mh.»
«Ma perché si è tenuto i vostri zaini nel...»
«TARDIS» completò Sam.
«Giusto. Perché se li è tenuti?» chiese loro, passandosi la mano agli angoli della bocca.
«Non ne ho idea, Dean.»
Lui abbassò gli occhi e gli venne da increspare le labbra. Che razza di ipocrita, pensò nella speranza che il loro amico potesse in qualche modo avvertire quelle parole.
«Sapeva che vi avrebbe riviste, una volta finito con noi.» Sam si era alzato in piedi. Le sue sopracciglia erano nella loro classica forma da “cane bastonato”.
Catherine lasciò cadere la maglietta verde che le aveva dato Dean e guardò il pavimento con infinita tristezza e un vuoto immenso alla bocca dello stomaco. Avrebbe voluto dire qualcosa, difenderlo come faceva sempre, ma l'evidenza spiegata dal piccolo Winchester metteva in dubbio qualsiasi sorriso o parola del Dottore. «Perché?» chiese più a se stessa che ai presenti nella stanza. Una lacrima stava per scenderle dalla guancia, quando un tonfo la fece tornare alla realtà. Si girò e vide la tenda della finestra accanto all'ingresso svolazzare come se qualcuno fosse uscito di corsa dalla camera. Non vedeva più Silvia.


«Imperdonabile.»
«Concordo con te, Mars.»
«Come fa un essere umano a fare una cosa del genere?»
«I serial killer non sono altro che mostri, feccia.»
L'agente Mars guardò il suo capo con occhi diversi. Di solito si limitava a digrignare i denti e a muoversi divertito tra la sua squadra perché amava dare la caccia ai criminali, ma quel caso lo aveva del tutto sconvolto. Lo osservò dirigersi a passi pesanti verso Brizzi; lei, invece, continuò a tener lontani i curiosi, dando così una mano ai suoi colleghi.
A pochi passi dalla massa di gente che si accalcava per rubare anche solo un misero scatto di ciò che stava succedendo nella tranquilla Perrine, girato l'angolo di un'auto dall'aria trasandata, un piccolo coniglio bianco teneva tra i lunghi denti incisivi un orologio da taschino e lo mordicchiava nervoso.


«Ehi.»
Silvia rimase con lo sguardo fisso di fronte a sé.
«Ehi, tutto bene?» ripeté Dean. Era corso fuori subito dopo di lei. Confortare le persone non era il suo forte, quello era un lavoro in cui suo fratello dava sempre il meglio di sé, mentre lui... Lui se la cavava meglio con le pistole. Infatti, non seppe mai spiegarsi perché corse lui fuori da Silvia anziché lasciare il posto a Sam.
«Lo odio» le uscì di bocca quasi involontariamente, la voce che le tremava. «Ci ha sempre mentito.»
«Lo facciamo un po' tutti» sospirò Dean, affiancandola. La vide a pochi centimetri dal cofano della sua auto, con le braccia incrociate sul petto e l'aria ammattita. Merda, sta piangendo, pensò.
«Tu e Sam siete degli artisti, in quanto a menzogne» scherzò lei.
Dean ripensò agli ultimi avvenimenti della sua vita: aveva cominciato a mentire sin da quando aveva quattro anni e, con lui, anche suo padre e suo fratello. «Touché.»
«Ma quello che mi fa star male di più sono le stelle.» Silvia alzò gli occhi al cielo, così limpido e fresco che avrebbe voluto tendere una mano e sfiorare la fettina di luna che le sembrava sorridesse maligna.
«Le stelle?»
«Sì.» Sentì Dean che le si fece più vicino. Aveva abbassato il tono di voce, forse per non farla tremare troppo. Era così abituata a non mostrarsi debole di fronte a Catherine, che si dimenticò di avere a che fare con una sua copia maschile di un altro universo. Con la coda dell'occhio vide lui che si lasciava andare di peso sulla sua auto e lo imitò, ma con cautela.
«Cos'hanno, le stelle, che ti fanno star male?» le chiese, guardando anch'egli il cielo bucherellato di piccole luci tremolanti.
Silvia lanciò un gesto distratto al cielo. «Amo guardare le stelle dalla finestra di camera mia sin da quando ero piccola.» Si prese una pausa, come per cercare le parole giuste. «Le trovo magnifiche e misteriose. Brillano per noi, lo fanno anche per centinaia di anni e poi, all'improvviso, decidono che sono vecchie. E si spengono. Ma non spariscono. Restano lì, a guardarci. Come piccoli suggeritori sopra un palco di migliaia di attori alle prime armi e gli dicono di darsi forza, di brillare meglio degli altri, meglio di come hanno fatto loro.»
Dean staccò gli occhi dal cielo e si sorprese a fissarla con la bocca aperta. Dopo qualche istante si ritrovò con gli occhi di Silvia a poco dai suoi.
«Scusa» gli disse. «Sto divagando.» Girò lo sguardo di nuovo in direzione dell'universo. «Quello che voglio dire è che...»
«Sono bellissime.» Dean si passò una mano sui jeans, forse per scaricare una tensione che lui stesso definì piuttosto ridicola.
Lei sorrise sommessamente ed emise un piccolo sbuffo. «Già, proprio così.»
Ed eccola lì, di fianco alla sua cotta adolescenziale, a contemplare le stelle. Dio, quanto avrebbe voluto dire qualcosa di più sensato o, meglio ancora, girarsi e intrappolarlo in un bacio. Ma no, come poteva anche solo pensare una cosa del genere? Doveva mantenere il controllo, altrimenti sarebbe caduta in tentazione e chissà cosa sarebbe successo poi.
«Il fatto è che mia madre, quando ero piccola, mi diceva sempre che se ci fossimo perse di vista, avremmo dovuto fare una sola cosa: guardare le stelle. Diceva che loro erano le messaggere del cielo e che avrebbero portato i miei pensieri a lei e viceversa.» Sputò fuori tutto come se fosse stato il segreto più imbarazzante che avesse mai mantenuto. Poi cominciò a sentire gli occhi bruciare nuovamente e riempirsi di lacrime. «Ma non sempre è possibile» disse quasi singhiozzando.
Dean la guardò perplesso, un braccio sospeso nell'aria nel indecisione di abbracciarla o meno. Convenne che, per il momento, era meglio lasciar stare ogni contatto fisico. «Non capisco» ammise.
«Le stelle che sto guardando io, quelle a cui sto lanciando il mio grido disperato...» biascicò Silvia, tirando su col naso. «Queste non sono le stesse stelle che sta ascoltando mia madre.»
«Oh» si limitò a dire Dean. I suoi occhi verdi rispecchiarono la figura della luna per poi tornare a posarsi su Silvia. Il suo profilo era molto strano, con quel collo del naso estremamente concavo e la montatura degli occhiali che facevano sembrare i suoi occhi molto più piccoli di com'erano in realtà. «Mi dispiace» le disse in tono grave.
Quello che accadde subito dopo, Dean non poté nemmeno prevederlo. Silvia lo aveva ingabbiato in uno stretto abbraccio, cosa che lui tollerava solo in pochi casi, tra cui Garth. Ma nonostante volesse alzare gli occhi al cielo e pregare che si staccasse subito, appoggiò le calde mani sulla schiena di Silvia e la dondolò dolcemente mentre lei gli riempiva la maglia di lacrime salate.
«Non dirlo a Cathy» gli sussurrò all'orecchio. «Non dirle che ho pianto.»

   
 
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