Twice
Autrice: mise_keith.
Disclaimer: Non è la prima, né la seconda volta che ricordo a chi legge che scrivendo
fan fiction non mi attribuisco l’invenzione di Harry Potter (per carità). Né di
qualsiasi cosa che lo riguardi da vicino.
Beta-reader:
Thilwen (sempre
lei).
Rating: PG.
Data di
creazione: 5/6 Settembre
2008.
Tipologia: One-shot.
Categoria:
Post-DH.
Genere: Drammatico,
Introspettivo.
Personaggi: Ginny Weasley, Draco Malfoy. Luna Lovegood
(marginalmente).
Personaggi
secondari: Luna
Lovegood.
Era:
Harry ad
Hogwarts (1991-1998)
Note:
Spoiler,
One Shot, What if?.
Sintesi:
- Non sto pensando a lui, Luna.
-
- No. Credo che
per te, in realtà, non se ne sia mai andato veramente. Definiresti lo stesso
questa una “seconda volta”? -
Note
dell’autrice: Twice non è una Draco/Ginny, perché, nonostante
non riesca a smettere di fare il tifo per loro nel fandom, so bene che nel canon
sono ormai divisi, irreparabilmente, come sapevo sarebbero stati. Ciononostante,
mi piace pensare che questo sia un attimo plausibile in cui si siano ritrovati.
Non pretendo grandi riconoscimenti: questo è un divertissement, un piccolo
esperimento retorico. Se sia fallito o riuscito, è un giudizio che spetta ai
lettori.
Può considerarsi
la seconda parte di un esperimento fatto in parallelo con Thilwen, nato mentre ci domandavamo del destino
della nostra prima, adorata ship, dopo il settimo libro. Dopo aver letto la sua
Tea Time (che vi consiglio
vivamente), mi sono rifiutata di accettare il pensiero che Twice ne fosse all’altezza. Ma eccomi qui. In
fondo vinci sempre tu, Chiara.
Twice non è una Draco/Ginny. È una Draco,
Ginny.
Ringraziamenti:
La stesura di
questa one-shot è stata spinta su carta dall’ascolto di “By this river”, di
Brian Eno; pezzo a me molto caro, a cui devo anche lo sfondo di questi due
stringati momenti. Piccolo omaggio al maestro, dunque.
Dediche:
A Chiara. Beta,
amica, sorella. Radice solida della mia realtà. Lama con cui sviscero il senso
dei miei giorni, e bastone della mia tarda
adolescenza.
Non ti dirò mai
grazie abbastanza.
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Here we are
Stuck
by this river,
You and I
Underneath a sky that's ever falling
down,
Down,
down.
Ever falling down.
Quel giorno la
superficie del lago era levigata e immota come un cielo d’agosto.
Non era mai
così, in autunno.
Aveva ritenuto
fosse un buon momento per oziare, sola, accovacciata sotto quell’albero, a
sforzarsi d’imprimere nella propria memoria le curve familiari e dolci delle
sponde. Sempre uguali da quando era lì; anche in quel momento, tra tanti
apparentemente uguali da quando si trovava a Hogwarts. Anche sull’orlo della
fine.
Luna l’aveva
seguita. Si era seduta accanto a lei, le braccia strette intorno alle ginocchia,
i capelli sciolti e un po’ arruffati e qualche forma strana che le pendeva dai
lobi delle orecchie, luccicante come una Falce in un nido di gazza. Teneva gli
occhi spalancati verso di lei con una determinazione nostalgica che
probabilmente voleva essere consolatoria.
Ginny Weasley si
voltò a guardarla d’impulso, infastidita; l’altra la imitò, dimostrando la
stessa, fedele caparbietà di un vecchio animale da
compagnia.
- Non sto
pensando a lui, Luna. – le disse con convinzione, anticipandola. L’aveva
ripetuto tante volte a se stessa, ma c’era qualcosa di precario, nel suo tono.
La ragazza annuì.
- No. – ribatté
serafica, aprendo le labbra in un mite sorriso.
- Non un’altra
volta. – pronunciò Ginny. La sua attenzione tornò a posarsi sul lago, sordo alle
loro parole come uno specchio incrinato.
- No. – ripeté
Luna; la luce brillante dei suoi bulbi oculari si affievolì per qualche istante,
come il riflesso cangiante di una lanterna sull’acqua – Credo che per te, in
realtà, non se ne sia mai andato veramente. Definiresti lo stesso questa una
“seconda volta”?
Un muto
imbarazzo imporporò le sue guance e Ginny rimase a capo chino, gli occhi
ostinati fissi al terreno .
Il risvolto
lievemente amaro di quel silenzio parve riposare tra di loro simile ad un velo
di indesiderata caligine estiva.
- Tornerà. –
aggiunse la ragazza per tranquillizzarla.
- Di nuovo? –
replicò lei. La nota vagamente risentita di quel dubbio le fece scappare una
smorfia di puerile contrizione. Non poteva farne a meno.
Tacque.
Rimasero per
qualche minuto senza incrociare gli sguardi, assaporando con un certo rimpianto
quella calma innaturale, amara. Familiare, in qualche modo, pensò Ginny, il viso
corrugato dall’acredine. Di nuovo?,
masticò a bocca serrata, ritrovandosi a rimuginare, ancora, su come Harry,
nonostante le sue dichiarazioni d’affetto, non le avesse risparmiato quel
rifiuto.
Il rifiuto
dell’eroe, del portavoce degli interessi superiori; il quale aveva, però,
programmato di tenerla lontana dai propri progetti, non senza un certo egoismo,
aggiunse mentalmente. Come se lei non fosse che una pedina marginale dei suoi
schemi, un fattore di disturbo.
E non per la
prima volta.
Fu lo scalpiccio
di passi non lontani sul terreno vischioso a portare l’attenzione di entrambe le
ragazze nella stessa direzione.
Anche il giovane
pallido, le labbra strette e livide in una morsa, guardava verso il lago.
Malgrado ciò, l’agitazione che scuoteva le sue viscere sembrava correre più
lontano, ben oltre il recinto degli alberi della foresta, sulle ali del pungente
odore organico che si sollevava dal sottobosco; un misto di vivo e di morto che
sembrava depositarsi sulla bocca dello stomaco e lì rimanere, a lungo.
Non gli
segnalarono la loro presenza.
Per un po’ i tre
conservarono la loro immobilità tragica, ognuno colto nel dipanarsi del proprio
dramma personale, e Ginny Weasley scrutò Draco Malfoy con tutto l’astio di cui
si sentiva capace, nutrendosi
dell’insofferente frustrazione di essere stata relegata lì, al sicuro nella sua scuola, nella lunga,
snervante quiete che precede la tempesta; sola e abbandonata, nel silenzio
religioso, pavido, prima che la battaglia infuriasse.
Si concentrò, livida in volto, e si sforzò,
con tutta se stessa, di imputargli tutte le colpe di cui era evidentemente
responsabile e di aggiungere, una per una, peso per peso, al carico invisibile
che tendeva il filo della sua spada di Damocle, quelle di chi non era presente e l’aveva voluta
lontana.
Eppure, a
dispetto di quel furore smanioso, dopo che fu trascorso qualche minuto egli era
rimasto quello che lei vedeva: il ragazzo tormentato, il cui terrore senza nome
veniva spiato sulla riva del lago dai suoi, fortuiti, nemici di guerra. Ella
ebbe l’impressione che il suo labbro inferiore tremasse, come fosse sul punto di
piangere davanti alle due casuali spettatrici, sconvolto e piegato da un tremore
infantile e spietato, incapace di arginarsi.
Fu allora che
egli sembrò percepire la loro presenza.
La breve
occhiata che le due ragazze avvertirono su di loro fu contegnosa più che
stupita, ma, piuttosto che dalla vista della sua solida scorza di alterigia,
Ginny Weasley si sentì colpita da qualcos’altro.
L’ombra fragile
di dimessa sofferenza che la ragazza credette di vedere sul suo viso venne
celata non appena egli voltò loro le spalle. Quando fu abbastanza lontano che la
sua coda dell’occhio non fu in grado di sfiorarlo, Ginny pensò, in un attimo di
sommessa, inconsueta meraviglia, che anche quello era uno dei tanti sentimenti
che, come tanti dei propri dolori in quel tempo ed in quel luogo, non avevano
importanza.
Through
the day
As if on an ocean
Waiting here,
Always failing to remember
why we came,
Came,
came.
I wonder why we came.
La seconda volta
che le successe di essere sopraffatta da quel pressante e sconsiderato bisogno
di quiete era quasi Natale. Lo
specchio ghiacciato del parco non era che un cielo greve verso cui imprecare e
implorare in preda alla collera, o in un altro accesso di solitaria
impotenza.
Neanche stavolta
l’aveva notato immediatamente, nascosto com’era tra le fronde nude dei rami più
bassi.
Nel momento in
cui si accorse della sua presenza, l’urlo rauco che aveva covato dentro di sé e
aveva scalpitato per uscire si sopì. Avvertì la propria rabbia freddarsi,
rapprendersi in una forma sottile e acuminata che tratteneva in sé il potere
spietato, duro, di un odio lungamente conservato.
Era accomodato
con la schiena contro il tronco di un albero; scrutava nuovamente davanti a sé,
stretto negli abiti pesanti ma con il capo cinereo, del grigio fango della neve
sporca, scoperto.
Ginny parlò
prima che potesse considerare di pentirsene.
- Festeggi il
primo anniversario dei tuoi misfatti, Malfoy? – le scivolò dalla lingua con un
astio tanto ruvido e grezzo da ferire nel processo anche la propria bocca. Lo
scatto repentino della testa di lui le portò alla mente quello sgomento puro,
madido, degli animali braccati.
Nel vederla, il
volto di Draco si trasformò in una maschera di cauto, sdegnato, sprezzo, che gli
colorò la porzione di collo che emergeva dalla sciarpa di un rosa tenue, iroso.
Strinse un pugno
nella neve con uno scricchiolio soffocato.
- Non m’importa
granché di ciò che pensi, Weasley. – mormorò in risposta, le labbra arricciate.
Il suo sguardo era ancora lontano; da lei, stavolta – Ma, davvero pensi sia così
stupido da fare lo stesso errore due volte?
L’esalazione
scettica di lei fu la risposta, istintiva, che risuonò per qualche secondo nel
gelo secco che permeava l’aria del parco.
Nello spazio
freddo, ampio, che divideva i loro corpi.
- Ed è tutto
quello che hai da dire a tua discolpa? – sibilò Ginny per sollecitarlo, mordace,
assaporando la potenza del fremito crescente del proprio rancore. Attendendo una
reazione, qualsiasi,
invano.
Il silenzio che
cadde dopo diede a entrambi la fastidiosa, glutinosa sensazione di stare
rivivendo uno dei tanti momenti che le loro memorie avevano condannato a
seppellire. Il vaso rotto da bambini durante un divertimento proibito; l’attesa,
intrisa di costernazione, di un rimprovero severo. Un imprevisto, sgradevole
déjà-vu, uno degli scomodi dolori che trascinano con sé le accuse ben note, ma
passate sempre sotto silenzio.
In momenti di
pace, come di guerra.
Le parve che
avesse ribattuto qualcosa. Che la sua bocca si fosse mossa, in una
recriminazione senza voce. Forse era stata la luce, un bagliore fulmineo sul
profilo delle sue labbra.
La quiete rimase
intatta e solida, come una zolla di suolo sterile e ghiacciato, ancora per molto
tempo.
Fu lui ad
andarsene per primo. Si sollevò con un braccio, un’inalazione brusca, e le voltò
le spalle. Un che di rancoroso negli zigomi tesi come corde.
Lei si aspettava
di vedere una maschera cadere, con uno schiocco secco. Sentì, però, solo il
rumore dei suoi stivali che grattavano contro il ghiaccio, sempre più
fievoli.
Appena ella fu
certa che fosse abbastanza lontano da udire solo l’eco, sbiadita ed innaturale,
delle sue parole, gridò, con una furia disperata, ferita:
- Buon -
Natale!
Il grido si
spense in una nota così alta e stridula da rintoccare, più volte, sulle mura del
castello. Se le sue mani non fossero state inguantate e strette intorno a due
lembi del mantello, avrebbero sanguinato sulla neve poche gocce, tiepide e
brillanti. Un’offerta sacrificale al dio della guerra e della
discordia.
Non pensava
l’avrebbe più incontrato su quella riva.
You
talk to me
as if from a distance
And I reply
With impressions chosen
from another time,
Time,
time.
From another time.
B. Eno
– “By This River”