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Autore: libertus98    19/06/2015    0 recensioni
Il mondo è diviso da grandi imperi nemici che lottano senza sosta per il dominio economico della terra.
Roma si avvale della tecnologia del vapore, mentre la Cina mette a punto nuove armi usando la polvere da sparo e la produzione industriale dell'acciaio.
Eppure, in una città di frontiera, lontano dagli occhi dei potenti sta per avvenire qualcosa.
Un prodigio troppo grande, anche per il più potente degli imperi.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti
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Un acuto borbottio rimbombava nella notte, interrompendone il silenzio.
Decine e decine di persone se ne stavano appollaiate sugli spalti di quell'arena improvvisata.
Il vento umido da sud soffiava piano, spargendo l'odore della polvere e delle spezie per tutto il campo.
Una figura entrò da una delle porte che costeggiavano le gradinate, lanciando un ruggito animalesco.
Le urla della folla si fecero ancora più potenti, mentre la figura si dirigeva al centro dell'arena.
Era un uomo di alta statura e dalla muscolatura imponente.
Portava dei pantaloncini logori come unico indumento, mentre una corda era intrecciata rudemente tra le sue dita.
Sollevò le possenti braccia al cielo, ebbro delle lodi del pubblico.
Una maschera dalle fattezze mostruose copriva il suo volto, rendendo il suo aspetto ancora più grottesco.
I suoi regolari spettatori sapevano bene che quegli occhi porcini e quella bocca irta di denti aguzzi incarnassero alla perfezione la sua sete di sangue.
La figura gridò di nuovo, con voce possente, sembrando davvero un gigante.
Un cigolio meccanico zittì i cori, e gli spettatori si voltarono verso la metà opposta del campo.
Un'altra porta si era aperta, permettendo l'uscita di una seconda figura.
La gente iniziò a fischiare furiosamente alla sua vista, d'altronde non sembrava neppure un combattente.
Era di piccola statura, e l'unica cosa che la T-shirt e i pantaloni neri lasciavano intravedere era un corpo di incredibile magrezza.
Le braccia erano muscolose e possenti, mentre la sua pelle olivastro scuro era coperta di cicatrici.
Le mani erano rilassate sotto le bende che gli fasciavano le dita.
Un'anonima maschera bianca copriva il suo volto.
Era fredda e inespressiva, esattamente come le sue movenze.
I feroci fischi non gli impedirono di recarsi nel centro dello spiazzo.
Si trovò faccia a faccia con il gigante.
Quel giovane sapeva bene che stava rischiando la vita, ma alla fin fine che gli importava?
Il grasso arbitro, vestito riccamente si diresse verso i due contendenti, che si erano fermati l'uno di fronte all'altro, scambiandosi occhiate reciproche.
Gli occhi del lottatore più grande ribollivano di furia sotto la maschera, mentre al contrario, quelli del suo avversario restavano fermi, come congelati.
Il giudice di gara cominciò a spiegare le regole.
''niente colpi ai genitali, niente mani nei capelli, morsi o sputi, che l'incontro abbia inizio''
Annunciò l'uomo, dando inizio alla lotta.
Il giovane più minuto si mise in guardia con le mani aperte a proteggere volte e petto, indietreggiando con una velocità tale da far vibrare i suoi abiti.
L'orchestra, composta di tamburi e flauti, cominciò a suonare una fanfara tensiva, che presto coprì le mille voci dello stadio.
Il gigante rise forte sotto la maschera, per poi scagliare un pugno al volto del nemico.
Lui si abbassò riemergendo sotto la sua guardia, lanciando un montante di precisione chirurgica, colpendolo sotto la maschera.
La folla si ammutolì di colpo in seguito all'impatto.
Perfino gli orchestratori smisero di battere sui tamburi, e di fare fischiare i pifferi per qualche secondo.
L'uomo con la maschera mostruosa cercò di riprendersi.
Il pugno subito aveva spinto la maschera a occludergli totalmente la visuale, era come se fosse cieco.
Sentiva solo il legno della maschera pressato sul volto e il dolore lancinante alla mascella.
Ma prima che lui potesse fare alcun ché arrivo un secondo pugno che lo colpì sul mento, poi un rapidissimo gancio che gli brasò l'orecchio.
Un potente colpo, assestato dal dorso della mano avversaria incocciò la maschera, facendo volare via alcuni dei suoi denti.
Un ruggito possente attraversò l'arena da parte a parte.
Il gigantesco lottatore abbassò le braccia, lanciando un potentissimo diretto alla cieca.
Aprì gli occhi, convinto di avere colpito il bersaglio.
Ma, con la coda dell'occhio notò qualcosa che gli infiammò il cuore di paura: il suo avversario aveva schivato l'attacco.
Il ragazzo girò il bacino, ruotando tutto il corpo, abbattendo il piede sul ginocchio nemico. Uno scricchiolio acuto interruppe la fanfara, mentre il gigantesco guerriero cadeva a terra, con l'articolazione spezzata di netto.
L'incontro era finito.
L'arena si svuotò presto, mentre il ferito veniva soccorso da un paio di assistenti armati di barella.
Il giovane con la maschera bianca rimase solo, mentre gli spettatori se ne andavano via, insultandolo e maledicendolo in una decina di lingue.
Nessuno si sarebbe sognato di scommettere un centesimo su un simile scricciolo, quindi nessuno aveva vinto niente.
Un flebile suono di applausi interruppe il silenzio.
Un giovane sui vent'anni, vestito con un lungo abito viola in stile orientale scese la scalinata a passo veloce.
Scivolò sui gradini, facendo ondeggiare i lunghi capelli neri raccolti in treccia, con un sorriso giovanile stampato sul viso.
Saltò dal parapetto atterrando in piedi sulla sabbia, sgranando i profondi occhi color ambra.
''Bel combattimento Nadis, peccato che come al solito sia durato poco...''
Ammise scherzosamente il ragazzo.
Il combattente lo guardò per qualche secondo, per poi sfilarsi la maschera.
Dei lineamenti morbidi emersero dalla ceramica bianca, accompagnati da dei corti capelli scuri.
I suoi occhi nerissimi erano impregnati di uno strano miscuglio di emozioni, difficile da definire.
Un taglio cicatrizzato attraversava la sua pelle olivastra, memoria di vecchie violenze.
Nadis si passò una mano sulla fronte asciugandosi il sudore, senza proferire parola.
'' Devi perdonarli, il pubblico di oggi era composto da soli stranieri, non sanno che sei famoso...''
Il guerriero lo fissò negli occhi, con la sua solita, impenetrabile freddezza.
''Harim pagami e portami a casa''
Disse lui, arrivando immediatamente al sodo, senza tanti giri di parole.
L'altro abbassò lo sguardo, estraendo dalle tasche un sacchetto di cuoio, che lanciò a Nadis.
''Ci sono dentro cinquecento Demben, credo che bastino''
Ammise lui, sorridendo come suo solito.
Il giovane lottatore strinse la borsetta, tentando di aprirla.
''Fidati di me, non sai contare fino a quel numero''
Sussurrò il giovane, con la sua tipica, tagliente ironia.
''Maledetta la tua eloquenza''
Ammise Nadis, mentre sul suo volto si delineava un sorrisetto.
''Vieni, ti accompagno''
Lo invitò Harim, scortandolo e indicando dove aveva parcheggiato.
''Dell'arena che te ne pare?''
Chiese lui, passandosi una mano nei lunghissimi capelli.
Il giovane combattente lo guardò per un lungo secondo, incrociando i suoi occhi color miele.
''Non è un'arena, è uno stadio per il gioco della palla''
Puntualizzò subito dopo.
''Gli avversari non sono le uniche cose a non sfuggirti...''
Riconobbe il ragazzo divertito e un po' in imbarazzo.
''Siamo arrivati''
Disse subito dopo, indicando la sua vettura: una macchina color rame, di forma ogivale, sormontata da un abitacolo di metallo e vetro rinforzato.
''è una bellezza non trovi?''
Chiese lui, con il suo peculiare tono fiero, indicando l'automobile.
''Ne ho viste di peggiori''
Rispose Nadis, senza aggiungere nulla di superfluo al suo giudizio, per poi entrare dentro alla vettura.
Harim si sistemò sul posto di guida, azionando i meccanismi, che si misero in moto con uno sbuffo di vapore.
''L'ho fatta importare direttamente da occidente, dall'impero di Roma, non è un caso che le tecnologie del vapore siano nate lì''
Spiegò lui, mentre il suo sguardo brillava d'orgoglio.
Il giovane lottatore rimase zitto, lasciando parlare il motore dell'auto. Le luci della città iniziavano a illuminare la strada, che sfrecciava sempre più velocemente sotto le ruote della vettura.
Nadis si guardò intorno, ristorandosi con la bellezza della sua città natale.
Ormai era l'unica cosa che apprezzava realmente.
Città, stato e isola: Hanpura era davvero un luogo singolare, pieno di tutte le ricchezze, e delle comodità tipiche dell'epoca moderna.
L'odore delle spezie e delle erbe mediche riempiva l'aria, accompagnato dalle note del flauto traverso di qualche artista di strada.
Lo sguardo di Nadis incontrò la struttura che più amava, e che allo stesso tempo più lo metteva in soggezione.
I locali chiamavano '' Besar'', ossia ''Il più grande''.
Non avevano del tutto torto, visto che non c'era una tempio di dimensioni simili in tutto l'oceano del sud.
Si presentava come una costruzione di dimensioni immense, formata da centinaia di metri di roccia: un edificio di forma circolare sovrastato da una cupola, interamente rivestito di lastre di marmo blu, che sfumavano in una moltitudine di tonalità, tanto da confondersi con il cielo.
Il profondo colore della pietra era interrotto solo da sottili linee di malachite, che brillavano alla luce delle stelle con il loro intenso verde acqua.
L'edificio centrale era circondato da otto torri del suo stesso blu, ognuna sormontata da una statua di quarzo verde.
Rappresentavano gli otto più importanti re della storia cittadina, immobili, nell'atto di indicare il sole, chiusi nei loro abiti e armature di pietra.
Nadis sorrise timidamente mentre esplorava le vie con lo sguardo.
Era una città così bella, così armoniosa, così unica.
Nonostante ciò Nadis non perdeva mai di vista quella che era la sua realtà.
Quella della bellezza era la verità dei viaggiatori e dei turisti, non degli abitanti.
Hanpura aveva due volti: quello per chi veniva e quello per chi rimaneva.
La posizione dell'isola aveva garantito che tutte le potenze mondiali le portassero ricchezza, centinaia di velieri e piroscafi approdavano ogni giorno, vendendo e comprando mercanzie di pregio.
Era in oltre diventata una meta turistica: in moltissimi volevano venire lì, spendendo anche capitali per vivere qualche giorno con tutte le comodità.
Lì tutto aveva un prezzo, e non importava quanto alto potesse essere, c'era sempre qualcuno pronto a pagarlo.
Lo avevano gli oggetti, lo aveva la gente, così come anche le loro vite non erano esenti.
Le spezie, i quarzi e i legni esotici non erano di certo gli unici mercati importanti per l'economia.
La tratta degli schiavi occupava un posto d'eccezione nell'economia cittadina.
Talvolta, al mercato centrale non si potevano distinguere le grida dei popolani esaltati e quelle delle madri a cui venivano strappati via i figli dalle braccia per essere venduti.
L'aspetto di quella gente era vivido nella memoria di Nadis.
La pelle nerissima, imperlata di sudore gelido come il ghiaccio.
Gli occhi bianchi come l'avorio, avvizziti da troppe lacrime, il collo ornato da catenacci rugginosi riportanti il loro costo.
Il suo stesso destino non era stato poi tanto diverso.
Sapeva solo di essere figlio di una di loro e di un uomo delle terre orientali, anche se non conosceva i dettagli.
Nonostante per legge non potesse essere venduto come schiavo era rimasto senza custodia, per quindici anni.
Aveva avuto solo un attimo per diventare grande, per diventare qualcuno.
Ricordava ancora quel giorno di dieci anni prima.
Era solo un bambino, si muoveva timidamente per la città, perseguitato dalla fame.
Stava rovistando sotto i banconi del mercato, alla ricerca di qualche ortaggio caduto o di qualcosa da rivendere ai turisti.
A un certo punto udì un forte fragore, commisto da urla e colpi furenti contro le cassette di legno.
Il bambino scappò da sotto i cesti, temendo che il venditore si fosse infuriato con lui.
Non era raro che i commercianti scacciassero via i bimbi di strada con tanto di mannaia alla mano.
Eppure quando si rialzò non trovò niente di tutto questo.
Solo due uomini abbigliati al modo orientale, con lunghi abiti, chiusi con lunghi alamari di stoffa.
Non aveva mai visto vestiti così belli e con colori così vividi.
I due gridavano parole confuse, con uno strano accento.
Il bambino riuscì a riconoscere solo una frase, che avrebbe cambiato la sua vita.
''Non risolviamo qui le cose! La mia scuola è molto migliore della tua, e te lo dimostrerò!''
L'orientale si voltò, facendo roteare il lungo camicione color cobalto.
''Vieni qui!''
Gli ordinò, facendogli un cenno con la mano.
Lui si avvicinò e l'uomo lo scrollò per la maglia logora, come per mostrarlo all'altro.
''Se addestrassi questo bambino per due settimane nello stile Yonkuen, sconfiggerebbe il migliore dei tuoi senza sforzo!''
Quelle parole rimasero impresse nella memoria di Nadis.
Decretarono l'inizio di una carriera fiorente negli scontri tra le svariate scuole di arti marziali dell'isola, portandolo a traguardi che non aveva mai creduto possibili. Ora era lì, a diciassette anni il più famoso combattente della città.
Aveva tutti i motivi per essere felice.
Presto la vettura di Harim inchiodò con un fischio acuto, seguito da un leggero botto.
''Eccoci, a rivederci socio!''
Nadis scese dalla macchina, salutando freddamente il compagno, che si congedò senza troppi complimenti dando di gas.
Il ragazzo era arrivato a casa.
Coi soldi delle sfide avrebbe potuto comprare una villa in campagna, o un palazzo in città, con tanto di vista panoramica. Eppure non aveva scelto nessuna di queste opzioni.
Aveva infatti optato per una modesta casetta di legno in riva al mare.
Per lui non c'era paragone con altro.
Alzarsi e vedere l'oceano era fondamentale per lui; era l'unica cosa che riusciva a riconciliarlo con un mondo così marcio.
Nadis entrò nella sua dimora, sbattendo la porta di legno scuro e gettando in un angolo il suo compenso.
Mise a bollire dell'acqua per prepararsi del riso e uscì fuori.
Si sedette sulla sabbia bianca, a pochi metri dal bagnasciuga, guardando le stelle. Il blu del mare si confondeva con quello del cielo, in uno splendido chiasmo.
Erano così luminose, così tante e così misteriose.
Quando combatteva non pensava a nulla, ma i pensieri che tratteneva si accumulavano nella sua mente. Era impossibile ignorarli.
Il giovane si strinse le gambe al petto, abbassando lo sguardo, mentre i suoi occhi diventavano umidi. Un brivido percorse il suo corpo, facendolo tremare come una foglia. Si portò una mano al viso, carezzandosi la cicatrice.
Nadis cominciò a piangere sommessamente, affondando il volto tra le ginocchia.
Le lacrime cominciarono a scorrere sulla sua pelle scura, accompagnate da sottili lamenti.
Era un maestro nell'arte del combattimento, sostanzialmente imbattuto da sempre. Eppure, per quanto quell'idea fosse radicata in lui, non riusciva a resistere alla matassa di pensieri troppo pieni di miseria, dolore e morte.
Aveva visto troppo di quel mondo, non ce la faceva più.
Nessuno lo amava, le poche attenzioni che riceveva erano date dalla sua capacità di procurare un reddito.
Non era cambiato nulla dai giorni in cui vagava senza sosta per un boccone di pane.
Figlio di una schiava, senza un padre, senza una famiglia.
Forse anche Harim, pur conoscendolo da tempo lo avrebbe venduto al miglior offerente, se solo non fosse stato più capace di lottare.
Il giovane sollevò gli occhi al cielo per ammirare le stelle.
Qualcosa brillò nel cielo, così tanto da far sembrare le stelle nient'altro che fiammelle.
Non poteva essere un areonave, ne tanto meno una stella cadente.
Nadis si alzò in piedi, ripulendosi gli occhi dalle lacrime.
Un bagliore color lapislazzuli apparve nel cielo, bruciando come una fredda fiamma, diventando sempre più brillante e luminoso.
Da prima la luce sembrò piuttosto lontana, poi si avvicinò, lasciando il giovane senza parole.
In pochi secondi, la sabbia chiara della spiaggia si tinse di un intenso turchese, e un fruscio flautato quanto potente invase il silenzio.
Quel colore era così intenso che il giovane fu costretto a schermarsi gli occhi.
Non aveva la più pallida idea di cosa stesse succedendo.
Il bagliore si affievolì e scivolò a terra, come una lacrima.
Si andò a depositare sull'altra estremità della spiaggia, continuando a bruciare di quell'intensissimo turchese.
   
 
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