Fanfic su artisti musicali > One Direction
Ricorda la storia  |      
Autore: xonlyme    19/06/2015    0 recensioni
Dopotutto Lillian vorrebbe solo del tempo che non le è concesso.
Vorrebbe avere del tempo in più per baciare Louis sotto la pioggia o per sentirlo cantare al mattino presto. Vorrebbe avere ancora qualche giorno per vederlo con i suoi ridicoli cappelli e per coricarsi vicino a lui sulla vecchia coperta da picnic a quadretti.
Vorrebbe vedere ancora i suoi occhi color del cielo a mezzogiorno e il suo sorriso malizioso.
Vorrebbe semplicemente guardarlo dormire dopo aver fatto l'amore.
Ma la vita non si ferma e Louis non torna.
Genere: Malinconico, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
 
Like Autumn leaves
 
“Ogni tempesta ha una sua fine. Una volta che tutti gli alberi sono stati sradicati, una volta che tutte le case sono state demolite, il vento si calmerà, le nuvole se ne andranno, la pioggia si fermerà, il cielo si schiarirà in un istante. E solo allora, in quei momenti di quiete dopo la tempesta, capiamo chi è stato abbastanza forte da sopravvivere.”
-Grey’s Anatomy
 
Non hai molte possibilità di scelta quando un evento traumatico ti travolge, puoi semplicemente andare avanti e sperare di dimenticare, ignorando il dolore lancinante al petto ogni volta che un piccolo dettaglio ti ricorda di quel giorno. Oppure aspettare che il dolore scivoli via insieme al senso di colpa, perché tu che cosa hai fatto per sopravvivere?
Che cosa hai fatto in più degli altri?
E le persone come me passano le notti a chiedersi come mai, a bere whisky e a sfuggire ai ricordi, perché quelli sì che uccidono.
Si chiedono cosa abbiano avuto di speciale per sopravvivere a tutti gli altri – a persone che certamente lo avrebbero meritato di più – e passano le notti insonni a cercare spiegazioni, che non otterranno mai da bottiglie di liquore e pacchetti di sigarette mezzi vuoti e passano i giorni a dirsi silenziosamente che avrebbero preferito essere morti perché sarebbe stato tutto più semplice.
Eppure la vita va avanti, anche se fa schifo, e quelli come me non se ne stupiscono più di tanto perché infondo è la vita come l’hanno sempre conosciuta. Così vai dal tuo psicanalista e ingurgiti le tue pillole perché credi – o perlomeno speri – che ti aiutino veramente e non fai altro che ritornare alla tua vita di tutti i giorni.
E forse bevi un po’ di più e fumi un po’ di più per sopportare il peso di tutto quello che è successo e che continua a succedere.
Forse è dopo un evento traumatico che capisci veramente come va il mondo, è in quel momento che puoi dire di averlo visto veramente.
Un finale a sorpresa.
Come quando il buono si rivela essere il cattivo dei film, e ti stupisci perché sei cascata anche tu nella sua ragnatela di gentilezze e cortesie, lo hai avuto davanti tutto il tempo ma non lo hai studiato abbastanza a fondo per scoprire la vera natura dei suoi gesti. Non era abbastanza interessante, non abbastanza sospetto.
Anche se per il mondo è un po’ diverso comunque.
Quelli come me sanno già che è fatto di piccole discrepanze, un po’ tetro forse, ma la cosa più importante è che non dà niente per niente.
Ma pensi che sia accettabile, dopo tutto.
Poi però succede qualcosa che ti fa aprire gli occhi e ti accorgi che in realtà è molto peggio di quello che sembra, come tutte le cose d’altronde, e ti rendi conto d’essere vissuta in una bolla di sapone che è scoppiata e ti chiedi come fare a sopravvivere ancora, senza nessuna protezione tra te e il mondo.
 
Butto giù l’ultimo sorso di whisky e guardo distrattamente l’orologio che segna le tre di mattina passate mentre pago il barista che mi sorride gentilmente « Lillian, giusto? se hai bisogno ti chiamo un taxi » dice sempre sorridendo e mi chiedo come faccia a sorridere sempre, tutte le notti. Probabilmente mi sono soffermata un po’ troppo a pensarci perché mi ripete la domanda, preoccupato « tranquillo, non ne ho bisogno, abito qui vicino in realtà » la mia voce esce lenta, mentre lo saluto e me ne vado.
Le strade sono ben illuminate e le macchine corrono veloci e mi sembra tutto surreale,  New York  mi sembra così diversa, come se in pochi mesi fosse mutata in un modo a me inconcepibile.
Mi siedo su una panchina poco distante dal bar e penso che si creano fondamentalmente due tipi di persone dopo un trauma: quelle che perdono la visione dei dettagli e quelle che perdono la visione dell’insieme, perché si sa, qualcosa perdi sempre.
Probabilmente appartengo alla seconda categoria perché non posso fare a meno di notare la piccola scritta bianca sul lampione alla mia sinistra o il legno ruvido e un po’ bagnato su cui mi sono seduta. O come non posso fare a meno di notare le venature gialle con cui le foglie si stanno colorando in questa stagione, come le prime inizino a cadere per strada, inesorabilmente staccate dal vento.
 Non posso fare a meno di notare il viso stanco dell’autista del bus che si ferma dall’altro lato della strada come non posso evitare di sentire i singhiozzi di un ragazzo che mi passa accanto correndo. E non posso evitare neanche di pensare a cosa ha reso l’autista stanco o il ragazzo infelice.
 Però non riesco a rendermi conto della situazione generale che ho intorno, non riesco a rendermi conto che la vita, per tutti gli altri, continua normalmente.
Alcuni particolari sono magnifici, come il profumo del caffè nero che arriva alla mattina dalla caffetteria dietro l’angolo oppure il rumore delle gocce di pioggia che battono sui vetri o la musica di sottofondo che c’è sempre al negozio di dischi o ancora i colori con cui dipingo. Ma la cosa più bella è il tramonto.
L’avevo mai visto veramente il tramonto, prima?
Così succede che ti affezioni alle piccole cose in modo irreparabile, finché i tuoi piedi ti portano nei posti che frequentavi prima e ogni ricordo ti assale e quelle piccole cose che solitamente ti aiutano a distrarti ti danno il tormento togliendoti il respiro.
 
Mi alzo e cammino ancora per qualche minuto prima di rientrare a casa, accendere il vecchio giradischi e sdraiarmi sul letto continuando a guardare il soffitto bianco.
Resto così per un’eternità, lasciando che la musica si propaghi per tutte le stanze e sperando invano di addormentarmi.
Allora prendo l’iPhone che ho poggiato sul comodino e compongo il numero che ho imparato a memoria tanto tempo fa.
 
“Qui è Louis Tomlinson, adesso non posso rispondere perché be’ probabilmente sono troppo occupato a lasciarmi travolgere dall’amore della mia vita”
 
la registrazione del tono allegro di Louis e la mia risata in sottofondo mi riportano indietro.
 
“quindi siete pregati di lasciarmi il vostro numero e prima o poi vi richiamerò”.
Chiudo la chiamata sentendomi una completa stupida e mi raggomitolo nel letto, mi manca.
Mi manca troppo.
Guardo la foto sul comodino mentre le note di “La vie en rose” risuonano nell’appartamento, la fotografia ritrae me e Louis a Parigi con lo sfondo della Tour Eiffel che sorridiamo alla fotocamera abbracciati.
Ricompongo il numero,  questa volta aspetto il segnale acustico della segreteria e
« ciao Lou, lo so che è stupido perché non potrai mai ascoltare questo messaggio, ma mi manchi tanto. Mi manca sentire il suono della tua voce e tutte le altre piccole cose che ti rendevano te, che ci rendevano noi. Sai mi è venuto in mente quel giorno a Parigi, dio era così bello e- » non riesco a finire la frase perché il suono della segreteria mi interrompe, il tempo per lasciare il messaggio è finito.
Ricompongo ancora il numero e aspetto il bip della segreteria beandomi delle sue parole e della sua  voce.
« ti ricordi il loro accento? Oppure il loro modo di preparare le brioches? È stato così bello Louis. Oppure quella volta che siamo andati a Central Park e poi ha iniziato a diluviare o quando siamo tornati a Doncaster o quando siamo saliti sulle Empire State, te le ricordi queste cose? Ti ho amato tanto Louis, ti amo ancora tanto.  Vorrei che fossi qui. Ti amo » la mia voce si incrina proprio nel momento in cui riscatta il segnale acustico.
Mi passo una mano sul volto e subito dopo mi tolgo i vestiti e mi infilo una vecchia maglietta di Louis, completamente sformata, se chiudo gli occhi sono quasi certa di sentire ancora il suo profumo e per un attimo mi sembra ancora di essere coricata vicino a lui in una notte d’inverno mentre guardiamo uno stupido film comico.
Ma lui non è qui e io non riesco a lasciarlo andare.
Chiudo gli occhi e quando li riapro la stanza è già illuminata dalle luci aranciate dell’alba, la testa mi martella per i troppi alcolici e mi sembra di avere gli occhi incollati.
Mi giro pigramente su un fianco per guardare l’ora sulla sveglia sopra il comodino di mogano, sono le cinque e mezza passate e decido di concedermi qualche altra ora di sonno, ma per qualche strana legge del mondo i miei pensieri non vogliono lasciarmi in pace.
Louis non vuole lasciare la mia testa.
E più penso a lui e più penso alla mia vita, che sta diventando ogni giorno più degradante e senza uno scopo.
Mio padre diceva sempre – inizio a pensare che i suoi ideali di marine siano fin troppo radicati anche nella mia vita – « trova qualcosa per cui morire e la tua vita avrà uno scopo e ti apparirà subito chiara ».
Il fatto è che io sapevo per chi sacrificarmi, perché per Louis io avrei dato tutto, compresa la mia vita.
Ma non ho potuto fare nulla, non ho potuto fare nulla per salvarlo.
Quel maledetto incidente aereo mi ha portato via tutto quello che avevo di più caro, strappandomelo via dalle mani con irruenza e con arroganza. Come se quel lasso di tempo che io e lui abbiamo avuto, quel piccolo mondo che ci siamo costruiti intorno fosse stato solo in prestito e che il nostro tempo fosse scaduto.
 
Il nostro tempo è scaduto
 
Ma quattro anni costano veramente così tanto? Mi chiedo mentre mi alzo  svogliatamente dal letto e mi dirigo in cucina per prepararmi un espresso.
Quando l’odore del caffè si diffonde nell’aria decido che il prezzo non è calcolato sul tempo, ma sui ricordi, sulle emozioni e sulle esperienze provate e nonostante sia tremende orribile quello che è successo i quattro anni con Louis sono stati i più importanti della mia vita.
E forse è per la sbronza di ieri sera o per le prime luci che mi abbagliano che penso per la prima volta – nonostante mi senta una persona orribile – che forse il prezzo non è poi così sbagliato.
« Ma perché non l’ho pagato io quel prezzo? » è questa la domanda che ormai da mesi mi tormenta.
Però per la prima volta sento che il peso si è fatto un po’ più leggero e che se ripenso all’incidente o al corpo freddo di Louis contro il mio sembra che il senso di oppressione sia meno forte.
Forse sto finalmente arrivando all’ultima fase del lutto o forse è solo un giorno migliore e io decido che, sì Louis mi manca da morire e che ogni tanto la sua assenza è così pesante da farmi soffocare, ma che è arrivato il momento di lasciarlo andare.
E il pensiero mi fa male però mentre ingoio il caffè e accendo la televisione sul telegiornale del mattino, mi convinco che è la cosa giusta da fare.
Perché lasciarlo andare non vuol dire dimenticarlo, perché so che non potrei mai dimenticarlo.
Così da una mattina d’autunno, dopo tanto tempo metto Louis in secondo piano e cerco di continuare a vivere, con una parte di me che è cambiata e l’altra che è stata persa per sempre. Ma continuo a provare e lo faccio per me e lo faccio per Louis perché, mi dico, lui vorrebbe questo.
Così lascio da parte il whisky, le sigarette e qualche ricordo, mentre continuo a tenere la nostra foto a Parigi sul comodino e a riascoltare il suo messaggio della segreteria di tanto in tanto.
 
 
Due anni dopo
 
“Qui è Louis Tomlinson, adesso non posso rispondere perché be’ probabilmente sono troppo occupato a lasciarmi travolgere dall’amore della mia vita quindi siete pregati di lasciarmi il vostro numero e prima o poi vi richiamerò”
« ciao Louis » lo saluto « Volevo solo farti sapere che sono pronta a lasciarti andare, anche se ti amo e anche se mi manchi. Ci ho lavorato tanto a dire il vero » faccio una risata nervosa
« Ma adesso mi sento pronta Louis e se non lo faccio ora potrei non farlo mai più. Sai una persona mi ha chiesto, una volta, se avrei preferito non averti mai incontrato, per evitare di soffrire così tanto.
Ma la verità è che il nostro tempo è valso ogni singolo minuto di dolore che ho provato e anche quando stavo così male da chiedermi se non era meglio morire non avrei mai rinunciato a noi. Mai. Quindi addio Louis, continuerai a essere la parte migliore di me e continuerai a mancarmi e continuerò ad amarti, è così che va la vita credo. Non è forse questo il vero amore? Probabilmente non lo saprò mai. Ti amo. »



Spazio Autrice
Hey, spero che siate arrivati fin qui senza morire di noia, questa è la mia prima storia e so che non è un granchè ma volevo provare a pubblicare comunque. 
Potreste lasciare una recensione? Mi farebbe davvero piacere, quindi be' arrivederci ahah
Storia  pubblicata anche su Wattpad, sempre da me (xmyonlysunshine)
Dedicata ad A.


Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone né offenderle in alcun modo.

 
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > One Direction / Vai alla pagina dell'autore: xonlyme