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Autore: Acridouis    19/06/2015    0 recensioni
Era evidente la differenza d’altezza, ma non quella d’età e Louis potè affermare che fossero coetanei. Balbettando rispose “O-oh va bene, allora prendo quella” disse indicando una pianta a caso. “Credo sia un’ottima scelta” fece il commesso mentre la prendeva da terra per poi accennare all’altro di seguirlo alla cassa. Louis si posizionò davanti a lui, oltre il bancone; aveva il piccolo portafoglio nero a portata di mano ed osservò come le dita lunghe dell’altro ticchettavano sui tasti della cassa. Scosse la testa come a svegliarsi e non faceva altro che essere catturato da quel movimento svelto. “Sono 10£” fu quello che lo fece sobbalzare di nuovo. Alzò lo sguardo incrociando gli occhi in quelli verdi dell’altro, poi lo sguardo gli cadde sulla targhetta vicino al petto. Harry.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Magie d’acqua.

Louis era stanco, ma stanco da morire. Teneva il pennello in mano, quasi per inerzia. Il caldo aumentava e la sua maglia bordeux era ormai pezzata. Si guardò nel riflesso della finestra e storse il naso. Alzò le mani delicate in segno di resa, raccattò le tavole da disegno e se ne andò dalla grande sala vuota, subito dopo aver dato un’occhiata veloce al trespolo dietro di lui.
Erano passati ormai otto anni dall’iscrizione all’accademia d’arte di Sheffield, ma Louis affrontava ogni giorno come se fosse il primo. Non si sentiva né un novellino o tantomeno un esperto, imparava da tutto e da tutti ogni volta che varcava la soglia dell’ingresso. Non era mai abbastanza per se stesso, anche se gli altri continuavano a dirgli in continuazione che era un vero e proprio fenomeno. Che strano, pensava Louis, lui non si sentiva così.
Voleva bene ai suoi genitori, lo avevano sempre sostenuto durante il suo cammino e gli era grato per questo. Essendo figlio unico, sentiva spesso la pressione concentrata su di sé e questo lo portava ad assumere un atteggiamento scontroso. Era normalmente molto timido e poco sicuro di sé. Amava chiudersi in camera e scoprire la tavola da disegno sulla quale amava scarabocchiare “ Ogni santo giorno” come diceva sua madre. Voleva bene alla sua mamma, Jay era così: si faceva voler bene sin da subito. Avevano gli stessi occhi azzurri e grandi, la bocca doveva averla ereditata dal padre perché quella della mamma era grande e carnosa. Albert Tomlinson era un bancario molto importante e Louis sapeva che era soprattutto grazie a lui se si era potuto iscrivere all’accademia e se si era potuto permettere una tavolozza e un trespolo personali. Un’altra sua passione era il violino, amava suonarlo da quando aveva dieci anni e ogni mercoledì pomeriggio, alle cinque in punto, aveva lezione. La signorina Bennett era una donna sulla cinquantina, proprio come si immaginerebbero le insegnanti di vecchia data. Era bassina, in carne sicuramente, aveva  i soliti vestiti leggeri a fantasia fiorata, le scarpe in tinta con gli orecchini e la collana spesso di zaffiro e la bellissima pettinatura che aveva accuratamente pietrificato con quintali di lacca. Louis la trovava divertentissima, soprattutto quando, appena arrivata, poggiava sul naso i suoi occhiali da vista dalla montatura d’oro quasi inesistente e dalle doppie, forse doppissime, lenti opache per lo sporco. Ogni lezione era una sinfonia diversa, un piacere puro per le orecchie. La signorina Bennett riempiva costantemente di complimenti il giovane Louis che non si gonfiava minimamente. Levava il disturbo ogni volta alle sette di sera precise, manco avesse un orologio svizzero incorporato nel fermaglio dei capelli. Salutava con un gesto svelto della mano il suo alunno e usciva dalla stanza facendo ticchettare i piccoli tacchi delle scarpe sul parquet.
Insomma, a Louis non mancava nulla eppure si sentiva vuoto, incompreso e stranamente incompleto. Si ritrovava spesso a pensare a tutto quello che aveva passato in venti anni di vita e si rese conto che forse gli era stato concesso fin troppo, ma c’era un’emozione che non aveva mai provato. Louis non aveva mai amato. Certo, amava la musica, ma non gli era mai passato lungo la schiena il solito brivido di quando si è innamorati. Vedeva quanto carichi di amore erano i suoi genitori, quanto fosse importante per l’uno far felice l’altro, ogni piccola carezza donata stracolma di amore. Louis era stato troppo impegnato a dimostrare quanto valesse, che quasi aveva dimenticato come rendere felice se stesso. Aveva però un paio di amici ai quali voleva molto bene: Tomas, compagno di corso, e Richard, suonatore di contrabbasso. Si conoscevano ormai da una vita e tutti aveva la passione per l’arte, qualunque sia il ramo di appartenenza. Il primo era un dolcissimo anglo-francese di 19 anni, biondo con gli occhi castani e la solita R omessa come tutti i francesi che si rispettino. La cosa bella di Tomas era che non aveva peli sulla lingua. Era sincero e schietto, ma non pesava, anzi, lo si apprezzava per quello. Lo conobbe pochi anni prima, intento a riprodurre inutilmente la Gioconda. Aveva da due anni una ragazza, francese anche lei, di nome Jolie, con la carnagione chiara, i capelli ramati e gli occhi verdi. Louis la trovava molto dolce, proprio come il suono dello strumento che suonava: il violoncello.
Richard, invece, era uno spirito libero. Era un ragazzo solare, divertente, leggermente sbruffone, sicuro di sé e tremendamente permaloso. A tutti piacevano i suoi capelli rossi e le sue lentiggini pronunciate. Per far colpo gli servivano un colpetto di testa per far ricadere il ciuffo all’indietro e una suonata veloce dei primi dieci secondi dei Preludes di Bach. Un vero spettacolo per le orecchie.
 
 
 
 
 
Era il giorno della festa della mamma e Louis non aveva ancora provveduto
al regalo che avrebbe dovuto dare a Jay il giorno stesso. E si sa che, quando i regali mancano, la soluzione a tutto sono i fiori. Sapeva che, poco distante dalla scuola, c’era un piccolo fioraio sempre pieno di gente, con le sedie e gli ornamenti in ferro battuto verniciato di bianco. L’insegna era ovale, lo sfondo rosa cipria esaltava il verde della scritta “Fleuriste” e le piante di lavanda emanavano un profumo percepibile dal fondo della strada. Decise che sarebbe stata quella la sua destinazione, così si incamminò verso quel posto magico. Già da lontano riusciva a vedere la fila di gente arrivare fin fuori il piccolo negozio, ma si disse che avrebbe aspettato tutto il tempo necessario. D’avanti a lui un uomo anziano era intento a leggere il prezziario affisso all’ingresso, ma con scarso successo, così si voltò verso Louis e gli chiese tremolante “Scusa ragazzo, mi puoi aiutare a leggere il prezzo di un mazzo di rose rosa?” annuì sorridendo e infine gli disse “5£”. Il vecchio sorrise di ricambio e si voltò soddisfatto. Dopo una manciata di minuti fu il turno di Louis. Incominciò così a girovagare per il negozio sotto lo sguardo attento della commessa, ma davvero non riusciva a trovare il mazzo adatto a sua madre.
“Ti consiglio di prendere una pianta.” Una voce maschile fuori campo fece sobbalzare Louis che si voltò verso essa. Un altro commesso, questa volta più giovane e più cordiale era seduto sullo sgabello posto dietro la cassa, prendendo il posto della commessa scorbutica che stava servendo il cliente dopo. Il ragazzo sorrideva a bocca chiusa e osservava lo stato confusionale dell’altro che riuscì a dire “Parli con me?”. Il commesso rise passandosi una mano tra i lunghi capelli mossi “Certo che parlo con te” rise di nuovo e “ti vedo spaesato” disse commentando chiaramente la faccia di Louis. Nel frattempo gli si avvicinò ribadendo “Credo appunto che tu debba comprare una pianta. Resistono di più al calore e vanno innaffiate con poca frequenza rispetto ai mazzi.” L’altro era particolarmente catturato dalle labbra carnose e rosa del commesso mentre parlava. Era evidente la differenza d’altezza, ma non quella d’età e Louis potè affermare che fossero coetanei. Balbettando rispose “O-oh va bene, allora prendo quella” disse indicando una pianta a caso. “Credo sia un’ottima scelta” fece il commesso mentre la prendeva da terra per poi accennare all’altro di seguirlo alla cassa. Louis si posizionò davanti a lui, oltre il bancone; aveva il piccolo portafoglio nero a portata di mano ed osservò come le dita lunghe dell’altro ticchettavano sui tasti della cassa. Scosse la testa come a svegliarsi e non faceva altro che essere catturato da quel movimento svelto. “Sono 10£” fu quello che lo fece sobbalzare di nuovo. Alzò lo sguardo incrociando gli occhi in quelli verdi dell’altro, poi lo sguardo gli cadde sulla targhetta vicino al petto. Harry. Si chiamava così. Bel nome pensò, forse diminutivo di Harold. Ma cosa gli importava? Gli diede la banconota in mano, prese la busta e con un cenno del capo lo salutò.
“Grazie Harry, arrivederci.” fece per poi andarsene con un sorrisetto ingenuo sulle labbra.
 
 
 
 
 
Louis se ne stava seduto, come ogni mattina, sul muretto davanti la scuola, alle 7:30 del mattino, aspettando che la campanella suonasse e che arrivassero i propri compagni. Le uniche persone che vedeva avvicinarsi però, erano i bidelli che dovevano iniziare il loro turno. Era sempre in anticipo, ma il fatto era che a Louis piaceva guardare la strada a quell’ora. Era semivuota, con i fiori che si muovevano, accarezzati dal vento fresco mattutino e le vecchie signore che muovevano velocemente le loro gambette per non perdere il pane caldo sfornato di prima mattina. Era ovviamente l’orario di apertura di tutti i negozi della zona e a Louis piaceva sentire il suono delle serrande alzarsi.
Una ventina di minuti dopo, gli alunni iniziarono ad arrivare davanti l’edificio e ogni classe aveva il proprio gruppo. La prima che riuscì a scorgere fu Melanie, la neo-diciottenne del terzo anno che perseguitava Louis dal primo. Pregò che non l’avesse visto, così si voltò di spalle e aspettò che passasse inosservato quando “Tomlinson!” e “Dannazione” sibilò quello tra i denti. Si girò con cautela e si ritrovò il sorriso bianco della ragazza in faccia, quasi spiaccicato. Sorrise di sbieco e disse “Melanie Brown! Che piacere.” quella fece una risatina da gallina, quasi per vantarsi della cosa che aveva appena sentito e arrossì con violenza. “Che dolce, grazie. Senti, ti ricordi quel caffè che mi dovevi offrire tempo fa?” Certo che se lo ricordava, lo ricordava fin troppo bene e non voleva in alcun modo che lo ricordasse anche lei. Aveva declinato una volta e non voleva sentirselo chiedere più, però riuscì solo a dire “Quale caffè? Devo averlo dimenticato.” Che attore, pensò, era una cosa che gli riusciva piuttosto bene e ne faceva un vanto. “Mah nulla, io lo ricordo, dovevi offrirmene uno, poi non ci siamo più beccati.”
Beccati? Ma come parlava?
“Vabe e allora sarà per la prossima volta.” disse e la mora di rimando “Oh ok…allora, alla prossima?” Louis annuì e lasciò che la ragazza andasse via amareggiata dalla risposta datale.
Era intento ad aggiustare il ciuffo dei capelli quando “Non immaginavo fossi così sciupafemmine” sentì dire. Non era sicuro che quella voce parlasse con lui così non se ne curò e fece per alzarsi ed entrare nell’edificio. “Ehi” di nuovo “ parlo con te.” Questa volta si girò e fu sorpreso nel vedere che, colui che gli aveva rivolto la parola, non fosse un alunno, ma un ragazzo alto, slanciato, con i capelli lunghi e scuri, gli occhi verdi, la bocca rosa e carnosa e una camicia orrenda indosso. “Harry?” chiese incredulo mentre si avvicinava al ragazzo che sorrideva. “Mi fa piacere che ricordi il mio nome” rise “e comunque buongiorno!” fece mentre gli diede un piccolo sbuffetto sulla guancia. Louis si imbarazzò, arrossì anche e potette sentirlo, sorrise di rimando e “buongiorno anche a te.” L’altro non diede il tempo di rispondergli che gli chiese “ Stai andando a scuola? Che fortunato, vorrei averla finita anche io. Giornata pesante?” quello accennò un “no” con la testa e Harry si limitò a sorridergli, di nuovo. Louis pensò a quanto fosse solare e a quanto lo rasserenasse il suo essere così tranquillo. Si guardarono per una frazione di secondo, poi guardò l’orologio e “devo entrare” disse preoccupato. Quello lo fermò e “Si ovviamente, però non so come ti chiami…” quella volta abbassò lo sguardo e “Hai ragione. Sono Louis” gli sorrise e gli porse la mano, poi si voltò e corse verso l’ingresso. Prima di entrare si girò e vide Harry ancora lì, con la mano a mezz’aria mentre diceva “Buona lezione Louis”.
 
 
Pochi secondi dopo, Louis si ritrovò nel suo letto, sudato, consapevole di aver vissuto solo un sogno.

 
  
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