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Autore: Rain of Truth    19/06/2015    2 recensioni
Dash the Hedgehog, figlio di Sonic the Hedgehog, è un riccio spensierato ed irresponsabile. Un giorno, durante il ritrovo di tutti gli amici del padre, Dash incontrerà una ragazza, Althea, futura regina della dimensione del Sol e figlia di Shadow the Hedgehog. Sotto richiesta dei genitori, Althea rimarrà nella dimensione di Sonic per ottenere le doti necessarie e la forza per diventare una sovrana ideale. Con il tempo, Althea imparerà ad apprezzare i suoi nuovi amici, in particolare Dash, che inizierà a provare qualcosa in più nei confronti della ragazza. Dopo l'arrivo di nuovi e pericolosi nemici, il gruppo di ragazzi sarà costretto ad affrontare la minaccia, che potrebbe mettere in pericolo entrambi i mondi.
Salve! Allora, questa storia avevo in mente già da un po' di tempo di pubblicarla. Se piacerà abbastanza, allora la continuerò. Spero che vi piaccia, e buona lettura!
Genere: Avventura, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note d'Autrice (per una volta è relativamente importante.): Salve a tutti, gente. Esattamente, sono ancora viva! Una Nota d'Autrice a inizio capitolo, ma perchè mai, cosa sta succedendo, cosa dovrò mangiare stasera, c'è un gatto fuori dalla finestra, tu non puoi passare, vieni con me se vuoi vivere, a cosa serve questa Nota d'Autrice, vi starete chiedendo nella testolina. Esatto, e la sua inutile presenza non è del tutto inutile. Circa. Allora, è qui per tre motivi. 
Il primo è che mi voglio scusare per tutto questo ritardo. Chiedo venia, ma negli ultimi giorni di scuola ho dovuto studiare come una dannata. Ma posso dire felicemente che adesso che sono ufficialmente iniziate le vacanze potrò aggiornare mooolto di più e più in fretta.
Il secondo: in queste vacanze ci saranno due settimane in cui non potrò aggiornare perchè me ne andrò in una vacanza studio in Irlanda, quindi... no, sarò impossibilitata. Ma appena torno potrò aggiornare come ai beeei vecchi tempi :3
E come terza e ultima cosa, ma assolutamente non meno importante: devo ringraziare shinichi e ran amore e Kiara_Wolf per avermi consigliato una delle idee presenti in questo capitolo (che al momento non spoilero). Siete onorati? Siete onorati eh? Eh? Ammettetelo. Io non sono Miss Modestia, non siatelo neanche voi. Ringrazio ancora una volta loro e tutte le persone che continuano a regalarmi consigli e a seguirmi con pazienza! Detto questo e dopo aver scritto questo tomo (che spero vivamente abbiate letto), vi lascio alla lettura del capitolo :D Thanks Bro. 

Rain of Truth

***

Shadow
‘’-Per favore, state tutti calmi. Non è il caso di agitarsi- disse Blaze ad alta voce, cercando di catturare l’attenzione di tutte le persone nella sala e di far cessare il loro persistente brusio fastidioso.
-Siamo tutti consapevoli che la nostra condizione potrebbe degenerare a breve. Ci troviamo oggi ad affrontare una situazione che da molti anni sembrava non dovesse più ripetersi-. Mentre parlava, il silenzio regnava sovrano, quello che lei aveva ristabilito all’interno della sala.
-Di questo, mia signora, già ne siamo consapevoli. Il vero problema sta nel rispondere alla situazione nella maniera opportuna-.
-Forse sua signoria Lord Mengel dovrebbe tirare fuori qualche buona idea invece di colorire ovvietà assolute con linguaggi forbiti!- disse un altro parlamentare, riferendosi al precedente. In un attimo il brusio riprese, come e più forte di prima. Mi battei il palmo della mano sulla fronte, sospirando frustrato. Blaze scosse la test, esasperata.
-Fate silenzio!- urlai, sbattendo il pugno sul tavolo della Sala Riunioni. -Siamo qui riuniti per parlare di come risolvere un grave problema che, se ignorato, potrebbe portare alla distruzione del regno, non per discutere per delle sciocchezze, chiaro?- tuonai. Tutti nella stanza si zittirono improvvisamente, abbassando lo sguardo.
-Bene. Ora, c’è qualche proposta che possa esserci di aiuto?- continuò Blaze.
-Se mi permette, mia signora, avrei una proposta. Essendo l’attacco avvenuto nel tempio, è più che probabile che ve ne saranno altri con lo stesso bersaglio. Ritengo quindi essenziale incrementare la sicurezza degli stessi-.
-Lei è consapevole, Lord Ferguson, che ciò comporterebbe la necessità di trasferire parte delle risorse, dei tecnici e dei soldati interni alle città nei suddetti luoghi, non è vero? Molti dei progetti a cui stiamo lavorando ultimamente dovrebbero essere posticipati- disse Blaze, con aria preoccupata.
-Con tutto il rispetto mia Regina, ma credo che la prevenzione di un’eventuale crisi abbia la priorità sullo sviluppo del regno. Dobbiamo dare maggiore importanza alla protezione di ciò che abbiamo ottenuto negli anni recenti rispetto a ciò che possiamo ancora ottenere, se vogliamo evitare ulteriori danni-. Blaze annuì.
-Sostengo che i progetti per l’ammodernamento per la città debbano essere temporaneamente messi in secondo piano e ripresi tra qualche tempo per poter concentrare tutte le nostre forze in nome del potenziamento della sicurezza nei rimanenti sei templi in cui risiedono gli smeraldi tramite il trasferimento di guardie adibite alla protezione delle varie città, assegnandole temporaneamente all’incarico di protettori delle gemme, il tutto con una particolare concentrazione delle guardie nel castello di Flaritas- finì il parlamentare.
-Nega potrebbe essere benissimo sopravvissuto in qualche modo anni fa, aspettando soltanto il momento propizio in cui poter attaccare- proruppe una giovane donna, da poco entrata a far parte del nostro Consiglio. -Oppure potrebbe aver lasciato un discepolo o un apprendista che riprendesse le redini del suo sporco lavoro-.
Blaze si irrigidì per un momento a quelle parole. -Ne siamo consapevoli,- disse, dopo un attimo di esitazione. -ed è per questo che consigliamo di agire con la massima prudenza-. Notai solo in quel momento che le mani le stavano tremando lievemente.
-Qualcun altro vuole intervenire?- chiese lei. Il silenzio continuò a regnare sovrano.
-Bene. Allora procediamo al voto- dissi. -Chi crede che le proposte dichiarate oggi debbano venire attuate, alzi la mano-.Uno sciame di braccia si alzò verso il soffitto per tutta la lunghezza del tavolo nella sala. ‘’Molti più della metà’’.
-Bene. Allora procederemo a mettere in atto quanto detto- sentenziò Blaze in conclusione.’’ 

***
Era passato un po’ di tempo da allora. Avevamo ben pensato di agire subito, quindi i templi avevano già ricevuto le attenzioni necessarie. Tutti sembravano piuttosto positivi. Strano da dire, ma chiunque fosse intorno a me era certo che le innovazioni apportate negli anni precedenti potessero prevenire il peggiorare di questa situazione, tanto che forse anch’io di lì a poco avrei cominciato a crederlo. Però non ero tranquillo. Ero  sicuro  che non sarebbe stato così semplice. Anche mio figlio era del mio stesso parere, per qualche motivo. Era quasi come se avesse messo temporaneamente da parte la solarità che lo contraddistingueva.  
-Shadow?-
Sussultai leggermente e mi voltai verso Blaze. -Cosa c’è?-
Lei inspirò profondamente, guardandomi incerta. -Se questa storia degli smeraldi finirà bene e possibilmente in fretta, che ne dici di provare a dire la verità ai ragazzi?-
-Quale verità?- Deglutii, cercando di negare a me stesso di non sapere la risposta.
Sul suo volto comparve un’espressione che tentava di nascondere un alone di tristezza, rimarcando l’ovvietà di quanto quella domanda dovesse sembrare patetica uscita dalle mie labbra. -Delle tue origini, ovvio-.
Sospirai, massaggiandomi nervosamente il collo. -Blaze, sono dei ragazzi che hanno il peso di un intero regno sulle spalle e dei poteri sovrannaturali. Forse sarebbe il caso di evitare loro questa ulteriore perdita di normalità-.
-Sì, questo è vero. Ma sono certa che anche se tu glielo dicessi il loro parere su di te non cambierebbe- disse con un sorriso dolce sulle labbra.
Risposi al sorriso con uno leggermente tirato, abbassando lo sguardo. -Ci penserò su-.
Era da anni che cercavo il momento giusto per riuscire a parlare ad Althea e ad Alexis riguardo al mio passato non esattamente normale, a come ero nato e da dove provenivo realmente. Ma riuscivo sempre a trovare una scusa per non farlo. Prima erano troppo giovani e non avrebbero capito, e ora avevano già troppe preoccupazioni di cui doversi occupare. La loro vita era abbastanza travagliata senza che io mi mettessi in mezzo a mettere scompiglio tra i loro pensieri, distruggendo quel poco che credevano di sapere su di me.
Ma sapevo che queste erano solo delle futili scuse per non parlargliene, per rinviare il momento in cui avrei dovuto mettere a nudo la vita che ero riuscito a lasciare dietro le mie orme. Solo in quel momento mi resi davvero conto che il mio era un problema serio: desideravo dirglielo con tutto il cuore ma non riuscivo a farlo. Volevo davvero distruggere quel poco che riusciva a farli a stare a galla in un mondo di offese e pregiudizi?
No. Ma meritavano di sapere chi fosse realmente loro padre.

***
Il pomeriggio arrivò tranquillo e senza intoppi. La vita scorreva tranquilla come sempre e non c’erano novità allarmanti. Tutto sembrava voler farmi scordare l’enorme pericolo che stava incombendo in quel momento sul nostro mondo. Parte dei soldati e gran parte degli ingegneri ed architetti con cui avevo discusso fino a poco tempo prima era stata immediatamente inviata a proteggere i templi, subito dopo la nostra riunione con il Consiglio.
Poi accadde qualcosa. Una sentinella corse affannata verso di me e Blaze in un modo orribilmente famigliare, informandoci che due guardie richiedevano urgentemente la nostra presenza. Due giovani ragazzi entrarono agitati all’interno della Sala del Trono, guardandoci stravolti. Uno di loro sembrava in condizioni simili al ragazzo che era venuto da noi in precedenza. L’altro, invece, era chiazzato di sangue in faccia e in svariati punti della sua divisa, ormai praticamente ridotta a brandelli. Il suo braccio destro era ridotto in condizioni spaventose: era in una posizione innaturale, era macchiato di sangue secco ed era stato bendato spartanamente: sicuramente era rotto.
-Cos’è successo?- chiese Blaze spaventata.
-Miei Signori!- strillò quasi la guardia in buone condizioni. -Il nostro tempio è stato assaltato. Hanno rubato lo smeraldo- disse tutto d’un fiato. Il sangue mi si ghiaccio nelle vene.
Quello che raccontò il giovane fu un attacco simile a quello che avevamo subito quando il primo smeraldo fu rubato. Nessuna vittima, tutte le persone nel tempio erano state addormentate.
Dopo che ebbe finito il suo racconto mi voltai verso la guardia con il braccio rotto. -Perché sei in quelle condizioni?- chiesi, cercando di trattenere il panico.
-Maestà- sussurrò con un filo di voce. -Il tempio che stavo sorvegliando è stato attaccato. Io sono stato addormentato da qualcosa, ma sono riuscito a stare vigile abbastanza per riuscire a vedere i miei compagni che davano l’allarme. Quando mi sono risvegliato, mi sono ritrovato circondato da cadaveri- spiegò con voce roca e a malapena udibile. -Il tempio era in fiamme, e lo smeraldo non era più sull’altare-.
Blaze sbarrò gli occhi. -In quanti siete sopravvissuti?-
-Solo io-.
Blaze mi guardò terrorizzata, la paura che si stava facendo strada nel suo sguardo.
Non era solo il nemico che mi preoccupava. Era il modo in cui agiva. Attacchi effettuati in date senza significato, in luoghi lontani tra loro. Solo allora mi resi conto di quanto avremmo dovuto migliorare la comunicazione tra i templi, così da rendere più rapida la venuta a conoscenza di questi eventi. I mezzi  di trasporto per muoversi in quel mondo non erano evoluti come quelli a Mobius, e a volte per riuscire a ricevere una notizia da un’isola lontana poteva passare diverso tempo. Quegli attacchi potevano essere avvenuti giorni prima e noi non ne avevamo saputo nulla, eravamo stati tranquilli, a discutere di tutt’altro. Richiamai con un segno della mano una delle guardie ai lati della stanza e gli sussurrai dei comandi.
-Porta questi uomini all’infermeria. Poi avvisa le altre guardie e chiamate uno ad uno i membri del Consiglio. Non importa quanto si opporranno a venire, e fregatene se ti dicono che è troppo tardi per una riunione a quest’ora. È un’emergenza, sono stato chiaro?- Mi fece segno di sì con la testa e andò subito a fare quanto gli avevo ordinato. Con la tensione che aveva raggiunto il limite, mi rivolsi a Blaze.
-Non credo che questa storia finirà presto-. 

***
Althea
Cercai di tenere a bada uno sbadiglio imminente mordendomi l’interno della guancia. Non riuscivo proprio a spiegarmi come Dash e le altre due ragazzine fossero riusciti a convincermi a giocare con loro a “Panzer Dragon Saga”, uno stupidissimo gioco da tavolo. Certe volte mi chiedevo se tutti gli anni in cui avevo studiato per succedere al trono mi sarebbero effettivamente serviti a qualcosa, vista la situazione in cui mi ritrovavo in quel momento.
-Non ce la farete mai a vincere- si vantò Sunny con un tono da sbruffona. Alzai gli occhi al cielo, sbuffando e appoggiando il mento sul palmo della mano.
Dash fece per muovere la sua pedina.
-Dash, è inutile. Lo vuoi capire?- disse ancora una volta la riccia azzurra. Dash le lanciò un’occhiataccia.
-Se non chiudi la bocca giuro che ti rovescio la bibita in faccia-.
Lei sorrise furbetta, socchiudendo gli occhi. -Non lo faresti mai-.
-Smettila-.
-Visto? Non lo faresti mai!-
-Certe volte sei tremendamente irritante-.
-Ma senti chi parla- borbottai, giocherellando con la cannuccia nel bicchiere dove prima c’era una bevanda gassata. Era la prima volta che potevo mangiare o bere qualcosa che non potesse essere definito esattamente salutare senza dovermi sorbire le urla di qualche dietologa che tentava di farmi vivere a pane e acqua per mantenere la linea. Infondo era questa per loro la cosa importante, no? L’aspetto. Una sovrana poteva anche essere una dittatrice, ma se rimaneva in forma era tutto a posto.
-Tu stai zitta- sibilò Dash scocciato.
-A quanto pare non sai accettare le sconfitte- continuò a stuzzicarlo Sunny.
-Andiamo, smettetela!- trillò Emily.
‘’Oh Chaos, non è possibile’’ pensai esasperatamente tra me e me. ‘’In che razza di branco di mocciosi sono finita? Sono uno peggiore dell’altro’’. Fu solo in quel momento che mi colpì il tremendo dubbio che avessero all’incirca la mia età. Il che sarebbe stato duro colpo alla mia dignità.
Era arrivato il turno di Emily, che sembrava aver fatto la mossa giusta per mettere in scacco la sorella più grande.
-Hah! Ora il mio drago ha un livello più alto del tuo!- disse lei, esultante.
-Il tuo drago può colpire due caselle più avanti della sua?- ridacchiò Sunny saccente, inarcando un sopracciglio.
-Sìììì!...No…-
-Allora… il tuo è fuori-.
-Ahhh!!! Certe volte sei tremendamente irritante!!!- rispose nuovamente la ragazzina, furiosa.
-Ed essendo arrivata al centro…ho vinto ancora!-
-Oh, ma dai!- inveì Dash.
-È la quarta volta che vinci, cambiamo gioco!- Il brusio, incredibilmente fastidioso ed elevato, cominciò a serpeggiare per tutta la stanza, lasciando solamente a me il sacrosanto dono del silenzio.
Li lasciai strillare per qualche minuto, sperando di riuscire a resistere all’irruenza di quei ragazzini. Chiusi gli occhi, mettendomi la mano sulla fronte.
-Basta…- mormorai con voce scura. I ragazzi continuarono a litigare tra loro.
-Basta- dissi a voce più alta. I tre fratelli mi ignorarono. Ero certa che parlare con un muro sarebbe stato molto più gratificante che farlo con loro.
-BASTA!- urlai, alzandomi di scatto dalla sedia e sbattendo le mani sul tavolo. Un improvviso moto d’ira colpì i miei già abbastanza irascibili nervi.  Il gioco davanti a noi prese improvvisamente fuoco. Emily strillò per la sorpresa e tutti e tre i ricci indietreggiarono pesantemente.
-No!- Parai le mani davanti a me, provando a spegnere le fiamme. Ma senza successo. Il panico si insinuò in ogni mia vena. -No, non qui!-
-Ragazzi, è pronto il pranzo, venite a tavola!- disse Amy, sporgendosi dalla porta della cucina con la testa e mostrandoci la teglia con l’arrosto che aveva appena finito di cucinare. La guardai spaventata, il battito cardiaco a mille. Il cibo che aveva tra le mani prese immediatamente fuoco. La riccia rosa lo lasciò cadere immediatamente sul pavimento -Oh cavolo!-
Mi misi le mani tra le spine, stringendomi con forza la testa, che pulsava dolorosamente. Ebbi un improvviso capogiro per l’agitazione e caddi in ginocchio.
-Stai calma!- disse Dash, facendo per mettermi una mano sulla spalla-
-NON TOCCARMI!- urlai, reclinando la testa in preda a una fitta di dolore terribile. La porta d’ingresso si aprì di colpo.
-Sono tornato a casa!- disse allegro Sonic, salutandoci con un sorriso. Mi voltai di scatto verso di lui e il divano prese fuoco. Sonic si ritrasse, sorpreso.
 -Oh cavolo!- 

***
L’aria fresca mi sferzava il volto dopo che finalmente eravamo riusciti a spegnere l’incendio. Ci trovavamo nel cortile della casa, mentre avevamo lasciato la casa ad arieggiare dopo il mio piccolo incidente.
-Fiuu! Per fortuna è andato tutto bene- disse Sonic, asciugandosi il sudore sulla fronte con l’avanbraccio. Chinai la testa e abbassai le orecchie, tremendamente a disagio.
-Io… scusatemi. Non avrei mai voluto che una cosa del genere accadesse in casa vostra, davvero…- mormorai imbarazzata.
-Non ti preoccupare, non ci sono stati troppo danni. Tutto quello che abbiamo perso era un brutto gioco da tavolo e il pranzo- disse Dash, sorridendomi rassicurante.
-E il divano. Già… il divano- sospirò Sonic, improvvisamente demoralizzato.
-Non è successo nulla di male, non preoccuparti- continuò Dash rivolgendosi a me.
-Mi dispiace dovertelo dire, ma non sono d’accordo- intervenne Sunny. -In qualunque modo la metterai, Dash, dobbiamo ammettere che ci ha quasi bruciato la casa-.
-Sai che non è stata colpa sua- sibilò secco.
-Sono convinta che abbia bisogno di aiuto. Non possiamo lasciarla vagare come una mina per casa nostra rischiando che faccia altri danni-.
-Smettila Sunny. Ora-.
-Sunny non ha tutti i torti- disse Sonic, con aria molto seria.
-Papà…?-
-Non fraintendermi, Dash-. Poi si voltò verso di me. -Althea, sappi che ti ammiro molto. Sei una ragazza gentile ed educata-. Be’…almeno con lui lo ero.
-Ma il tuo potere è grande. Molto grande. Anche se sono certo che riuscirai a domarlo un giorno, tuo padre ti ha affidato a noi. Quindi è anche compito nostro darti una mano-.
-Dove vuole arrivare, signor Sonic?- chiesi. Sonic tirò fuori uno dei suoi sorrisi sornioni quando io finii di parlare.
-Ti prego, chiamami Sonic e basta. Intendo dire che è arrivato il momento di cercare seriamente una soluzione al tuo problema-.
-Ma…-
-Che non si limiti all’allenamento e in cui tutti noi potremo darti man forte attivamente-. Abbassai leggermente la testa, come se fossi confusa sul da farsi, come se avessi avuto la sensazione di aver sbagliato tutto fino a quel momento, come se avessi affrontato la mia situazione con l’approccio sbagliato. Sunny, quasi come se si fosse accorta di essere stata troppo dura nei miei confronti, cosa che comunque non trovavo vera, prese nuovamente parte alla conversazione
-In effetti…pa’, tu non conoscevi un genio della meccanica?-
-Stai parlando di Tails? Sì, certo, ma cosa centra lui in tutto questo?-
-Beh, potresti chiedergli un aiutino per risolvere il nostro problema-. Devo essere sincera, mi piaceva il tono diretto di quella ragazza.
-Uhm… non saprei. Tails in questo momento è molto occupato. E poi siamo soprattutto noi quelli che hanno il dovere di aiutarla. Lui ha un sacco di pensieri per la testa in questo periodo, non credo sia il caso di occuparlo ulteriormente-.
-Papà, lei ha bisogno di aiuto- disse, accentuando ogni parola della sua frase. Non stavo partecipando al discorso che riguardava me in primo piano, e la cosa mi faceva strano. Quelle persone stavano lottando attivamente per me e non ne capivo il motivo.
-Tails potrebbe essere l’unico che potrebbe davvero aiutarci- intervenne Emily, sbucata improvvisamente al mio fianco.
-E la prossima volta potremmo non essere così fortunati come lo siamo stati oggi- continuò Sunny.
-Beh…- Sonic si sfregò il collo con la mano. -E va bene-.
-Sì!- esultò Dash.
Sospirai, scuotendo la testa. -Io non voglio il suo aiuto- dissi. Tutti mi guardarono straniti.
-Ma…- balbettò Emily.
La fermai, interrompendola con un gesto della mano. -No. Non voglio infastidire nessuno con i miei problemi-.
Amy si schiarì la voce, fissandomi con un’aria stranamente intimidatrice. -Mi sembrava che ne avessimo già parlato. Che cosa abbiamo detto? ‘’Non posso fare tutto da sola’’-.
-Questo è vero, però…-
Lei sorrise radiosa. -Visto che te lo ricordi?-
-Ti prego, accetta l’aiuto di Tails!- mi implorò Emily con gli occhi lucidi per le lacrime. Ma come diavolo faceva? Roteai impercettibilmente gli occhi, sbuffando.
-E va bene- grugnii di malavoglia.
-Dash, accompagnala tu- disse Sonic
-Cosa?! Perché io?-
-Perché sei più veloce delle tue sorelle e perché non mi va che Emily usi la macchina troppe volte al mese-.
-Uff…ok, va bene, messaggio ricevuto. 1,2,3, via!- Appena ebbe finito di parlare lo vidi partire come un razzo, mentre io ero rimasta lì, ferma come un pesce lesso.
-Credo che ti convenga seguirlo- ridacchiò Amy, con il solito sorriso in faccia. Attivai i pattini e mi affrettai a seguire il suo consiglio.  

***
Poco dopo ci trovavamo davanti a una casa abbastanza grande nei pressi di Station Square.
-Questo è il posto- disse Dash, avviandosi verso la porta e battendoci violentemente sopra un pugno. Non ci rispose nessuno. Aspettammo ancora qualche minuto, ma invano. La pazienza cominciò a venirmi meno.
Provai a ruotare la maniglia della porta e, sorprendentemente, quest’ultima si socchiuse.
-È aperta- riflettei, entrando in casa. Mi guardai rapidamente intorno e notai che quella in cui ci eravamo praticamente infiltrati non era affatto un’abitazione ordinata da come poteva sembrare all’esterno. Fogli colmi di scritte pressoché illeggibili erano sparpagliati per tutto il salone principale, grandi progetti stampati su carta buttati con fare affrettato in qualsiasi angolo o spigolo che non fosse già stato occupato da qualche libro. Persino la più intrepida delle mie domestiche si sarebbe sentita scoraggiata davanti a una mole tale di lavoro.
-Taaails!- urlò Dash. -C’è qualcuno?-
Al posto di una persona, ci rispose una forte esplosione proveniente dalla stanza che nascosta dietro l’angolo delle scale che portavano al piano superiore. Sentii dei violenti colpi di tosse e, prima che me ne accorgessi, un fumo pesante e scuro si diffuse in un attimo per tutta la stanza.
Un trillo acuto mi trapassò le orecchie e immediatamente ci investì una pesante dose d’acqua dal soffitto.
-Stupidi sistemi antincendio!- ringhiò qualcuno. Prima che Dash o io potessimo ribattere, davanti a noi apparve una giovane volpe a due code. Era un uomo alto, slanciato, dalla pelliccia di un bel color oro. I suoi occhi erano azzurri, limpidi e risaltavano con il camice bianco che indossava in quel momento.
-Dash?- riuscì a dire lui tra i tossii. L’acqua finalmente smise di scorrere e di inzupparmi i vestiti.
-Tails! Che diavolo è successo?!- urlò Dash, tossendo incessantemente.
-State tutti bene? Scusate, non mi aspettavo visite-.
-Scusi la domanda, ma si può sapere cos’è successo?- chiesi con tono piuttosto irritato per essere stata affumicata e infradiciata.
-Ah, ordinaria amministrazione. Mi spiace che ne siate state coinvolti-.
Dash, ovviamente con aria sbruffona, ribatté subito. -Non ti devi preoccupare per questo, siamo delle rocce io e lei! Soprattutto io-.
Probabilmente non aveva la più pallida idea dei problemi che mi dava quella dannata pelliccia che mi ritrovavo dalla nascita. A contatto con l’acqua pendeva per il corpo e sembravo diventare un uomo barbuto di mezz’età. Erano quelli i momenti in cui rimpiangevo di essere nata per metà felino. O anche quando annusavo dell’erba gatta o mi ritrovavo involontariamente a… fare le fusa. Certe volte era una cosa incontrollata. Sempre umiliante e indignitoso.
-Ma ditemi, avete bisogno di qualcosa?-
Dash si fece avanti, temendo che io prendessi l’iniziativa e rispondessi negativamente alla domanda. -Sì, ad essere schietti-.  La volpe alzò un sopracciglio con fare curioso.
-Vedi, la ragazza qui ha un enorme problema- continuò il riccio.
-Oh, fammi il piacere- sbuffai, roteando gli occhi.
-Be’, in poche parole: ha dei problemi a controllare il suo potere-.
Tails aggrottò la fronte, guardandomi. -Tu sei la figlia di Blaze se non sbaglio. Althea, giusto?- Fui sicura dal suo tono di voce che sapesse già quale fosse la risposta.
-Sì-.
-Giusto, mi ricordo della rissa che avete improvvisato tu e Dash. Quindi il tuo problema è il fuoco- rifletté pensieroso.
Dash batté ripetutamente un piede sul pavimento, snervato dal cambio di argomento. -Tails, abbiamo un urgente bisogno del tuo aiuto. Non riesce più a tenere a bada le fiamme, ci serve una delle tue invenzioni-.
Tails si grattò la nuca. -Ragazzi, credo di non potervi essere d’aiuto-.
-Cosa?!- urlò incredulo Dash.
-Mi dispiace, ma non posso proprio. In questo periodo sono strapieno di problemi, e il governo mi sta dando degli ultimatum per finire dei progetti rilevanti. Devo anche aiutare un amico… diciamo, diversi amici per una faccenda importante, quindi…- Mi guardò esitante, sinceramente dispiaciuto.
-Ma questa è una faccenda importante! Ti prego Tails, non puoi farci questo!- implorò il riccio con un tono disperato.
-Non importa- sospirai. Dash mi guardò con gli occhi sbarrati.
-Ma tu…-
-Stai zitto! Non immischiarti in faccende che non ti riguardano. Questo è un mio affare, non tuo!- Credo che la mia risposta secca lo avesse leggermente ferito, anche perché abbassò momentaneamente lo sguardo in segno di imbarazzo. Mi voltai verso Tails, rivolgendomi direttamente a lui.
-Senta, mi dispiace se siamo venuti a disturbarla fino qui, ma davvero, non è necessario il suo intervento. Questa è una cosa che posso gestire da…-
Una rapidissima gomitata nello stomaco mi zittì. Non riuscii a respirare per qualche secondo, e il colpo inaspettato mi aveva mandato in un breve stato di panico. ‘’Stupido riccio…!’’
Sentii una forte vampata di fiamme farsi strada sulla mia schiena e sulle spalle, alzandosi fino al soffitto. Il mio pelo si asciugò all’istante, e poi si gonfiò. Subito dopo, l’acqua cominciò nuovamente a sgorgare dal sistema antincendio.
-Apparecchio sensibile, eh?- disse Dash, quasi divertito .
-Ci sto lavorando…- rispose la volpe con tono scocciato.
-Perché diamine l’hai fatto?!- riuscii ad ansimare quando finalmente l’aria mi riempì di nuovo i polmoni.
Dash sorrise vittorioso. -Visto Tails? Non riesce a controllare i suoi poteri-.
-Sì. In effetti non deve essere facile per te, Althea-. A quel punto mi limitai a non guardarlo direttamente negli occhi, senza rispondere.
-Allora, puoi aiutarci?- chiese un'altra volta quell’idiota di un violento di un ragazzino maledetto di un riccio dannato.
-Beh…tutto sommato credo di poter fare qualcosa. Datemi solo un po’ di tempo-.
-Sai dirci quando possiamo tornare?-
-Domattina alla stessa ora, se le cose vanno a rilento-.
L’ultima frase ci lasciò piuttosto sbigottiti. -Sta scherzando? Come può…- cominciai io.
-Ho i miei mezzi, non vi preoccupate- rispose, strizzandoci stancamente un occhio.
-Allora… la ringrazio- dissi con riverenza, chinando in modo rispettoso il capo. Dopo che Dash ebbe fatto gli ultimi saluti alla volpe, uscimmo dal suo laboratorio e iniziammo a camminare sulla strada del ritorno a casa. Dash si voltò sorridente verso di me.
-Hai visto? Te l’avevo detto che ci avrebbe aiut…- Mi avvicinai rapidamente a lui e gli tirai un pugno in pancia. Il ragazzo si piegò su sé stesso, stringendosi lo stomaco.
-Perché l’hai fatto…?!- esalò.
Io feci un sorrisetto ironico.-Almeno un’ultima soddisfazione me la volevo togliere-.

***
Dash
La mattina dopo eravamo di nuovo lì, davanti all’accogliente casa di Tails. Ci apprestammo ad entrare, e nel frattempo mi tenevo bene a mente che non avrei mai più dovuto fare esempi sul controllo dei poteri di Althea.
-Buongiorno ragazzi- ci salutò Tails sulla soglia della porta. Ci fece entrare in casa, facendoci accomodare sul divano. -Avete già fatto colazione?- ci chiese con uno sbadiglio malamente trattenuto.
Io annuii, sentendomi leggermente in colpa. ‘’Almeno io l’ho fatta’’.
Quando, qualche minuto prima, eravamo in casa mia, seduti a tavola per mangiare, Althea non aveva toccato cibo. Era stata in silenzio, con lo sguardo basso e la testa china. Mi era sembrata nervosa, in ansia.
-Bene. Come promesso, vi ho portato quello di cui avete bisogno- ci disse la volpe con un fiacco sorriso.
-Vado a prenderli, aspettate un attimo-. Si diresse verso la stanza da cui il giorno prima era fuoriuscito tutto quel fumo. Intanto, mi venne voglia di capire che cosa passasse per la mente di Althea.
-Ehi, che ti succede? Ti vedo preoccupata-.
Althea alzò con esitazione lo sguardo, mordendosi il labbro inferiore e nel frattempo torcendosi le mani con nervosismo. -Cosa succederà se non avrà effetto l’intervento del signor Prower? La sua si tratta pur sempre di una soluzione improvvisata ad un problema delicato-.
-In primo luogo, lui è “Tails”. In secondo luogo, devi tranquillizzarti. Lui è uno specialista in soluzioni improvvisate a problemi delicati. Il tuo è una bazzecola rispetto a ciò che mi raccontava mio padre di lui-.
-Tsk, per esempio?- disse con sguardo scettico.
-Beh, vediamo…oh sì, una volta stavano inseguendo in aereo un’enorme aeronave, e…-
-E ho trasformato il mio vecchio e caro aereo in modalità di combattimento, lo so- rise genuinamente Tails, ricomparso improvvisamente nel salotto.
-Sì, stile Transformers, o roba simile!- dissi, lasciandomi trasportare dall’entusiasmo. Adoravo quella storia. -Ti prego Dash, avrò sentito tuo padre raccontare questo episodio almeno un migliaio di volte quando eri piccolo- ridacchiò la volpe.
Althea ci guardò confusa e disinteressata allo stesso tempo.
-Comunque,- disse Tails, schiarendosi la voce e ritornando sul motivo per cui eravamo venuti da lui. -Questi sono per te-. Porse ad Althea due bracciali d’oro.
-Dei bracciali?- farfugliò confusa.
-Non semplici bracciali. Sono Anelli Inibitori- la corresse Tails. -Hai mai notato che tuo padre ne indossa un paio di simili continuamente?- Lei annuì, non troppo decisa.
-Bene. Li ho costruiti sulla base del loro modello. Credo che potranno servire a contenere i tuoi poteri, esattamente come fanno i suoi-. Tails le sorrise. -Prova ad indossarli-.
Althea inspirò profondamente. -Ok-. Fece passare la mano destra all’interno di uno di quegli anelli e lo fece scattare attorno al suo polso. Ci fu qualche secondo di attesa, in cui il tempo sembrò essersi fermato.
-Come vanno?- chiesi. Lei rimirò per un attimo il bracciale che stava indossando con aria assente.
-Non sento niente-. Detto questo, indossò anche l’ultimo dei due anelli.
-Forza, prova a fare qualcosa!- proruppe impaziente Tails.
-Qui in casa?- chiese confusa lei.
-Sì, andiamo! Posso permettermi di avere un po’ di cenere sul pavimento-.La gatta mi lanciò un rapida occhiata in cui mi espresse tutto il dubbio per la persona con cui ci eravamo messi in affari. Io mi strinsi le spalle e le sorrisi, fingendo di sapere quale sarebbe stata una possibile strana richiesta da parte del nostro scienziato.
-E va bene…- Althea chiuse lentamente gli occhi, rilassando le spalle. Dopo qualche secondo, fu interamente avvolta dalle fiamme.
-Come ti senti?- le domandò Tails.
-Uhm… bene, suppongo-. Riaprì gli occhi, come se, poco a poco, si stesse illudendo di essere guarita. Aveva paura, glielo leggevo nello sguardo. Ma era anche piena di speranza. Poco a poco fece sparire il fuoco dalla sua pelle, e ci guardò con gioia quasi infantile. Poi notai che le si erano accese delle minuscole fiammelle nell’incavo del collo, vicino alla spalla destra, simili a quelle che compaiono alla fine dell’incubo che lascia dietro di sé un incendio.
-Ehm Althea… ne hai ancora un po’ sulla spalla- dissi.
-Cosa?- Le spense subito, facendo un piccolo sforzo. -Ti ringrazio-.
Tails sembrava soddisfatto del suo lavoro, e subito si rivolse ad Althea. -Bene, ora mi raccomando: in questi giorni non strafare. Fai in modo che i tuoi poteri si adattino agli anelli poco a poco, va bene? Ricordati che erano stati creati per aiutare il controllo di tuo padre, non il tuo, quindi potrebbero essere più instabili all'inizio-.
-Sì… grazie Tails- disse questo Althea, mentre un tenero sorriso, forse il più spontaneo che avessi visto da parte sua fino a quel momento, le coloriva le labbra e la faccia della speranza in cui non aveva mai creduto fino a quel momento.
-Grazie di tutto Tails. Credo che ora sia ora di andare- ci congedai. Tails annuì con un sorriso.
-Va bene. Porta i miei saluti a Sonic-.
Prima che potessi uscire, notai che la pelliccia di Althea era illuminata da una fioca luce blu dovuta a dei piccoli sprazzi di fuoco azzurrognoli che le si erano appiccati addosso.
-Althea, Tails ti ha appena detto di non esagerare. Non credi che almeno dovresti esercitarti fuori da casa sua?- chiesi, divertito per quello che credevo fosse solo entusiasmo.
Lei inarcò un sopracciglio. -Cosa…?- Si guardò gli avanbracci, e il suo voltò si irrigidì improvvisamente per la paura. -Non sono io- sussurrò.
Mi avvicinai per guardare meglio cosa avesse. Poi la sua reazione mi spaventò. Si allontanò da me barcollando.
-Ehi! Che succede, stai bene?-
-Sì…- rispose lei in un bisbiglio. Aveva la faccia funerea e tremendamente pallida, come se stesse provando dei forti dolori.
-No, non stai bene. Tails, aiutami a rimuoverle gli anelli!- Io e Tails ci avvicinammo velocemente ad Althea, consapevoli di dover agire subito, anche perché si era verificato un evento imprevisto. Mentre correvamo quei pochi metri che ci separavano da lei, Althea sbarrò gli occhi all’improvviso e ci urlò contro.
-State lontani!-
Infine, una violentissima vampata di fiamme, chiarissime e incredibilmente calde, fuoriuscì dalla ragazza. I grossi zampilli si muovevano furenti, come se finalmente avessero ottenuto un’agognata libertà. Ma certamente non pensavo a queste cose in quel momento. La stanza era praticamente sottomessa alle fiamme. Althea si strinse una mano sulla testa e una sullo stomaco. Il volto era vuoto, come se, in quel momento, stesse provando un dolore così immenso che tutto quello a cui riusciva a pensare era una maniera per attenuarlo. Sembrava non essersi accorta di quello che stava succedendo attorno a lei. Poi le fiamme cominciarono ad assumere una forma più compiuta. Quell’aurea che prima circondava Althea, ora si stava raggruppando nella parte destra del suo corpo, lasciando la sinistra libera.
Mentre il lato sinistro delle sue labbra era impassibile, quello a destra stava formando un grottesco sorriso. Il suo corpo era, in un certo senso, diviso in due, ma ancora unito. Le fiamme erano così ben raggruppate che nascosero completamente la pelliccia nera di tutta quella sezione di lei. Althea raddrizzò la schiena, guardandoci e trapassandoci con lo sguardo.
-Tails, via di lì!- gli urlai, subito prima di spintonarlo via dal punto in cui, subito dopo, si verificò una piccola esplosione di fiamme, che si sparpagliarono nelle vicinanze. Ad un certo punto lei emise un verso, che sembrava composto da tante voci femminili tutte uguali alla sua, che urlavano all’unisono. Era come se stesse ruggendo.
-Ok, Althea… stai calma, va bene?- sussurrai mentre le sorridevo tranquillamente, protendendo le mani in avanti nella speranza che la calmassero. Lei cominciò a squadrarmi, facendo avanzare un poco la parte infuocata, con la quale mi osservava più attentamente che con quella rimasta normale. Avevo capito che qualcosa la stava controllando, perché sembrava che solo l’occhio destro mi stesse vedendo.
Però si era fermata un secondo… -Ora ti tolgo i bracciali…- …solo per riprendersi all’improvviso e attaccarmi. Aveva letteralmente allungato il suo braccio verso di me, aumentandone significativamente le dimensioni e la lunghezza. Riuscii a schivare il suo attacco solo perché avevo un buon istinto, altrimenti sarei morto su colpo a quei tempi.
Mi girai e vidi quell’abominevole braccio trapassare la parete del lato opposto della stanza rispetto a quello dove si trovava la mia amica.
Richiamò a sé il braccio. Quando quest’ultimo tornò al suo legittimo posto, sentii uno scrocchiare di ossa quasi inquietante. Althea si voltò di profilo, mostrandomi solo il suo lato sinistro, e mi ringhiò contro.
Il sistema antincendio si attivò per l’ennesima volta. Althea si parò un braccio davanti agli occhi, scosse la testa scrollandosi l’acqua di dosso e grugnì infastidita. Mi guardò fisso ed emise un ultimo, gutturale gorgoglio. Poi piegò le ginocchia e saltò, scontrandosi contro il soffitto e trapassandolo, e con esso tutti i piani restanti della casa.
-Tu spegni l’incendio e porta al sicuro Knuckles e le altre!- strillai rivolto verso Tails. -Io vado a riprenderla-. La volpe annuì decisa, e io corsi immediatamente fuori dalla porta.
Appena fui all’aperto, non mi fu difficile indovinare in quale direzione fosse andata Althea: la strada che portava verso Station Square era ricoperta da fiamme, e del terreno su cui aveva camminato rimaneva solo cenere. Decisi saggiamente di correre seguendo quella pista. Già dopo pochi secondi fui in grado di scorgere la figura di Althea avvolta dal fuoco. I suoi piedi non toccavano terra, e fluttuava ad una velocità spaventosamente alta, paragonabile alla mia.
-Althea! Fermati e ascoltami!- Lei non si voltò nel solito modo stizzito come usava fare di solito, né mi rispose in modo discutibile. Mi ignorò e basta. Ormai eravamo entrati nel centro della città.
-Maledizione, Althea!- Corsi più vicino a lei, che se ne accorse subito. Il suo braccio si allungò nuovamente, muovendosi sinuosamente come una frusta nell’aria in tutte le direzioni e colpendo tutto ciò che aveva intorno: pareti di edifici, lampioni, vetrine, venivano fuse e spazzate via come nulla. Con lo stesso, eseguì una spazzata laterale verso di me. Come poco prima, saltai giusto in tempo per evitarla. Ripeté un’altra volta la stessa azione, stavolta cercando di colpirmi dall’alto. Aumentai la velocità, riuscendo ad evitare il violentissimo colpo con uno scatto.
-Allora, ti senti fortunata? Prova ancora!- Mentre la sbeffeggiavo, vidi che dal suo avambraccio si muoveva, verso il grosso palmo della mano, un gonfiore interno, come se fosse acqua che usciva da una gomma.
Mi spaventai, e qualcosa mi disse che dovevo abbassarmi. Feci subito una scivolata. Vidi la sua mano che sparava una grande palla di fuoco, molto più grossa di quelle che aveva prodotto fino a quel momento, quando era nel suo stato normale. Mi passò ad un palmo dal naso, e per pochissimi istanti avvertii un elevatissimo calore passarmi vicino. I miei occhi furono storditi alla vista ravvicinata di quel bagliore. La sfera colpì l’edificio dietro di me, scatenando un’esplosione di fuoco, a cui seguì una forte onda d’urto che mi sbalzò via, facendomi rotolare per terra per vari metri, mentre Althea proseguiva la sua corsa selvaggia. Mi aveva colpito nonostante non mi avesse nemmeno toccato. Era la quarta volta che rischiavo di morire quel giorno. Dovevo fermarla.
Mi sentivo frustrato per non esserci riuscito subito, ero furioso. Sentii il sangue salirmi alla testa per la rabbia.  Sbattei il pugno sul terreno con tutta la forza che avevo. In lontananza, sentii delle sirene suonare, e mentre mi rialzavo, delle volanti della polizia mi passarono di fianco velocemente, lasciando al loro passaggio solo una forte ventata d’aria.
Corsi a tutta velocità, seguendo la scia di distruzione che Althea aveva lasciato dietro di sé. Dopo poco la riuscii già a trovare. Era circondata da almeno una decina di auto della polizia parcheggiate in modo totalmente casuale, e ogni via di fuga le era stata tagliata. Molti poliziotti le stavano davanti, guardandola con un misto di stupore e paura. Althea inarcò leggermente la schiena, ringhiando. Si sentiva in trappola, e non osavo immaginare che cosa avrebbe fatto pur di liberarsi.
-Althea!- urlai, dandomi la spinta per scavalcare la macchina che avevo davanti a me. Ma mi sentii afferrare per le spalle da due paia di braccia.
-Sei impazzito?!- mi urlò contro uno dei due poliziotti che mi teneva fermo per un braccio.
-Lasciatela stare, peggiorerete le cose!- gli ringhiai contro.
Un uomo in uniforme prese un megafono e lo accese. -Tu! Arrenditi immediatamente o facciamo fuoco!- disse con tono minaccioso rivolto ad Althea.
-Cosa?! No!- Mi divincolai violentemente dalle braccia di quei due tipi, ma senza successo. Tutto il corpo della polizia estrasse le pistole dalle fondine e le puntò contro la ragazza. Lei mi guardò per un attimo.
-Smettila di fare tutto questo! Ti vogliono ammazzare!- urlai nel panico. Distolse lo sguardo. In qualche secondo, la base dell’edificio dietro di lei prese fuoco.
-Sparate!- ordinò l’uomo, e subito l’ambiente fu ricoperto dagli assordanti boati delle armi da fuoco, pistole, mitragliatrici, fucili, tutti addosso a lei. La mia disperazione si diradò, insieme alla folta nuvola di fumo intorno ad Althea, quando vidi che lei era ancora in piedi.
-Le nostre armi sono…no…non di nuovo…-  disse il capo, che aveva inconsciamente lasciato il megafono vicino alla bocca in preda alla paura. Il braccio della gatta si ingrossò, e mentre puntava la sua mano aperta contro di me, notai su di esso un gonfiore famigliare. Mi liberai con violenza dalla presa dei due poliziotti, allentata a causa dello stupore nel vedere che il loro attacco non aveva fatto un graffio alla loro nemica e mi diressi velocemente lontano da quel punto.
-Allontanatevi!- urlai loro, subito prima che la macchina dietro di me esplodesse in un mare di fiamme. Quando mi girai, i due uomini erano svenuti, a terra, in due punti piuttosto lontani tra loro.
-Maledizione! Tutto il personale, indietro! Ritirata!- esclamò il capo prima di sparare ancora un paio di colpi sulla mia fiammante amica. Erano scappati via letteralmente a gambe levate, lasciando le volanti ed i loro uomini indietro. Era meglio sbrigarsi, quei due potevano aver bisogno d’aiuto.
Io e il mio obiettivo: c’era un muro di fiamme a isolarci dal mondo. O la va, o la spacca.  Althea mi stava osservando circospetta.
-Finalmente ci rivediamo- risi. -Devo ammettere che mi sei mancata-. Mi avvicinai molto lentamente di un passo. Lei indietreggiò, ringhiandomi contro e arricciando il naso.
-Ok! Ok…tranquilla- sospirai. -Non so che cosa ti stia succedendo, Althea. Ma ti giuro che insieme lo possiamo risolvere-. Camminai cautamente verso di lei, allungando un braccio. Lei scansò la testa, scoprendo i denti e mostrando in bella vista i canini. Ma non si spostò. Rimase a guardarmi attenta, attratta dai miei movimenti delicati.
-Devi soltanto fidarti di me…- sussurrai. Ero vicino, mancavano davvero pochissimi centimetri per permettermi di toglierle i bracciali. Il calore del suo fuoco, così vicino, mi scaldava in modo quasi rilassante la pelle. Le sfiorai la mano ancora normale, letteralmente ad un passo dal mio obbiettivo, e feci per stringerla molto delicatamente per farle capire che non volevo farle del male. 
-Ora, lasciami solo toglierti questi anelli…- I suoi occhi si dilatarono e le si ricoprirono di vene, come se avesse avvertito un pericolo in vicinanza. Mi spaventò ringhiandomi contro ed emettendo dal suo corpo un’improvvisa vampata di fiamme che mi fece indietreggiare di qualche metro.
-…Concentrati!...ti sta controllando, ragazza…- Allungò all’indietro il braccio, afferrando un intero lampione e lanciandomelo contro.
-Oh, non ci provare…- Poco prima che mi raggiungesse, saltai proprio sopra l’asta in ferro dell’oggetto, corsi fino alla sua cima e saltai dandomi la rincorsa, così da poter atterrare proprio davanti ad Althea. Ma lei, con il suo braccio, afferrò il balcone di un palazzo, trascinandosi velocemente verso di esso e rimanendovi aggrappata. Saltò agilmente sopra la ringhiera e vi rimase in equilibrio, solo per saltare subito dopo sul tetto della casa. Alzò la testa verso il cielo e ruggì con forza, emettendo lo stesso coro di echi di prima. Poi si mise a fissarmi.
-Ti voglio solo aiutare! Cerca di fermarti a riflettere!- Non sono davvero certo del motivo per cui continuassi a parlarle. Sapevo che non riusciva a capire quello che le stessi dicendo, ma in qualche modo ero certo che una parte di lei stesse sentendo ogni mia parola e che stesse racchiudendo tutto in una parte della sua memoria. Per qualche strana ragione ero certo che, sotto sotto, Althea non fosse niente di più che una bambina. E in quel momento stava soltanto dando conferma ai miei pensieri.
Fu il suo braccio improvvisamente puntato contro di me che mi riscosse dalle mie riflessioni non esattamente adatte al momento. Evidentemente avrei dovuto pensare più tardi ai sentimentalismi.
-Non pensarci neanche, tesoro!- sghignazzai ironico, rimarcando volutamente l’ultima parola. Cominciai a correre in cerchio per tutta l’ampiezza della piccola piazza in cui ci trovavamo, formando una folata di vento quasi simile ad un tornado. Althea ringhiò frustrata, incapace di prendere la mira contro di me. Man mano che aumentavo la velocità, mi spostai sulla parte esterna di uno degli edifici vicino a me e corsi su di esso in verticale. Mi ero dato abbastanza spinta da farmi saltare e da sospendermi in aria per qualche secondo.
-Vengo a prenderti!- esclamai con un sorriso. Althea fece un passo indietro, digrignando i denti. Mi diede le spalle e saltò sull’edificio davanti a lei, sfuggendomi per un’altra volta. Così iniziai a rincorrerla. Saltavamo di tetto in tetto, lei per scapparmi dalle mani e io per aiutarla. Sembravamo cacciatore e preda, leone e gazzella. Peccato che fosse lei quella con il coltello dalla parte del manico.
Voltò lievemente la faccia verso di me nel mentre della sua rocambolesca corsa e allungò il braccio, cercando di colpirmi con una spazzata dall’alto. Abbassai la testa giusto in tempo.
L’edificio che si parava davanti a noi faceva parte di un altro quartiere di Station Square, e di conseguenza era molto più distante rispetto a quelli che avevamo superato prima.
Althea, avanti a me di solo qualche metro, saltò con un’abilità e una facilità sorprendente. Quanto a me… be’, fui sul punto di cadere nel vuoto. Preso dal panico di poter davvero precipitare, decisi di usare il mio asso nella manica, una mossa che mio padre mi aveva insegnato ad utilizzare fin dai primi anni di vita: la Spinta Sonica.
Feci quanto mi era stato sempre insegnato da lui e la attivai. Il mio corpo subì come una specie di scossone, e mi catapultai in avanti a gran velocità. Senza neanche volerlo, travolsi Althea e ci mandai a sbattere contro una casa e ricademmo pesantemente al suolo. Mi rialzai a fatica, ma fui bloccato da un dolore bruciante che si era scatenato per tutta la mia caviglia. Althea si era aggrappata con la mano infiammata a me. Con una forza che non potevo immaginare possedesse, mi trascinò nuovamente per terra. Si rialzò e, afferrandomi con entrambe le mani, cominciò a farmi roteare sul terreno. Mi stava praticamente spellando la schiena contro il cemento, e avrei voluto staccarmi direttamente la caviglia dalla gamba per il troppo dolore.
-Althea, ti prego!- Il mio era un urlo disperato. Non so il perché, se fosse per il mio volto contorto dal dolore o altro, ma Althea si fermò per un secondo. Emise uno strano verso quasi simile ad un uggiolio, guardandomi confusa e con la testa leggermente piegata da un lato. In quel momento non mi sembrava un mostro, quanto più un cucciolo che cercava di capire dove avesse sbagliato nel suo gioco. Ma sapevo che sarebbe stata solo questione di pochi secondi. Aveva allentato inconsapevolmente la presa, quindi colsi l’occasione al volo e le tirai un calcio sulla mascella. Speravo che se tutto fosse tornato come prima, non avrebbe provato ad uccidermi per quello che le avevo appena fatto.
La ragazza lasciò definitivamente la mia gamba e si premette le mani sulla guancia. Mi allontanai il più possibile, strisciando lontano da lei e stringendomi la caviglia in preda al dolore. 
Althea riportò lo sguardo su di me, ringhiando con ferocia. Allungò per l’ennesima volta il braccio, il quale iniziò a gonfiarsi.
Schivai appena in tempo la palla di fuoco che mi veniva contro, la quale fece esplodere le vetrine di un negozio dietro di me. Fu solo in quel momento che vidi quella che probabilmente sarebbe stata la mia unica via di salvezza: un bidone dalla spazzatura.
Althea chiuse gli occhi, serrò i pugni, ed emise il lamento più acuto che abbia mai sentito. Vicino a lei esplose una porzione di terreno, scagliando i detriti di sporcizia e cemento per aria. Su un edificio vicino si scatenò un’altra esplosione. E subito dopo si scatenò il putiferio.
Miriadi di scoppi simili a spari cominciarono a manifestarsi intorno a noi e sulle case nei dintorni. Potevo udire distintamente le urla delle persone spaventate che scappavano in strada o che cercavano riparo dai frammenti di vetri rotti che cadevano leggiadri dai grattacieli. Forse c’erano già delle vittime e io nemmeno lo sapevo. E se non mi sbrigavo, ci avrebbe pensato mio padre a risolvere la faccenda.
Ci fu un’esplosione a meno di un metro di me. Afferrai deciso il coperchio del bidone affianco a me e mirai al bracciale della parte di Althea che non era ancora infiammata. Cercai di mantenere il sangue freddo. ‘’Papà ce la farebbe. Anzi, avrebbe già risolto il problema e chiuso la faccenda con una battuta’’. A quel pensiero la mano mi tremò. ‘’Non essere da meno’’.
Lanciai il coperchio come si farebbe con un frisbee e, come se qualcuno avesse ascoltato le mie preghiere, riuscii a colpire il bracciale, che scattò e cadde a terra con un tintinnio.
Althea sbarrò gli occhi e ruggì, mentre il suo corpo era preso dagli spasmi. Passò qualche secondo prima che cadesse sdraiata sul fianco infiammato. Decisi di andare da lei, anche se con una leggera esitazione, preoccupato che avrebbe ricominciato ad attaccarmi. Appena mi rialzai sentii un’immensa fitta di dolore alla caviglia, ma mi rifiutai di guardare in quali condizioni fosse. Zoppicai fino ad arrivare al corpo di Althea, steso, apparentemente inerme e ancora in fiamme. Deglutii a fatica, scuotendole la spalla. Avevo le labbra secche e il cuore a mille per la paura. Althea riaprì velocemente gli occhi, alzandosi a sedere e premendosi una mano sulla fronte.
-Cosa…? Cosa?!- strillò, guardando la metà destra del suo corpo con terrore e disgusto. -Cosa sta succedendo?!- Poi sembrò notarmi. -E perché siamo qui?- Abbassò lo sguardo e la sua faccia perse un po’ di colore. -Cosa ti è successo?- sussurrò, guardando la mia gamba. Io scossi la testa con dolcezza ma allo stesso tempo in modo deciso, sottintendendo che non era il momento per parlarne.
-Ci penseremo dopo. Ora devo aiutarti- Le feci un sorriso cercando di sembrare tranquillo. Cosa che non era vera. Mantenne ancora per qualche attimo lo sguardo sulla mia ferita, poi osservò il mondo intorno a sé.
-No…- mormorò. -No… sono… sono stata io? Ho fatto io tutto questo?- Il respiro le divenne improvvisamente affannoso e le mani cominciarono a tremarle quando la risposta le si formò sotto gli occhi.  Il  braccio ricoperto dalle fiamme non rispondeva ai suoi comandi. -Cosa diavolo ho fatto?! Rispondimi!- mi urlò contro, completamente fuori di sé. -Ho… ho ucciso qualcuno?- chiese in preda al terrore. Negli occhi le era comparsa una paura indescrivibile. Era la prima volta in cui la vedevo così fragile, così indifesa.
La afferrai per una spalla, guardandola con fermezza. -Nessuno. Ma dobbiamo risolvere questa faccenda prima che tu lo faccia- mentii. Non avevo la più pallida idea se qualcuno fosse morto, ma la presi come una possibilità quasi certa. -Siamo d’accordo?-
Althea annuì, non troppo convinta delle mie parole -Va bene-. Si rimise in piedi barcollando. -Aiutami a togliere questo affare- borbottò, trafficando con il bracciale sul suo polso. Un’ondata di calore mi avvolse non appena mi avvicinai all’altra parte di Althea. Quel mostro che la stava controllando si stava opponendo, e muoveva con forza il braccio cercando di toglierci dalla sua strada. Althea non poté fare a meno di premersi una mano sulla tempia, combattuta tra il suo potere che reclamava di poter liberarsi e la consapevolezza che, se avesse dato retta a quella parte della sua mente, avrebbe ucciso tutti.
Quando le afferrai il braccio, non provai molto dolore. Era caldo, sì, ma non incandescente. L’arto cominciò immediatamente a divincolarsi dalle mie mani, quindi mi ci aggrappai con tutto il corpo, stringendolo al petto. Althea emise un leggero ringhio senza accorgersene e le pupille le si restrinsero. Il calore del braccio aumentò di colpo, cominciando a bruciare sul serio. Provai ad allungare un mano verso il suo polso, ma la forza con cui si stava dibattendo era incredibile. Era come provare a trattenere un toro imbizzarrito per le corna ed essere inevitabilmente buttato a terra giusto in tempo per essere incornato.
-Tienilo fermo!- urlai ad Althea, sfogandomi e cercando di soffocare in qualche modo le urla di dolore.
-Non… non ce la faccio-. Abbassò la testa per la vergogna.
-Cosa?!-
-È diverso stavolta… vuole uscire fuori!- Non riusciva a pensare in modo lucido, e sembrava che stavolta dovesse davvero scoppiare. Inoltre, il calore non era più sopportabile.
-Non riesco a tenerlo fermo! E credo mi voglia bruciare vivo!- dissi, lasciandomi scappare un acuto gemito straziato. Non ricordo bene, ma forse mi sfuggì qualche lacrima di dolore. Althea stette in silenzio per un po’, forse cercando di riprendere la calma e di pensare ad un piano.
Chiuse gli occhi e si concentrò. Il calore del braccio perse gradualmente intensità, così come la forza con cui si dimenava. Quando sembrò sottomettersi a lei, Althea aveva già ripreso un po’ di calma, e quella metà di lei che prima aveva fattezze mostruose, ora aveva parzialmente ripreso colore. -Adesso- disse in un sussurro, segno che stava facendo un grosso sforzo per mantenere stabile quella delicata situazione. Afferrai con forza l’anello rimasto e tentai di aprirlo con entrambe le mani.
  resistente…!- grugnii mentre tutte le forze che avevo in corpo erano mirate a far scattare quell’aggeggio. All’improvviso, una terza mano si unì a me a tirare. Era Althea, che mi guardò con quell’unico occhio che aveva ancora disponibile, facendomi intuire che anche lei voleva fare la sua parte. Tirammo insieme nelle due parti opposte, mettendocela tutta e stringendo i denti, mentre quel braccio cominciava a riprendersi e ad emettere calore, insieme a versi mostruosi, pieni di rabbia, da cui si intuiva la sua volontà di essere libero, di espandersi all’infinito, di bruciare tutto ciò che avrebbe incontrato sul suo cammino. Malgrado ciò, noi continuammo a lottare contro quella bestia simbiotica. All’improvviso, sentii nuovamente quell’acutissimo urlo di prima. Le esplosioni ricominciarono ad invadere il campo di battaglia, le case, l’asfalto, facendo gravi danni e avvicinandosi sempre più al punto dove ci trovavamo noi. E poi quel rumore, tlac, seguito dal tintinnio dell’anello che cadde mi riempì la testa di relax. Almeno finché un’esplosione non mi sbalzò via. Le fiamme si erano gonfiate così tanto da arrivare in cima ad un palazzo di cinque piani. Althea si era sollevata dal suolo, come se avesse iniziato a volteggiare per aria, e quell’immensa colonna di fiamme, insieme a tutte le piccole fiammelle e incendi che avevamo intorno a noi, tornò dentro di lei, poco a poco risucchiati dal potente legame che coesisteva tra la gatta e il potere che lei aveva il compito di controllare. E poi, quando l’ambiente fu libero anche dal più piccolo principio d’incendio, Althea cominciò a scendere verso il suolo, sempre più velocemente. La sua non era una caduta, quanto più una rapida discesa. Mi avviai velocemente verso di lei, volendo evitare che si ferisse ulteriormente. Mi parai davanti a lei, e non appena i suoi piedi toccarono terra con colpo secco, Althea cadde in avanti, priva di sensi. La afferrai appena in tempo e sentii la sua testa scivolare sulla mia spalla. Sostenni il suo corpo con facilità, e dovetti constatare controvoglia che era molto più leggero e apparentemente gracile di quanto avrei mai pensato. La appoggiai delicatamente al suolo, sorreggendole il capo con una mano. Mi misi in ginocchio per riprendere fiato un secondo.
-Troveremo un altro sistema. Te lo prometto- le dissi, nonostante sapessi che non avrebbe mai sentito le mie parole. 

***
Shadow
Aprii la porta che mi avrebbe portato nella Sala del trono. Il buio avvolgeva la stanza, nascondendo nella sua oscurità le guardie che si trovavano giusto al di sotto dell’enorme lampadario nel centro del soffitto. Involontariamente, mi misi a ricordare di quando, un tempo, ero stato costretto a strisciare furtivamente tra le ombre del castello nel tentativo di non farmi rilevare dalle guardie o da Blaze.
Anche dopo che ero riuscito a chiudere la faccenda della G.U.N. e a sistemarmi permanentemente all’interno di quel nuovo mondo, avevo continuato a comportarmi in modo guardingo e prudente, terrorizzato del fatto che qualcuno avesse potuto sospettare chi fossi in realtà o da dove venissi, e che Blaze mi potesse cacciare fuori di lì a calci per qualsiasi errore avessi fatto. Effettivamente ci misi un po’ di tempo a capire quali fossero i suoi reali obbiettivi nei miei confronti. Ma ormai era diverso.
Lei era la donna della mia vita. Per quanto odiassi me stesso per nascondere a mia moglie ciò che facevo ogni notte, non volevo che dopo le pesanti giornate a cui eravamo sottoposti, lei ancora dovesse sostenere il peso delle notizie che potevano arrivare a seguito delle mie “riunioni transdimensionali” private, e tantomeno dei metodi che sfruttavo per poterle attuare.
Le guardie davanti al quel vecchio, segreto passaggio nascosto sotto il mio trono raddrizzarono le loro armi alla mia vista.
-Aprite la stanza- dissi con autorità, ma senza esagerare con il tono. Era un periodo in cui tendevo ad abbassare la voce, proprio quando in realtà avrei dovuto alzarla più che mai. Cosa avrebbero pensato i nostri sudditi sapendo che il loro Re era così inetto? Era quella la mia preoccupazione, quella che, tra le tante, strisciava in mezzo alle altre, subdola e silenziosa, mostrandomi la sua dolorosa presenza e la mia incapacità di tenerla a freno, anche nei momenti più densi di impegni, anche in quella tremenda crisi.
Le guardie annuirono, ignorando totalmente una cosa così futile come il mio tono di voce. Attivarono il meccanismo e il trono si spostò. Prima di incamminarmi, mi rivolsi ai due uomini.
-Come al solito vi richiedo il massimo silenzio- mormorai a bassa voce. I due uomini annuirono nuovamente, chinando il capo e tenendo basso lo sguardo.
Mi avviai per le scale che mi avrebbero portato nei sotterranei, e subito i miei occhi furono colpiti dalla luce delle torce e la mia pelliccia punzecchiata dallo sfavillare del loro fuoco. Marciai con decisione fasulla nel cuore fino alla piccola stanza circolare in cui risiedeva il nostro tesoro più prezioso.
Inspirai profondamente, avvicinandomi con cautela all’altare su cui risiedeva il Sol Emerald e prendendolo tra le mani. Una sensazione stranamente dolce e rilassante mi trapassò ogni muscolo, cullandomi nel tepore che mi si instaurava nelle vene ogni volta che impugnavo quella pietra cremisi. Purtroppo sapevo che quella sensazione di sollievo non avrebbe avuto vita lunga.
Strinsi con più decisione lo smeraldo prima di riporlo al sicuro in una delle tasche della mia giacca.
-Facciamo questa cosa-. 

***   
Bussai delicatamente alla porta del laboratorio di Marine, attendendo per una risposta. Aspettai per qualche minuto, ma all’interno della stanza regnava il silenzio. Battei il pugno con più forza e sperai che nessuno mi sentisse. Dopo qualche secondo la porta si aprì di scatto, e una Marine stanca, in un pigiama di un verde scuro che le scopriva l’ombelico e con i capelli raccolti una bassa coda di cavallo fatta velocemente mi apparve davanti. Si stropicciò gli occhi prima di guadarmi e sbatté un paio di volte le palpebre.
-Shadow?- sbadigliò senza preoccuparsi di mettersi una mano davanti alla bocca. La afferrai con una presa decisa per le spalle, la spinsi all’interno della stanza sperando che nessuno ci vedesse e richiusi la porta con un calcio.
-Ehi! Che stai facendo?!- sibilò stizzita. Non sembrava ancora completamente sveglia, quindi sorvolai su quello che potesse stare pensando in quel momento.
-Svegliati Marine!- ringhiai innervosito, scuotendola con impeto.
-Ok! Ok, ci sono!- Scosse leggermente la testa per svegliarsi. -Che ore sono?-
-Le tre-.
Lei aggrottò le sopracciglia, sembrando confusa. Estrassi dalla tasca lo smeraldo e glielo mostrai.
Appena lo ebbe visto, Marine si batté il palmo della mano sulla fronte, esclamando un’imprecazione. -Dannazione, me ne ero completamente scordata! Scusami Shadow, non sarei dovuta andare a dormire ma…-
-Marine, tranquilla. Voglio soltanto finire questa storia e tornare a dormire prima che Blaze si accorga che non ci sono-.
Marine annuì anche se non troppo convinta, andando a sedersi su uno sgabello davanti alla sua postazione di lavoro. Mi posizionai al centro della stanza, stringendo con forza il Sol Emerald e preparandomi a quello che avrei dovuto fare.
Sentii Marine sospirare mentre attivava il macchinario che ci serviva. -Non credo che tu debba farlo-.
Mi voltai verso di lei, guardandola con aria infastidita. -Per favore, ne abbiamo già parlato-.
-Ma ogni volta che provi ad utilizzare il potere dello smeraldo ferisci il tuo fisico. Sai perfettamente che è una cosa rischiosa, e in più in questo periodo sei esposto a una forte dose di stress. Non possiamo rischiare che qualcosa vada storto, e poi…-
-Taglia corto-.                                  
Si mise le mani sui fianchi, guardandomi con aria snervata. -Non sono d’accordo con quello che stai facendo-.
-Neanche io. Ma è l’unico modo che abbiamo per comunicare con Tails-.
-Possiamo sempre trovare un altro metodo. Certo, ci vorrà del tempo ma…-
-Noi non abbiamo tempo. È da anni che aspetto questo momento-. Mi voltai nuovamente, dandole le spalle. -Ti ringrazio per l’interessamento Marine, ma non ho intenzione di fermarmi-. Ero spaventato che avesse ragione. Se per qualche motivo qualcosa non fosse andato come dovrebbe, il regno si sarebbe trovato senza un re in un periodo di guerra.
Lei fece per aprire di nuovo bocca, ma si zittì. -Va bene-.
Marine schiacciò dei pulsanti sul macchinario davanti a lei, tirando poi una piccola leva. -Comincia pure-.
Mi concentrai, prendendo fiato per un istante e stringendo dita e denti. Attivai il Chaos Control con il Sol Emerald, e l’incubo iniziò. La testa, gli occhi, la gola, gli arti, tutto cominciò a bruciare. Non vi erano fiamme né calore, ma mi sembrava di avere qualcosa che volesse incenerirmi da dentro. In fondo, quella era un’operazione da effettuarsi tra più pietre, non tra una pietra ed un essere vivente. Non potevo nemmeno respirare né urlare, poiché, quando aprivo la bocca, mi sembrava di inghiottire del fuoco, aumentando il dolore. Era troppo persino per me. Quando finalmente vidi aprirsi un piccolo, lucente portale, mi lasciai cadere in ginocchio, straziato dal dolore. Ma non mi importava più di tanto. Ero riuscito un’altra volta a raggiungere il mio obbiettivo: aprire una finestra per l’altro mondo. Da quando erano stati rubati dei Sol Emerald, creare un portale per Mobius era diventato praticamente impossibile visto che servivano tutti e sette i gioielli, e io avevo urgenza di parlare ogni notte con Tails per poter scoprire come proseguivano le ricerche sulla mia cura. Così, chiesi a Marine di aiutarmi ad incanalare il mio potere e quello dell’unico smeraldo in nostro possesso per poter ricreare dei portali di minor potenza rispetto agli originali, delle “finestre extradimensionali”, per come li chiama Marine, ma che almeno mi avrebbero permesso di comunicare con Tails facendocelo vedere dal vivo.
-No!- sentii a malapena dire da Marine. Mi mise le mani sulle spalle, inginocchiandosi al mio fianco e cercando di essermi d’aiuto. -Vado a chiamare un medico!- borbottò ad alta voce, alzandosi di scatto e dirigendosi dalla porta.
-No- mugugnai a fatica e afferrandole il polso. Lei mi guardò stranita ma allo stesso tempo consapevole di quello che le stessi dicendo.
-Ma il tuo corpo sta reagendo in modo peggiore delle altre volte!- balbettò lei agitatissima. -I tuoi occhi…- continuò -…sono gonfi e violacei-.
-No- ribadii, alzandomi con un incredibile sforzo e appoggiandomi al tavolo vicino a me, cercando di sorreggermi. -Non chiamare nessuno. Nessuno lo deve sapere-.  Lei sembrò indecisa, infatti distolse lo sguardo.
-Cosa credi che penserebbero vedendo che sono nella tua officina a quest’ora di notte?- sibilai, sorridendo in maniera quasi maligna, probabilmente più una smorfia dovuta alla fatica a cui mi ero sottoposto. Marine mi guardò combattuta ma anche inquietata dalla prospettiva che le stavo mostrando. -Si spargerebbero delle male-voci e dei pettegolezzi. E a quel punto sarebbe tutto finito. Blaze molto probabilmente non ci crederebbe, ma sarei costretto a dirle la verità. E io non voglio farlo-. Aumentai la stretta sul polso della ragazza.
-Non lo devi dire a nessuno. Me lo avevi promesso Marine- ripetei. Lei si morse un labbro, sospirando.
-Hai… hai ragione. È solo che… non so come comportarmi- mormorò, passandosi una mano tra i capelli.
-Ricorda, Marine…- sussurrai, ormai riottenendo parte delle mie forze, seppur tra il fiatone. -…che quello che mi fai non è un favore. Te lo sto ordinando-. Lei mi guardò seria per un attimo.
-Non sei responsabile di nulla di ciò che è avvenuto e che avverrà. Chiaro?-
-Sì, Shadow-. Strano. Mi aspettavo che avrebbe capito, ma nonostante tutto continuava a rimanere seria, come a voler mostrarmi la sua convinzione a riguardo della nostra discussione. Pur apprezzando la sua determinazione, anch’io le avrei mostrato quanto ero convinto di quello che facevo.
-Piuttosto, ormai il collegamento è stato effettuato. Perché Tails non è lì?-
-Si è appena aperto, magari sta arrivando-. All’improvviso, la volpe si manifestò davanti allo schermo, visibilmente affaticata.
-Ehi! C’è ancora qualcuno in linea?!- Era ovvio il fatto che avesse corso per arrivare in tempo.
-Miles, sono Shadow, ti ricevo. Non ti preoccupare, ci siamo tutti-.
-Ah, uff…grazie al cielo, sono ancora in tempo…oh, ciao Marine- ansimò, probabilmente poiché si era accorto all’ultimo momento della presenza della prociona.
-Ciao Tails. Perché questo affanno?- chiese lei con un sorriso divertito, notando i capelli scompigliati di Tails e il fiatone quasi paragonabile al mio di poco prima.
La volpe si schiacciò il ciuffo ribelle che aveva sempre avuto in testa cercando di domarlo e si schiarì imbarazzato la voce.
-Be’, avevo chiuso per qualche secondo gli occhi per rilassarmi… ma mi sono addormentato sul divano- ridacchiò. Solo in quel momento notai le evidenti occhiaie che sotto gli occhi gli occhi per la mancanza di sonno. Marine rise, scuotendo con fare divertito la testa. -Lo sapevo. Eri e continui ad essere un bambinetto-.
Tails si appoggiò il mento sul dorso della mano, un ghigno ironico si faceva strada sulle sue labbra mentre scrutava attentamente Marine dal basso verso l’alto. -E comunque non mi sembra che tu sia messa in una situazione molto diversa dalla mia, Marine…- sogghignò, riferendosi chiaramente all'abbigliamento con cui si era presentata. Lei arrossì pesantemente, gli occhi azzurri strabuzzati per la sorpresa. Poi sbuffò fintamente indispettita.
-Bene Mister Casanova. Hai qualche notizia da darci?- chiese lei cambiando discorso con aria professionale nonostante fosse ancora visibilmente rossa sulle guance. Forse potevo aver frainteso la situazione, ma mi sembrava di ritrovarmi in mezzo a quello che poteva sembrare quasi uno strano flirt, e di essere il terzo incomodo.
Tails sorrise. -Questa sera sì-. Si allontanò di qualche passo, uscendo dalla nostra visuale e riapparendo qualche secondo dopo. Tra le mani stringeva una piccola fialetta con dentro un denso liquido tendente al verdognolo. Il sangue cominciò a pulsarmi con più foga nelle vene.
-È…-
-Sì. È la tua cura Shadow. Ce l’abbiamo fatta-. ‘’Ci è riuscito. Ci è riuscito davvero’’
Tails sorrise apertamente, guardando a turno me e Marine, la quale saltò giù dallo sgabello ed esultò. Un enorme peso sembrò togliersi dal mio cuore e, per la prima volta in quei giorni, riuscii a rilassarmi e a sorridere sinceramente.
-Sei un grande Tails!- strillò Marine su di giri. Tails si grattò il capo con un sorriso imbarazzato a causa dei complimenti, rivolgendo poi la sua attenzione verso di me. -Ho il medicinale. Devi soltanto dirmi quando vi devo raggiungere-.
-Immediatamente- dissi, il cuore che batteva rapidamente in preda all’euforia.
Marine mi guardò confusa e sgomenta.  -Shadow, non possiamo creare un portale finché non ritroviamo tutti gli Smeraldi-. Si accorse in ritardo di aver parlato troppo. Si mise una mano davanti alle labbra, come se con quel gesto potesse ricacciarsi in bocca le parole dette di troppo.
-Perché? Che è successo agli Smeraldi?- chiese Tails con un sopracciglio alzato.
-Troverò un modo per farti venire qui entro stasera, Miles. Mantieni attivo il segnale e tieniti pronto- gli dissi velocemente, tentando di sviare l’argomento. Quello era un nostro problema, non suo. Aveva fatto fin troppo. Mi voltai verso Marine, trucidandola con lo sguardo e prendendo nuovamente in mano lo Smeraldo del Sol. Lei mi guardò terrorizzata.
-Non vorrai creare tu un portale, vero?-
Le feci un ghigno sarcastico. Avevo i muscoli del viso tesi, già pronti per il dolore che avrebbero dovuto sopportare. Delle piccole fiammelle si stavano facendo strada sulle mia braccia senza bruciarmi… per il momento.
-Tu cosa credi?- sghignazzai, mentre un dolore bruciante cominciava a strapparmi di nuovo dal mondo e dalla realtà. Non avevo percezione di quello che stava accadendo. L’unica cosa che sentivo era il mio corpo mentre veniva carbonizzato da delle fiamme che non potevo né vedere né combattere. Grugnii e serrai la mascella. In confronto a quello, creare una finestra per l’altro mondo era una passeggiata nei giardini del castello. La testa mi pulsava come se volesse scoppiare, e ogni  respiro era una pugnalata nei polmoni. Strinsi con sempre più forza il Sol Emerald e ci concentrai più energia, così tanta che per un momento temetti di poterlo distruggere in mille pezzi. E il dolore mi tentò quasi di farlo.
Crollai di nuovo sul pavimento quando vidi che il rituale aveva avuto successo e che si era creato un varco per i due mondi. Tenni la testa bassa e gli occhi chiusi. Ero ansante, sfinito, con la fronte imperlata di sudore. Il dolore non accennava a scollarsi dalla mia pelle, e io mi stringevo le braccia intorno al busto, cercando di attenuare in qualche inutile modo la mia sofferenza.
-Oh mio Dio…- farfugliò Marine, serrando gli occhi per non vedermi e di conseguenza per non urlarmi contro le stupidaggini che stessi facendo.
Alzai con riluttanza le palpebre. Tails mi fissava con terrore dal piccolo portale che usavamo per comunicare, ora affiancato da uno più grande, attraverso il quale la volpe sarebbe dovuta venire nel nostro mondo. Dietro di lui, nell’altra dimensione, si era formato un altro di quelle fenditure nello spazio-tempo.
-Shadow…- mormorò Tails, senza parole.
Io scossi energicamente la testa, dicendogli chiaramente che non volevo sentire nient’altro. Lo guardai con decisione, facendogli cenno al portale alle sue spalle.
-Quando vuoi, Miles. Raggiungici-.

  
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