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Autore: serClizia    20/06/2015    5 recensioni
Mental institution!AU in cui l'ospedale è un po' un purgatorio, un po' l'inferno.
Entrambi saranno costretti a fare i conti con i demoni nella propria testa.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Sam Winchester
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nessuna stagione
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5.

Does happiness lie in my fist if I fight
Or am I standing staring at a green light




Dean trovò una donna seduta al suo posto, davanti a Cas.
Lo infastidì subito come gli parlava, col busto proiettato in avanti. Puzzava di militare da chilometri, con quel completo giacca-pantalone grigio antracite. Cas sembrava scosso, guardava fuori, ma lo vedeva stringere i pugni sotto il tavolino.
“Ehi, Cas. Vuoi presentarmi la tua nuova amica?”
Fissò la donna negli occhi. Sul serio, chi porta la codina a cipolla e la frangetta?
“Naomi,” si presentò, senza allungare la mano. Lo fissava di rimando, l’ombra di un sorrisetto compiaciuto sulle labbra. Come se trovasse vagamente divertente la sua intrusione.
“Dean Winchester. Piacere. E quello è il mio posto.”
Naomi sembrò sorpresa, guardò Cas, soppesò di nuovo Dean, ma non si mosse. “Lo è?”
“Già. E il mio amico, qui, non sembra molto contento di vederla. Signora.”
La donna sorrise apertamente, come se il disagio di Cas la rendesse enormemente felice.
“È una visita familiare, signor Winchester. Sono sicura che può aspetta-“
“Familiare?”
Altro sorriso compiaciuto. Questa cosa stava cominciando a dargli sui nervi, davvero. “Immagino che Castiel le abbia parlato della sua famiglia, sì?”
Dean si mise subito sulla difensiva. Guardò Cas di sottecchi, ma non sembrava capace di unirsi alla conversazione. Né particolarmente incline a volerlo fare. Diavolo, nemmeno Dean, a questo punto.
“Certo che me ne ha parlato.”
“Davvero?”, Naomi abbandonò completamente Cas per rivolgersi unicamente a lui, come se avesse puntato una nuova preda. “E che cosa ha detto?”
Un’altra occhiata di sottecchi a Cas. Ancora nessuna reazione, anche se Dean era sicuro stesse stringendo i pugni come non mai, là sotto.
“Ha detto abbastanza.”
“Davvero?”
Cas scattò in piedi, i suoi occhi lasciarono finalmente la finestra. “Dean,” disse solo.
Dean non gli aveva mai visto un’espressione così sofferente. Cosa, avrebbe voluto chiedergli.
Fermati, sapeva fosse la risposta. Lascia perdere l’argomento. Per favore.
Non posso, avrebbe risposto a sua volta.
Cas abbassò lo sguardo. Lasciò la stanza senza una parola, né un’occhiata a quella che era l’unica visitatrice che avesse mai ricevuto in mesi.
Naomi lo stava fissando con crescente interesse. Dean si sentiva una bestia rara.
“Cosa?”
“Quindi Castiel ti ha parlato dei suoi fratelli?”
“Che diavolo di gioco malato è questo? Visita familiare un cavolo… è qui per torturarlo? Per impedirgli di guarire?”
Naomi strinse gli occhi. Gli faceva male come fossero simili a quelli di Cas, eppure così diversi. Così duri, vuoti. Ironico che quelli di un malato mentale semi-muto fossero meno vuoti, no?
“Castiel deve tornare a casa. Non appartiene a questo posto. Non è malato, solo confuso.”
Dean rise, teso. “Certo, parola di un’esperta psichiatra, non ne dubito. Sono sicuro che abbia dato lo stesso consiglio a sua madre. Da quel che ho capito è sola, a casa, no? Volete metterli insieme, farli giocare a ‘Chi si suicida per primo’?”
Naomi si alzò in piedi. Quasi lo sovrastava in altezza. I tacchi, sicuro questa stronza si metteva i tacchi per guardare tutti dall’alto in basso. “Quella non è la sua casa. Con noi, con me e mio fratello, quella è la sua casa. Nell’esercito.”
Dean avrebbe voluto ridere. Questa tizia credeva davvero che Cas potesse tornare in servizio. Dopo che Dean ci aveva messo mesi, mesi, a farlo parlare per la prima volta. Ad avere una conversazione. Ad aprirsi.
A sentire la musica.
“Non credo davvero che-“
“Non mi interessa cosa credi,” Naomi incrociò le braccia. Assottigliò lo sguardo. “Ti ha davvero parlato dei suoi fratelli? L’intera storia?”
“Senta, signora… non ho idea di quale sia il suo gioco, qui, ma non ho intenzione di giocarlo. Cas se n’è andato, la visita è finita. Può andare.”
Naomi tenne quell’espressione tra il divertito e il sorpreso. “Castiel è ricoverato qui da, quanto, qualche mese? Eppure sembra siate già molto intimi. Ammiro la tua lealtà. Vorrei che per Castiel fosse lo stesso.”
“Cioè?”
“Dubito sinceramente che ti abbia raccontato com’è andata. Come Castiel abbia tradito suo padre, i suoi fratelli. È lui la causa della loro morte.”
Dean sentì un improvviso bisogno di sedersi. Non lo fece, strinse i pugni, resse lo sguardo con tutta la sua forza di volontà. Non disse nulla, lei nemmeno.
Non ci si poteva meravigliare che Cas avesse scelto di isolarsi dal mondo. Che avesse chiuso tutti fuori, se stesso incluso. Dean non poteva nemmeno immaginare in che stato sarebbe se fossero a ruoli invertiti, se fosse successo qualcosa a Sam per causa sua…
“La visita è finita, ora,” riprese Naomi.
Dean la guardò andare via con passo marziale. La odiò con tutto sé stesso.

“Cas? Posso entrare?”
Nessuna risposta dalla stanza numero 313. Naturalmente.
Dean scivolò dentro comunque, piuttosto abituato a invadere gli spazi di Cas. Tanto a Cas non importava, no? Anzi, era grazie a questa noncuranza se stava meglio, giusto?
“Cas…”
Castiel se ne stava seduto sul letto, la solita espressione smarrita nel vuoto. Sembrava tornato indietro a mesi prima, alle prime volte in cui aveva cominciato a riportarlo indietro. Maledisse Naomi per l’ennesima volta.
“Cas, andiamo,” prese la sedia dal tavolino e gli si posizionò di fronte. “Parlami.”
Non sembrava che Cas sapesse della sua presenza nella stanza. Gli sventolò le dita di fronte agli occhi. Nada.
Passò allo step successivo: la mano sulla polso. Se non era troppo grave, di solito funzionava subito.
Sfregò un po’ le dita, passandogli il pollice all’interno del polso.
Ancora niente. Provò a spostare la mano sul ginocchio, al tavolino il contatto gamba-contro-gamba aveva sempre funzionato.
Cas si riaccese, sbatté le palpebre, riavviando il sistema operativo.
Dean gli sorrise, compiaciuto. “Eccoti qui,” gli diede una pacca sul ginocchio. “Bentornato, amico.”
Cas si irrigidì, come se si fosse appena ricordato del motivo per cui avesse fatto check-out dalla realtà.
“Ehi, va tutto bene. Ho mandato via la matrigna cattiva.”
Cas inclinò la testa di lato, Dean poteva praticamente leggere ‘Non è la mia matrigna’ nel suo sguardo confuso.
“Non so chi sia, è un modo di dire. L’importante è che se ne sia andata. Siamo solo io e te, ok?”
Gli sembrava così piccolo, gli avrebbe dato un buffetto sulla guancia. Cas probabilmente non avrebbe gradito. Dean non era sicuro della sua età, ma di sicuro sembrava più grande di lui. E non aveva l’aria di uno a cui piaceva essere preso per un cucciolotto, istituto psichiatrico o meno.
Rimasero in silenzio. Cas lo stava sondando. Dean immaginava che cercasse dei cambiamenti. Dei segni che Naomi gli avesse parlato, di quella roba dei suoi fratelli o di Dio sa cos’altro Cas non gli aveva detto.
“Non devi dirmi niente, sai,” in qualche modo fu la cosa sbagliata da dire. Cas chiuse gli occhi, strettissimi. Dean si maledisse. Tradito dalle sue stesse parole, bel lavoro, Winchester.
“Ehi, non mi importa. Davvero, non mi interessa.”
Cas lo fulminò. Mi prendi per il culo?
“Sul serio. Non sono affari miei. E se non c’è niente da dire, a me sta bene non parlarne più. Zona libera dal giudizio, qui.”
Cas sospirò. Per interi minuti, non dissero nulla. A Dean non dispiaceva. Si era abituato ad ammazzare il tempo, non avendo di meglio da fare. Adesso c’era Cas, ed era diverso, ma prima del suo arrivo…
Si guardò attorno, memorizzando tutte le chiazze sui muri. Il tavolino di metallo sporco, spoglio. C’erano dei fogli sopra, e una penna, forse Cas si era messo a scrivere qualcosa?
Forse a sua madre? Dean avrebbe scritto a sua madre, se ancora ne avesse avuta una.
“Zia,” Castiel spezzò il silenzio.
“Mh?”
“Naomi è mia zia.”
Sembrava pallido, come se parlare gli costasse uno sforzo tremendo.
“Non dobbiamo farlo adesso-“
“Voglio farlo. O potrei non farlo più.”
In qualche modo, Dean sapeva che stesse aspettando il suo consenso, quindi annuì, concedendogli di continuare.
“Mio padre… era riuscito a mettere i miei fratelli nella stessa guarnigione. Ha riscattato dei favori, qualcosa del genere. Li aveva addestrati tutta la vita, per questo. Cacciavano in branco. Non poteva lasciare che l’esercito li separasse.”
Dean sentiva l’aria appesantirsi ad ogni parola. E un crescente desiderio di avere un bicchier d’acqua.
“Sono riusciti ad entrare nelle forze speciali, come lui. Erano stelle che splendevano nel cielo, un esempio per tutti.”
Cas si concesse un sorriso flebile. Cominciò a stropicciarsi le dita. Dean avrebbe voluto fermarle, ma non si mosse. “E tu?”
“Io… ero un cecchino. Uno dei migliori, così mi dicevano. Non so se anche questo avesse a che fare con mio padre. Ero bravo, certo. Non sono sicuro che la mia carriera andasse di pari passo con quella degli altri, però. Mi sembrava tutto troppo veloce. Troppo facile.”
Cas non aveva mai parlato così tanto. Mai. Dean aveva paura che la cosa lo rompesse, continuava a controllarlo, sicuro che prima o poi sarebbero spuntate delle crepe, e gli si sarebbe frantumato davanti agli occhi.
“Comunque, la mia squadra e la loro vennero chiamate per una missione. Doveva essere una cosa semplice. Ovviamente, in realtà era una trappola.”
Tipico. Dean si riacchiappò in tempo prima di dirlo davvero.
“Ma Gabriel… Gabriel era un impulsivo. Non ascoltò gli avvertimenti, né aspettò i rinforzi. Fu il primo a morire. Io…”
Cas deglutì. Dean sentiva sempre più arsa la gola.
“Io sarei dovuto rimanere indietro, sul tetto. Ma quando ho sentito di Gabriel nell’auricolare…”
Dean chiuse gli occhi. Non era sicuro di volere sapere il resto.
“Non ho resistito. Sono corso da loro, ad aiutarli. Michael era…”, scosse la testa. “Comunque, nessuno vide i loro rinforzi, perché nessuno era sul tetto.”
“Gesù.”
Castiel sembrava un nervo scoperto. Si teneva il più rigido possibile, ma Dean ormai lo conosceva. Sapeva.
Stava aspettando.
“Cas, se c’è una cosa che ho capito da tutto questo, è che sei fortunato ad essere vivo…”
“Dean-“
“Fammi finire. Non me ne frega un cazzo di quello che dice la zia malefica, okay? Sono felice che tu sia qui. E… cazzo, Cas, non ti incolpo per essere corso dalla tua famiglia per-“
“Ho rotto la mia famiglia, Dean. La mia casa. Ho deluso tutti.”
“Non hai deluso me.”
Questo riuscì a zittirlo, finalmente. Ah, l’ironia: Cas aveva appena cominciato a parlare e Dean era già nostalgico dei suoi silenzi.
“Senti, mi dispiace per quello che è successo alla tua famiglia. Mi dispiace davvero. Ma non è colpa tua, okay? Non potevi controllare il nemico o quello che è, non era-“
“Non era come essere posseduto da dei demoni nella mia testa?”
Dean chiuse la bocca. Era una stilettata che non si aspettava. “Questo è un colpo basso, e lo sai.”
Cas si sfregò il viso con le mani. “Lo so, scusa. Sono solo…”, Dean lo guardò comporre una frase almeno cinque volte, prima di cambiare idea e scartarla. “Lo so che è diverso dalla tua famiglia. Che siamo qui per motivi diversi. Io mi sono ricoverato da solo. Mi sono detto, se rimango a casa, temo che potrei uccidermi.”
Dean strinse la mascella. Aveva fatto lo stesso ragionamento. L’unica differenza, si era presentato a casa di suo fratello, completamente allo sbando. Il pensiero di ricoverarsi non gli era mai passato per la testa. Per fortuna, a Sam sì. E grazie al cielo, anche a Cas. Aprì la bocca, anche se non sapeva ancora cosa ne sarebbe uscito.
“Dean, io…”, Cas lo interruppe. “Vorrei rimanere solo.”
“Oh. Okay.”
Dean tentennò. Si alzò dalla sedia, si sfregò i palmi. Non gli piaceva come stavano lasciando le cose.
“Uhm, domani viene Bobby,” buttò lì. “Vieni anche tu?”
“Certo, Dean.”
Cas sembrava tranquillo ma Dean non se la beveva. Non dopo tutta quella merda che aveva tirato fuori. Non era quello che gli diceva sempre, di lasciare uscire fuori i suoi demoni? Avrebbe dovuto dirglielo.
Ma qualcosa era cambiato.
Non era sicuro di sapere cosa, né come ripararlo.
  
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