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Autore: Calliope49    20/06/2015    3 recensioni
*COMPLETA*
«Avete anche un nome, monsieur?»
«D’Artagnan».
Lei strinse appena le labbra. «Ah, siete quel d’Artagnan».
«Prego?»
«D’Artagnan, Athos, Porthos e Aramis. Treville vi nomina spesso - quando parla dei rischi per la sua salute, ad esempio».

Una calma insolita è piovuta su Parigi, ma la situazione non è destinata a durare. Strani incidenti, un omicidio e la comparsa di un misterioso bandito daranno filo da torcere agli uomini del re. Nel mezzo, una ragazza e troppe cose che non sono quello che sembrano…
[AthosXNuovoPersonaggio; Accenni Constagnan e Annamis]
[N.B. La storia non tiene conto degli sviluppi della seconda stagione perché è stata ideata prima che ne cominciassero gli episodi]
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Captain Treville, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'On the side of the angels '
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XVIII
L’attacco al porto
 

«Sono un mercante di stoffe, mademoiselle, non un albergatore».
Monsieur Bonacieux picchiò le nocche sul piano del tavolo come a sottolineare l’eloquenza delle sue parole. E si credeva davvero una persona eloquente.
Diane era indecisa se ridere o lanciargli in faccia il vaso che c’era al centro del tavolo. Ma il mercante non meritava lo spreco dei fiori freschi che Constance aveva sistemato nel suddetto vaso, così la ragazza decise di continuare a fingere quella sua aria mortificata e un po’ annoiata.
Quella mattina - era più notte che mattina, a dire il vero - almeno era riuscita a rientrare senza essere vista e a togliersi di dosso gli abiti maschili prima che qualcuno la intercettasse mentre sgusciava di sopra. Ma il padrone di casa avevano notato la sua assenza a cena.
«Vi chiedo scusa, monsieur» disse, in uno sfarfallio di ciglia. «Non accadrà più. E in ogni caso, non preoccupatevi, toglierò presto il disturbo».
«No. Perché?» esclamò Constance, riavendosi dalla sua posa da colonna ornamentale, immobile alle spalle del marito.
Perché non voglio mettervi in pericolo, pensò Diane. Su una cosa Athos aveva ragione: se qualcuno l’avesse scoperta prima che lo facessero i moschettieri, se la storia fosse arrivata alle orecchie del conte, lei sarebbe stata in pericolo e così pure le persone sotto il suo stesso tetto. Diane sperava proprio di uscirne viva, non era coraggiosa abbastanza da riuscire a contemplare l’idea di morire assassinata, ma ancora meno riusciva a tollerare il pensiero di mettere a repentaglio vite altrui.
«Credo di aver disturbato già abbastanza» si limitò a dire, rivolgendo un sorriso mellifluo a monsieur Bonacieux che annuì senza troppe cerimonie.
«Bene. Io ho i miei affari da sbrigare» concluse il mercante. Prese il cappello dal gancio alla parete e uscì rivolgendo appena un’occhiata a sua moglie.
«Senti, non devi preoccuparti di lui, gli piace fare la voce grossa, crede che la cosa lo renda virile» disse subito Constance quando rimasero sole. Si sedette di fronte a Diane e la guardò negli occhi.
La ragazza cercò di ignorare lo sguardo troppo furbo della sua interlocutrice. «Non è solo per lui, devo proprio trovarmi un’altra casa, ero venuta a Parigi con l’idea di essere indipendente e…»
«Diane, vorresti dirmi cosa sta succedendo?».
La nipote del capitano rivolse a Constance uno sguardo interrogativo. Serviva a poco fingere: gli occhi di madame Bonacieux dicevano chiaro e tondo che sapeva troppo. Prima suo zio, poi i moschettieri e ora lei… la ragazza si rese conto che era stato molto ingenuo da parte sua pensare che certi fantasmi potessero essere tenuti nell’ombra per tanto tempo. L’errore era stato sempre lo stesso, dall’inizio, credersi più in gamba di quanto non fosse.
La donna si sporse a guardare oltre la porta per vedere la domestica passare e allontanarsi lungo le scale.
«Ero sveglia, quando sei tornata stanotte. Non dormo mai troppo bene quando c’è mio marito…»
Neanche io dormirei bene con quella specie di mangusta nel letto.
«… e ti ho vista. Con i moschettieri e tutto il resto».
Per “tutto il resto”, Constance doveva certamente intendere i vestiti maschili e la spada alla cintura. Bene.
«Non credere che mi stupisca. In un anno e passa, da quando ho conosciuto d’Artagnan, ne ho viste parecchie» continuò la donna. «Non sei obbligata a dirmi cosa sta succedendo, solo che sono preoccupata».
Diane soffiò una risata amara dal naso e si portò una mano alla fronte.
«Far preoccupare gente sembra essere diventato il mio secondo mestiere. Ah, no, aspetta c’è anche il farmi detestare dall’uomo che amo… cioè che voglio… insomma, quello lì».
Constance spalancò gli occhi. «È successo qualcosa con Athos?».
La ragazza avrebbe quasi riso di come vestiti maschili, spade e uscite notturne fossero passate subito in secondo piano.
Sei proprio una romantica, madame Bonacieux.
«Be’, ieri sera i moschettieri hanno visto quello che hai visto tu, Athos non l’ha presa benissimo» spiegò Diane.
«Aspetta, io non ho capito quello che ho visto»
«È una lunga storia, Constance, ed è troppo pericoloso che tu sappia»
«Questa l’ho già sentita. Ti rammento: un anno. Moschettieri. D’Artagnan come inquilino. Ho ospitato assassini, donne in fuga, presunti criminali, gente ferita che mi ha sanguinato sul tappeto…»
«E un bandito mascherato lo hai mai ospitato?»
«Il bandito? Quello che ha sparato a d’Artagnan?!»
«Non ho sparato a d’Artagnan!»
«Ma sei tu. Alla guarnigione non si è parlato d’altro per giorni, me lo hanno raccontato, l’incendio, Athos che è rimasto ferito a una mano»
«Già» sospirò Diane. «Ora capisci perché devo andarmene?»
«Questo lo capisco - e comunque non è necessario che tu vada da nessuna parte. È tutto il resto che non capisco»
«Ho i miei motivi, te lo assicuro. C’è una cosa che devo fare, poi mi lascerò tutto alle spalle e proverò a fare la persona normale, giuro. I moschettieri lo hanno compreso, più o meno»
«E Athos?»
«Per riassumere, direi che lui ora mi odia. Non ha preso molto bene il fatto che gli abbia nascosto di essere il bandito. Ma forse è meglio così, non poteva finire bene»
«Questo non è vero…» esordì Constance battagliera come un intero plotone di soldati, ma la sua arringa a favore di quella storia nata morta fu interrotta dalla comparsa della domestica sulla soglia.
La cameriera fece un leggero colpetto di tosse per annunciare la sua presenza e la padrona di casa si zittì.
«Sono venuti a consegnare questa per mademoiselle Leroux».
La domestica camminò quasi saltellando fino al tavolo e posò una lettera un po’ spiegazzata sul piano di legno scuro, poi si ritirò ciabattando fuori dalla stanza.
Diane fu contenta di poter evitare il discorso che Constance stava per imbastire. Non voleva ascoltare argomentazioni filosofiche sul fatto che Athos prima o poi l’avrebbe perdonata, perché, che Athos fosse capace di farsela passare era probabile, ma che riuscisse a vedere oltre quel tradimento era fuori discussione.
Diane si affrettò ad aprire la lettera, prima che Constance ricominciasse a parlare. Erano solo poche righe e riconobbe la calligrafia alla prima occhiata. Lo stupore la fece boccheggiare come un pesce.
«Cosa c’è? Brutte notizie?» chiese Constance.
«Pessime» sibilò la ragazza con voce strozzata. 
 
***
 
C’era qualcosa di strano nell’andatura di Diane quella mattina.
Che Athos lo volesse o no, non riusciva a fare a meno di osservarla. Aveva imparato come una canzone a memoria il ritmo del suo passo leggerissimo, il movimento un po’ stizzito quando inclinava la testa di lato per dire qualcosa di sarcastico o per lanciare una delle sue occhiate impertinenti, la piega morbida delle sue labbra quando sorrideva. Ricordava anche con bruciante precisione la curva della bocca schiusa e arrossata mentre facevano l’amore. Il pensiero gli strinse lo stomaco e il moschettiere lo scacciò, concentrandosi sull’aria turbata della ragazza che stava venendo verso di loro.
Preferiva pensare a tutto quello che non conosceva di lei, alle mille ombre che gliela rendevano estranea.
Avevano discusso brevemente di quello che era successo la sera prima e poi non ne avevano più parlato. Avevano ascoltato le sue ragioni, se le erano fatte bastare: la nipote del capitano era una ragazza che si era coraggiosamente - e avventatamente - imbarcata in un’impresa più grande di lei, aveva mentito e manipolato, ma questo non toglieva nulla al fatto che le sue accuse contro Legrand erano fondate e che le attività criminali del conte dovevano essere smascherate. Né le menzogne facevano di Diane una cattiva persona, solo che Athos ne aveva avuto abbastanza per una vita intera…
Aramis, Porthos e d’Artagnan erano anche convinti che non fosse per niente idiota e sconsiderato portare la ragazza con loro, quella sera. La ragionevolissima obiezione di Porthos era stata: «Tanto non riusciremmo a fermarla comunque»
«Rammentatemi perché non l’abbiamo arrestata, allora» aveva sbottato Athos.
«Per il capitano, in primo luogo» aveva risposto Aramis.
«E perché non lo merita» aveva aggiunto d’Artagnan.
«Tu fa’ pure la statua di sale, se così ti piace, noi non abbiamo ragione per smettere di volerle bene». Porthos aveva incrociato le braccia sul petto e la questione era stata chiusa.
Volerle bene, come se si trattasse di questo
Diane si fermò vicino al tavolo dove d’Artagnan era seduto sul piano, con le gambe a penzoloni.
«Buongiorno» sospirò frettolosamente.
I moschettieri le rivolsero un cenno. 
«Dobbiamo parlare, Diane, prima che venga sera» disse Aramis, poi si sporse verso la ragazza e abbassò la voce: «Tu non verrai da nessuna parte senza aver prima imparato l’ABC di come si usa una pistola».
Ad Athos andò di traverso il sorso d’acqua che stava bevendo per ostentare totale disinteresse verso la presenza della ragazza. Quando si era deciso che le avrebbero insegnato a sparare?
E questo è perché le si vuole bene…
«Oh. È la cosa più ragionevole che abbia sentito ultimamente» trillò Diane, soddisfatta.
Athos si chiese se non fossero ancora in tempo per sbatterla in prigione, così, a scopo precauzionale.
«Comunque, prima di ogni altra cosa devo parlare con mio zio» aggiunse la ragazza. I moschettieri impallidirono. «No, non di stasera… questioni di famiglia. Disastrose questioni di famiglia».
«Diane?». Treville doveva aver sentito la voce della nipote ed era comparso in fondo al cortile di addestramento, la fronte sudata e la spada tra le mani. Si divertiva ancora a dare qualche lezione alle nuove reclute, qualche volta, quando la montagna di carte sulla sua scrivania si faceva troppo alta da affrontare.
«Zio!». La ragazza si frugò nelle tasche e ne estrasse una lettera piegata in più parti. «Hai avuto qualche notizia interessante?»
«Nessuna. Perché, tu sì?».
«Mi ha scritto il duca. Sta venendo a Parigi. Uccidetemi subito».
Treville diede una rapida scorsa alle poche righe scritte con una bella calligrafia elegante e allungata, poi scrollò le spalle.
«Probabilmente è stato convocato dal cardinale» disse. «Non vedo il motivo di tanta agitazione».
Diane sollevò un sopracciglio con un guizzo. «Tu non lo ricordi bene, il fratello di mio padre, vero?»
«Ricordo quanto basta. Gli riserveremo l’accoglienza che merita un funzionario di Francia e farò in modo che non ti stia troppo con il fiato sul collo. Non ti devi preoccupare di lui, d’accordo?».
La ragazza fece un cenno affermativo, ma non sembrava troppo convinta. Suo zio la salutò, lanciò un’occhiata burbera ai moschettieri che stavano trattenendo sua nipote, e sparì diretto di nuovo verso il cortile di addestramento, facendo roteare la spada nel vuoto con movimenti rapidi.
«Qual è il problema? Sembra che la visita di tuo zio ti stia mettendo in agitazione» domandò Porthos.
«Il duca non era molto d’accordo con il mio ritorno a Parigi»
«E con questo? Non può mica legarti e rinchiuderti per costringerti»
«Lo ha già fatto una volta» rispose Diane, cupa.  
Athos si decise a guardare la ragazza in viso per la prima volta da quando era arrivata  e lei sostenne il suo sguardo per qualche istante prima di abbassare il capo e distogliere gli occhi.
 
***
 
A Diane piaceva indossare quegli abiti. Cercava sempre di vestirsi in maniera comoda, anche a rischio di apparire un po’ sciatta, ma la libertà che le davano un paio di calzoni e una camicia sotto la giubba era inarrivabile e le faceva perdere molta della sua goffaggine.
Guardò il proprio riflesso sulla superficie dell’acqua. Era la prima volta che si specchiava con quei vestiti e le piacque quello che vide. Ora che non aveva dovuto nascondere il viso e i capelli, che non aveva dovuto stringere la camicia e lasciare larghe le chiusure della giacca per nascondere la curva del seno, in un attimo di vanità, trovò che quell’abbigliamento donasse alla sua figura e non si era mai preoccupata troppo del suo aspetto quando si guardava allo specchio nei suoi vestiti di sempre.
Non si era mai preoccupata troppo del suo aspetto in generale. Sapeva di essere considerata una ragazza graziosa, il desiderio di essere bella era una preoccupazione recente, nata con il desiderio di avere un paio di occhi grigi puntati su di sé, occhi che ora avevano smesso di guardarla.
Il riflesso di Aramis comparve accanto a lei, sulla superficie scura e accartocciata dell’acqua.
«Pronta?» chiese il moschettiere.
L’avevano portata ai piedi delle mura cittadine, all’esterno, dove c’era una sottile lingua di terra grigia e fangosa sulla sponda occidentale della Senna. La città sembrava un gigante dietro l’alta muraglia di mattoni corrosi dalle intemperie.
Alla parete avevano appeso dei sacchi di rena e avevano acceso un falò per illuminare la sera che andava infittendosi.
Diane li guardò, tutti e quattro, muoversi silenziosamente sulla sponda di sabbia e sentì un moto di commozione. Nonostante tutto, erano lì, per lei - compreso Athos, malgrado il corredo di espressioni gelide e il silenzio punitivo - ed era più di quanto la ragazza avrebbe mai potuto chiedere. E forse quella sera sarebbe finito tutto, e l’indomani lei avrebbe potuto ricostruire un pezzo alla volta le mura di quell’amicizia dove i suoi segreti avevano aperto crepe e fori.
Aramis le mise in mano una pistola, si sedette su un pilastro sporgente e le mostrò come caricarla. Glielo fece ripetere infinite volte, fino a quando Diane riuscì a farlo quasi senza guardare, con tutti i passaggi nell’ordine giusto, senza rovesciare la polvere da sparo.
«Questa è la parte meno divertente, vero?» disse la ragazza.
«Tanta fatica per un solo momento di soddisfazione, già» confermò Aramis.
Quando la misero di fronte ai sacchi appesi al muro, Diane restò a guardare la canna della pistola che aveva tra le mani, quasi perplessa. «Non puntartela in faccia!» esclamò d’Artagnan. «E non puntarla neanche contro di me»
«Sì, hai ragione, scusa…»
«Adesso ti faccio il riassunto di quello che succederà» intervenne Porthos. «Ti diremo di mirare al sacco, tu penserai di aver mirato, sparerai, sbaglierai e farai, se va bene, un buco nella parete, se va male, in terra»
«E il rinculo ti prenderà alla sprovvista e penserai che faccia male» aggiunse Aramis.
«E tieni il polso ben allineato al braccio, così sembra che tu stia mirando alle nuvole». Erano le prime parole che sentiva pronunciare ad Athos da quando si erano rivisti quella mattina.
Porthos le raddrizzò la spalla.
«Pronta? Vai!».
Il colpo brillò in una lingua rossa che si trasformò subito in uno sbuffo di fumo dall’odore acre e penetrante. Come aveva detto Aramis, il rinculo le vibrò quasi doloroso dal polso alla spalla, come una scossa.
Il proiettile affondò miseramente nella sabbia.
Cielo, non era nemmeno riuscita a tenere il polso abbastanza diritto da colpire il muro.
«Sembra più facile quando lo fanno gli altri» borbottò la ragazza, abbassando contro il fianco il braccio che ancora reggeva l’arma.
«Ricarica. Riprova» rispose Aramis. «Abbiamo ancora un po’ di tempo prima dell’appuntamento al porto». 
 
***
 
Aramis e d’Artagnan avevano controllato il porto quella mattina, sembrava che avesse ripreso la sua normale attività.
I moschettieri erano abbastanza sicuri di trovare quello che stavano cercando. La nave non sarebbe potuta attraccare prima di sera e non si sarebbero azzardati a scaricarla prima della tarda ora, per non dare nell’occhio.
Athos sperò solo che non fosse già tardi. Avevano passato ore sotto le mura per insegnare a Diane a sparare in maniera decente ma ci sarebbero volute settimane per riuscire a fare di lei una tiratrice poco meno che accettabile. Nonostante tutta la pazienza e la buona volontà che Aramis ci aveva messo, attualmente la ragazza non sarebbe stata capace di colpire un elefante fermo a due metri di distanza e nessuno di loro era in animo di trascinarla in uno scontro aperto, anche se sapeva cavarsela con la spada.
Prima di imboccare la via che conduceva al porto, d’Artagnan si fermò accanto a Diane e le sistemò sul viso il bavaglio che la ragazza ora portava attorno al collo come un foulard, le calò anche il cappuccio sulla testa e la guardò, approvando il risultato.
«Se tra quegli uomini c’è anche Jean-Pierre, è meglio che non ti riconosca» disse, infilandole una pistola nella cintola. «E resta sempre vicino a uno di noi».
La ragazza annuì. «Me la caverò» disse, ma la sua voce suonava incerta.
Almeno aveva il buon senso di avere paura.
Sentirono le voci ancora prima di arrivare, troppo trambusto per quell’ora anche per uno scalo mercantile sulle rive della Senna. Si scambiarono un’occhiata: avevano fatto centro.
Arrivarono muovendosi cauti, acquattati nell’ombra delle costruzioni.
La nave, la Cerbero, era attraccata accanto al molo e dondolava in un cigolio di legno e cordame tra le acque tranquille del fiume. Era un mercantile minuscolo e portava i colori della Spagna, ma non era neppure detto che la bandiera fosse vera.
La piazzola del porto era illuminata da un paio di fuochi accesi nei bracieri e alcuni uomini con il volto coperto reggevano lampade per guidare i passi di altri che scaricavano le pesanti casse portandole fino ai carri, tre in tutto, in attesa all’imbocco della piazza.
Gli uomini con le lampade erano in sei - due per ogni carro - e tutti armati. Gli operai ingaggiati per scaricare erano ometti alla stregua dell’amico ladruncolo che Porthos aveva portato alla guarnigione, loro non avrebbero dato problemi.
«Non sappiamo quanti uomini sono a bordo della nave e se si uniranno alle danze» osservò Athos.
«Dovrebbero essercene al massimo altri cinque, non di più» disse Aramis. «Una nave di quelle dimensioni non può avere un grande equipaggio».
«E quelli a terra hanno meno pistole di noi» aggiunse d’Artagnan.
«Undici contro quattro, si può fare» bisbigliò Porthos.
«Contro cinque» disse Diane.
Forse è meglio sparale a una gamba, subito.
La ragazza sorrise sotto al bavaglio e il ghigno le brillò nello sguardo che sembrava lucente come quello di un felino. «Come dite voi moschettieri? Uno per tutti, tutti per uno».
Aveva paura, era evidente, ma la paura invece di frenarla le dava la spinta. Se fosse nata uomo, forse, sarebbe stata un ottimo soldato - di quelli che si lanciano per primi nella mischia e cadono, ma solo dopo aver rispedito al creatore almeno una decina di avversari. 
Athos si limitò a sospirare. «Chi vuole avere l’onore, signori?» domandò, provando a dimenticarsi della presenza della ragazza.
Porthos drizzò la schiena e gonfiò il petto. Uscì dal suo rifugio d’ombra con la pistola già in mano, gli altri lo seguirono con un balzo.
«Moschettieri del re!» tuonò duro e minaccioso. «Controllo portuale a sorpresa. Aprite quelle casse».
Gli uomini che stavano scaricando la merce si bloccarono, incerti. Gli altri sei estrassero le pistole.
Seguì una manciata di istanti di silenzio denso e teso in cui Athos ebbe il tempo di accertarsi della posizione di Diane e di verificare quanto i suoi compagni fossero esposti mentre estraevano a loro volta le pistole e si lanciavano dietro una fila di botti accanto alla casupola della dogana.
Gli spari rombarono nel silenzio della sera conficcandosi nel legno, in una pioggia di schegge e fumo.
Athos si voltò a guardare nella penombra. Gli altri erano illesi e stavano riprendendo fiato.
Diane respirava forte, la stoffa del bavaglio si sollevava e poi si attaccava alla bocca, il suo sguardo era lucido di paura.
C’è una prima volta per tutto. Anche per farsi sparare addosso.
I moschettieri si preparano a fare fuoco da dietro quella piccola trincea improvvisata. Anche la ragazza fece per sollevarsi, Aramis la prese per la manica della giubba e la tenne giù.
Si alzarono quel tanto che bastava a guardare avanti. Gli operai stavano già scappando, le casse con le armi erano ribaltate a terra, gli uomini con il viso coperto stavano ricaricando.
I moschettieri fecero fuoco. Un uomo cadde morto con il petto trafitto al centro esatto dello sterno, un altro fu colpito al fianco e stava agonizzando contro il ciottolato, altri due colpiti alle gambe gemevano e si dibattevano.
Restavano sette contro quattro - cinque! - se avevano fatto bene i conti. Una sfida del tutto affrontabile.
Sapevano che quando sarebbero usciti dal loro riparo, gli altri due rimasti avrebbero fatto fuoco e in pochi minuti si sarebbero trovati addosso anche quelli della nave. Dovevano essere rapidi.
«Abbiamo ancora una pistola carica ciascuno» ricordò d’Artagnan.
«Lasciatene uno vivo da interrogare» si raccomandò Athos, poi si voltò verso Diane e la guardò come se avesse potuto ucciderla sul posto. «Non ti muovere da qui» le ordinò.
I moschettieri scattarono.
Dalla nave saltarono a terra cinque uomini, come aveva previsto Aramis. Solo tre di loro erano armati di pistole ma sembravano tutti piuttosto agguerriti.
I moschettieri si trovarono con l’equipaggio della nave alle spalle e i due uomini superstiti davanti.
Aramis fu il primo a sparare, atterrò uno dei marinai senza lasciargli il tempo di fare fuoco. Porthos sparò, ma mancò il bersaglio nella penombra. D’Artagnan si guardava attorno con aria febbrile, cercando di riconoscere Jean-Pierre in uno degli avversari e restituirgli il favore di una pallottola nel fianco - o magari in mezzo agli occhi.
Gli altri due marinai fecero fuoco e Athos e d’Artagnan risposero.
Un grido strozzato di dolore seguito da un rantolo. Athos vide con la coda dell’occhio Aramis piegarsi in avanti e premersi una mano sul braccio, tra le dita un filo di sangue gli inzuppava il cuoio del guanto.
«Aramis?!». Porthos si voltò verso il compagno con gli occhi sbarrati.
Era solo il braccio, il sinistro, e probabilmente solo di striscio. Aramis poteva ancora combattere, e comunque sarebbe tornato come nuovo.
Sentirono un altro sparo. Non era rivolto a loro.
Si voltarono per vedere uno degli uomini bendati con la pistola puntata contro uno dei compagni rimasti a terra, feriti alle gambe. L’altro uomo scampato alla sparatoria, uccise il secondo ferito, poi entrambi si voltarono e fecero per scappare.
Maledizione!
I moschettieri non fecero in tempo a corrergli dietro, gli uomini della nave gli furono addosso.
Uno sparo, un altro. Sorprese tutti e per un attimo i contrabbandieri e gli uomini del re rimasero immobili, bloccati dallo stupore.
Lo sparo colpì una cassa sul retro di uno dei carri. Cassa, carro e tutto il resto esplosero spargendo schegge e pietre ovunque.
I moschettieri e gli uomini che li avevano attaccati caddero a terra.
Uno dei due uomini in fuga, quello rimasto indietro, cadde con un braccio e un fianco dilaniato dall’esplosione, sarebbe morto nel giro di un minuto, il sangue come un tappeto lucido sul ciottolato.
L’altro era riuscito a scappare.
Athos, ancora mezzo stordito, alzò lo sguardo per cercare di capire cosa fosse successo. Diane, in piedi oltre la fila di botti che avevano usato per rifugio, tremava con la pistola tra le mani.
«Miravo alle gambe di quello lì» esclamò a nessuno in particolare, urlando con le orecchie tappate dall’esplosione. 
Poi non ci fu più tempo.
Distratto dalla ragazza, Athos non aveva visto la lama di uno dei contrabbandieri diretta contro di lui, parò all’ultimo momento e lo scontro si tramutò in una zuffa confusa a metà tra un duello e una rissa da osteria, una cacofonia di tonfi di pugni, ringhi e stridore di lame.
Nella battaglia la mente diventava nuda, non c’erano pensieri o ricordi, c’era solo un susseguirsi di azioni logiche, tra un battito di cuore e l’altro. C’era un avversario, un nemico da abbattere come unico punto fisso, tutto il resto andava fuori fuoco.
La lama di Athos tranciò pelle e tessuto e respiro. L’uomo cadde in terra, stramazzando.
All’orizzonte di quel nugolo di furia e sangue freddo, uno scintillio, la canna di una pistola, e un grido.
«ATHOS!».
Diane.
Lo sparo sembrò smuovere le nuvole.
Il tempo rallentò. Athos vide il lampo rosso del colpo che partiva e poi gli occhi di Diane sul suo viso. E gli ci volle qualche istante per capire.
C’era un altro uomo a bordo della nave, era saltato in coperta in quel momento e aveva fatto fuoco contro il moschettiere. Diane lo aveva visto e non potendo fermare lo sparo, aveva deciso di fermare il proiettile.
Eppure adesso Athos si sentiva come se quel colpo lo avesse centrato in pieno petto, adesso che gli occhi di Diane velati di dolore e paura si chiudevano e lei cadeva ai suoi piedi.
L’afferrò per le spalle prima che rovinasse al suolo e scrutò il suo viso esangue senza riuscire a emettere un suono. Sentì il caldo appiccicoso del sangue tra le dita, che impregnava il tessuto del guanto e la stoffa del polsino della camicia. Un sacco di sangue.
«Aramis!» gridò.
Dietro di lui, i suoi tre compagni stavano tenendo testa agli ultimi contrabbandieri troppo caparbi per morire o arrendersi. Aramis ne lanciò uno tra le braccia di Porthos, assestandogli un calcio nello stomaco, e si precipitò da Athos, chinandosi a terra accanto alla ragazza. Il suo braccio non sembrava messo troppo male, ma in mezzo a quel fracasso doveva essersi beccato qualche brutto colpo perché aveva il sopracciglio sinistro spaccato e sanguinante.
«Portala via» sibilò Athos mentre il rosso del sangue gli danzava davanti agli occhi in scintille pulsanti che gli annebbiavano la vista.
Aramis tastò con le dita la schiena di Diane per cercare il foro di entrata del proiettile e provare a capire perché stesse perdendo così tanto sangue.
«Dio, fa’ che non abbia raggiunto il cuore» mormorò in un sospiro così leggero che davvero solo Dio avrebbe potuto udire.
«Portala via di qua, salvala» disse Athos. Un attimo dopo era già in piedi, la spada sguainata, diretto verso l’uomo che aveva fatto fuoco contro di lui e colpito la ragazza. Ora aveva scavalcato il parapetto della nave per scappare attraverso la piazzola del porto.
Ma quel pendaglio da forca non sarebbe scappato, non sarebbe nemmeno sopravvissuto a quella notte.
 
 
  
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