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Autore: RedLolly    12/01/2009    7 recensioni
In una buia sera, una donna ormai stanca di vivere pronuncia per l'ennesima e forse ultima volta il nome "Mihael". Un'ondata di dolorosi ricordi la travolge, rivelando poco a poco l'infazia di quella persona ormai per molti identificabile solo con lo pseudonimo "Mello". [Nuova fanfiction di Lolly, sulla scia di Reliquae Rosae]
Genere: Triste, Malinconico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri personaggi, Matt, Mello
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Premetto, questo è un capitolo “special”

Premetto, questo è un capitolo “special”.  Non è strettamente legato alla storia di Mello, ma è stato mio diletto scriverlo, e vorrei sapere che cosa ne pensiate. Lo so, lo dico da adesso, è molto strano, un po’ diverso dal mio solito stile, c’è una vena di ironia che raramente si fa notare nei capitoli precedenti, eccezione fatta per la comparsa di Matt davanti a Natassia.

Qui presento la famiglia i Matt, i due personaggi hanno dei tratti un po’ “esagerati”, ma è una cosa del tutto volontaria: è evidente infatti come in DN i personaggi abbiano spesso dei caratteri iperbolici e monolitici, così volevo provare a descriverli in questo modo… Spero di esserci riuscita!^^ Anche se non so se questa digressione sarà apprezzata… Anche se io lo spero.^^

Ringrazio per aver recensito:

_pEaCh_: Teso! Le tue recensioni poetiche non possono mancare! Grazie! TVTB!!!<3

patri_lawliet: E finalmente ti fai di nuovo viva!XD Mi preoccupavo! E Grazie mille per gli auguri! Ah, e sì, mi sembra evidente che lo yaoi tra Mello e Matt ci sia… Contenta?XD Kiss!<3

reidina: Quando descrivevi la pralina avevo la bava alla bocca che mi faceva molto Homer Simpson Style… E in effetti trovo che hai davvero ragione! Loro due sono fatti per stare assieme, anche se MelloVabbè, Mello è Mello!XD Solo una cosa… Sai che io odio High School Musical? (Ora mi picchia…) L’ho sempre trovato un film cretino… Vabbè, sorry, ma quando non mi piace una cosa devo dirlo…T_T Se non mi piace non mi piace… Spero che recensirai lo stesso… Kiss!<3

L i a r: Ma sai che io pure quando scrivevo sentivo male per lui? Per quanto mi riguarda, trovo che il naso sia un punto sensibile!XD

KeR: Potevi anche non dileguarti, sai? A me certo non avrebbe dato fastidio!XD Kiss!<3

linkinparkforever: Oddeo, cosa ti è successo?O.o Spero niente di grave! E tranquilla, recensisci quando poi, in ogni caso sai che i tuoi commenti sono sempre graditi!<3

Elly_Mello: Amore mioooo!<3 Vedrò di scrivere ancora capitoli che ti piacciano! E non vedo l’ora di inziare T.T.R., in cui sfogheremo la nostra perversione!XD Ti amo come sempre!<3 A presto!

 

 

Memories of a Stolen Childhood

 

 

Capitolo 20: Freedom

 

Henry e Charline Jeevas non avevano mai avuto in programma di fare un figlio. Questo era arrivato tutto d’un tratto, così per caso quasi, e insieme avevano accettato l’idea che forse non sarebbe nemmeno stato tanto male. Fu così che Charline partorì il primo febbraio 1990 un bel maschietto.

Ed effettivamente, all’inizio non fu un grosso problema.

La coppia, ventitre anni lei, ventidue lui, viveva in un piccolo monolocale costantemente immerso nel disordine, ma in cui comunque culla e seggiolone entravano perfettamente, tra cartoni di pizza e vecchi dischi in vinile. Non che fossero maniaci della pulizia e dell’ordine… Tutt’altro.

Henry, capelli un po’ lunghi e mossi castano chiaro e due occhi brillanti color cioccolato, lavorava di sera come bassista in una piccola band denominata “Dungeon’s Crisis”, una di quelle che suonava sempre nei pub più scalcagnati di Londra, ma che mai e poi mai avrebbe potuto fare anche il minimo successo. E pensare che i due si erano trasferiti dall’Irlanda nella capitale del Regno Unito proprio alla ricerca di fortuna. Questa non era mai arrivata, ma ormai ci avevano fatto il callo. Se la spassavano alla grande in compenso, cosa volevano di più?

Charline, al contrario di lui, era piccola e un po’ paffutella, con lunghi capelli rossi e un visibilissimo piercing al labbro inferiore. Non si somigliavano molto, a parte per il tatuaggio identico che portavano con orgoglio sull’avambraccio destro: una piccola fenice, fatta qualche mese dopo il loro fidanzamento ufficiale.

In effetti, visti esternamente sarebbero potuti sembrare solo una coppia di accattoni miserabili che vivevano senza alcuna regola morale e igienica, spesso ubriachi e veramente poco inclini al mestiere di genitori per il loro infantilismo… Ma in realtà, si amavano davvero moltissimo. Tra di loro, scartati dalla società, avevano trovato compagnia e sostegno, incastrati nel loro piccolo mondo di divertimento ed eccessi.

Henry trovava che Charline fosse la cosa migliore che potesse esistere, dopo il metal e la birra ovviamente, e per lei era uguale: Henry era il suo più grande amore dopo il Jack Daniel’s e le avanguardie cibernetiche. In effetti, Charline si dimostrava molto interessata all’avvento dei computer e dell’elettronica. Trovava affascinante l’idea all’epoca ancora acerba di internet e dell’era digitale… Aveva perfino chiamato il figlioletto Mail, nome assolutamente inventato che ricordava la posta elettronica, la posta del futuro, come buon auspicio per lui. E questi le somigliava davvero molto, con i capelli rossi identici ai suoi e la stessa espressione che sapeva di malizia.

Il rapporto che Mail ebbe fin dalla più tenera con i proprio genitori fu sempre molto particolare. Anche da grande ammise ogni volta che parlava di loro che li aveva visto come degli amici spassosi, dei fratelli, piuttosto che una madre e un padre.

Il fatto era che erano stati completamente incapaci di prendersi seriamente cura di lui era evidente per chiunque. Certo, non erano cattivi, ma proprio era nel loro carattere, erano fatti così, ribelli, sconsiderati e senza il minimo senso del dovere. E Mail, immerso in quell’ambiente tanto inconsueto per un bambino, era tuttavia felice di avere accanto quei due individui divertenti e fuori dalle righe, che gli insegnavano che la cosa migliore nella vita era il divertimento, che gli perdonavano tutto, che non moderavano mai il linguaggio berciando parolacce e bestemmie senza ritegno, così diversi dai genitori che si vedevano sempre alla tv…

Sicuramente uno degli esempi più lampanti della loro immaturità e imprudenza, fu quando fecero fumare il figlioletto quando aveva solo tre anni.

Erano seduti tutti e tre intorno al tavolaccio in formica, Henry e Charline gli stavano insegnando le regole base del poker.

Mail era sempre stato precoce e di intelletto pronto, e doveva questo, anche se pareva impossibile, proprio all’atteggiamento della coppia nei suoi confronti: aveva dovuto imparare da subito ad essere autonomo e ad arrangiarsi, e ciò aveva notevolmente sviluppato il suo acume e ingegno. Queste due capacità erano state subito notate da loro, che cercarono appunto anche di farle fruttare al massimo… Secondo i loro canoni. Fu così che Henry gli insegnò tutto il repertorio dei Dungeon’s Crisis, portandoselo qualche volta dietro alle prove per farlo cantare come una piccola mascotte, e Charline lo istruì all’uso dei computer. Erano molto fieri di lui, per loro era assolutamente il figlio perfetto… Stava venendo su esattamente come desideravano. Così, arrivò anche il momento di insegnargli il poker.

Mail aveva seguito attentamente le spiegazioni di Henry, si era concentrato molto per rimanere impassibile davanti alle sue carte cercando di bluffare. Voleva farli felici, come sempre… E li fece invece rimanere letteralmente a bocca aperta a boccheggiare, quando, grazie alla sua abilità, vinse una manche con un full house: tre regine e una coppia di cinque.

“Ma che malefico che sei! Porca puttana, ci hai fatti secchi! Per fortuna che non si giocava a soldi!” esclamò Charline battendo le mani e ridendo.

“Ce l’hai messa proprio nel culo, Mail!” continuò Henry battendogli delle pacche sulla testa “Charline,sto marmocchio c’ha stoffa, te lo dico io… Io ero convinto che avesse qualcosa tipo una scala o un tris da come si comportava… Ma non un full! Mio Dio, mio figlio è un genio, degno erede di suo padre…

“Ah, Henry… Credo che Mail si meriti un bel premio…

La donna cercò nelle tasche della sua felpa marrone, per poi tirarne fuori un pacchetto quasi finito di Camel light. Ne estrasse l’accendino che vi aveva messo dentro e una sigaretta, e li porse al figlioletto, che ora la fissava interrogativo storcendo il nasino.

“Avanti, prendila e fuma. E’ tutta tua.”

“Dai, Charly…” lagnò Henry sbilanciandosi all’indietro con la sedia restando in equilibrio sulle due gambe posteriori di questa “Non ti sembra di esagerare? Ha tre anni, e se dopo sbocca?”

“Se sbocca pulisco. Non è mica una canna, non gli farà niente. Sono solo curiosa di vederlo mentre fuma! Su, Mail, fai divertire la tua mamma Charly. Te l’accendo io.”

Il bimbo sorrise appagato, la prese e se la mise in bocca.

Provava davvero una gran soddisfazione: fumare era una cosa che perfino loro gli avevano sempre proibito, dicendo che era “da grandi”. Non gliel’avevano mai permessa, una cosa del genere… Era come se ora lo considerassero un vero adulto, un loro pari. E il bimbo desiderava segretamente moltissimo questo riconoscimento. Li ammirava, voleva essere come loro.

Charline gliel’accese, e subito il figlio inspirò forte chiudendo le palpebre. Peccato che non fu facile come credeva, e capì così perché era una cosa da adulti: il fumo bollente gli invase la gola e i polmoni come un acido che bruciava, costringendolo a tossire come un pazzo e ad asciugarsi le lacrime involontarie.

Henry e sua madre risero a crepapelle di fronte a quella scena buffissima.

“Te l’avevo detto!” affermò l’uomo ridacchiando “Te l’avevo detto che non avrebbe resistito! Povero, povero figlio mio! Tua madre è demente… Però mi fai scompisciare dal ridere con la faccia che fai, Mail! Sembra che qualcuno ti abbia fatto assaggiare la merda! Ah, ah, ah… Dammi la sigaretta, va’, la finisco io, o va a finire che svieni.

Mail, ancora pieno di tosse, con gli occhi lucidi e un saporaccio in bocca, riusciva a ridere anche lui. Ovviamente tuttavia non aveva più molta voglia di fumare, vizio che prese solo verso il quindici anni fuggendo dalla Wammy’s House, ma in ogni caso, non ce l’aveva con i due genitori. Erano troppo simpatici, in loro compagnia si poteva ridere di tutto, i problemi sembravano non esistere… Era completamente libero, in quell’appartamento si faceva quello che si voleva. Stava bene…

E nulla di quel giorno di un anno e passa dopo in cui Mail si ritrovò davvero da solo avrebbe lasciato presagire l’imminente catastrofe.

Era un tardo pomeriggio di un giorno qualunque. Durante la giornata non era successo niente di particolarmente rilevante, era stato un dì piatto e regolare. Henry si era messo a strimpellare un nuovo pezzo in camera da letto, Charline guardava un telefilm americano un po’ becero in tv con sguardo di chi si stava annoiando e non trovava niente di meglio da fare. Mail giocava a Tetris sul suo gameboy.

Tutto partì da un’innocente ordine della donna verso il figlio, una frase detta distrattamente, meccanica.

“Mail, lanciami il Jack, e già che ci sei porta una Guinness a tuo padre che avrà sete a forza di ripetere gli stessi pezzi col basso.”

Il bambino guardò diligentemente nel frigo e prese una lattina ghiacciata della birra indicata, poi si osservò attorno alla ricerca del Jack Daniel’s. Di solito era in giro, su un ripiano o sul tavolo, ma quel giorno non ce ne era alcuna traccia.

“Mamma, non lo trovo il Jack!” gridò ormai arreso all’evidenza “Forse l’hai finito e non te ne sei accorta.”

Dall’altra stanza arrivarono una lunga serie di imprecazioni. Charline odiava rimanere senza il suo adorato wisky. No, non poteva stare senza. Non era nemmeno così tardi, forse avrebbe potuto fare in fretta a correre verso il minimarket più vicino e comprarne una bella scorta. Oltretutto, le mancava anche altra roba da mangiare.

Fu lei stessa a portare la birra a Henry e a comunicargli che stava per uscire. L’uomo smise di suonare, stanco e sudato, e decise di accompagnarla. Aveva bisogno di una pausa, quella musica gli stava facendo venire mal di testa.

“Torniamo subito, fai il bravo e aspettaci.”

Mail non avrebbe mai potuto immaginare che quelle sarebbero state le ultime parole che avrebbe sentito dai suoi genitori. A malapena lì salutò, concentrato nuovamente sul suo gameboy, e non li guardò uscire. In un certo senso si pentì di questo.

Avrebbe potuto abbracciarli, dirgli “Vi voglio bene!” anche se non era un amore molto “profondo” in senso di amore famigliare, oppure anche semplicemente osservare con attenzione i loro visi un’ultima volta… Invece non fece nulla.

Non si preoccupò subito, quando non li vide tornare. Spesso era successo che uscissero a fare degli acquisti e che non tornassero fino al mattino dopo. Certo, o si erano ubriacati in qualche bar, o avevano incontrato per strada qualche amico che li aveva invitati a qualche festa dell’ultimo minuto invece di andare a comprare le cose che servivano, ma in un modo o nell’altro erano sempre ritornati indietro.

Questa volta invece, non avrebbero più oltrepassato più quell’uscio stretto e disordinato.

Mail si era addormentato sul divano a stomaco vuoto, raggomitolato sotto una coperta scozzese lanuginosa, quando la polizia bussò forte svegliandolo.

Non avrebbe mai pensato di poter piangere per i suoi genitori, quando gli annunciarono che, attraversando la strada correndo per raggiungere in fretta un minimarket prima che chiudesse, si erano fatti investire da un pullman di turisti che rientravano in albergo.

Eppure, non fu mai completamente convinto che le lacrime che versò fossero esclusivamente per quei due folli che fino all’ultimo istante della loro vita avevano pensato esclusivamente al loro divertimento… Forse, lo aveva fatto solo perché, inconsapevolmente, sapeva che da lì in avanti la sua vita non sarebbe più stata lo spasso senza alcuna regola a cui era abituato… Da quel momento in poi, sarebbe stato tutto molto, molto più difficile…

 

 

 

  
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