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Autore: Agapanto Blu    21/06/2015    7 recensioni
Partecipante al Contest "Progetto Ripopola Fandom - Seconda Edizione" indetto da __Bad Apple__ sul Forum EFP.
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Parings: AKAKURO - MayuMibu - MidoTaka - AoKise - AlexMomo.
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Dal prologo: Che cosa doveva fare?! Una parte di lui voleva chiamare Akashi e dirgli tutto, ma la sua mente gli urlava che in quella storia Seijuro non aveva proprio colpa. Era solo lui che aveva deciso di tenergli segreto quel piccolo particolare della sua vita quando si erano messi insieme per la prima volta alle medie, e poi di non dirglielo nemmeno alle superiori nonostante fossero una coppia ormai da due anni; il rosso non meritava di essere tirato in mezzo per la sua sola stupidità.
“Kami-sama, ti prego…” scivolò fuori dalle sue labbra prima che potesse fermarsi, “Ti prego…!”

***
Dal primo capitolo: Kuroko pianse ininterrottamente per i successivi tre giorni, con le mani saldamente strette al suo ventre lievemente arrotondato, ma non venne meno alla sua decisione.
Akashi non richiamò.

***
ATTENZIONE: M-PREG! e Transgender!Character. Non piace, non leggete. v.v
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, Yaoi | Personaggi: Nuovo personaggio, Seijuro Akashi, Tetsuya Kuroko, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Gender Bender, Mpreg
Capitoli:
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Sei pronto?

-CAPITOLO V
 
“Sei pronto, Akashi?”
Seijuro sorrise, ma non di un sorriso gentile né di uno triste. Sorrise con il suo ghigno di vittoria, di un Imperatore pronto a schiacciare sotto il proprio piede chiunque sulla sua strada, ridendo soddisfatto dello scricchiolare delle ossa che sarebbero andate in pezzi ad ogni suo passo.
“Ci vediamo tra poco, Mayuzumi. Non approfittare di Reo in mia assenza.”
“Sei-chan!”
Ma Seijuro era già sceso dalla macchina e a Mibuchi non restò altro da fare che fissarlo, dal finestrino del sedile posteriore, mentre si avviava a testa alta verso la mansione degli Akashi.
“Andrà bene.” lo rassicurò Mayuzumi dal posto dell’autista, anche lui tenendo gli occhi fissi sulla schiena sempre più piccola del rosso, “Quel mostriciattolo sa come giocare le sue carte.”
Reo si limitò ad annuire, in ansia.
 
Seiji camminò dalla stazione fino a casa, rifiutandosi di chiamare per farsi andare a prendere. Le strade di Tokyo erano stranamente calde e accoglienti attorno a lui, lo guidavano docili verso una meta ben precisa, rassicurandolo con sussurri lievi del vento tra le strade deserte della periferia in piena notte e l’odore della pioggia caduta sull’asfalto fino a poco prima.
Si abbassò il cappuccio della felpa nera dalla testa quando svoltò l’angolo del proprio isolato e alzò gli occhi sulla propria casa continuando a camminare lentamente. Al piano superiore le luci erano accese, segno che almeno uno dei suoi zii era in casa, ma a quello inferiore splendeva solo la finestra della cucina.
Alla fine era tornato. Aveva lasciato Kyoto senza pensarci due volte ed era corso indietro da sua madre appena le cose si erano fatte complicate. Si sentì un vigliacco, ma strinse i pugni nelle tasche e continuò ad avanzare. Non aveva niente con sé, se non il portafoglio nella tasca posteriore dei jeans slavati. La maglietta bianca che indossava era nascosta dalla felpa nera e ai piedi portava un vecchio paio di scarpe da ginnastica. Il ciuffo rosso era stato fatto scivolare piano dietro l’orecchio sinistro, lasciando libera l’iride azzurra.
Raggiunse il cancelletto d’entrata e lo aprì, quindi alzò la testa e finalmente si accorse della figura sui gradini.
“Mamma?!”
Kuroko era ancora pallido e si stringeva sulle spalle il maglione enorme e sformato che aveva indossato in gravidanza e che gli arrivava al retro delle ginocchia. Aveva i capelli azzurri spettinati e gli occhi stanchi, ma, con le mani strette l’una nell’altra, sedeva sul più alto dei tre gradini di fronte alla porta e si aprì in un piccolo sorriso quando vide la sagoma del figlio correre affannata lungo il vialetto.
“Che cosa ci fai qui fuori?!” esclamò Seiji, raggiungendolo di corsa e maledicendolo mentalmente per la sua stupidità mentre questi si alzava, “Fa’ freddo, vai dentr-…!”
Si interruppe perché appena arrivato a portata di mano suo padre allungò le braccia e lo tirò a sé. Era in piedi sul secondo gradino e, approfittando di essere più alto di suo figlio, gli cinse le spalle con un braccio e con l’altra mano gli fece nascondere il viso nel suo petto. Seiji sbatté le palpebre per un attimo, confuso, ma poi si arrese a quell’abbraccio e portò le mani sulla schiena del genitore.
“Non va affatto bene quando è il figlio a prendersi cura del padre, specialmente se è lui quello che sta soffrendo.” Tetsuya si tirò un po’ indietro, per osservare il figlio in viso con un sorriso mesto, “Vuoi parlarmene?”
Seiji scosse immediatamente la testa e tornò a seppellire il viso nel petto del padre in modo molto infantile.
“Non mi serve.” sussurrò, stringendo l’abbraccio e costringendosi a crederci, cacciando via l’immagine del volto apatico e disinteressato di Akashi dalla sua mente, “Finché ho te, va tutto bene, non mi serve nient’altro.” Piegò la testa di lato, adagiando l’orecchia contro lo sterno di Tetsuya e chiuse gli occhi, concentrandosi per un attimo, in silenzio, sul battito lento e confortevole di quel cuore così fragile. “Perciò, per favore,” deglutì il peso che gli si stava formando in gola, “non lasciarmi, mamma.”
Kuroko sorrise e lentamente, con cura, iniziò ad accarezzargli piano i capelli rossi, proprio come una madre, ben sapendo che poche cose al mondo rassicuravano Seiji quanto il sentire le sua mani tra le ciocche.
“Shhh…” sussurrò quando sentì il maglione sul suo petto iniziare ad inumidirsi e il corpo di suo figlio iniziò a tremare, scosso da sobbalzi difficilmente travisabili, “Va tutto bene, Seiji. Non vado da nessuna parte.”
 
Quando la luce del mattino entrò dalla finestra del salotto e si posò sui corpi aggrovigliati di padre e figlio, non svegliò assolutamente nessuno. Lo squillo del telefono, invece, ci riuscì pienamente.
Seiji sobbalzò, confuso, e si guardò attorno solo per scoprirsi sdraiato sul divano – la televisione ancora accesa nonostante la videocassetta delle partite delle medie di suo padre fosse ormai finita – tra il corpo di suo padre e il bordo, mentre questi era su un fianco, spiaccicato tra lui e lo schienale e borbottava sottovoce minacce incoerenti per chiunque stesse chiamando.
“Rispondo io?” chiese il rosso strofinandosi l’occhio azzurro con la mano, ma suo padre scrollò la testa, peggiorando ancora di più lo stato spaventoso della sua capigliatura…selvaggia.
“Se è uno dei tuoi zii e scopre che sei qui, ce li ritroveremo tutti in casa senza via di scampo e vorrei evitare di rompere la mia promessa finendo in prigione per omicidio.”
Seiji ridacchiò tra sé e sé all’acidità mattutina di suo padre, ma si tirò a sedere e lo aiutò ad alzarsi, quindi Kuroko, sempre borbottando, si avviò fino al cordless abbandonato tristemente sul pavimento. Con uno sbuffo se lo portò all’orecchio, ma poi la sua voce risuonò apatica e illeggibile come al solito.
“Pronto?”
KUROKOCCHI, LE NEWS!” Kuroko aggrottò la fronte quando la voce di Kise gli si riversò nelle orecchie a volume inaccettabile, ma il biondo continuò a parlare, “ACCENDI LA TV, SUBITO! GUARDA IL TELEGIORNALE!
“Non urlare, Kise-kun, mi stai danneggiando i timpani.” chiese, raccogliendo sconfitto anche il telecomando perché conscio che tanto Kise non lo avrebbe lasciato in pace fino a che lui non avesse assecondato quel suo ennesimo capriccio. “Quale telegiornale?”
UNO QUALSIASI!
Tetsuya sospirò, sotto lo sguardo curioso di Seiji, ma premette i tasti per un canale di notizie e attese un secondo che la televisione passasse dal nero traballante della cassetta finita a…
Il cordless scivolò via dalla sua mano e cadde per terra, diffondendo nella stanza la voce alta e frenetica di Kise come fosse solo un sussurro, facilmente coperto dalla voce concitata della giornalista che si affrettava a dare la notizia più contesa del giorno: il ripudio del giovane genio dell’economia Akashi Seijuro.
“Ma cosa diavolo…?!” provò a dire Seiji, gli occhi sgranati quanto quelli del padre, ma si interruppe da solo quando venne aperto un collegamento con quella che sembrava in tutti i sensi una conferenza stampa presieduta da nientemeno che Akashi Seito in persona.
L’uomo alto e austero, dai capelli neri e gli occhi piccoli e freddi dietro gli occhiali squadrati, sedeva eretto e impassibile nel suo completo elegante di fronte ai microfoni e alle telecamere, all’apparenza per nulla turbato dai fatti che lo avevano portato lì in quel momento.
Il comportamento di Seijuro” stava dicendo, “è stato inaccettabile per troppo tempo. Ho voluto chiudere un occhio e tollerarlo perché si trattava di mio figlio, ma per me non è più possibile fare lo stesso in seguito ad alcuni recenti avvenimenti, sui quali sono costretto a mantenere il massimo riserbo. Seijuro è stato sollevato da tutti gli incarichi a lui affidati e…
Kuroko smise di ascoltare realmente dopo la prima frase.
Akashi…ripudiato?! Non era possibile, non poteva essere! Perché?! Che cosa era successo?!
“Cosa…Cosa vuol dire, questo?” sussurrò all’improvviso Seiji, alzando uno sguardo confuso sul padre, ma Kuroko non riuscì a trovare nulla da rispondergli.
Rimasero fermi, in silenzio con gli occhi fissi sulla televisione, fino a quando Midorima e Takao non fecero pressoché irruzione in casa loro.
 
Tetsuya spostò appena la tendina bianca della finestra della cucina, quella che dava sul giardino, e si concesse un attimo per osservare Seiji che giocava con Numero Tre, l’husky primo cucciolo di Nigou rimasto l’unico cane di casa da ventiquattro mesi, quando suo padre era venuto a mancare, placidamente e nel sonno, per la vecchiaia.
Cane e ragazzino sedevano sull’erba del prato e tiravano i due lati di un pezzo di corda, in un ridicolo tiro alla fune sotto lo sguardo attento di Kazunari, mentre Midorima si era recato in ospedale per un’emergenza. Kuroko aveva detto di non sentirsi molto bene, dando la colpa al recente attacco di cuore, ed era stato messo a riposo sul divano mentre tutti gli altri uscivano dalla casa per lasciarlo tranquillo.
Era certo che anche Seiji fosse inquieto quanto lui per ciò che era successo quella mattina, ma il ragazzino sembrava determinato a fingere che non gli importasse, forse per non preoccuparlo ancora di più, e Tetsuya sapeva che alla fine, quella volta, toccava a lui farsi avanti.
Osservò il quindicenne ancora per un attimo, dubbioso, ma alla fine premette il tasto di chiamata sul cellulare che teneva tra le mani da quasi quindici minuti e se lo portò all’orecchio con un sospiro profondo.
Non squillò che una volta prima che una voce ben nota, calda e profonda quanto frizzante e piacevole, rispondesse.
Tetsuya.” Nessun saluto né esitazione, il nome proprio dell’azzurro gli scivolò lungo la schiena facendolo tremare.
“…Akashi-kun.” sospirò, chiudendo gli occhi. Si sentiva già così stanco e non era certo di avere la forza di resistere alla battaglia che sicuramente Seijuro lo avrebbe costretto ad ingaggiare. Iniziò immediatamente a pentirsi della sua scelta, ma ormai era costretto ad andare avanti. “Cosa stai facendo?”
Non so di cosa tu stia parlando.” commentò placido Seijuro e Kuroko quasi, quasi, gli credette.
“Non sono un eremita, Akashi-kun.” ribatté, serio, “Ho la televisione e guardo il telegiornale.”
Oh, quello.” minimizzò il rosso e l’azzurro per qualche motivo lo immaginò scacciare la sua affermazione con un gesto elegante della mano, “Mio padre ha messo su un bello spettacolo, vero? Non ho ancora avuto il piacere di vedere l’intervista, ma Reo mi ha assicurato che si è giocato tutte le sue carte migliori.
Tetsuya esitò.
Quindi era vero, Akashi non aveva ancora visto la notizia in televisione, però sapeva che l’intervista era stata rilasciata eppure sembrava così…calmo. Quasi strafottente nel suo tono di voce soddisfatto e indifferente all’attacco vizioso del suo stesso padre.
“Perché…” esitò ancora un attimo – aveva davvero diritto di chiedere? – ma ormai aveva chiamato e il terrore che tutto quello fosse colpa sua fu più forte del pudore e lo portò a sussurrare, “Perché ti ha ripudiato?”
Per qualcosa per cui avrebbe dovuto ripudiarmi quasi sedici anni fa, anzi probabilmente anche prima dal suo punto di vista, però credo che cacciare di casa un ragazzino di tredici anni avrebbe forse potuto essere troppo anche per lui.” fu la tranquilla e immediata risposta del rosso.
Kuroko ci mise poco a capire a cosa facesse allusione, ma questo non lo fece sentire meglio. Alla fine, era davvero colpa sua.
“Ti avevo detto…”
E io ti ho ignorato.” lo interruppe Akashi senza alcuna difficoltà, in quel suo modo al contempo arrogante ed elegante, al di sopra del resto del mondo, “Adesso, Tetsuya, sai cosa sto facendo?
“…Ti comporti da idiota e rovini la tua vita per sempre?”
Molto divertente.” Non sembrava che lo pensasse davvero. “Sto guidando, invece.
Kuroko si trattenne a stento dall’aggrottare la fronte, confuso.
“Guidando?” chiese, fallendo miseramente nel trovare il collegamento tra quella risposta e il discorso iniziale.
Verso Tokyo.
“Cosa?!”
Seiji alzò gli occhi, sorpreso, nel sentire la voce di sua madre alzarsi un pochino, ma Tetsuya scosse la testa da oltre la finestra, facendogli capire di non doversi preoccupare, e quindi tornò a giocare con il cane, unico rimedio efficace per il caos nella sua mente.
Sono quasi lì.” continuò Akashi, ignaro della situazione, ma la sua voce si fece più seria, “Noi due dobbiamo parlare e tu farai meglio a smettere con tutte le tue irritanti bugie o altrimenti ci saranno conseguenze. Sono stato chiaro?
“Akashi-kun…”
A dopo, Tetsuya.
“Aspetta, Akashi-kun!”
Il ‘bip-bip-bip’ ritmico della chiamata interrotta gli risuonò nelle orecchie per parecchi secondi prima che lui riuscisse a trovare il coraggio di riagganciare. I suoi occhi si focalizzarono di nuovo su Seiji.
Anche dopo tanti anni senza vedere Seijuro, Kuroko sapeva che c’erano guai in arrivo.
 
Quando sentì suonare il campanello della propria porta, Kuroko sapeva che si trattava di Akashi così andò ad aprire a passo lento e sconfitto, per niente entusiasta della discussione in arrivo. Con la mano già sulla maniglia, pensò per un attimo di fingere di non essere in casa: Midorima era ancora in ospedale, Takao aveva portato via Seiji con una scusa appena Tecchan gli aveva detto che Akashi era in arrivo e Kise e Aomine erano stati avvisati di rimanere a distanza di sicurezza per un po’ e avrebbero fatto da ostacoli nel caso Seijuro si fosse trattenuto più a lungo del previsto e fosse stato necessario tenere il piccolo Kuroko fuori di casa ancora per un po’; nessuno avrebbe aperto al rosso e lui sarebbe stato costretto ad andarsene, no?
“So che sei lì dietro, Tetsuya. Non costringermi di nuovo ad arrampicarmi sul pergolato del retro, non ho più sedici anni.”
Con un sospiro sconfitto, Kuroko aprì la porta.
Di fronte a lui, splendente in un paio di jeans, una camicia bianca e quella maledetta giacca di pelle vecchia di diciassette anni che era stata l’ultimo regalo di Tetsuya e che l’azzurro ormai iniziava a credere portasse sfortuna, stava un ghignante Akashi Seijuro con le mani placidamente infilate in tasca e il peso del corpo bilanciato su una gamba sola. Tale ammaliante creatura sollevò un sopracciglio.
“Non avrai pensato di fingere di non essere in casa, voglio sperare.” commentò e Kuroko si chiese quando mai si sarebbe esaurito il suo potere di leggere nella mente delle persone.
“Sai che non mi arrendo fino alla fine, Akashi-kun.” ribatté solo, apatico, ma intanto si fece da parte per lasciar entrare il rosso, che si tolse educatamente le scarpe prima di guardarsi un attimo intorno.
“Sono cambiate un po’ di cose dall’ultima volta che sono stato qui…” commentò distrattamente.
Kuroko era confuso da quel comportamento così tranquillo, ma la sua mente stabilì che stare al gioco era meglio che iniziare la conversazione per la quale il rosso era lì nel suo soggiorno.
“I miei si sono trasferiti all’estero e Midorima-kun e Takao-kun sono andati a vivere al piano di sopra.” spiegò, “Abbiamo dovuto riaggiustare un po’ tutto.”
Akashi annuì, riconoscendo la situazione, e con tranquillità si avvicinò alla libreria del salotto, oltre il divano, per osservare la fila di fotografie che faceva bella mostra di sé nello scaffale centrale. Tetsuya rimase a guardarlo senza permettere ad alcuna espressione di posarglisi sul viso, ma il suo cuore si strinse un pochino quando il rosso prese con delicatezza una delle cornici, la prima della fila, e si aprì in un tenue sorriso.
“Il giorno della sua nascita?” azzardò Seijuro, tenendo gli occhi fissi sull’immagine di un giovanissimo Kuroko, nemmeno diciannovenne, che in una tunica da ospedale, seduto in un lettino rigido e circondato dal bianco teneva tra le braccia incrociate un bambino minuscolo, tutto rosso, che a giudicare dall’espressione e dall’apertura della bocca stava certamente piangendo a tutta forza.
“Qualche settimana dopo.” corresse Kuroko, ma anche lui si mise a guardare quell’immagine, “È dovuto stare in incubatrice per un po’, prima che potessi prenderlo in braccio. È nato di otto mesi.”
Akashi sembrò assorbire quelle parole una ad una, come una spugna, ma non staccò mai gli occhi dalla foto.
“Sembri felice.” commentò dopo un attimo.
“Lo ero.” assicurò l’azzurro, senza un secondo di esitazione, “Lo sono ancora.”
“E allora perché hai pensato che io non lo sarei stato?”
Kuroko si irrigidì.
Alla fine era arrivato il momento, la discussione che avrebbe voluto evitare per sempre, ma quando Seijuro alzò gli occhi rossi sui suoi e riappoggiò la fotografia, seppe che questa volta non gli sarebbe stato permesso scappare.
A sorpresa, però, Akashi, non attese la sua risposta.
“Ma non è stato solo per questo, vero?” lo incalzò, ma a bassa voce, senza aggressività, negli occhi la calma e la serenità di chi ha capito e non porta rancore nonostante tutto, “Avevi paura di mio padre, sapevi com’era e che non avrebbe accettato una cosa del genere, che sarebbe potuto arrivare a fare qualsiasi cosa, e così hai scelto di andartene e tenere il segreto perché pensavi fosse la cosa migliore per tutti. Per me, per te e soprattutto per il bambino. Sbaglio?”
Tetsuya provò a sostenere lo sguardo di Akashi, ci provò a lungo e per alcuni minuti ci riuscì anche, ma poi il silenzio e quelle parole e la notizia di quella mattina nella testa gli abbassarono le palpebre e la testa.
“È stato inutile, alla fine.” mormorò, “Non ha cambiato nulla.”
“Ha cambiato moltissimo, invece.” scosse la testa Seijuro, questa volta girandosi verso di lui apertamente, “Ha cambiato che sei riuscito a far nascere nostro figlio e a crescerlo in un ragazzo meraviglioso. Con mio padre alle calcagna, non sarebbe stato così semplice.”
Kuroko aggrottò la fronte a quelle parole e senza quasi accorgersene alzò la testa, alla ricerca dell’espressione di Akashi per potervi leggere un’emozione che desse loro un senso, ma ciò che trovò fu un Seijuro troppo vicino.
Il rosso era a meno di un passo da lui e Tetsuya provò ad indietreggiare, ma questi si spostò e lo costrinse a chiudersi con le spalle contro il muro, privo di vie di fuga. Sul viso un’espressione seria, Akashi lo fissò dritto negli occhi, dall’alto di quei suoi sette centimetri di vantaggio.
“Ho detto a mio padre di avere un figlio illegittimo da un altro uomo, che per caso si è scoperto in grado di avere figli.” raccontò, calmo ma non per questo noncurante, “E che non rimpiangevo nulla se non il non essere stato con loro in questi passati quindici anni. Adesso, dico lo stesso a te.” Un piccolo ghigno gli salì alle labbra, spezzando il momento, “Comunque, ho intenzione di cambiare qualcosa, in tutto ciò.”
Tetsuya sentì il cuore accelerare pericolosamente i battiti quando Seijuro gli si avvicinò ancora di più e d’istinto gli mise le mani sul petto, cercando di allontanarlo, ma solo finendo per percepire, sotto la stoffa sottile della camicia, il calore e la robustezza del suo corpo e il suo battito forte e regolare, stabile.
“Akashi-kun…” Pessimo errore, pessimo.
“Prima di tutto,” lo precedette però il rosso, arrivando anche a mettergli un indice sulle labbra per farlo tacere, mentre poggiava l’altra mano al muro accanto al fianco dell’azzurro e su di essa reggeva tutto il suo peso, arrivando ancora più vicino alla sua preda, “ho detto a Reo di farmi avere i documenti per il riconoscimento di Seiji entro domattina. Ovviamente ne parlerò con lui e, se preferisce, aspetteremo a farli ufficializzare, ma comunque li avrò con me.” Più vicino, ancora un po’, e le punte dei loro nasi si sfiorarono. “Secondo passo, al primo momento possibile io, te e Seiji salteremo su un aereo e andremo a quella maledettissima chiesa gay in America, quella dove parlavamo di sposarci quando saremmo dovuti andare al college, e finalmente ti renderò mia moglie così da essere sicuro che non cercherai di scapparmi un’altra volta come ti sei divertito a fare fino ad ora.” La mano di Akashi che prima tappava la bocca di Kuroko scivolò via, cancellando l’ultimo ostacolo tra i loro visi, per andare a posarsi sul fianco dell’azzurro, possessiva, “Come terzo punto, torneremo a casa e lasceremo Seiji con Shintarou per una notte e tu sai cosa significa. Infine, in quarto luogo, la mattina successiva noi tre ce ne andremo da qualche parte, da soli, lontano da tutto e tutti, e passeremo la giornata assieme con te e Seiji che mi raccontate tutto ciò che mi sono perso in questo tempo.” Un ghigno improvviso e malizioso fiorì sul viso del rosso. “Ovviamente, sempre che tu riesca a camminare, altrimenti dovremo rimanere a casa a rispolverare le vecchie foto di famiglia.”
Tetsuya sentiva le lacrime agli occhi, ma nonostante gli anni a fare da ombra non riusciva a ricordare come potesse nasconderle. Le immagini che Seijuro gli aveva dipinto con maestria nella mente, come il più raffinato dei pittori, erano meravigliose e tentatrici, ammalianti nella loro semplicità calda e intima, nella gioia docile che gli preavvisavano, ma lui esitava nel concedersi ad esse e all’uomo che con così tanta costanza stava lottando per lui. Nella sua mente, le vecchie paure faticavano a morire.
“E…” la voce gli si spezzò, deglutì, continuò a tremare ma fece finta di niente, “…tuo padre?”
Akashi alzò gli occhi al cielo, sorprendendolo.
“Io non ho più un padre, Tetsuya, l’hai visto.” rispose, di nuovo…maleficamente soddisfatto, avrebbe detto l’azzurro. Uno stre-gatto compiaciuto di sé. “E anche se l’avessi, reputo la mia paternità molto più importante della sua.” Via il sorriso, su uno sguardo serio, ma Seijuro non si allontanò di un passo e la sua mano sul fianco dell’azzurro rimase salda e tiepida, rassicurante. Chiudendo gli occhi, il rosso appoggiò la fronte su quella del compagno, che non poté far altro che mugolare qualcosa e abbassare a sua volta le palpebre, lasciandosi cullare da quella voce. “Tetsuya,” sussurrò questi, quasi malinconico, “so per esperienza personale quanto male faccia vedere il proprio padre preferire il nome di famiglia a suo figlio. E mi rifiuto di fare lo stesso.” Kuroko aprì gli occhi, sorpreso da quella ‘debolezza’ svelata, solo per vedere Akashi fare lo stesso, nel medesimo istante. Entrambi sorrisero un pochino a quella sincronia. “Mi rifiuto anche,” mormorò Seijuro, spostando la mano dal muro alla guancia di Tetsuya, “di lasciare te di nuovo. L’altro ‘me’ lo ha fatto e ne è finito distrutto, io ho ripetuto l’errore e ho passato sedici anni della mia vita a sentire la tua mancanza: non lascerò che accada una terza volta.”
Kuroko deglutì. Cosa poteva fare? Di fronte a tutte quelle parole, di fronte a quell’amore, cosa gli restava? Cosa poteva dire ancora?
“Mi dispiace…” gli scivolò dalle labbra, come una lacrima di aria e voce, “Quello che ti ho detto l’ultima volta, io non l’ho mai, mai, neanche una volta, pensato davvero. So chi sei, mi fido della persona che sei, e scommetterei la mia vita che non faresti mai del male né a me né a Seiji.”
Akashi sorrise di più, luminosamente, e annuì anche se ancora con la fronte premuta contro quella del fantasma.
“Lo so.” lo rassicurò, sentendolo vicino alle lacrime, e piano gli carezzò la guancia, “Però, per favore, smettila di provare a proteggermi da mio padre. Lui non è niente per me, se paragonato a quanto tengo a te e a Seiji.”
Kuroko scosse un po’ la testa, ma senza riuscire veramente a trovare la volontà di staccarsi dalla fronte e dalle mani di Akashi.
“Però…cosa farai adesso?” tentennò, ancora esitante dopo tanto tempo.
Seijuro ridacchiò appena, di una battuta che solo lui riuscì a capire.
“Nel prossimo futuro, mi occuperò della mia azienda personale, che per tua informazione sta andando avanti già da cinque anni, fiorente e assolutamente libera da ogni minimo legame con mio padre; quindi, appena avrò firmato quelle famose carte, rilascerò un’intervista per dire al mondo intero che sono un gay felicemente sposato con un ermafrodita e orgoglioso del suo splendido figlio legittimo.”
“Che cosa?!”
“In questo preciso momento, invece, mi limiterò a baciarti.”
“Akashi-kun, aspett-…!”
Ma prima delle parole di Kuroko, arrivò la lingua di Akashi. Tra le sue labbra schiuse, si insinuò nella caverna della sua bocca e iniziò a tastarla con cura, esplorandola con voracità, riscoprendo ogni millimetro che già in passato aveva reclamato come suo e suo soltanto e che tale era rimasto anche in tutti quegli anni.
Tetsuya voleva rifiutarlo, trovare la logica che aveva smarrito, pensare seriamente a quante difficoltà tutto quel disastro avrebbe creato, ma invece si limitò a schiudersi ancora di più, come un fiore, allargando le braccia per avvolgere il rosso, divaricando un po’ le gambe per lasciargli infilare un ginocchio tra esse, reclinando un po’ la testa dal lato per garantirgli un migliore accesso.
Quel bacio, oh, quel bacio lui lo avrebbe potuto riconoscere tra miliardi. Era Akashi, solo Akashi poteva farlo così, come se stesse comandando e venerando allo stesso tempo, facendolo sentire un soldatino obbediente e la creatura più bella del creato senza mai esagerare né pretendere troppo, senza diventare prepotente né stucchevole. Caldo come l’inferno e accogliente come il paradiso.
La gioia era così forte in lui che alla fine spezzò la sua poca resistenza lasciando cadere le lacrime dai suoi occhi alle sue guance. Era tutto così perfetto…
La bocca di Akashi si staccò di botto dalla sua, ma lo fece con violenza, come fosse stata strappata via, e Kuroko aprì gli occhi di scatto, sgomento, quando sentì Seijuro lamentarsi debolmente.
In piedi tra lui e il rosso, in una posa difensiva, pronto a proteggere sua madre, Seiji fissava con furia il padre a cui aveva appena tirato un pugno in faccia.
“Ma chi cazzo ti credi di essere, tu?!” gli urlò contro, furibondo, e prima che Kuroko potesse fermarlo, appena Akashi voltò il viso verso di lui tenendosi una guancia con la mano, il ragazzo si gettò di nuovo verso il padre, tentando di colpirlo ancora.
“Fermati, Seiji!” urlò Tetsuya, scioccato, ma il rosso più grande afferrò il ragazzino per i polsi con abilità e poi scoccò all’azzurro un’occhiata che gli diceva di lasciarlo fare.
“Sei un bastardo! Vattene da qui!” gridava Seiji, dimenandosi con la stessa foga che aveva usato per scappare dagli insegnanti della Rakuzan, e Seijuro lo lasciò fare, ignorando gli insulti, fino a quando non riuscì a lasciargli i polsi e ad afferrargli le spalle.
Mentre ancora il ragazzino imprecava e cercava di colpirlo, Akashi se lo strinse al petto, bloccandogli il corpo con un braccio e istintivamente mettendogli l’altra mano a coppa sulla nuca, carezzandola piano.
Tetsuya sentì un brivido strano all’idea che Seijuro, senza neanche farlo apposta, avesse indovinato il punto debole di suo figlio.
Figlio che continuava a colpirlo con pugni sempre più fievoli, mentre gli insulti venivano via via spezzati da singhiozzi tremuli e malamente nascosti.
“…S-sei un bastardo…” sussurrò Seiji alla fine, ma le mani questa volta si chiusero sulla stoffa della sua camicia, come a volergli impedire di andarsene di nuovo, “Ti…Ti odio…”
“Lo so, lo so.” lo rassicurò Seijuro, senza quasi far caso a quelle parole, solo stringendolo cercando di tenere a mente tutte le volte in cui, sapeva, un abbraccio di suo padre sarebbe bastato a liberarlo dal suo inferno, “Sono qui apposta per farti cambiare idea.”
Seiji strofinò il viso contro il suo petto, come la sera prima aveva fatto con Tetsuya, e cercò il suo odore come fosse stato un cucciolo, ma non smise di piangere.
“…Odio questo tuo ego…” borbottò comunque.
Tetsuya ridacchiò, anche lui in lacrime, nell’osservare quella scena e Akashi gli sorrise e allargò un braccio perché si unisse alla stretta. L’azzurro avvolse il figlio e si strinse al compagno, cercandone il calore, e Akashi rafforzò la presa su entrambi.
“Temo che questo sia qualcosa che non può essere cambiato.” finse di sospirare.
Seiji tirò su col naso.
“Sei fortunato che mamma mi abbia insegnato a non essere capriccioso.” ribatté, sagace nonostante la voce roca.
Akashi ridacchiò, scoccando un’occhiata a Kuroko.
“Beh, dovremo proprio premiarla per questo, allora.” commentò, quindi cercò il viso di Seiji per incrociare i suoi occhi e sorridergli, “Che ne dici di cucinare il pranzo per lui?”
“Akashi-kun, tu non sai cucinare.” si intromise Kuroko, suo malgrado temendo per la propria cucina.
Seijuro sollevò orgogliosamente il mento in direzione del compagno.
“Ma la rosticceria all’angolo della strada sì.” replicò, come fosse un suo grande vanto, e il rosso più giovane si staccò un po’ da lui, pur mantenendo l’abbraccio con una mano, per asciugarsi il viso con l’altra.
“Fanno anche i milk-shake…” aggiunse, per prendere in giro Tetsuya e cercare di convincerlo ad accettare quella proposta.
Akashi alzò gli occhi al cielo.
“Vaniglia?” provò ad indovinare, l’irritazione per quel gusto palese nella sua voce.
Seiji rispose con una smorfia disgustata.
“Puah! Cioccolato!” corresse, scuotendo la testa, “Solo mamma mangia quella schifezza!”
“Questo è mio figlio.”
Kuroko sbuffò alla complicità dei due.
“Perché non ve ne andate a comprare il pranzo per voi e non ve lo mangiate sul portico? Perché io sto per chiudervi fuori entrambi.”
Seijuro ghignò. All’improvviso si tirò Tetsuya più vicino e accostò le labbra al suo orecchio, con fare malizioso.
“Attento a non tentarmi.” sussurrò, invitante, “Sto già pensando fin troppo a come chiudere te da qualche parte…”
“SEIJURO!” esclamò immediatamente Tetsuya, utilizzando ogni oncia del proprio autocontrollo per non arrossire vistosamente di fronte al figlio, tradendo le sconcezze appena dettegli dal padre.
Seiji sollevò un sopracciglio, ma invece che verso l’azzurro si volse verso il rosso.
“Dovrò abituarmi a sentire mamma chiamarti per nome?” chiese.
Akashi sorrise, affettuoso.
“Preferirei ti abituassi a chiamare me ‘papà’.” replicò arruffandogli i capelli con una risata.
 
Punto uno. Punto due. Punto tre. Punto quattro. In quanto poco Akashi mantenne tutte quelle promesse fatte al suo Tetsuya.

Un ragazzino dai capelli rossi e gli occhi di due colori, uno scarlatto ed uno turchese però nascosto dal ciuffo, sorrise al suo primo giorno nella nuova scuola, il liceo Seirin di Tokyo, e alzò il mento con orgoglio presentandosi come Akashi Seiji.


 
Sono di corsa, chiedo scusa, quindi queste saranno note veloci.
Mi riservo di dire ciò che devo nel prossimo capitolo, che sarà l'epilogo, quindi questo è solo un ringraziamento per tutti voi che siete arrivati fin qui.
Detto ciò, un po' di informazioni: -Ho pubblicato una Rating Rosso dal titolo "Terapia di Gruppo" (IzukiXKurokoXTakao);
                                                              -Dovrei pubblicare a breve una KuroAka dal titolo Dolcezze di prime volte
                                                              -Pubblicherò a breve una One-shot dal titolo "Il sogno pacato di un Fantasma e Dama Morte" ma non so ancora quando riuscirò a tradurla (forse il titolo resterà in Inglese, "The peaceful dream of a Ghost and Lady Death" ma ancora non so) :)
Come al solito, potete trovarmi su Tumblr, QUI.
A presto allora!

Agapanto Blu
  
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