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Autore: _matthew_    12/01/2009    8 recensioni
Un Tony stranamente pallido e silenzioso, un McGee letteralmente terrorizzato, un Gibbs che minaccia scappellotti fino al giorno del giudizio e i rimasugli della scrivania di Ziva sparsi per tutto l'ufficio.
Cosa è in grado di produrre tutto questo? Ovviamente una mente malata, che ha deciso di fare di Tony il suo avversario in un gioco di indovinelli dove la posta in gioco è la vita di persone innocenti.
Riuscirà la squadra a venire a capo dell'enigma, o stralci del passato di Tony risorgeranno dalla polvere del tempo per decretarne la sconfitta?
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti! Eccomi di nuovo qui, con un aggiornamento lampo...che purtroppo sarà anche l'ultimo. E dire che mi stavo affezionando al mio psicopatico mentalmente instabile...e invece siamo già arrivati alla fine! Prima di lasciarvi al capitolo colgo l'occasione per ringraziare tutti coloro che hanno letto, recensito o inserito la ff nei preferiti...è stupendo vedere che il proprio lavoro viene apprezzato, e vi ringrazio di cuore! Bene, dopo questo romanzo, vi lascio alla storia XD Buona lettura!





"Ok dottore, spiegati" comandò perentorio Gibbs, riemergendo dal silenzio in cui si era stato immerso fino a quel momento.
"Cos'è questa storia della figlia?" precisò poi, indicando con precisione chirurgica cosa lo interessasse realmente dei ragionamenti e delle spiegazioni di Duky. I suoi agenti fissavano lo scambio di battute, se così si poteva definire visto che stava parlando solo Gibbs, spostando appena gli occhi, ancora troppo intenti a metabolizzare la notizia per avere una qualche altra reazione.
"Lei è stata la prima. Tu sei passato, io chi sono?" recitò a memoria il patologo, cogliendoli di sorpresa.
"Il primo messaggio del pazzo" mormorò con tono piatto Tony "Che c'entra?" indagò poi, guardando Duky con aria perplessa ed interrogativa.
"Non mi è mai stato chiaro l'uso del verbo, quell' 'è stata' stonava troppo" piccola pausa, per sottolineare con il silenzio quella prima verità fondamentale, poi riprese
"Perchè un serial killer dovrebbe uccidere una sola persona, fermarsi per anni, molti anni, e ricomparire poi qui; cambiando modus operandi, zona di caccia, e sfidando un'agenzia federale sconosciuta ai più?" elencò poi, cercando nel suo uditorio segni di comprensione, barlumi di vita nelle espressioni dei volti e degli sguardi.
Gibbs si stava facendo più attento, mentre la mente cercava di anticipare le conclusioni a cui lui era arrivato. Duky sorrise, tentando di dissimulare la soddisfazione; quella volta era lui a possedere la chiave di volta per chiarire l'enigma, e non Jethro.
"Si, in effetti è privo di senso" confermò McGee. Ziva si chiese se il compagno stesse prendendo mentalmente nota della situazione per ricrearne una simile nel suo prossimo romanzo. Sicuramente una storia così surreale avrebbe avuto successo tra i patiti del genere giallo.
"Inizialmente ci siamo concentrati su Tony, presupponendo che l'assassino fosse lo stesso e credendo che agisse in quel modo per un qualche malato delirio di potenza o impunità" Si, riflettè Ziva, quella era stata la prima analisi di Duky, analisi che le sembrava ancora verosimile e sensata, se non addirittura l'unica possibile.
"Invece?" ruggì piano Gibbs. Era contrario ad ogni perdita di tempo, e quella spiegazione stava prendendo troppo del loro poco, prezioso, tempo. Le lancette dell'orologio correvano veloci ed implacabili, segnando con il loro spostarsi ritmico che mancavano solo nove ore alla fatidica telefonata.
"Invece la sua ultima frase detta a Ziva, 'assassino per assassino' ha chiarito tutto" Duky stava iniziando ad animarsi, iniziando a gesticolare lievemente mentre entrava nel vivo della spiegazione.
"Ha agito in quel modo per attirare l'attenzione sul vecchio caso, e ha tirato in mezzo Tony perchè all'epoca era lui l'agente incaricato di risolverlo, quindi solo lui avrebbe potuto cogliere le velate allusioni che ci stava lanciando" disse tutto d'un fiato, per evitare qualsiasi obiezione o domanda che gli avrebbero fatto perdere il filo del discorso.
"Ha ucciso perchè venisse riaperto quel vecchio caso; il suo scopo era che qualcuno indagasse sul passato, con lo scopo di fermarlo, e scoprisse l'assassino di sua figlia"
"E come fai ad essere certo che quella ragazza fosse sua figlia?" chiese Gibbs gelido, anche se quell'idea apparentemente folle iniziava ad acquistare un barlume di senso e razionalità, nella sua follia.
"Ricordate?" iniziò Duky, preparandosi a dare l'ennesima spiegazione "Una volta, parlando con Tony, ha detto 'Ora che hai la Bella, trova la Bestia' " recitò quella frase ponendo particolare enfasi sulla parola bestia; quella doveva essere una parola importante, su cui si basava gran parte della sua costruzione logica.
Una costruzione traballante, a cui sarebbe bastata una sola, semplice, unica obiezione per crollare come un castello di carte. Obiezione, Duky ne era certo, che non sarebbe mai giunta, tuttavia; quella, lo sentiva, era la ricostruzione corretta, quella era la verità.
"Quindi?" indagò ancora Gibbs, ma il tono della voce era cambiato, si stava convincendo.
"Quindi solo un padre, o un congiunto stretto, potrebbe definire bestia chi ha spezzato la vita di quella poveretta" concluse Duky, tirando le fila del suo ragionamento logico e stringente; nessuna obiezione, nessuna protesta, notò compiaciuto.
"Perchè Ziva?" chiese improvvisamente Tony, riemergendo dai suoi pensieri.
"L'ha vista più motivata, più aggressiva. Credo che sia stato spinto a questo per una pressante mancanza di tempo, e lei dava buone garanzie di successo" ragionò lui. Aveva pensato anche a quello, ovviamente, come si poteva dedurre dalla risposta: veloce, precisa, chiara, inattaccabile.
"Però poi ha tentato di farmi saltare in aria" specificò lei piccata. L'ultimo scherzo esplosivo non le era per niente piaciuto, soprattutto perchè aveva ridotto in briciole la sua adorata macchina, che non le sarebbe stata risarcita in quanto al momento dell'esplosione non era ufficialmente in servizio. La rabbia le ribolliva nelle vene, al ricordo.
"Sei andata oltre; lui credeva che scavassi nel passato, non che ti avventassi contro di lui. Ha sentito di perdere il controllo della situazione, e ha reagito di conseguenza" spiegò Duky tranquillo, come se stesse facendo lezione di psicologia ad un'aula di giovani studenti universitari, parlando tramite esempi esasperati e puramente inventati.
"Ok...e ora cosa vuole, esattamente?" chiese Gibbs, deciso a mettere fine a quello spreco di tempo. Le ore che rimanevano erano diventate otto, e sebbene quella conversazione fosse illuminante, e spiegasse molte cose, era arrivato il momento di lasciar perdere le congetture, e passare ai fatti.
"Il colpevole dell'omicidio del '93, ovviamente" sorrise Duky tranquillo, come se fosse la cosa più semplice del mondo.
"Ovviamente" borbottò Gibbs allontanandosi verso l'ascensore, facendo cenno ai suoi agenti di seguirlo. Prima che le porte dell'ascensore si chiudessero rivolse un'occhiata soddisfatta a Duky, e il patologo era quasi certo che le sue labbra avessero sillabato un "ottimo lavoro" mentre le porte di metallo si chiudessero del tutto.


Tony sbuffò per l'ennesima volta, osservando i passanti che attraversavano la piazza. Al centro la fontana, ai lati del selciato un prato costellato di panchine occupati da adolescenti innamorati e anziani a passeggio con il cane.
Impiegati in giacca e cravatta e donne in taileur attraversavano la piazza a passo svelto, diretti ai loro uffici, al piccolo bar all'angolo o alle loro accoglienti case da donne e uomini in carriera. Le auto scorrevano lente sull'ampia strada all'estrema destra, mentre gli alti grattacieli incorniciavano quel piccolo angolo di quiete in mezzo alla città caotica.
Fissò lo sguardo sul tetto di un ampio palazzo ottagonale, costruito interamente in vetro e acciaio; sebbene non la vedesse, sapeva che Ziva era la, un fucile da cecchino stretto tra le mani, e una voglia matta di premere il grilletto.
Sbuffò di nuovo, inquieto, sistemandosi la busta vuota sotto al braccio e l'auricolare all'orecchio destro; alla fine non erano riusciti a scoprire nulla, non erano arrivati a niente.
Lo psicopatico aveva telefonato, aveva chiesto risposte e loro ne avevano inventate alcune, avevano fissato un appuntamento ed eccoli li, pronti ad abbatterlo come si fa con gli animali rabbiosi. Prospettiva poco allettante, poco umana, magari, ma l'unica praticabile.
Aveva tirato troppo la corda, si era messo troppo in mostra, non avrebbe smesso di uccidere, e quello era l'unico modo per fermarlo.
"Più a destra, Tony" gli sibilò Ziva all'orecchio, facendolo spostare più al centro della piazza, abbastanza vicino alla fontana perchè il proiettile non colpisse un innocente ma allo stesso tempo abbastanza lontano, in modo che la fontana non costituisse un ostacolo alla linea di tiro, che da quel palazzo era particolarmente sgombra.
La sua posizione le permetteva di spaziare su tutta la piazza, non c'era un solo punto in cui non avrebbe potuto sparare, all'occorrenza. Sorrise soddisfatta, aspettando il momento in cui avrebbe scritto la parola fine a quell'odiosa vicenda esercitando una lieve pressione sul grilletto.
Le piaceva quel tipo di omicidio, in particolar modo se autorizzato e perfettamente legale, rapido, pulito, efficace.
Eliminavi il bersaglio prescelto senza troppo chiasso, senza esporti, e soprattutto senza il rischio di fare vittime innocenti, o inutili. La miglior forma di uccisione, a suo modesto avviso, anche se non dava la stessa soddisfazione che le avrebbe dato sfondare la faccia di quel folle a calci, prima di finirlo. Ma come sapeva bene, non si poteva pretendere tutto, dalla vita.
Gli occhi di Tony si mossero inquieti per la piazza, cercando un uomo con un garofano rosso, che avrebbe ucciso ogni persona nel raggio di cento metri se avesse sentito odore di trappola, e Gibbs e McGee, dispersi da qualche parte tra la folla. Ovviamente non li trovò; ne loro, ne il loro uomo.
Ziva tamburellò con le dita sul basso parapetto del tetto a cui era poggiato il treppiedi del fucile; non si mosse, quando la gelida canna di una pistola le si posò sulla tempia, sfiorandole appena i capelli ricci. Si limitò ad un sorriso sghembo, e a staccare lentamente le mani dalla sua arma con aria di sfida.
Avrebbe potuto girarsi, disarmarlo, farlo cadere a terra e sparargli; due colpi al cuore, uno alla testa. Ma sarebbe stato troppo facile, troppo veloce, o forse troppo scontato.
Si limitò a respirare a fondo, guardandolo in quei folli occhi scuri, aspettando l'arrivo dello sparo.
A ben pensarci, ogni periodo della sua vita si era concluso con uno sparo; quel rumore secco, assordante, che risvegliava nella maggior parte degli uomini i più biechi istinti di sopravvivenza aveva scandito con ritmo regolare tutta la sua vita.
Era incominciato tutto con un rumore molto simile a quello, ma più forte e più cupo: il rumore dell'esplosione che le aveva portato via la sua adorata sorellina. E da li, solo un'escalation di spari e violenza: il suo addestramento, il suo primo, vero assassinio, l'uccisione di Ari, e ora quello.
Chiuse gli occhi, sentendo che la detonazione era più vicina, imminente. In fondo era giusto così, anche quel capitolo doveva concludersi con quel rumore forte, lancinante, che le riempiva le orecchie, mentre un piccolo, ridicolo, pezzetto di piombo sconvolgeva una volta di più la sua vita.
"Shalom, puttanella" sussurrò l'uomo con voce roca, rotta dall'eccitazione. Dopo di lei avrebbe ucciso quell'incompetente dell'agente DiNozzo, e poi McGee e Gibbs, se fosse riuscito a trovarli.
Gli avevano solo fatto perdere tempo, e gli avevano teso quella ridicola trappola; come se lui non fosse abbastanza intelligente da capire il loro stupido, sporco, gioco.
"Era tua figlia?" chiese, vinta dalla curiosità. Lui annuì impercettibilmente, prima di stringere più saldamente la pistola tra le dita.
Ziva sorrise quando finalmente le giunse all'orecchio il rumore dello sparo, più flebile, rispetto a quanto si aspettasse. Il sangue, caldo e denso, colò tra i capelli, rigandole il viso, macchiandole la maglia candida e i pantaloni, posandosi sulle sue mani e sulle braccia nude.
Il pensiero volò per un secondo a Tony, a quel suo dolcissimo, inaspettato, bacio sul collo, per poi tornare al presente. Aprì lentamente gli occhi, mettendo a fuoco il volto dell'uomo che le stava davanti; si concentrò sulla sua espressione, stupita, sconvolta, mentre si rendeva conto che il sangue che bagnava il viso di Ziva era il suo.
"Shalom, bastardo" sorrise lei, mentre l'uomo cadeva ai suoi piedi con un ultimo, strozzato, rantolo d'agonia. Lo girò rudemente, spingendolo con un piede, osservando compiaciuta il piccolo foro circolare che gli si era aperto sulla fronte, in mezzo agli occhi.
"Mira perfetta, Gibbs" sussurrò nell'auricolare, il viso rivolto ad un altro dei palazzi che circondavano la piazza; l'unico da cui si potesse tenere perfettamente sotto tiro quel tetto.
"Credevi davvero che fossimo tanto stupidi?" chiese Ziva al cadavere steso ai suoi piedi in un sospiro piccato, mentre il suo orecchio si concentrava sui passi di Tony, che a giudicare dal rumore stava salendo a due a due le strette rampe di scale in ferro che portavano al tetto.
Aveva il cuore in gola, e non solo per lo sforzo della corsa; il loro piano era perfetto: far credere a quel pazzo di avere la situazione in pugno, fargli credere di aver vinto la partita, per poi coglierlo con la guardia abbassata.
Avevano passato tre ore a selezionare la piazza più adatta, quella che avesse linee di tiro tanto obbligate da rendere evidente a chiunque dove si sarebbe dovuto piazzare un eventuale cecchino, e alla fine ce l'avevano fatta.
La loro astuzia, il loro inganno, aveva vinto; il cattivo era stato abbattuto, tutto era finito, ma rimaneva ancora un'incognita da svelare. Appena sentito il rumore dello sparo si era sfilato l'auricolare ed era corso verso il palazzo; non sapeva cose ne fosse stato della loro esca, non sapeva se Ziva era ancora viva.
Non capiva perchè il cuore gli martellasse tanto nel petto a quella domanda, ne tanto meno capì perchè perse un paio di battiti quando vide la ragazza appoggiata al basso parapetto, il viso e i vestiti sporchi di sangue.
Il resto era solo un ricordo sfumato, immagini sfocate e turbinose; lui che si avvicinava, lei che gli sorrideva, e poi il nulla.
Solo un paio di scappellotti estremamente violenti e ben indirizzati contro le loro nuche, e la consapevolezza di un nuovo sentimento di cui non si era mai accorto.
"Ahia, capo!" protestò con enfasi, staccandosi di malavoglia dal volto di Ziva "Quante storie per un bacio!" rimarcò poi, prendendosi un altro scappellotto.
Poi solo paramedici che portavano via il corpo, Duky che diceva loro che quello psicopatico ancora sconosciuto, come la figlia, sarebbe morto entro poche settimane di cancro; poi solo baci e scappellotti.
Era bello tornare alla normalità; una normalità aiutata da un proiettile, ed addolcita da un nuovo amore.
L'unica pecca di quella vicenda riguardava la giustizia; un uomo senza identità ucciso, un pericoloso killer fermato, un omicidio vecchio di anni ancora irrisolto, ma quella era tutta un'altra, sporca, inconcludente, storia.
  
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