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Autore: skonhet    22/06/2015    1 recensioni
Rose aveva sempre adorato trascorrere le estati dai nonni, rotolarsi tra le spighe di grano, buttarsi sul letto a fine giornata, sfinita. Poi era cominciata l’età ingrata, e un perpetuo senso di insofferenza aveva cominciato ad accompagnarla notte e giorno. A volte sentiva la pressione dei prossimi 17 anni costringerla a rivedere le sue priorità: era quasi stufa di svolgere quel ruolo da maschiaccia, ora che percepiva le vibrazioni della sessualità farsi spazio tra i suoi pensieri.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Rose Weasley, Teddy Lupin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
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Chiare, fresche et dolci acque

 
Quella fu un’estate particolarmente calda in Inghilterra. Nelle lunghe giornate di fine luglio, il frinio assordante delle cicale competeva con l’implacabile afa, lì a Ottery St Catchpole. L’immensa quantità di vapore acqueo che il caldo alimentava rese quella stagione anche piuttosto piovosa ed umida. Le case rimanevano l’unico posto al sicuro dai violenti raggi solari, fresche almeno fino al tramonto, mentre le notti erano a dir poco infernali.
Tutti i nipoti di Molly Weasley si rifugiavano alla Tana per trascorrere i primi giorni di vacanza. Per ognuno di loro quell’incessante e fastidioso insetto che popolava il giardino era in realtà un compagno fedele, simbolo della fine delle lezioni. I più assidui frequentatori degli spazi aperti erano tuttavia James, Rose e Louis, mentre le altre ragazze e il pigro Albus passavano il pomeriggio a sonnecchiare, per poi attivarsi solo con la carezza del vento notturno. A volte, insieme a Victoire, faceva delle fugaci visite anche Teddy.

Rose aveva sempre adorato trascorrere le estati dai nonni, rotolarsi tra le spighe di grano, buttarsi sul letto a fine giornata, sfinita. Non esisteva un momento di riposo, era stata una bambina iperattiva, incredibilmente intuitiva e curiosa, affascinata dai babbani delle vicine cittadine, che amava spiare nelle giornate non sufficientemente piene. Poi era cominciata l’età ingrata e un perpetuo senso di insofferenza aveva cominciato ad accompagnarla notte e giorno. Ciò che il giorno prima amava da impazzire, quello successivo poteva annoiarla mortalmente. A volte sentiva la pressione dei prossimi 17 anni costringerla a rivedere le sue priorità: era quasi stufa di svolgere quel ruolo da maschiaccia, ora che percepiva le vibrazioni della sessualità farsi spazio tra i suoi pensieri. Perciò quando si univa ai cugini per giocare con loro a Quidditch, spesso poco dopo abbandonava il campo turbata.

E così accadde quel giorno. Il cielo era chiazzato di nuvole bianche che saltuariamente oscuravano il sole, condotte da un vento incostante; era una giornata abbastanza fresca per permettersi di restare all’aria aperta anche nelle prime ore del pomeriggio. Rose stava brillantemente difendendo i tre anelli della sua squadra, accanto a James e Hugo, contro il piazzatissimo Fred, Louis e Albus. Fuori dal campo Ted osservava la partita divertito, ma come se non fosse veramente presente. A volte Rose sentiva il suo sguardo su di lei, ma rimaneva ben concentrata sulla partita: quel giorno indossava un vestito e cercava in tutti i modi di non farlo alzare mentre volteggiava sulla vecchia Nimbus del padre. Ben presto però si annoiò di quel gioco, così, senza dire nulla ai suoi compagni, perse velocemente quota e abbandonò la sua scopa accanto agli anelli.

Si allontanò seguita dalle proteste colorite di James, diretta verso il torrente poco distante dalla tana; i cardi secchi tra i campi le trattenevano il vestito a scacchi rosso e bianco che le lambiva le cosce, i papaveri si piegavano alla spinta del vento verso le caviglie sottili. Il corpo di Rose era già abbastanza adulto e lei aveva imparato a sfruttare il fascino che esercitava: nel giro di qualche mese aveva stravolto il suo abbigliamento e introdotto quanto più di femminile potesse rubare tra gli abiti delle cugine più grandi, lì ad Hogwarts. 
Giunta vicino il torrente entrò scalza in un piccolo bacino di acqua stagna, ancora limpida e popolata da piccoli anfibi. Era una sorta di locus amoenus che non aveva mai mostrato a nessuno dei suoi cugini, perché pur essendo una tipa piuttosto socievole, era gelosa dei suoi momenti di solitudine, soprattutto ora che era un’adolescente. Rimase lì a ponderare per un po’, quando si sentì raggiunta dal passo cadenzato di Teddy.
Non si chiede nemmeno il perché fosse stata seguita, in cuor suo era proprio quello che desiderava. Quello sguardo insistente aveva gratificato il suo ego e voleva sfidare i limiti del ragazzo. Su di lei la sfuggente personalità del giovane Lupin aveva sempre avuto un forte ascendente. Da piccolissima aveva amato Teddy di un amore folle, possessivo, detestava Victoire e la sua bellezza eterea; la loro era tuttavia una coppia salda come il piombo, praticamente indistruttibile, che aveva vissuto lunghe crisi e tuttora resisteva al tempo. Si erano innamorati da giovanissimi ed erano sempre stati fortemente appoggiati da entrambe le famiglie, entusiasti di quell’unione così intima. Rose, crescendo, se ne era fatta una ragione. Ma adesso lei era una giovane donna, e Teddy praticamente un uomo, e le piaceva dilettarsi con lui in un segreto gioco di sguardi. Non le era di certo sfuggito quel nuovo atteggiamento di Ted da quando aveva smesso di essere bambina. Come non accorgersene, dato che faceva praticamente parte della sua famiglia? Andare dallo zio Harry voleva dire incontrare anche lui, per lunghi periodi aveva persino vissuto dai Potter. Quasi con trionfo pensava che dopo anni di sofferenze infantili era riuscita comunque ad attirare la sua attenzione, grazie ad un potere nuovo, quello del corpo.

«Già ti sei annoiata?» l’apostrofò, le mani in tasca. Aveva una leggera barba di tre giorni, i capelli di un bel castano scuro, gli occhi grigi e profondi, che indugiavano sul suo corpo. Rose sentiva la stoffa bagnata aderire alle sue forme, mostrargli il ventre e la curva dell’ombelico; si arrotolò una ciocca tra le dita e alzò le spalle «Ho cambiato idea.»

Teddy rimase ancora un po’ in piedi, distogliendo attentamente lo sguardo. Per qualche istante non parlarono, Rose lasciò una raganella saltellarle pigra sul braccio, inviando delle occhiate al ragazzo, in attesa di una mossa. Improvvisamente sentiva il suo corpo ordinarle qualcosa, un’incredibile forza la spingeva ad avvicinarsi a lui, ma attese. Una tensione diversa era invece padrona di Teddy. Aveva vissuto una vita intera a prendere in braccio la piccola Rose a giocare con lei e ora era lì di fronte a lui che lo richiamava alla tentazione, implacabile, persino più attraente dell’impareggiabile Victoire. Malgrado si stesse concentrando sulla fronda di un albero, aveva impressa nella cornea la curva del suo fianco e il bianco accecante della sua pelle risplendere sotto l’acqua cristallina. Gli sembrava di essere di fronte alla Vergine di Botticelli e una forte spinta primitiva lo convinse a togliere le scarpe ed immergere le gambe. Non sto facendo nulla di male, si giustificò, tra sé e sé, sorridendo turbato ad una melliflua Rose.
Teddy si sedette sulla sponda, e si osservarono per un po’, guardinghi. Ted non sapeva cosa significasse quel comportamento di Rose, mentre lei capiva benissimo cosa lo tormentava; in quel momento era fin troppo evidente, quando mai aveva esitato nell’avvicinarsi a lei? Dal momento in cui sembrava non voler far nulla, lei cominciò a infastidirlo con degli schizzi d’acqua. Ben presto cominciarono a ridere e qualcosa di più forte di loro si impadronì dei loro corpi: il gioco si vece più movimentato finché Teddy non decise di entrare completamente nel lago, non prima però di essersi tolto la maglia «Sai, me l’ha regalata Victoire, se la rovino…» e lo disse ad alta voce, così che entrambi se ne ricordassero. Per un istante rimasero distanti e immobili, turbati da quella presenza scomoda. Rose carpì con un’occhiata la vigorosa curva del bicipite, vergata da possenti vene in rilievo e le virili parentesi sul ventre idealmente congiunte sotto al jeans che indossava. I capelli di Rose, bagnati, si avviluppavano sulle spalle e ammiccavano nascondendosi nel petto prematuro. La presenza effimera della bella Weasley, di fronte a quei corpi giovani e focosi è aleatoria e presto viene nuovamente dimenticata.

Rose e Ted continuarono a giocare tra loro, in una danza di seduzione che li attraeva e respingeva contempo, finché non furono tanto vicini da permettere a Lupin di avvicinarla a sé con un braccio. Cominciò, così stretto a lei, a solleticarle la pancia, sfiorando inconsapevolmente parti del suo corpo che ricordava diversi, indesiderabili. Le sue risate, gli spasmi del suo corpo così vicino al suo, lo inebriarono, gli fecero totalmente perdere il senno. Affondò il viso tra i boccoli castani, all’avida ricerca del collo candido per una pernacchia, e si ritrovò invece a baciarlo con foga. Rose percepiva ogni curva e rientranza dei loro corpi aderire perfettamente, una forte ondata di calore le invase il ventre, contro dove pulsava il piacere di Ted, e dei brividi le scesero lungo la schiena a contatto con il caldo umido dei suoi baci. Fu la foga della passione più animalesca, e la risposta positiva di Rose, la quale stringeva le mani contro la sua schiena, che lo spinsero ad abbassarle le spalline, circondarle con la mano il fiore vergineo del suo seno acerbo, baciarle con intensità la bocca, e sollevarla.

Ma quello che stava accadendo cominciò ad allarmare la volubile Rose, seppur poco prima trascinata dal richiamo della natura, ora terrorizzata da qualcosa di sconosciuto e potente che aveva totalmente stravolto il viso di Teddy che, totalmente fuori di sé, la prendeva in braccio e la spingeva verso il bordo dello stagno. La liberò velocemente degli abiti, e in un attimo la scoprì dove nessuno si era mai spinto con lei. Ma lo sguardo attonito di Rose poco dopo lo riportò sulla terra, e spaventato quanto lei se ne discostò. Immediatamente Rose fu fuori dalla stagno, sconvolta, incapace di spiegarsi cosa stava accadendo in lei; sentiva, lampante, una tempesta interiore che la spingeva sia a rientrare con lui, sia a fuggire. Ted fu più risoluto e, rivestitosi, umiliato e desolato, si affrettò a porgerle gli abiti, e ad offrirle le più sentite scuse. «Mi spiace Rose, non so cosa mi sia preso, io…sono mortificato credimi, non saprò mai come scusarmi.» Tuttavia, improvvisamente, lei non dava più accenno a volersi rivestire; nuda, stagliata contro la stordente luce estiva, osservava Ted, che a poco a poco smise di parlare. In silenzio, Rose si strizzò i capelli, lasciò scorrere l’acqua lentamente sul suo fianco destro, lasciando che Teddy ne seguisse la traiettoria. Poi, avvicinatasi a lui, lo prese per mano e lo condusse nuovamente nello stagno. In breve furono di nuovo solo loro due, separati solo dal sottile strato di pelle, stretti nel piacere sopraffino della carne e del proibito: Rose che ne saggiava il sapore per la prima volta, Ted che scopriva la trasgressione e le dolci membra di un’adolescente.
Poco distante, la Tana e i suoi abitanti continuavano le loro esistenze ignari di quello che stava accadendo. Proprio nell’istante in cui Ted provava l’orgasmo più intenso della sua vita con la cugina, Victoire posava leggera sul letto con Dominique, mostrandole la propria relazione come esempio impeccabile di vero amore.
Rivestendosi, Rose percepì nuovamente il disgusto storcerle lo stomaco. Sentì distintamente la voce della madre rimproverarla aspramente per quello che aveva fatto; la sua coscienza non la rimproverava tanto del tradimento alla cugina, che aveva sempre detestato, quando della sua integrità morale. Pensò di spifferare tutto, se questo non fosse significato anche il suo disonore; sarebbe stato infinitamente umiliante confessarsi di fronte al padre. Poi però Ted le prese la mano, con un incantesimo l’asciugò del tutto e mentre lui la baciava, le balenò in mente l’idea di continuare quella folle relazione alla spalle di tutti.

Decisero di tornare separati e fu Ted ad andarsene per primo. Rose si sedette sull’erba, analizzandosi nel profondo del suo nuovo corpo, alla ricerca di quello che non le apparteneva più e di quello che invece ora aveva acquisito. Il solito tormento la tendeva tra la voglia di piangere ad invocare l’infanzia irrimediabilmente perduta e la voglia di rincorrere il ragazzo per ripetere all’infinito quell’errore. Pensò a lungo a cosa dirgli alla prossima occasione di incontro, cosa fare di loro due. Tuttavia sapeva che l’avrebbe trovato quella sera a tavola con lei, perciò decise che avrebbe relegato la scelta alla Rose di qualche ora più tardi; avrebbe potuto sbottare davanti a tutti, accusandolo, o l’avrebbe potuto raggiungere in camera sua furtivamente nella notte (non gli era permesso di dormire con Victoire) e riscoprirsi di nuovo. Dedicò solo quell’istante al suo personale godimento; ma poi, rievocando ciò che aveva appena vissuto, pianse le sue ultime lacrime da ragazzina, osservando il sole che si faceva basso e le feriva gli occhi.

Si alzò, riprese la strada che l’aveva condotta fin lì al contrario. Le spighe le solleticarono felici i polpacci, i grilli le saltarono intorno, i fiori già chiusi ondeggiarono placidi al suo passaggio. Il frinio delle cicale si era fatto pigro, il tramonto si avvicinava. Ogni elemento della natura continuava la sua esistenza indifferente, l’estate prepotente portava via con sé la purezza primaverile, costringendo i fiori a maturare in succosi frutti. Da lontano James la vide e le fece un cenno, invitandola a giocare; lei corse alla sua posizione, ben entusiasta ora di riprendere la partita. Seduto, Ted la osservava parare con grazia, indugiando teso su quelle porzioni di corpo che aveva poco prima esplorato. Anche Victoire, da tempo affacciata dalla finestra di camera sua per gustarsi la partita, osservò curiosa la cugina. Una chiazza rossa della dimensione di una ciliegia spiccava sulla scapola lattea di Rose.



Note dell'autrice
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