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Autore: Canfora     22/06/2015    0 recensioni
"Tutti loro avevano scelto di sacrificarsi per un bene superiore, avevano preferito il bene di molti a quello di pochi, al loro stesso bene…ma ora, da anni in verità, si chiedeva se tutto ciò fosse giusto.
Esisteva veramente un bene superiore?
Blasie volse lo sguardo a contemplare la sedia lasciata vuota. Le donne, pensò, sanno farsi carico di colpe più grandi di loro."
Ci sono mille vite possibili in mille possibili universi. Questa storia parla di una di queste vite concretizzabili, una di quelle in cui i protagonisti non si affidano al caso ed alla fortuna per creare il proprio destino, ma combattono fino a riscrive quella che noi conosciamo come la storia di Harry Potter, che poi solo sua non è. Buona Lettura.
Genere: Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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PRIMO CAPITOLO
Una notte insonne

Dannazione.
Dannazione, dannazione e di nuovo dannazione.
Sentì uno sfarfallio d'ali e percepì uno spostamento d'aria, infine il gracchiare di uccello.
- Alex va via...- 
L'uccelo gracchio di nuovo, questa volta più vicino al suo orecchio.
Si rigirò nel letto e mise il cuscino sopra la testa, non aveva nessunissima voglia di svegliarsi, doveva essere tardissio. O presitssio.
-Craaaa- gracchiò l’uccello -Craaaa Cra craaaaaaaaa-
Dannazione.
Sospirò arrendevole ed aprì un occhio diffidente, vide la luna sbucare tra il bianco delle tende, barlumi lucenti
 fendevano gli spessi cristalli della variopinta vetrata tingendo di mille colori le pareti della stanza, fu allora che lo intravide nella penobra.
Docilmente appollaiato sul lampadario d’ottone un corvo nero catrame vegliava sulla stanza con sguardo placido e attento.        
-Craaaa- 
Indispettita la padrona di casa si alzò e con fare annoiato indossò una  vestaglia a righe sul pigiama leggero.
-Merlino e Morgana vuoi stare zitto?- disse lei stanca e con voce ancora impastata dal sonno. Il corvo planò sulla sua spalla ma fu scacciato malamente.
-CRAAAA CRAAAAA CRACRACRAAAAAAAA-
Lo ignorò. Si mosse a passo lento all’interno del locale e si diresse in cucina dove iniziò a trafficare con la moca da caffè.
L’uccello imperterrito si appollaiò sulla sua testa mostrandosi interessato al contenuto della caffettiera.
-Ho detto di no Alex- gemette scontrosa -Dannazione, scendi dalla mia testa!- poi, notando a cosa fosse rivolta l’attenzione del volatile, aggiunse:- Ma non vi danno più da mangiare in quella scuola?-
Il corvo atterrò docile sullo scuro parquet finendo alle spalle della padrona di casa indaffarata a riempire due tazze da colazione di caffè nero.
-Visto che sei qui vedi renderti utile. La grondaia è intasata e non ho voglia di chiamare un estraneo in casa mia…- li dove prima giaceva il corvo ora, seduto a gambe incrociate, imponeva la sua regale figura un ragazzo corvino dall’aspetto scabro e trasandato, un sorriso bieco e ironico dipinto sul volto.
La ragazza lo guardò con aria contrita e gli tese una tazza fumante -mettiti subito al lavoro, almeno non sarai evaso per niente...-
-‘Mione cara, tesoro, anche io sono felice di vederti- le disse faceto.
-Che ci fai qui?- rispose lei spazientita battendo ritmicamente un piede sul pavimento.
-Tesoro mio, non ti devi preoccupare, io sto meravigliosamente, ma grazie comunque per averlo chiesto…- ghignò e prese la tazza che gli porgeva iniziando a berne lentamente il contenuto.
-Alexander Granger non sviare il discorso e rispondi alla mia domanda. Ora.-
Era un ordine e lui lo sapeva ma si rinchiuse in un ostinato mutismo. Sorridendo si alzò e aggirando la sorella si andò a sedere su di uno degli alti sgabelli da cucina posti di fronte all'angolo cottura.
Silenzio.
Un sospiro e poi ancora silenzio.
Hermione Jane Granger si sedette elegantemente su una morbida poltrona del suo cupo soggiorno e soppesò lo sguardo sull'algida figura fraterna.
Era cresciuto, pensò, e anche molto. Le apparve nella mente l’immagine di un ragazzino quindicenne che sorvolava un campo da Quidditch ed ora, a quel fanciullesco ricordo, si sovrappose il volto di un giovane uomo dal fisico asciutto e mascolino.
Un paio di pantaloni neri fasciavano le gambe possenti, dall’ampia giacca di pelle nera si  intravedeva un petto gonfio e muscoloso avvolto in un caldo maglione autunnale dal collo alto.
Alzò lo sguardo sul volto del fratello e lo osservò: anche se la sua bocca era piegata in un losco sorriso i suoi occhi erano arrossati e tristi.
-Cosa c’è sorellina? Non resisti al mio smagliante fascino?- sbatté sornione le lunghe ciglia e sorrise canzonatorio, conscio che quella parvenza di gioco non sarebbe durata a lungo sotto lo sguardo indagatore di lei.
-No, fratellino, valutavo quanto sei diventato burbero e indisponente- sorrise -D'altronde buon sangue non mente- silenzio, poi di nuovo un sospiro -Non vuoi proprio dirmi perché sei qui?-
-Non fare domande di cui sai già la risposta Hermione, sai perché sono qui.-
Il repentino mutamento di tonalità con cui la risposta giunse amara all'udito le perforò i timpani: così lampante come un fulmine a ciel sereno la sua voce, prima limpida e cristallina, si era increspata divenendo acida e stridula.
Era vero, lei lo sapeva perché era lì, ma ammetterlo era troppo doloroso.
Vigliacca.
-Ti è arrivata la lettera?- le chiese bruscamente distogliendola dai suoi pensieri.
Sei 
Si, le era arrivata, e lo sapevano entrambi.
Troppo 
Per scrupolo lei annuì impercettibilmente con la testa.
Vigliacca
-Ma non saresti comunque mai venuta. Come biasimarti: tu la catapecchia la conosci bene.- Modulava le parole come le mani la creta: sfacciato, sfrontato e maldestro impugnava il bisturi cha avrebbe reciso le sue arterie. Atono brandì l’arma e proseguì crudele:- Non sei uno stupido genitore curioso di vedere dove studia il suo stupido figlio.- parole taglienti e ironiche che di gaio e scherzoso avevano ben poco.
No. No che non sarebbe venuta, era la giornata dei genitori e lei non deteneva quel titolo, anche se per lui ormai rappresentava tutto ciò che più si potesse avvicinare ad una famiglia.
Come era tradizione, la scuola di magia e stregoneria di Hogwars apriva i possenti cancelli ai genitori degli studenti dell’ultimo anno, gentilmente invitati a partecipare della vita scolastica della propria indisciplinata prole.
Lui non avrebbe vissuto quell’esperienza.
Ed era ancora, nuovamente, colpa sua.
Chiese venia in silenzio un’ultima volta.
-Tesoro,- disse -loro sono morti.- la realtà dura e cruda riecheggiò all’interno della sua cassa toracica -Lo sappiamo entrambi, ed io non posso sostituirli. Sono tua sorella, non tua madre.-
Lui trasse aria nei polmoni per un istante che sembrò infinito. Poi rise. Rise perché l’unico modo per celare o placare il dolore ( quando questo è troppo forte) è fingere di stare bene.
-Tranquilla sorellina, non sono più un bambino di cinque anni che vuole la manina della mamma -
Rimpianto.
-Sto bene, ero solo venuto a salutarti-
Maschera.
-Ora però devo andare prima che si accorgano della mai assenza-
Fuga.
Lei sorrise benigna, sapeva che stava mentendo, sapeva che in quel momento la stava tacitamente accusando di averlo lasciato solo.  Percepiva distintamente la sua voglia di urlarle contro e di accusarla di tradimento: è per questo incassò tacitamente quella ritirata.
Nel suo angolo di ring rimase attaccata alle corde e lo osservò nell'ombra. I suoi gesti e i suoi movimenti le ricordavano incredibilmente sua madre: stessi occhi, stesso naso e stesso glaciale stoicismo.[Era davvero così forte?]
Il giovane stava per prendere il volo sotto forma di corvo quando lei lo richiamò- Ehi-
-Si?- rispose.
-Ti voglio bene Alex.- inaspettate le parole fendettero l’aria e giunsero al destinatario che sorrise sincero.
-Te ne voglio anche io Mione.- stava già per spiccare il volo dalla portafinestra aperta sul balcone quando, come rinsavendo, iniziò frenetico a frugare nelle tasche del lungo cappotto nero.
-Venendo sta mane ho trovato questa busta sul davanzale, deve avertela recapitata un gufo ieri notte.-
Hermione prese la lettera incuriosita, portava in calce il timbro delle posta magiche, e se la rigirò tra le mani.
-Grazie- disse. Guardò l’orologio da polso e lo ammonì -Ora va, sono già le cinque e mezza, tra poco inizieranno a svegliarsi i professori e non ti voglio sulla coscienza.-
Lui si richiuse la pesante giacca sul petto e uscì sul balcone espirando a pieni polmoni l’aria mattutina, si arrampicò provetto sulla ringhiera lignea del terrazzo e si voltò- Ah ‘Mione….-
-Si?-
-La grondaia: puliscitela da te.- con quelle parole scomparve veloce come era venuto nella notte.
La bruna si alzò per chiudere la finestra lasciata irriguardosamente aperta e attraverso il vetro vide un corvo planare leggero sull’orizzonte all’albeggiare di un nuovo giorno. Sempre il solito, pensò.
Si chiuse meglio la vestaglia sul pigiama e tornò a sedersi sulla comoda poltrona di pelle marrone, si raggomitolò  in posizione fetale e continuò a rigirarsi lascivamente la busta tra le lunghe dita sottili.
Soppesò lo sguardo sull’immensa libreria che occupava tre delle quattro pareti della stanza e concentrò la sua attenzione sulla grande scrivania che sottostava uno degli scaffali di mogano scuro.
Frugò sempre con lo sguardo tra gli oggetti disposti disordinatamente su di essa finché non trovò un taglia carte, lo richiamò con gli occhi e questo prese a volteggiare nell’aria finché non si posò placido sul suo grembo.
Aprì con un movimento netto la busta che produsse un suono scrosciante e lugubre. Si sedette più comodamene e iniziò a leggere.
Margherite blu.
Le scoscese colline del Portrait Field erano interamente ricoperte di margherite blue e gialle.
I fiori schiudevano le corolle al richiamo notturno del buio, flettendo i gambi al cospetto del vento. Un giardino stregato, che durante la notte rifioriva fulgido come le stelle, porgendo i suoi umili omaggi alla luna.
Intrappolato in questa incantevole distesa si erigeva un enorme maniero.  
Il cupo tetto color dell’antracite ammoniva gli indesiderati visitatori dall’addentrarsi oltre l’imponente cancello d’entrata. Le mura, intorno ad esso, erano alte ed inaccessibili, totalmente ricoperte d’edera, vischio e pergole ingentilite da intrecci di rose. Due maestosi Gargoyle erano posti a guardia sulle torri gemelle che affiancavano la pesante inferriata di un cancello, tra le sottili sbarre di ferro si erano rifugiati sfuggevoli trappole di rami ritorti e fiori bianchi, pallidi, quasi spettrali, creando una gentile cornice.
Oltre una coltre di fitta nebbia si mostravano placidi i giardini curati con pedante maestria. Fontane, statue e sculture adornavano i sontuosi parchi intrisi dei magia, conferendogli spiragli di perduta eleganza.
Uno stretto viale breccioso nasceva alle soglie del cancello e si dipartiva in più vie adorne di splendidi prati verdi. Il sentiero mancino conduceva ad un grazioso boschetto di salici e betulle, all’interno della quale si scorgeva un sublime intreccio di rami e foglie. Nel mezzo, placido si stagnava un laghetto artificiale nella quale si riflettevano le chiome e , in una immobilità serena, ninfee ed echinodori osservavano le nubi fumose, quieti, dal loro rifugio tra le acque. Da un lato, un berceau  di ferro battuto era trina nera cucita sulla seta del cielo, il metallo era soffocato dalle torbide spire dei rami di un glicine: preziosi grappoli fragili che si lasciano cullare dal vento disegnando tra i soffi d’aria profili di asiatiche odalische. 
Il secondo sentiero, quello di destra, conduceva a campi di rigogliosi fiori spontanei, alternati ad improbabili ibridi dai colori cangianti: la natura si alleava inaspettatamente con la magia per dar vita ad un regno fiabesco. Il viale di bercio era cintato da alberelli di tulipani argentei e magnolie, alle quali radici nascevano delicati gigli di un bianco virgineo. Dietro questo unico e costante recinto di rami ritorti e curvi regnava incontrastato un caos di corolle dalle sfumature più variegate e inverosimili. Fiori impossibili in natura: violette di un rosso borgogna intenso, papaveri vermigli, fior d’Adone, cespugli enormi di fragole e mirtilli si stagliavano su una distesa oppiacea di uno denso color sanguigno: le mille sfumature di uno stesso elemento cromatico a forgiare lo spettro di una ferita mortale.
Repentini i colori mutavano: iris di un innaturale blu azteco si mescolavano con calle, genziane, vesparie, fritillarie e intese veroniche. Gli scorci che si susseguivano sembravano tracciare un percorso ideale sulla linea della curiosità: Splendidi ippocastani a fiori bianchi e rosa; e poi alberi dalle foglie di sfumature inverosimili, azzurrine e argentate, tratti di rosso, violetto e verde mare.
Immersa in questo oceano smeraldino sorgeva elegantemente e solenne una radura, ma non vi era erba da calpestare: un abisso di non ti scor di me lasciava lo spettatore inebetito, che rapito dirigeva lo sguardo al centro del lago fiorito nella quale giaceva una tomba.
Un gazebo di candido marmo fungeva da trono a quel luogo sacro, le colonne ritorte che bucavano il cielo erano completamente rivestite di caprifoglio, che al crepuscolo, nelle tiepide giornate di inizio estate, disperdeva nell’aree una fragranza dolciastra.
Tre alti gradini separavano la lapide dalla distesa floreale, sulla quale era cesellata una frase latina in eleganti lettere gotiche: Dum differtur, vita transcurrit. Sotto l’idioma era inciso il nome della defunta:
 
Callyope Ifigenia Deadly in  Malfoy.
Persa ma mai dimenticata.
“L'odio è un veleno prezioso più caro di quello dei Borgia;
perché è fatto con il nostro sangue, la nostra salute,
il nostro sonno e due terzi del nostro amore.
Bisogna esserne avari.
Nostra per sempre.”
 
Erano circa le due del mattino quando Draco Malfoy si ridestò dal suo sonno. Da giorni ormai non trovava riposo tra le braccia di Morfeo.
Toc toc.
Il cuore gli balzo in gola. Un gentile bussare alla vetrata della sua stanza lo costrinse ad aprire repentinamente gli occhi. No, non poteva essere. Stava ancora sognando, pensò, o forse era solo suggestione. Si, non poteva essere altro che suggestione.
Richiuse gli occhi persuaso dalla sua ipotesi e tentò di riprendere sonno.
Toc Toc.
E no, non era un sogno. Qualcuno, o qualcosa, stava realmente picchettando alla sua finestra.
Calma, pensò. Tirò via le coperte e si mise seduto sulle sponde del letto. Un respiro, poi un altro.
Si alzò convinto e si diresse con passo spedito verso la finestra aprendo i battenti di legno con un gesto violento. Questi sbatterono sulle parete generando un tonfo sordo: nulla. Non c’era nessuno a bussare.
Pazzo.
Turbato abbassò lo sguardo notando così una busta adagiata sul suo davanzale. Alzò lo sguardo e vide sulla linea dell’orizzonte un gufo che si allontanava velocemente.
Paranoico.
Tirando un sospiro di sollievo prese la lettera e si accinse a chiudere la finestra: era un fredda giornata autunnale e lui non indossava niente altro che i pantaloni del pigiama.
Accese il piccolo lume dell'abagiur rischiarando la stanza di una fioca luce e si rilassò contro la testata del letto a baldacchino. Si rigirò sopra le lenzuola e strappò con veemenza l’involucro della sua corrispondenza, era già pronto alla lettura quando un cigolio lo distolse dalla sua occupazione.
-Papà- Una piccola bambina entrò nella stanza socchiudendo l’uscio.
Era di bianco vestita, avvolta in una camicia da notte ampia e morbida che la rendeva simile ad un fantasma. Si mosse timida l’interno della stanza, il suo incedere era lento e sinuoso. Richiamò con più voce -Papà…?-
Il giovane uomo nascose la lettera sotto al cuscino e si riscosse. Era rimasto paralizzato vedendola entrare così dolcemente nella stanza: in quella  strana notte aveva creduto che potesse essere Lei.
Lo aveva sperato. Oh se lo aveva sperato.
Si alzò e corse ad accogliere quel piccolo fiore tra le sue forti braccia.
-Cosa c’è piccola?Come mai sei sveglia?- Porse quella domanda con voce armoniosa e delicata, che non gli apparteneva.
La bambina sembrò accorgersi della fragilità paterna e lo abbracciò con maggior fervore.
-Ho sentito un rumore brutto- disse con il visiono corrucciato- Mi sono preoccupata perché veniva dalla tua stanza e tu non fai mai rumore-
Sorrise. I muscoli facciali si arcuarono un poco riluttanti ma alla fine si sciolsero in un flebile sorriso [ghigno] che ormai rivolgeva solamente a lei.
Che imbecille, pensò. Aveva fatto chiasso e l’aveva svegliata, doveva stare più attento, era troppo teso.
- Tranquilla tesoro, era il papà che ha aperto la finestra- disse pacato.
La bambina lo osservò guardinga, soppesando lo sguardo sui muscoli tesi del volto paterno. Doveva calmarsi o lei si sarebbe insospettita.
Le passo tenero le dita tra i mori capelli, ritirò la mano e le carezzò il viso roseo ma contrito, aveva in volto scolpiti i segni dell’inquietudine. Un’espressione poco consona ad un bambino.
- Davvero piccola.- continuò -Non devi preoccuparti. Cos'è quel faccino?- Ma lei non rispose. La prese in braccio sollevandola delicatamente da terra e la adagiò mollemente sul letto.
-Lorelay cosa c’è?- Improvvisamente lei lo abbracciò di slancio con una forza che lo lasciò basito.
Stingeva e piangeva convulsamente. Lui non sapendo cosa fare si guardò in torno spaesato.
Come poteva consolarla se voleva piangere anche lui?
Restarono così, incatenati in quell'abbraccio bagnato per alcuni minuti poi lei improvvisamente disse:  
-Domani- Già, pensò lui, domani. Ma non rispose, non poteva dare risposta ad un quesito insulto.
-Domani- ridisse la bambina infrangendo il silenzio -Domani sono due anni che...- una pausa -…che la mamma è morta-
La spada di Damocle che gli pendeva sulla testa si staccò dal soffitto e ricadde diritta sul suo petto, infilzando il cuore. Quanto era inquietante la realtà sulla labbra di una bambina. Non più riso o scherzo ma tristi fitte di dolore.
-Non piangere più mia cara, o la mamma si rammaricherà- tentò di consolarla.
-Ma papà, lei mi manca….- lacrime amare. La stanza era satura di preghiere mai recitate, di parole non dette ma agognate.
-Manca anche a me piccola. Manca anche a me.- Le carezzò gentilmente a testa finché il suo pianto non fu quietato. Non ci volle molto. Non era incline alle lacrime, non lo era mai stata.
Si riscosse da se e si liberò dall'abbraccio del padre che amorevole la cullava tra le braccia. Si asciugò gli occhi e scese lentamente dal letto, con gesti diligenti e posati.
Stava già per andarsene quando improvvisamente si voltò -Papà?-
 -Si?- Si aspettava che lo pregasse di restare con lei quella la notte, ma non rimase troppo sorpreso quando lei le chiese algida se avesse potuto restare alzata ancora per un poco. A leggere. Insana abitudine la sua.
In fin dei conti lei era una Malfoy. E i Malfoy non supplicano mai.
Lui asserì con la testa e la osservò uscire silenziosamente dalla stanza, leggiadra come era arrivata lo privò della sua presenza lasciandolo di nuovo solo con i suoi pensieri. Si abbandonò sul morbido letto, adagiando la testa sul cuscino che scricchiolo in modo innaturale.
La lettera. Mha, si disse, l’avrebbe letta l’indomani.
Ora desiderava solo dormire.
  
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