Anime & Manga > Captain Tsubasa
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Autore: Sanae77    22/06/2015    8 recensioni
amnesia
[a-mne-ʃì-a]
s.f. (pl. -sìe)
MED Perdita o indebolimento della memoria, costituzionale o acquisita, totale o parziale
‖ estens. Dimenticanza, smemorataggine.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Sorpresa
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sanae
 
Le sue dita intrecciate alle mie, quella risposta, il suo abbraccio, la sua premura. Perché, perché non ricordo lui? Perché non ricordo che cosa provavo? Qualcosa evidentemente sentivo per lui, perché il mio cuore sta battendo all’impazzata ed è bellissimo, non m’importa niente, non m’importa se non ricordo, c’è lui tanto basta.
 
Arriviamo al tavolo l’amico scambia un'occhiata con Tsubasa che adesso sorride, le nostre mani ancora intrecciate, mi lascia soltanto per farmi sedere come un vero gentiluomo.
“Tutto ok?” chiede l’amico.
“Sì, ho telefonato a sua madre e le ho passato Sanae, anche se – esclama voltandosi per incrociare ancora una volta il mio sguardo – è ancora molto confusa e preferisce per ora restare a Parigi, magari può venire via con tutta la nazionale, eh che ne dici?”
 
“Tsubasa, perdonami, ma questo vuol dire che tutti gli altri mi tartasseranno di domande, chiederanno, mi riempiranno la testa di ‘cose’ che io non ricordo e sinceramente, non me la sento, vorrei riuscire a ricordare da sola e non tramite i racconti degli altri, altrimenti dopo confonderei i ricordi e non saprei più quale sono i miei ‘veri’ e quali invece sono raccontati”
 
Cala un improvviso silenzio, i due ragazzi si guardano smarriti è Michelle che spezza l’atmosfera.
 
“Amélie, ehm scusa Sanae, ricorda che puoi restare da noi tutto il tempo che ritieni necessario”
 
“Ti ringrazio molto” dichiaro riconoscente.
 
I due ragazzi si osservano ancora, dopo annuiscono e Tsubasa esclama “Resto io con te qua a Parigi” mi volto come se stessi osservando un alieno al mio fianco, ‘lui che rinuncia al pallone per me … impossibile!’ poi un altro pensiero, ‘perché ho pensato questo di lui?’ sono così confusa, la testa inizia a farmi male, mi porto una mano alla nuca e subito attiro la sua attenzione “Tutto bene?”
“Sì, sì ogni tanto la testa pulsa, il dottore ha detto che è normale”
“Vuoi andare a casa?” chiede la mia amica.
Nego energicamente, perché vorrei che questa serata non finisse mai.
“Sanae, una curiosità, che cosa ci facevi a Parigi?” chiede Taro.
“Non lo so – ammetto stancamente – so soltanto che ero sulla via degli Champs-Élysées mi hanno derubato della borsa, sembra sia stato un ragazzo in motorino, mi ha fatto sbilanciare perché il laccio della borsa è rimasto impigliato alla mia spalla, quindi sono caduta in strada e una macchina mi ha investito, trauma cranico e polso rotto. Hanno detto che mi è andata molto bene, da lì all'ospedale, ma per molti giorni sono stata incosciente, senza documenti nessuno sapeva da dove venissi, per questo è stato così difficile, sia per me, che per voi … immagino”
“Quindi non hai neppure i documenti?”
“No, non ho più niente, e in ospedale una volta dimessa mi hanno inserita in una casa famiglia, chiamata Amélie e … eccomi qua” ammetto candida allargando le braccia.
“Chiama Genzo e digli di pensare ai documenti, le serve un passaporto per tornare a casa e ci vorranno dei giorni” esclama Taro rivolgendosi a Tsubasa.
 
Lui si alza prende il cellulare dalla tasca e si avvia verso l’uscita.
“Chi è Genzo?”
Taro si porta una mano alla testa, “Oddio non ti ricordi neppure di lui?”
Nego ancora, lui sorride, un sorriso così bello e dolce, è davvero carino Taro.
 
“Genzo è Genzo, l’SGGK, colui con cui hai litigato giusto quelle tre-quattromila volte” dichiara sorridendo.
“Davvero?” chiedo stupita.
“Davvero, e ti dirò di più appena Tsubasa attaccherà quel telefono per dire dei documenti, scommetto che arriverà qua in dieci minuti netti ed inizierà a prenderti in giro come sempre, e bisticcerete come al solito”
“Oddio non sono mica pronta per lui!” esclamo preoccupata.
“Secondo me sei sempre pronta per lui fidati” ammette con un sorriso rassicurante, ha un potere la sua voce, è rilassante.
 
E devono conoscersi molto bene, perché Tsubasa sta tornado con un ragazzo molto alto al suo fianco, ha un cappellino in testa ed un sorrisetto beffardo spunta dall’angolo della sua bocca.
 
Appena arriva al tavolo mi squadra, poi mi afferra per un braccio e mi stritola letteralmente in un abbraccio “Ehi vacci piano” protesto.
 
“Anego non hai idea di quanto sia contento di rivederti”
“Anego?”
Lui guarda smarrito; prima Taro poi Tsubasa e dopo esclama “Allora è grave davvero”
Gli altri due annuiscono.
 
 
Tsubasa
 
Genzo l’ha travolta, lei spiazzata si è leggermente allontanata da lui quando l’ha chiamata Anego.
 
Non ricorda neppure questo, però mi fa sorridere ha allargato le gambe, le mani sui fianchi e broncio inconfondibile, la sua mente non ricorda, ma il suo corpo ricorda eccome, eccola lì: Anego in tutto il suo splendore.
 
Esplodiamo in una risata tutti e tre, mentre lei ci guarda contrariata.
“Beh che avete da ridere voi tre!” borbotta.
Quindi le spieghiamo del perché la chiamiamo Anego, e devo dire che imbronciata è ancora più bella.
 
La serata trascorre tra chiacchiere più o meno scherzose, finché arriva il momento di tornare ognuno alle nostre dimore.
Genzo ci sta già provando con Michelle, come suo solito, io sono qualche passo indietro con Sanae e Taro.
Tutti insieme saliamo nell’auto che Genzo ha preso a noleggio, sia mai che lui possa usufruire di un taxi.
 
Quindi accompagniamo le ragazze a casa, appena scendono dall’auto esco un attimo anch’io, perché voglio chiederle se domani posso passare a prenderla.
 
Siamo sul marciapiede, Michelle saluta tutti ed entra nel portone lasciandolo accostato, dopo aver detto a Sanae “Ti aspetto di sopra”.
 
Siamo l’uno di fronte all’altra imbarazzati, lei mi sorride, ma non parla, finalmente prendo coraggio ed inizio “Senti pensavo, se sei d’accordo, domani ti passo a prendere e … magari proviamo a tornare sul luogo dell’incidente, per capire il perché tu ti trovassi lì, sai gli Champs-Élysées sono vicini a casa di Taro, forse stavi andando a trovare lui?”
Mi guarda perplessa.
“Siamo così tanto amici, che io posso permettermi di andare a casa sua senza avvisarlo?”
“Sì, anche con Genzo per l’esattezza”
“Accidenti, allora anche con te immagino?”
“No, con me no, non ti ho mai detto dove abito” ammetto tristemente.
“Ahhh ok, allora a domani” dice allontanandosi di qualche passo con uno sguardo turbato dall’ultima risposta: credo.
 
“Ok a domani” rispondo compiendo lo stesso gesto, lei si volta e prosegue verso la scalinata, io la guardo per assicurarmi che entri nel portone sana e salva, poi quel gesto improvviso, si volta di nuovo, corre nella mia direzione, si aggrappa al mio collo e mi stampa un sonoro bacio sulla mia guancia destra, mormorando un fugace “Grazie di tutto Tsubasa” non faccio neppure in tempo a realizzare che già saltella di nuovo sulle scale e sparisce dietro al portone.
 
Resto imbambolato per un tempo che non so calcolare, visto che ad un certo punto Genzo dall’auto tuona “Ehi innamorato la porta è chiusa tanto domani la rivedi, alza il culo e sali in auto: forza!”.
 
Mi riscuoto e salgo in auto, mentre sento i miei compagni di nazionale sghignazzare divertiti.
“Che avete da ridere?” bofonchio.
 
È Taro a parlare “Tsubasa anche se ha picchiato la testa e non si ricorda di te, s’innamora comunque di TE è incredibile, siete proprio destinati”
“Ah piantatela” li ammonisco.
“Ozora, ti è andata bene che ha perso la memoria dopo tutto quello che le hai fatto passare, se fosse stata Anego in carne ed ossa ti avrebbe fatto patire le pene dell’inferno prima di averla tra le tue braccia” esplode Genzo in una fragorosa risata.
 
Con questa verità torniamo verso l’albergo pensando che … non vedo l’ora che sia domani.
 
 
Sanae
 
Salgo le scale di corsa il mio cuore sembra impazzito, non so che cosa mi sia preso, sono tornata indietro e gli ho dato un bacio sulla guancia, devo essere ammattita, ma lui … lui … mi fa battere forte il cuore e non vedo l’ora che sia domani.
 
Entro in camera e Michelle mi guarda strana, le mie guance si imporporano di rosso, lei si avvicina ed inizia a sorridere per poi esclamare “Non posso crederci: sei la prima manager di quel gruppo di ragazzi strafichi?!”
“Michelle piantala” l’ammonisco sorridendo.
“Beh Sanae adesso non venirmi a dire che tra te e il Capitano non c’è niente” mi canzona.
“Il Capitano?”
“Sì, quando siete usciti Taro mi ha detto che Tsubasa è il Capitano della nazionale Giapponese”
 
Improvvisamente ricordo il sogno fatto in cui ho riconosciuto Ryo, e la consapevolezza di me stessa che pensava al Capitano, il mio Capitano.
E per la prima volta dal giorno dell’incidente sono felice, tremendamente felice.

Vado in bagno, mi sistemo per la notte, e finalmente a quasi un mese dall'incidente, la faccia che si riflette nello specchio non è più così sconosciuta, ho degli amici, ho una famiglia, ho un impegno molto importante, sono la manager della nazionale giovanile, quindi non sono una brutta persona … mi ero soltanto persa, ma adesso qualcuno mi ha ritrovato e questo qualcuno mi piace molto.
 
Mi addormento e do un volto a colui che corre dietro al pallone e che io guardo da fondo-campo con amore, ed ora finalmente capisco le sue parole, sono io che sono sempre stata persa di lui, e non il contrario, ma magari adesso è cambiato qualcosa, lo spero vivamente.
 
 
Tsubasa
 
Convincere gli altri a lasciarle respiro, proteggerla dal loro assalto non è stato facile, ma quando ho spiegato loro le sue parole, i suoi timori per la sua memoria finalmente hanno capito, e anche se canzonandomi all’infinito mi hanno lasciato andare, sono sotto casa di Michelle e la sto aspettando appoggiato all’auto che mi ha prestato Genzo, ha tuonato “Non penserai mica di andare a prenderla con un taxi vero? O a piedi: giammai!” mi ha intimato mettendomi le chiavi in mano.
 
Si apre il portone e quello che vedo mi fa battere forte il cuore come non mai, vorrei correre lì e baciarla, ma non posso, prima deve ricordare e dopo … cerco di scacciare il pensiero di noi due e aprendo la portiera la invito a salire.
 
Ha un paio di pantaloncini di jeans corti le gambe affusolate in bella mostra, una maglietta bianca con un grande cuore rosso sopra con scritto I love Paris, in testa un foulard rosso a pallini bianchi che le tiene i capelli come un cerchietto è legato dietro la nuca che scende lungo la schiena, è così fresca e giovanile.
 
“Ciao, che cavalleria” esclama mentre sale in auto.
“Riposato bene stanotte?”
“Benissimo” dice dedicandomi un sorriso mentre chiudo lo sportello e vado al posto del guidatore.
 
Scivoliamo per le vie di Parigi ascoltando musica e chiacchierando del più e del meno. Parcheggio sotto casa di Taro e a piedi ci dirigiamo verso il luogo dell’incidente, le nostre braccia si sfiorano più volte, non resisto ed intreccio le mie dita alle sue, lei si volta e mi sorride ed il mio cuore esplode. Le sue dita stanno toccando le mie in un leggero massaggio, che mi fa sentire brividi lungo tutta la schiena, vorrei tanto dirle quello che provo.
 
 
Sanae
 
Lo guardo di sottecchi, ha dei jeans che mettono in risalto le forme perfette del suo sedere, la maglia del Barca che indossa invece fa risaltare i suoi addominali perfettamente scolpiti dagli allenamenti, si vede che fa sport: cavolo se si vede!  
Mi ha preso per mano, le dita si sfiorano, si toccano, giocano, ed io lo adoro. Arriviamo al punto incriminato, dove mi sono fatta male e ho perso la memoria. Restiamo come sospesi, lo sento aspetta che io dica qualcosa, poi ancora la pubblicità con gli alberi di ciliegio, e l’immagine che l’altra volta era soltanto una macchia blu, adesso è nitida: io e lui che stiamo andando da qualche parte, lui con la divisa scura della scuola.
 
“Possibile che una volta io e te siamo stati a passeggio sotto i ciliegi?” domando indicando il cartellone pubblicitario.
 
Mi guarda perplesso lo vedo cerca di ricordare, poi infine risponde “Certo, mi hai accompagnato dal medico, mi ero fatto male ad un piede … come al solito del resto, tu mi hai sempre curato e sostenuto” il suoi occhi nei miei … meraviglioso.
 
Sento le mie guance andare a fuoco poi mormoro “Praticamente ero sempre tra i tuoi piedi peggio di una stalker”
Esplode in una risata ed è bellissimo.
“Praticamente sì, anche se sei una stalker piacevolissima, Sanae”
E mi perdo in quello sguardo profondo, che sta dedicando soltanto a me. E il mio nome, il mio vero nome pronunciato dalla sua bocca è stupefacente.
 
Passeggiando siamo arrivati sotto la Torre Eiffel, la guardo da sotto rapita da tanta grandezza, è tutto così perfetto, così romantico, la sua mano ancora nella mia mentre lo sento esclamare “Saliamo?”
 
Annuisco, quindi ci dirigiamo verso la biglietteria e dopo sull’ascensore che ci porta fino in cima sulla vetta della torre, questa ci regala un panorama mozzafiato.
 
Siamo appoggiati alla balaustra quando lui riceve una telefonata. Osservo la città che si apre ai miei occhi e ascolto a tratti.
“No, non posso tornare in Spagna, vi ho già detto che ho un impegno”
…………
“Sì, ho capito che la riunione è importante, ma questa cosa è più importante della riunione, per questo ho chiesto dei giorni di riposo, ho dei problemi personali che devo risolvere … no, non posso tornare!”
………..
“Ti ringrazio Rival, ok domani ti darò la risposta definitiva”
 
“Problemi?” chiedo preoccupata, si sta passando una mano tra i capelli, oramai questo gesto lo riconosco, anzi l’ho riconosciuto ancora prima della mia memoria in realtà.
“Il Presidente ha indetto una riunione di tutti i giocatori per sabato e dovrei esserci anch’io per l’esattezza”
“E allora vai scusa dov’è il problema?!”
“Il problema è che non voglio lasciarti sola, ed andare a Barcellona in poco tempo non è proprio possibile”
“A Barcellona?”
“Gioco nel Barca ricordi? Sono un giocatore professionista ormai”
“Già scusa troppe informazioni tutte insieme, perdo i pezzi, ed ora capisco questa maglietta” ammetto toccando con due dita il sul torace, si passa nuovamente le mani tra i capelli, è imbarazzato, ma improvvisamente l’espressione cambia e dopo parla “Vieni con me a Barcellona, ho una camera degli ospiti, puoi dormire lì, la riunione durerà soltanto un’ora al massimo due, e dopo posso farti vedere Barcellona, così quando vorrai invece di Taro o Genzo potrai venire anche da me, allora che ne dici?”
 
Faccio giusto finta di pensarci un attimo, perché muoio dalla voglia di stare con lui e di vedere il suo mondo.
 
I miei occhi si stringono fino a diventare due fessure, poi divertita mormoro “Non è che ci stai provando con me Ozora vero?”
 
Arrossisce, poi mi ammonisce “Piantala ed io che volevo essere carino uff”
 
“Scherzo, accetto molto volentieri, c’è solo un problema sono senza documenti, senza soldi e pure senza vestiti, tutto quello che vedi me lo ha prestato Michelle”
 
“Bene allora abbiamo trovato che cosa fare oggi, andiamo a fare shopping” dice prendendomi nuovamente per la mano e trascinandomi giù dalla Torre Eiffel di corsa.
 
“Prometto che poi ti rendo tutto” gli urlo praticamente dietro.
“Ah finiscila, non sono questi i problemi, mi pagano molto bene non preoccuparti”
“Insisto” mi blocco e metto le mani ai fianchi.
Lui mi guarda sorridendo “Anego non fare la testona”
“Non faccio la testona!” dico incrociando le braccia al petto.
“Ah no? Allora guardati” mi incita.
 
E ha ragione il mio corpo ha assunto una posizione decisamente poco socievole.
 
Esplodiamo in una risata mentre dico più a me stessa che a lui “E così questa è Anego …”
“Già la Anego che io ho conosciuto subito il primo giorno che sono arrivato nella tua cittadina”
“Oddio ti ho trattato male?” chiedo quasi impaurita.
“Giusto un pochino” ammette candido indicando la quantità con le dita.
“Che cosa è successo?”
“Vuoi davvero che te lo racconti o aspetti la tua memoria?”
 
La domanda mi spiazza, ci penso un attimo, lui attende, poi rispondo “La curiosità mi mangia te lo confesso, ma preferisco aspettare”
 
Annuisce e sorride, oddio quelle labbra potrei morire per quelle labbra, non riesco a smettere di guardarle, i miei occhi si sono fissati proprio lì, mentre la voglia di baciarlo m’invade la testa, il mio corpo si muove da solo verso di lui non riesco a fermarlo.
   
 
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