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Autore: marmelade    22/06/2015    2 recensioni
Un venerdì sera, un appartamento al terzo piano, un gatto che miagola e tre amiche, ognuna con una paura diversa, nascoste dietro sorrisi tremanti e colli di birre.
C'è Vanessa, che ha paura di perdere Luke.
C'è Jade, che ha paura dei suoi sentimenti nei confronti di Michael.
C'è Mary, che ha paura di soffrire ancora una volta per Ashton.
Un venerdì notte, sigarette spente malamente in bicchieri di plastica, qualche lacrima amara, un gatto che dorme beato e tre amiche, che si ritroveranno ad affrontare le loro uniche e sole paure.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Luke Hemmings, Michael Clifford
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Puoi rimanere?
Perché fa male, male da morire senza te
.

~
Quelle sere nere.

E’ ormai l’una passata e l’appartamento di Vanessa è vuoto.
I piatti sporchi, dove hanno mangiato tutte e tre, sono ancora sul tavolo, i cartoni della rosticceria sono nella spazzatura – che ancora non è stata chiusa e buttata – e in casa regna il silenzio.
Il salotto è completamente in penombra e nella stanza regnerebbe il buio più totale, se non fosse per quei pochi raggi lunari che filtrano attraverso le persiane della finestra.
Sul divano c’è seduta Vanessa, le braccia che circondano le gambe – racchiuse contro il petto – come in un abbraccio. Se ne sta rannicchiata, chiusa nel suo pigiama morbido, con Charlie che intanto dorme beato da ore, da prima che Mary e Jade andassero via, quasi mezz’ora fa.
E adesso Vanessa è sola in casa, il cuore che le batte forte nel petto mentre aspetta che torni Luke dal turno serale al bar. Tiene gli occhi aperti, sbarrati come due finestre spalancate al mattino, ed ogni macchina che sente passare sotto il suo palazzo le fa arrivare il cuore in gola, facendole credere che sia Luke e che, tra poco, lei debba dirgli quella verità che gli tiene nascosta da una settimana.
Ma Luke non arriva, è in ritardo, come quasi ogni venerdì notte, perché durante il weekend nel bar c’è sempre troppa folla, troppa gente e, soprattutto... troppe ragazze.
Vanessa sospira, cercando di scacciare via quel pensiero. Sa che Luke non la tradirebbe mai, che non amerebbe nessun’altra come ama lei, glielo ripete sempre - quasi fino a farle sanguinare le orecchie – che lei è l’unica e sola, l’unica che gli abbia rubato il cuore, tenendolo stretto nei palmi delle sue mani, e Vanessa ci crede, perché Luke è sempre stato sincero con lei.
Ma adesso la paura non fa che crescere dentro di lei: e se Luke non lo volesse, questo bambino? Se Luke si reputasse ancora troppo giovane per diventare padre? Già sta facendo milioni di sacrifici per potersi laureare entro la fine dell’anno, si spacca la schiena in due per non chiedere troppi soldi ai suoi genitori, un bambino potrebbe solo intralciare il suo cammino e peggiorare le cose.
Ci vogliono soldi per tirare su un bambino, Vanessa lo sa bene: l’ha sentito dire tante volte da sua cugina quando, ogni tanto, le teneva la bambina durante quei pomeriggi in cui lei aveva tante commissioni da fare, o quando voleva concedersi una serata romantica da sola con suo marito, lasciando il compito a lei e Luke di tenere con loro quel piccolo angelo fino a che loro non fossero tornati a casa.
Luke era sempre stato meraviglioso con i bambini: amava vederlo giocare con sua nipote utilizzando anche solo la fantasia e l’immaginazione, portandola in mondi diversi ogni qualvolta la piccola glielo chiedesse. E Luke, un po’ come Peter Pan, le diceva di chiudere gli occhi ed immaginare tutte le cose belle del mondo, per vivere un’avventura magnifica ogni volta in un mondo diverso. Vanessa li guardava giocare o guardare un cartone animato stesi sul divano, mentre preparava la cena, e immaginava un bambino tutto suo e di Luke, una volta che entrambi avrebbero avuto un posto di lavoro fisso e due stipendi da portare in casa.
Magari prima si sarebbero sposati, avrebbero fatto le cose per bene, una bella luna di miele lunga tre settimane e poi ritorno in patria, per condurre una vita da novelli sposini.
Invece le cose erano arrivate troppo in fretta.
Vanessa – già laureata da un pezzo – lavora per un giornale, nel tempo libero prova a scrivere un libro e porta uno stipendio abbastanza solido in casa, dividendolo per quelle spese necessarie per vivere.
Luke studia come un matto, cercando di conciliare lavoro e studio a tempo pieno, ritrovandosi ogni santissima sera in quello squallidissimo bar dove la paga é minima, cercando di arrotondare con le mance.
Come avrebbero potuto tirare su un figlio così, mezzi precari?
Vanessa tira su col naso, facendo poi un piccolo sospiro.
Lei questo bambino lo vuole, lo vuole sul serio, perché ama Luke più di ogni altra persona al mondo, perché sa che Luke è il ragazzo perfetto per lei da quando l’ha incontrato: lui è meraviglioso, non le fa mancare niente, lavora sodo per garantirsi un futuro e per aiutarla nelle spese per non sentirsi come un ospite in quella casa. Le dice sempre che, prima o poi, la loro vita sarà diversa, lavorerà anche lui e allora potranno finalmente smettere di pensare solo e costantemente a come arrivare a fine mese, concedendosi una piccola pazzia in più per essere più felici.
Ma Luke è così giovane, è così bello, e Vanessa le vede tutte quelle ragazze che ci provano con lui, al bar, in quelle sere in cui l’ha raggiunto insieme a Mary e Jade.
Naturalmente ha visto come Luke le tratti solo come delle clienti, in modo cordiale, certo, ma pur sempre mantenendo una distanza, perché lui una ragazza ce l’ha già.
Eppure Vanessa si è sentita come un minuscolo granello di sabbia sotto terra: invisibile, calpestata.
E si è odiata.
Perché è vero che Luke la ama, è vero che per Luke lei è l’unica, ma... Luke è troppo giovane, Luke ha solo ventitré anni, non ha un lavoro fisso e potrebbe scappare da un momento all’altro, quando Vanessa gli dirà che aspetta un bambino da lui.
Una lacrima solca la sua guancia destra, e lei non può fare a meno che poggiare la testa sulle ginocchia, chiudendo gli occhi.
Lo capirebbe se Luke volesse scappare via da lei e da quella grande responsabilità, lo capirebbe se Luke la lasciasse sola a crescere quel bambino che sta portando in grembo, lo capirebbe sul serio. E forse ci starà male, male da morire, ma preferisce soffrire lei che far soffrire Luke per il resto della sua vita, costringendolo a rimanere con lei per poi farsi odiare fino alla fine dei suoi giorni.
Perché lei preferirebbe rimanere sola a crescere suo figlio, che smettere di farsi amare da Luke.
D’un tratto, il rumore del motore di una macchina si fa sentire sotto il suo palazzo.
Vanessa alza di scatto il capo, asciugandosi prontamente una lacrima, quando sente la portiera dell’auto sbattere violentemente, chiudersi con rapidità e dei passi avvicinarsi al portoncino del palazzo, aprendolo piano.
Il cuore le balza in gola. Adesso è sicura che sia Luke.
Adesso è sicura: non può nascondergli quella verità.
Appoggia la schiena – leggermente dolorante – sul divano, mentre i passi dolci di Luke si fanno sentire tra le scale, per niente fastidiosi. Perché Luke non riesce ad essere fastidioso nemmeno quando sale le scale, durante la notte, stando attento a non creare alcun tipo di rumore per evitare di svegliare il resto dei condomini.
Ed è quando sente le chiavi infilarsi nella toppa, che Vanessa trattiene in respiro come fosse in apnea, aspettando che Luke varchi la soglia della porta e la sua figura buia si faccia largo tra quelle mura scure.
Sente Luke chiudersi la porta alle spalle, fare un sospiro e togliersi il giubbino di pelle dalle spalle, poggiandolo sull’appendiabiti all’entrata delicatamente per non fare rumore.
Il cuore inizia a batterle forte ed il respiro le si mozza in gola. Vede la figura di Luke cercare l’interruttore della lunga lampada all’ingresso  a tentoni in quella stanza buia e, quando lo trova, preme delicatamente il bottone, lasciando che quel poco di luce calda illumini leggermente la stanza.
E una lacrima scende bastarda sulla guancia di Vanessa.
«Vane!» esclama lui sorpreso – e un po’ spaventato – quando alza lo sguardo e la trova mezza rannicchiata sul divano. Si avvicina lentamente a lei, premurandosi di non fare rumore.
«Pensavo dormissi già» dice, aggrottando di poco la fronte. «Cosa c’è, non ti senti bene? Vuoi che ti prepari una camomilla?» chiede, rivolgendole un mezzo sorriso mentre si siede sul bracciolo del divano.
«Sto bene» mente Vanessa, cercando di occultare quelle poche lacrime appena cadute sul suo volto.
Ma Luke è sempre stato un ottimo osservatore, e lei lo sa bene. Sa che a Luke non si può mentire nemmeno per una piccola cosa, perché lui – chissà come – riesce sempre a scoprire le verità nascoste, soprattutto se si tratta di Vanessa.
Difatti, lui le nota quelle lacrime leggere sul volto della sua ragazza e, prontamente, le accarezza il volto, impedendole di voltarlo dall’altro lato per nascondere gli occhi blu intrisi di tristezza.
«Perché piangi, Vane?» le domanda dolcemente, asciugandole una lacrima con il pollice.
«Non sto piangendo» mente nuovamente Vanessa, tirando su col naso «è solo un po’ di... allergia».
E Luke ridacchia, perché Vanessa non è mai stata brava a mentire, questo lo sa anche lei.
«Bugiarda» la schernisce Luke, sorridendo «dimmi che succede, dai. Non mi piace vederti piangere» e le fa un’altra carezza, ancora più dolce della precedente.
Vanessa si perde negli occhi di Luke, affondando in quell’azzurro che, al momento, le sembra il mare più calmo del mondo, pronto ad accoglierla tra le sue braccia per cullarla fino a che non si addormenti.
Poggia la sua mano su quella grande di Luke – ancora posata sulla sua guancia – per poi portarla verso il basso, allontanandola dal suo viso.
«Luke» lo richiama, stringendogli una mano. Lui la guarda curioso, senza fiatare, mantenendo ancora quel mezzo sorriso che le da un minimo di coraggio per confessargli quella verità.
Le stringe ancor di più la mano, come a volerla far parlare invece di farle versare altre lacrime.
Perché Vanessa proprio non ci riesce a smettere di piangere, soprattutto adesso che gli occhi azzurri di Luke le perforano l’anima, facendole immaginare quel bambino che avrà tra le braccia tra qualche mese e potrebbe prendere gli stessi occhi meravigliosi di Luke.
E allora Vanessa fa un sospiro, proprio quando la stretta di Luke si fa più forte sulla sua mano. Socchiude gli occhi e, con qualche lacrima appesa alle ciglia, la voce inizia a tremarle un po’.
«Sono incinta, Luke».
Il silenzio torna sovrano tra quelle mura.
Charlie ronfa beatamente accanto a loro, per niente disturbato da quella strana tensione che si è creata tra Vanessa e Luke, e neanche la luce fioca sembra dargli fastidio.
Luke sembra come imbambolato, mentre gli occhi di Vanessa cacciano quelle ultime lacrime sospese.
Non dice una parola, Luke, sembra che abbia quasi perso il respiro dopo quella notizia, e Vanessa lo nota.
Abbandona velocemente la sua mano – ancora in una presa salda – per poi alzarsi di scatto dal divano e lasciarlo lì, solo, dandogli completamente le spalle.
Lo sapevo” pensa Vanessa, mordendosi il labbro inferiore “adesso andrà via”.
E quando sente Luke sospirare dietro le sue spalle, la ragazza si aspetta di tutto, si aspetta qualsiasi reazione – positiva o negativa che sia – ma di certo non un tirato e tremante:
«Lo so».
 
~
 
Jade ha appena messo piede in casa sua, dopo aver salutato Mary, che l’ha lasciata sotto il palazzo prima di allontanarsi con la macchina verso casa.
Poggia il dito sull’interruttore del salotto, lasciando che la luce artificiale invada la stanza mentre lei si chiude la porta d’ingresso alle spalle quanto più piano possibile.
La prima cosa che fa è togliersi le scarpe e lanciarle lontane chilometri – per quanto possa essere possibile – da sé, perché ha i piedi a pezzi ed è in piedi da stamattina, quindi non vede l’ora di sedersi anche solo per cinque minuti. Si passa le mani sugli occhi – incurante del trucco che poi si sbaverà – per poi lasciare che le sue dita finiscano sulle tempie, massaggiandole lentamente mentre si dirige verso il bagno.
Si sente decisamente uno straccio, quasi come se un camion le fosse passato dentro il petto e l’abbia spaccata in due, ed ha un cerchio alla testa incredibile. Eppure ha passato una bella serata, in compagnia delle sue amiche in uno dei loro soliti venerdì da tradizione, Jade aspetta sempre il fine settimana solo ed unicamente per quell’occasione.
Il motivo per cui si sente così lei lo conosce, ma non lo vuole ammettere.
Evita di pensarci mentre si strucca superficialmente con una salviettina, guardandosi allo specchio. Si osserva, Jade, e pensa a tante cose, forse troppe, forse anche non vere: pensa che dovrebbe rifarsi la tinta rossa, perché s’inizia ad intravedere la ricrescita bionda – quel colore che lei proprio non sopporta - ; pensa che la sua pelle sia troppo chiara, che il suo corpo sia troppo imperfetto, che i suoi occhi siano troppo... verdi.
Verdi, come gli occhi di Michael.
Jade sbuffa, mentre un piccolo battito si fa sentire nel suo cuore quando quei due fari verdi s’insinuano tra i suoi pensieri sbagliati, poi butta la salviettina nel cestino sotto il lavandino e va in camera sua ad infilarsi una felpa e legare disordinatamente i capelli, per poi tornare nel salotto e sedersi sul divano.
Accende la tv,un po’ perché non ha per niente sonno e spera che quell’aggeggio le faccia un effetto sonnifero con i suoi programmi spazzatura, e un po’ perché ha bisogno di dimenticarsi degli occhi di Michael che sono ancora lì, fissi nella sua mente, stampati di fronte a lei, e da lì non si smuovono.
Perché Jade sa che dovrebbe chiamare Michael, sa che dovrebbe confessargli cosa prova anche lei per lui, sa che potrebbe iniziare qualcosa che vada oltre il sesso con lui, qualcosa di più grande... ed è proprio per questo che ha paura. Ha paura che questo amore folle che prova nei suoi confronti, potrebbe trasformarsi in qualcosa di brutto, qualcosa che le faccia male e che la faccia soffrire, e lei non vuole riempirsi il cuore di cicatrici.
Jade sa che dovrebbe dire la verità a Michael, sa che dovrebbe rivelargli quell’amore che prova da tanto – troppo – tempo, eppure sente come un blocco sul cuore che le proibisce di pronunciare quelle parole che le fanno tanta paura.
Tutti quei pensieri iniziano ad irritarla, così Jade sbuffa sonoramente e spegne la televisione, perché quelle voci irritanti e meccaniche inizia proprio a non sopportarle più.
Butta la testa all’indietro sul divano, e guarda fisso il soffitto troppo spoglio, troppo bianco. Ed è proprio nel momento in cui pensa che sia troppo bianco, che quel verde le appare di nuovo davanti agli occhi, e Jade non ha più dubbi.
«Ho capito!» esclama ad alta voce, rialzando il capo. «Lo chiamo e gli dico tutto!». Sbuffa ancora una volta, rendendosi conto di star parlando da sola e di essere completamente uscita fuori di senno, per poi afferrare il telefono di casa e comporre il numero di Michael.
Jade, non farlo” pensa, mentre porta il ricevitore accanto all’orecchio.
Jade, è una cosa stupida, attacca” si dice mentalmente, sentendo i primi squilli.
Jade, cazzo, tu sei folle. Attacca questa cazzo di telefonata” e gli squilli continuano ad aumentare.
Jade. Tu non sei fatta per Michael”.
«Pronto?».
Dovevi attaccare, cazzo. Sei davvero una grande str...
«M-Michael?!» balbetta Jade, presa alla sprovvista, e si sente ancora più un’idiota. Poi si rende conto della sua voce mezza assonnata, e scuote leggermente il capo, come per riprendersi. «Dormivi, per caso? Ti ho svegliato?».
 «No Jade, non mi hai svegliato» risponde lui in un sospiro. Poi ridacchia leggermente. «Ti stavo pensando, sai babe?» confessa, e Jade non può fare a meno di sentire come un mancamento nel momento in cui lui le rivolge quel nomignolo che riserva solo e specialmente a lei.
«Pensavi a me o alle mie tette?» domanda lei, inarcando di poco il sopracciglio.
Michael ride sommessamente. «Pensavo a te. Ma le tue tette fanno parte di te, quindi pensavo anche a loro. Non fa una piega, no?».
Jade ridacchia, e le si ripresenta una strana sensazione al cuore. Poi chiude gli occhi e sospira, cercando di abbattere quella paura che le si è annidata in petto, provando a buttare fuori tutte quelle parole che si sta tenendo dentro.
«Io dovrei parlarti, Michael» dice di getto, poi deglutisce lentamente. «Possiamo vederci dom...?!».
«Sto venendo da te, babe».
Lei sbarra gli occhi. «No, Michael, non adess... M-Michael?!». E Jade si rende conto che Michael ha già attaccato la telefonata da un pezzo, e che lei sta di nuovo parlando con le mura di casa sua, ed è come se la differenza non la sentisse, perché parlare con Michael è un po’ come parlare con un muro.
«Cazzo» esclama lei, atona, posando il telefono sul cuscino del divano accanto a lei, mentre il rumore del suo cuore emozionato si fa sentire, quasi come se stesse urlando.
«Sei veramente un’idiota, Jade, una fottuta idiota!» esclama, stavolta a voce più alta, mentre si batte una mano sulla fronte. Sospira forte, e quasi le viene da piangere: se solo avesse aspettato a dirglielo, se solo avesse aspettato il giorno dopo per chiamarlo, probabilmente adesso non si troverebbe senza parole. E invece qualcosa dentro di lei le ha messo fretta e le ha fatto prendere quel dannato telefono e fatto comporre il numero di Michael, che adesso sarà qui da un momento all’altro, forse in meno tempo di quanto pensa lei. Perché Jade sa che, quando c’è qualche emergenza, Michael è sempre il primo ad arrivare, e lei proprio non sa spiegarsi come faccia, certe volte ha pensato che fosse in grado di volare.
Soprattutto stanotte che le strade sono vuote, sente che Michael sarà da lei in meno del previsto, ed inizia a spaventarsi ancora di più.
Non ha nemmeno il tempo di rannicchiarsi su sé stessa e continuare a darsi dell’idiota, che il citofono squilla insistentemente, facendola sobbalzare alla sprovvista. Jade sente la paura crescerle dentro mentre si alza dal divano e si avvia verso il citofono a passi incerti, e quasi le viene la voglia di fingere di essersi addormentata e non rispondergli, ma sa che Michael non le crederebbe mai e sarebbe capace di arrampicarsi fino al balcone del suo salotto, pur di sapere cosa le passa per la testa.
Jade fa un grosso sospiro mentre la sua mano tremante si allunga alla cornetta del citofono, e l’afferra con un’insicurezza che non le appartiene quasi mai.
«Sì?» sussurra piano, con una voce che non sembra la sua.
Una risatina proviene dall’altro capo del citofono. «Sono il lupo cattivo» dice la voce divertita di Michael, e Jade si morde il labbro inferiore, mentre preme il pulsante che fa scattare subito il portoncino.
Attacca la cornetta e si avvicina alla porta, mentre i passi di Michael si fanno sentire veloci tra le scale, sempre più vicini a lei. E Jade sa che quegli occhi le faranno bene e male allo stesso tempo, e si ritroverà a dire parole sconnesse tra loro e senza un filo logico, parole che non ha preparato, parole che forse Michael non capirà.
Apre di poco la porta - quando sente i suoi passi sempre più vicini – per evitare che il campanello trilli e rimbombi nel resto del palazzo, perché non ha voglia di sentire altre lamentele da parte dei suoi condomini.
Un attimo dopo, il volto di Michael – forse un po’ contratto per la fatica – spunta da dietro l’ultima rampa di scale, quella che porta a casa sua, e i suoi occhi luminosi Jade li vede anche da lontano, anche da dietro il minuscolo spazio che si è creato tra lei e la porta.
Michael vede un suo occhio spuntare da lì dietro e sorride sghembo mentre si avvicina. Poggia una mano sul muro, ridacchiando sommessamente, e Jade sente le guance andarle a fuoco.
«Allora» sussurra Michael «mi fai entrare o no?».
Jade sospira e spalanca completamente la porta, ritrovandosi la figura sorridente di Michael entrare immediatamente nel suo salotto, intento a sfilarsi il giubbino di pelle, mentre lei si richiude la porta alle spalle e si appoggia ad essa.
«Dovrei smettere di fumare» annuncia Michael, buttandosi a sedere sul suo divano «le tue scale mi uccidono sempre».
Jade imbroncia le labbra. «Avresti potuto prendere l’ascensore».
Michael aggrotta le sopracciglia. «Naah, ci avrei messo più tempo» dice, mentre alza di poco il sedere per prendere il pacchetto di sigarette dalla tasca posteriore del jeans, ammiccando verso Jade, aprendolo.
«E io volevo sapere cosa ti passi per la testa, babe».
Si porta una sigaretta alle labbra – in un modo che Jade trova estremamente sexy, e Michael sa di farle questo effetto – per poi accenderla con un po’ di difficoltà con un vecchio accendino colorato.
Jade intrappola nuovamente il labbro inferiore tra i denti, compiendo qualche passo verso Michael, prima di sedersi accanto a lui sotto il suo sguardo verde, per poi rubargli la sigaretta e portarla tra le sue labbra.
«Non avevi detto di voler smettere di fumare?» domanda, lasciando scivolare il fumo sul viso di Michael.
Lui sorride, passandosi una mano tra i capelli rossi, guardandola come rapito dai suoi movimenti e dai suoi respiri. «Se fumi con me, in questo modo, non credo di poter smettere».
Jade sorride, facendo un ultimo tiro prima di riappoggiargliela nuovamente tra le labbra, sfiorandole involontariamente con le dita, e subito cerca di allontanarle, quasi spaventata. Michael, però, è più veloce di lei e, con un sorriso sghembo, afferra velocemente le sue dita, incrociandole con le sue.
«Allora» dice, cacciando fuori un po’ di fumo «cos’hai da dirmi di tanto urgente da farmi venire qui all’una di notte passata?» ed intrappola la sigaretta – ormai quasi a metà – tra le dita dell’altra mano.
Jade aggrotta le sopracciglia. «Sei stato tu a precipitarti qui a quest’ora» gli ricorda, quasi piccata «io ti avevo chiesto di vederci domani».
«Lo so, saputella» la schernisce Michael «ma avevo voglia di vederti adesso» sottolinea, rivolgendole un ultimo sorriso prima di allungarsi verso il posacenere – posto su un mobiletto accanto al divano – e spegnere la sigaretta, ormai finita, lasciando che il suo odore aleggi per il resto del salotto.
Poi Michael si volta nuovamente verso Jade, tenendole le dita ancora intrecciate tra le sue, e il suo sorriso passa dall’essere sghembo ed ironico, a tenero e dolce. I suoi occhi incrociano quelli di Jade, lasciando che si fondano tra loro, verde contro verde.
«Jade»la richiama, stringendole ancor di più la mano. «Dimmi cosa c’è, non farmi preoccupare».
La rossa sospira, alzando di poco gli occhi al cielo prima di riportarli su Michael, che continua ad avere quel dolce sorriso sulle labbra e quella curiosità negli occhi. Jade vorrebbe davvero dirgli tutto in un secondo, ma le parole le mancano, e gli occhi di Michael le fanno quello strano effetto che proprio non riesce ad ignorare.
«Michael...» sussurra, una voce che non le sembra nemmeno la sua. Sospira rumorosamente. «Michael, io...» lui le stringe ancora di più le dita, che tiene strette in una presa salda, come se volesse darle quel coraggio che le manca nel parlare.
E Jade, ancora ipnotizzata a causa dei suoi occhi, dice quello che non dovrebbe proprio dire.
«Io vorrei un kebab».
  ~

Mary ha salutato da poco Jade – che ha appena riaccompagnato a casa – e ha messo in moto, per ritornare finalmente a casa sua.
Aveva bisogno di quella serata, di quel solito venerdì di tradizione, perché era da tempo che non passava una serata così bella insieme alle sue amiche, una serata fatta di parole, di aneddoti, di risate e, soprattutto di novità.
Mary sorride, mentre tiene stretto tra le mani il volante dell’auto: ancora non può crederci che, tra circa otto mesi, terrà tra le braccia un piccolo batuffolo, figlio di Vanessa e Luke, diventando automaticamente una zia acquisita, ma soprattutto non può credere al fatto che Jade si sia innamorata e abbia intenzione di dichiararsi a Michael. Ridacchia leggermente -  guardando fisso la strada di fronte a sé - perché pensava di poter vedere e sentire tutto, nella sua vita, tranne Jade innamorata. Continua a sorridere, pensando a quale metodo utilizzerà Jade per dichiararsi a Michael, quali parole utilizzerà e quanta felicità le porterà poi quell’amore. Le ci vuole un attimo per rabbuiarsi, così come il cielo che ha sulla testa:  solo lei – pensa improvvisamente – non è realmente felice.
Per quanto tempo lo è stata? E lo era davvero, quando è successo?
Mary frena davanti al semaforo rosso, picchiettando di poco le unghie sul volante. Sospira forte, aspettando che scatti il verde, e continua a pensare alla sua felicità.
Non si ricorda nemmeno più per quanto tempo è stata felice e da quanto non lo è più. Ha tanti momenti che potrebbero essere associati alla gioia, al divertimento, ma non è sicura del vero e unico momento in cui è stata felice davvero, pienamente felice, un unico momento in cui ha pensato “sento di avere il mondo tra le braccia”.
No, Mary proprio non saprebbe trovare un momento in cui è stata felice sul serio.
Scatta il rosso. Mary si ridesta dai suoi pensieri e preme il piede sull’acceleratore, per poi girare cautamente a sinistra nel momento in cui si trova davanti ad un incrocio.
Certo – pensa – è felice che le sue amiche siano felici per le loro novità, per le loro vite, e non c’è gioia più grande di questa, del condividere la felicità con due delle persone più importanti della sua vita, ma... ma c’è qualcosa che manca dentro di sé, una mancanza che lei sente come se le fosse stata strappata dal petto.
Si sente vuota, Mary, e lei sa anche perché, ma è troppo orgogliosa per ammetterlo.
Perché sì, quelle labbra, quelle mani – persino quei capelli lunghi che lei non sopporta troppo – quegli occhi... le mancano, le mancano da morire, e solo lei sa quanto, ma non ha intenzione di ricaderci.
Ha sofferto già troppo per colpa di quella relazione e, ogni volta, ha rimproverato sé stessa e quel modo di essere così tanto innamorata di lui, giurando tra le lacrime di non ricaderci mai più.
Ma non ce l’ha mai fatta davvero. Forse perché l’amore verso di lui era davvero così grande da riuscire a superare il dolore delle sofferenze precedenti. E, ancora una volta, cascavano insieme in quella strana trappola senza uscita, rimanendone incollati, anche se distanti.
Mary svolta verso destra.
Forse solo quando era con Ashton si riusciva a sentire un minimo felice. Era stato dal momento che avevano preso quella cioccolata calda insieme – la sera del primo Gennaio di due anni e mezzo prima – che Mary aveva sentito qualcosa di strano dentro di sé, come se sapesse di trovarsi al posto giusto, nel momento giusto e con la persona giusta; qualcosa che provava nel momento in cui si perdeva in quei due meravigliosi pozzi verdi, qualcosa che continuava a sentire anche con gli occhi gonfi e pieni di lacrime e il cuore a pezzi.
Perché Mary ha sempre voluto riprovarci con Ashton: si sono sempre dati una seconda possibilità – se ne sono date sei di possibilità, sottolineerebbe Calum – anche quando sapevano che le cose erano ormai irreparabili e la loro relazione destinata al capolinea. Ci hanno provato tante, troppe volte, continuando ad alimentare qualcosa che li avrebbe fatti solo soffrire.
Ma cos’altro si può fare, quando  è il primo, grande amore della tua vita a chiedertelo?
Perché Mary non ha mai avuto nessun’altro, prima di Ashton, prima che la sua energia, la sua allegria e la sua risata la travolgessero completamente.
Nessuno l’ha mai notata, Mary, nel suo angolino buio. Non si è notata nemmeno lei stessa da sola, data la troppa invisibilità. I ragazzi hanno sempre visto in lei un’amica con cui confidarsi, un’amica dagli ottimi consigli, un’amica e basta, niente di più: nessuno ha mai visto in lei qualcosa che facesse pensare a Mary come più di un’amica, come più di un ottima consigliera, e lei – dopo tante paturnie mentali – se n’è fatta una ragione. Ma poi è arrivato Ashton, imprevedibile come sempre, con i capelli spettinati e quell’ accenno di barba chiara - che Mary ancora ricorda – quella sera alla fine dell’anno, l’unico che, in mezzo a tutte quelle persone, aveva notato solo ed unicamente lei. E lei gliel’ha chiesto tante volte il perché, – tra i sorrisi e tra le lacrime - perché avesse scelto proprio lei in mezzo a tutte quelle belle ragazze, perché avesse scelto la sua goffaggine nel stare in piedi su quei trampoli maledetti, e come avessero fatto i suoi occhi così belli a notare proprio la sua perenne invisibilità.
 «Perché il mio cuore voleva che incontrassi te» le rispondeva sempre lui, - con un sorriso o con lacrime di rabbia -  baciandole la nuca. «Unicamente te».
Ed era stata la prima volta che Mary si era sentita amata, amata davvero e, per la prima volta, si era sentita visibile, alla portata del mondo, sotto gli occhi di tutti e, per quanto la luce puntata su di sé l’avesse sempre intimidita, quella volta aveva voglia di gridare al mondo la sua esistenza.
Entrambi erano stati il primo grande amore dell’altro.
Ashton le aveva insegnato a far l’amore, e Mary gli aveva insegnato ad amare.
Si erano compensati, si erano bastati, si erano fusi tra loro... ma non era stato abbastanza.
E Mary – lo sguardo ancora dritto sulla strada di fronte a sé, quasi vicina a casa sua – ancora si chiede cosa voglia Ashton da lei, dopo quel messaggio. Ancora si chiede per quale motivo sia tornato e cos’abbia da dirle di tanto importante. Lei non ne vuole più sapere di lui, non vuole più vederlo, è stata abbastanza chiara quando gliel’ha urlato, l’ultima volta che si sono visti, l’ultima volta che si sono amati ed odiati allo stesso tempo.
Sospira tristemente, ricordandosi degli ultimi attimi in cui ha avuto Ashton di fronte a lei – i capelli più lunghi, disordinati come sempre, quel po’ di barba chiara, le mani chiuse in due pugni forti e il viso completamente contratto dalla rabbia – e l’ultima volta che le ha rivolto la parola, dicendole che tutta quella storia è stata sempre uno sbaglio, che loro sono sempre stati uno sbaglio allucinante, un errore che non avrebbero dovuto compiere; e poi Mary ricorda le sue, di parole, urlate tra le lacrime.
Quelle urla che hanno maledetto il giorno in cui si sono incontrati, quelle urla che gli hanno detto di andarsene via per sempre, che gli hanno detto di odiarlo alla follia, mentre il suo cuore le ricordava in un sussurro di amarlo alla follia.
Mary si accorge di sfuggita di essere appena arrivata sotto casa sua, così si ridesta completamente dai suoi tristi pensieri e, con gli occhi che le pizzicano, parcheggia con un po’ di fatica sotto il palazzo, nel posto che le è stato assegnato.
Slaccia la cintura ed afferra rudemente la borsa – posta accanto a sé – per poi scendere dall’auto e sbattersi la portiera alle spalle, chiudendo definitivamente la macchina con le chiavi.
Si chiude un po’ il giubbino di jeans sul petto - maledicendosi per la scelta di quelle scomode ballerine al posto dei suoi amati stivaletti – avviandosi a passo dolorante verso il portone del suo palazzo, quando un rumore dietro le sue spalle la fa sobbalzare.
Si volta di poco, giusto per vedere cosa sia stato, notando una figura avvolta nel buio scendere da un’auto, non poco distante da lei.
Mary volta nuovamente lo sguardo verso il suo palazzo ed accelera il passo - nonostante il dolore ai piedi – sentendo dei passi svelti starle dietro, quasi come se la stessero pedinando.
Sospira forte, cercando di darsi un minimo di coraggio e spronarsi a camminare più velocemente, mentre le sue mani tremanti si avvicinano all’apertura della borsa per prendere quanto più rapidamente possibile le chiavi di casa, ma i passi dietro di lei accelerano, raggiungendola quasi.
E Mary – che di indole non è mai stata coraggiosa – sente una strana carica dentro di lei, un’energia che non le è mai appartenuta prima e, quando la figura ignota è praticamente dietro le sue spalle, Mary punta i piedi all’improvviso, le labbra strette, e si volta di scatto con la mano a mezz’aria, pronta a colpire l’ignoto.
Una mano blocca quel colpo.
Una stretta forte, solida.
Delle dita lunghe le tengono stretto il polso.
Mary non capisce, non ha ancora guardato in viso la figura, ed ha paura.
Poi una voce si fa sentire. Una voce divertita.
«Una volta rispondevi ai miei messaggi».
Una voce che lei riconoscerebbe tra mille.
Mary alza lo sguardo.
Non c’è più il buio ad avvolgere quella figura.
Un sorriso sghembo.
Una barba chiara.
Dei capelli lunghi e ricci, sempre troppo disordinati.
Occhi luminosi in occhi impauriti.
Occhi verdi in occhi castani.
Mary ha capito.
Si lascia sfuggire un ansimo di paura, un sussurro tremante.
E il cuore, anche se non dovrebbe, riprende a batterle.
«Ashton».

 
~
Merito il linciaggio, ne sono consapevole.
E' più di un mese che non aggiorno questa storiaaaaa D:
Quanto sono pessima, Dio mio. Davvero, non avrei voluto far aspettare così tanto (in realtà non lo credevo possibile, dato che ero messa abbastanza bene con i capitoli) ma cause di forze maggiori (stupide cause di forze maggiori) mi hanno tenuta lontana da questa bambina ç.ç
...okay, ammetto di aver avuto delle difficoltà nello scrivere la parte di Mary ed Ashton (che è quella che mi piace di meno, obviously), è stato un parto veramente veramente grande! Avevo promesso, però, che l'avrei continuata e che mi sarei fatta perdonare. Difatti, questo capitolo avrebbe dovuto essere l'ultimo e poi viadalleballeMarychenontisopportiamo, buuuut... se ne sono aggiunti altri due! :D *esulta da sola*.
Vi spiego: finendo questo capitolo (ieri, lo ammetto u.u) mi sono accorta che avevo scritto veramente troppo (...diciotto pagine sono tante, vero? :3) so, per evitare che qualcuno si annoiasse, ho deciso di dividerlo in due, lasciando la giusta suspence! (pomodori tra tre... due... uno...)
Giuro che stavolta - almeno per la prossima settimana - sarò puntuale, perché il capitolo è già pronto e sto lavorando all'ultimo, che mi sta piacendo troppo e asdfgh non spoilero.
Vi ringrazio davvero tantissimo per le recensioni (alle quali corro a rispondere e vi chiedo umilmente scusa anche qui per non averlo fatto prima!) e per averla inserita tra le preferite/seguite/ricordate. Aww, siete dolcissime! Tanto love per voi ♡
Credo di aver detto tutto, ho straparlato come al solito quindi adesso vado a nascondermi su una collina sperduta in qualche parte della culonia e mi ritirerò a vita spirituale. E sì, a continuare l'epilogo.
Grazie ancora a tutte voi, anche solo per esservi fermate a leggere! :)
As always, vi lascio i miei contatti di facebook twitter ed ask
In bocca a lupo ai maturandi che dovranno affrontare la terza prova (se non l'avete ancora affrontata) e gli orali! Andate tranquilli e non fatevi vedere in ansia dalla commissione, questo è il mio consiglio. Più parlate e fate vedere che siete sicuri di voi, meno vi tartasseranno di domande! (parla una che, l'anno scorso, è diventata pappa e ciccia con il professore esterno di storia dell'arte... no comment).
Un bacione enooorme,
Mary ♡

 
 
 
 
 
 
  
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