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Autore: Harryette    22/06/2015    3 recensioni
[...] Ci fu un silenzio imbarazzante, prima che Margareth si decidesse a riprendere e concludere il discorso.
‘’Questa sono io. Sono Margareth, la stessa persona che era affacciata sul balcone di quel ristorante italiano e la stessa persona a cui hai detto che, andandosene, si rinuncia non solo alle cose brutte ma anche a quelle belle. Sono contenta di averti dato ascolto, perché – io – l’ho trovata una cosa bella. E scusami, davvero perdonami, perché io sono innamorata di te e non so neanche perché te lo sto dicendo adesso’’
Dall’altra parte ci fu, ancora una volta, silenzio. Le parve di udire un sospiro, ma non ne era proprio sicura.
‘’Ho finito’’ disse. ‘’Mi dispiace per l'ora, e...''
Stavolta, però, lui la interruppe. ‘’Stai piangendo?’’ le domandò.
''Cambierebbe qualcosa?'' chiese.
''Non piangere'' lo sentì addolcirsi. ''Non piangere, Marge''.
[SPIN-OFF DI ''MORS OMNIA SOLVIT'', DA LEGGERE ANCHE SEPARATAMENTE]
Genere: Angst | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Gli inarrivabili del Bronx'
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| Capitolo Trentesimo |
My every road leads to you
 

La spalla di Carl sfiorava leggermente quella di Margareth ad ogni movimento che compiva, anche e soprattutto involontariamente. Maggie non aveva mai avuto modo di vedere Carl vestito in modo davvero elegante, quello stile che contraddistingueva le cerimonie e gli eventi importanti e imperdibili. Eppure, come aveva già precedentemente immaginato, sfiorava l’incredibile.
Si domandò se esistesse qualcosa, al mondo, che riuscisse a stonare con Carl Pearson, e la risposta – ad ogni modo – fu comunque scontata.
No.
Aveva una camicia di lino bianco a fasciargli il corpo asciutto, senza nessuna cravatta. Si era presentato a casa sua, quella mattina, addirittura con un chiodo di pelle nera al posto della solita giacca.
Non poteva dire di averlo mai visto con qualcosa addosso che non fosse un jeans, o un jeans un po’ più classico e senza le solite strappature, ma Carl quella mattina l’aveva anche piacevolmente sorpresa: indossava un pantalone di stoffa nero, abbastanza stretto ma che gli donava in modo assurdo. Ai suoi occhi sembrava uno di quegli impresari della Grande Mela che aveva avuto modo di conoscere anche da vicino.
Lei aveva optato per qualcosa di fine ma non troppo esagerato, anche perché aveva una paura terribile di sentirsi a disagio o di essere discorde col resto degli invitati: aveva un tubino rosa carne, che si confondeva con la sua carnagione chiara, senza fronzoli né decorazioni. Aveva deciso di spezzare la monocromia con una collana di perle nere, dello stesso colore delle scarpe vertiginose che – sapeva – l’avrebbero fatta imprecare e dannare prima della fine della giornata. I capelli li aveva lasciati sciolti, biondi e liberi, mentre le accarezzavano le spalle.
L’unico accorgimento, sotto consiglio di Hollie e di sua madre, fu quello di aggiungere una piccola fascia nera che glieli alzasse dalla fronte. Quasi non si era truccata, ma l’effetto nature era quello che voleva.
Non era nemmeno lontanamente paragonabile a Carl.
Margareth non gli aveva detto quanto stesse bene, e non perché ne fosse imbarazzata o altro, ma semplicemente perché non avevano avuto tempo. Carl, le aveva detto, era stato indeciso fino all’ultimo minuto sulla camicia da mettere (cose da non crederci) ed erano in terribile ritardo.
Il tipico traffico delle dieci di New York si smentì solamente quel giorno, stranamente, e a Maggie piacque pensare che fosse stato una specie di aiuto dal cielo. Erano arrivati in una chiesetta alla periferia di NYC con soli otto minuti di ritardo, un record considerata l’ora in cui si erano degnati di partire da Manhattan.
Carl, durante il viaggio in auto, non aveva staccato per un secondo le mani dal manubrio e non aveva allentato nemmeno la presa.
Non l’avrebbe ammesso mai, ma Margareth capì benissimo che era in ansia: dopotutto, era pur sempre il matrimonio della sua unica sorella. E del suo migliore amico. Doveva essere un grosso carico di emozioni, che – non essendo mai espresse dal sottoscritto – finivano per ingigantirsi ancora di più.
‘’E quindi Zayn l’ha convinta?’’ gli aveva chiesto lei, per cercare anche di distrarlo.
‘’Alla fine sì, direi di sì’’ le aveva risposto lui. Margareth aveva creduto fino all’ultimo minuto che gli sarebbe toccato prendere un aereo, perché era sempre stata convinta che Zayn e Diana avrebbero celebrato il loro matrimonio a Leeds o quantomeno in Inghilterra. Ed invece, una settimana prima, Carl le aveva detto che Zayn – alla fine – era riuscito a convincerla a farlo in America. Dopotutto, il suo sangue di americano – provenendo anche lui dal Bronx – non si era assopito.
A Maggie fu difficile immaginare una Diana reticente.
‘’Però ha pagato personalmente il viaggio a tutti i parenti inglesi di Diana’’ aveva aggiunto il ragazzo, con un sogghigno sul volto.
‘’Equo’’ aveva scrollato le spalle Margareth.
La chiesa era stata addobbata in modo sobrio ma assolutamente meraviglioso. Il colore principale era il bianco, ma un po’ ovunque spiccavano anche particolari di un giallo tenue, quasi bordò. Tutta la navata principale era stata decorata con un tappeto dello stesso giallo gentile, che correva elegantemente fino all’altare, e su ambo i lati c’erano bellissimi giochi di fiori degni del fioraio migliore di tutti i tempi.
Ma la cosa che colpì maggiormente Margareth, più di tutte quante le altre e anche più dei piccoli fiorellini posti addirittura su ogni panca per gli invitati, fu la decorazione sull’altare.
Oltre alle due piccole colonne di sinistra e di destra, sulla quale erano posti enormi mazzi di tulipani bianchi, tutto il recintato era stato addobbato con piccole candele gialle che regalavano al posto un’aria familiare e profumavano l’ambiente.
E, mentre si recavano al loro posto – dal momento che c’erano dei segnaposti che indicavano la predisposizione –, Margareth vide Zayn. Si avvicinò all’altare e si poggiò ad una delle due piccole colonne, prendendo a consumare la porta d’entrata.
Stava morendo d’ansia, ed era visibile anche a chilometri di distanza.
Ed era meraviglioso.
Indossava un completo bianco, che lo faceva sembrare ancora più magro ed irraggiungibile di quanto già non fosse, ed una camicia nero inchiostro che spuntava fuori dalla giacca. Neanche lui aveva cravatte, l’unico accessorio molto elegante erano le scarpe di pelle scura, leggermente a punta e decorate con strani ghirigori. E, la cosa che Margareth non potè far a meno di notare, si mostrò in tutta la sua magnificenza: una rosa nera nel taschino della giacca.
Maggie notò che anche Carl aveva preso ad osservare il moro, con l’unica differenza che Zayn – come fosse stato chiamato da una falena – voltò lo sguardo e lo incatenò a quello dell’amico.
Margareth si sentì quasi un intrusa e fece per voltare lo sguardo, ma i due furono più veloci di lei: dopo un leggero sorriso di Carl seguito da uno un po’ più teso di Zayn, i due tornarono a guardare cose diverse.
Zayn l’entrata, sperando probabilmente di vedere presto la donna con la quale aveva scelto di passare il resto della sua vita, e Carl si voltò verso di lei.
Non aveva ancora detto nulla da quando erano scesi dalla macchina e avevano messo piede nella chiesa ormai gremita di gente, tutta sconosciuta o quasi agli occhi di Margareth.
Si avvicinò al suo orecchio, per non rompere il silenzio del luogo. Maggie sentì il suo fiato caldo sul collo e si domandò come facesse Carl a farle sempre lo stesso effetto.
‘’Mi credi se ti dico che non ho mai visto Zayn più impalato di oggi?’’ le sussurrò all’orecchio, facendola sorridere e scuotere la testa.
‘’Vorrei vedere te’’ lo scimmiottò.
Carl sogghignò, il solito sogghigno che non sarebbe cambiato mai, e poi ritornò a volgere lo sguardo davanti senza però allontanarsi.
‘’Non riuscirai mai a mettermi l’anello al dito, Margareth Grey’’ la prese in giro, facendole l’occhiolino.
E lei ricambiò con la stessa moneta.
Era anche questa una delle cose che aveva imparato da quando stava con Carl, il saper rispondere a qualcosa di pungente con qualcosa di altrettanto pungente, il saper testare e tenere testa. La Margareth di prima, la Margareth di Morgan, non sarebbe mai riuscita a farlo.
‘’Nemmeno tu, Carl Pearson’’ sorrise. ‘’Non illuderti’’
Eppure dovettero interrompersi perché il portone di legno massiccio principale si aprì con una violenza quasi atroce, e un grosso fascio di luce entrò nella chiesa illuminando ancor di più i volti di tutti i presenti. Ed il volto di Zayn, vitreo.
Dall’organo posto al piano superiore dell’altare e dal coro che lo affiancava, si diffuse una musica dolce che Maggie riconobbe come la classica marcia nuziale. Forse con qualche differenza e qualche cambiamento coraggioso, ma pur sempre una marcia nuziale.
E tutti, compresi lei e Carl, si voltarono in direzione dell’entrata per vedere il meraviglioso spettacolo che lei immaginava sarebbe avvenuto di lì a poco. Si sentì emozionata anche lei, insieme ai parenti e a Zayn e agli amici stretti e al ragazzo che amava.
Era sempre stata troppo sensibile.
Cercò di non pensare al fatto che fossero praticamente sulla prima panca della chiesa, perché Carl – ad inizio cerimonia – avrebbe dovuto fare il testimone, e che era sotto la vista possibile di tutti. Ringraziò il signore per essersi truccata poco.
Strinse fra le mani la sua pochette nera e sospirò, poi sorrise alla vista di quello che aveva già visto nella sua mente.
Una ragazza dai capelli viola sistemati in un’acconciatura difficilissima quanto bellissima, precedeva la sposa con passo lento e felpato: il vestito giallino che indossava, con un corpetto a cuore tempestato di piccoli diamanti e che scendeva morbido sulle sue gambe fino alle caviglie, creava un mix simpatico con i capelli.
Stringeva in mano un mazzo di margherite, mentre camminava con le spalle dritte e un sorriso sul volto rivolto verso Zayn. Era la damigella, Diana gliene aveva parlato qualche volta.
E subito dopo di lei, eccola.
Margareth non credeva di aver mai visto una sposa più bella, una donna più bella, di Diana Pearson in tutta la sua vita. Ed era stata ad innumerevoli matrimoni, uno più sfarzoso dell’altro.
Diana indossava un abito bianco e lungo: le maniche erano lunghe ed erano di velo trasparente, sulle spalle c’erano dei piccoli ricci che la rendevano ancora più eterea, che scendevano sul seno fino a chiudervisi sotto. Dall’interno emergeva un corpetto di raso bianco, decorato in pizzo, a forma di cuore, che le lasciava scoperte le clavicole. Nessuna collana decorava il suo collo perché splendeva di luce propria.
In vita, a stile impero, una cintura di raso decorata con un disegno di foglie dorate spezzava la continuità dell’abito e lo faceva scendere morbido sulle gambe esili e lunghe.
Sotto il sottile strato di velo bianco della gonna, ce n’era un altro di pizzo che fuoriusciva dallo spacco destro e toccava terra. E, nonostante fosse leggermente visibile il body di pizzo, rimaneva la cosa più di classe che esistesse al mondo. Stringeva un mazzo di rose nere.
I capelli erano stati allisciati e raccolti in un semplicissimo chignon dietro la nuca, mettendo in risalto il suo volto gentile e gli occhi chiarissimi.
Gli stessi occhi di Carl.
Gli stessi occhi che, ora, accanto a lei erano lucidi. Margareth sorrise leggermente fra sé e sé, perché non aveva mai visto Carl (quasi) piangere di gioia.
‘’Tua sorella è bellissima’’ gli sussurrò all’orecchio.
Come te.
Carl non rispose ma, senza distogliere gli occhi dalla sposa, le dedicò un piccolo sorriso. Un sorriso felice. Quasi quanto quello che attraversò il volto di Zayn quando vide Diana.
Ed accanto a lei, c’era un uomo.
Nonostante Maggie sapesse che il padre di Carl e Diana – Peter Pearson – fosse in prigione da anni, capì immediatamente chi fosse l’uomo accanto a lei. Proprio lui.
Neanche volendo avrebbe potuto negare la somiglianza, la sicurezza nel camminare, lo sguardo preciso ed attento. E neanche volendo avrebbe potuto negare la somiglianza assurda dei loro occhi trasparenti.
Ecco da chi avevano preso.
Non si chiese come avesse fatto ad essere lì, neanche lo domandò e subito dopo dimenticò di averlo anche pensato: era una giornata troppo importante per le domande. Peter indossava uno smoking nero che gli fasciava il corpo robusto, ed una camicia dello stesso colore con una cravatta scura. Sembrava qualcuno di importante.
Ed era felice, commosso, gli occhi lucidi li avrebbe notati chiunque.
Carl le afferrò la mano nell’istante in cui Zayn afferrò quella di Diana, arrivata all’altare, e in cui Peter si fece da parte, sedendosi accanto ad una donna che Margareth sentì di aver già visto. Aveva un volto così conosciuto che si sorprese di come non avesse fatto a capirlo prima: stretta in un vestito rosso e con i capelli neri legati in una coda di cavallo, la madre di Diana piangeva disperatamente con un fazzoletto stretto fra le mani. Peter le poggiò una mano sulla spalla e, nonostante sapesse che tra i due non scorresse buon sangue da quando Peter l’aveva lasciata ed aveva sposato la mamma di Carl, notò quanto alla donna avesse fatto piacere quel gesto. Si tranquillizzò.
Margareth trattenne un sorriso tenero.
Prima che potesse anche accorgersene, Carl le si avvicinò e le scoccò un piccolissimo bacio sulla guancia prima di avviarsi verso l’altare. La testimone di Diana era una ragazzina bassa e dai crespi ricci dorati, che aveva lasciato sciolti sulle spalle, stretta in un vestito verde acqua a palloncino che la faceva sembrare anche leggermente più alta per via delle zeppe altissime.
Maggie non l’aveva mai vista – ovviamente – né tantomeno ne aveva mai sentito parlare, ma i suoi occhi neri e le sue spalle morbide le fecero capire che dovesse essere proprio una brava ragazza.
Il suo volto rotondo e pulito le suggeriva l’immagine di una ragazza studiosa che aveva degli obiettivi e che si impegnava enormemente per perseguirli. E il sorriso gentile sulle sue labbra completò il quadro: chiunque lei fosse, era felice quasi come tutti quanti loro.
La cerimonia non fu lunga, Diana non lasciò nemmeno per un secondo la mano calda e scura di Zayn e – quando arrivò il momento delle promesse a vicenda – espose una voce ancora più agitata di quella del ragazzo.
Margareth non era mai riuscita ad immaginare Diana Pearson che parlava con una voce insicura e rotta dall’ansia, era semplicemente una idea che non l’aveva nemmeno mai sfiorata. Come se alla ragazza riccia dagli occhi di ghiaccio fosse impossibile spezzarsi o cadere, proprio ciò che pensava di Carl le prime volte in cui l’aveva visto e quando aveva imparato a conoscerlo. La stessa cosa che, inevitabilmente, aveva pensato di Peter Pearson.
Arrivò in quel momento alla conclusione che aveva sbagliato tutto sin dall’inizio, che aveva errato nei calcoli, che si era adagiata sugli allori e aveva commesso lo sbaglio più grande di tutti: si era affidata all’apparenza. Aveva visto la superficie e aveva dato per scontato che fosse allo stesso modo anche la polpa interiore.
I Pearson non erano affatto indistruttibili, non erano affatto inarrivabili, non erano fatti di ferro né di cemento armato, non nascondevano l’indifferenza e l’apatia dietro la patina trasparente dei loro occhi.
Anzi.
Avevano un mondo, dietro gli occhi di cristallo, un mondo enorme e bellissimo, un mondo dove valeva la pena vivere e piangere e sorridere e morire. Pensò che, infondo, era proprio stata fortunata ad averli incontrati. Ad aver avuto il modo – e l’onore – di conoscerli, di studiarli, di poterli ammirare da vicino come fossero statue Elleniche. Somigliavano tanto a delle linee curve disegnate sulla superficie di un foglio bianco, apparentemente senza un senso eppure belle ed armoniose da vedere. E la verità, quella celata e sorprendente, del vero significato che nascondono.
Nessuno è indistruttibile, nessuno è inarrivabile, nessuno è fatto di ferro o di cemento armato, nessuno può nascondere indifferenza e apatia dietro la patina dei propri occhi, semplicemente perché non esistono. Semplicemente perché tutti – nessuno escluso – crollano. Si spezzano. Si feriscono. Semplicemente perché il peso delle parole non solo dipende da chi le dice ma anche da quanto potere gli si dà.
Se non lascio entrare niente, niente mi distruggerà.
E poi arriva quel qualcuno, quella persona che – non importa il tempo, non importa le difficoltà, non importano gli sguardi altrove né le parole taglienti – ti penetra, ti entra dentro senza muovere un solo passo da fuori, che riesce a vederti per quello che sei, che non si spaventa. Che impara ad amarti e ti insegna a farlo a tua volta, e allora a cosa serve proteggersi se non si ha più paura di essere distrutti?
Ci sono sguardi fatti di tutte quelle parole non dette, sguardi fatti per bruciare come fuoco benevolo, sguardi che ti scavano dentro davanti a tutti e tu puoi solo restare a guardare, inerme: sguardi come quello che Zayn rivolse a Diana l’istante dopo il suo ‘’lo voglio’’ a malapena sussurrato, sguardi che – lo capisci – significano che davvero lo vuoi.
E poi c’erano le lacrime della mamma di Diana che ritornarono pian piano a far capolino sul suo volto magro, il mento altero rivolto verso l’alto di Peter Pearson in una voluta posa da duro, Carl che stringeva le mani in pugno per cercare di controllare le emozioni (ancora una volta, ancora per sempre), la damigella vestita di giallo che sorrideva a centodue denti sotto la sua zazzera di capelli viola, c’erano gli applausi delle centinaia di persone invitate che Margareth si era voltata per guardare, c’erano i tacchi alti che non importa se fanno male, non importa nient’altro.
C’era una luce anomala che fuoriusciva da una delle finestre arcuate sull’altura della cupola, una luce giallognola che illuminava la chiesa ancor più di prima, che sembrava voler prendere parte all’euforia generale. Margareth, per un istante, un solo misero istante, ebbe l’impressione di vedere un’altra persona vestita di bianco, un altro ragazzo accanto a lei all’altare, con i capelli biondissimi che brillavano sotto quella luce dorata e familiare. Morgan scomparve ancor prima che potesse battere le sopracciglia per accertarsi della veridicità di quel che aveva appena visto, la sposa aveva i capelli castani ed era più alta, lo sposo era l’esatto opposto di quel che era stato – e che era – Holland Todd.
Maggie scosse la testa e cercò di ignorare la consapevolezza che era la seconda volta che li immaginava così, sorridenti, spensierati, felici.
E poi, come in un’esplosione di mille fuochi e mille stelle e mille meteore e supernove, Zayn e Diana si baciarono.
Vi dichiaro marito e moglie.
 
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Holland indossava una felpa slabbrata dei Doors e i pantaloncini che metteva quando faceva basket. I capelli biondi erano sparsi un po’ ovunque, diretti in tutte le direzioni e in nessuna allo stesso momento, e lo facevano sembrare più piccolo dei suoi diciotto anni.
Morgan camminava accanto a lui, ogni tanto le loro braccia si sfioravano ma il tessuto della sua felpa nera e di quella rosa della ragazza era troppo spesso perché potessero sentirsi realmente. Morgan aveva stampata sul volto la stessa espressione di quando Land l’aveva conosciuta: un misto di infelicità e pretesa, un insieme di ‘’vaffanculo’’ e ‘’portami via lontano.’’
Non la conosceva ancora bene, Morgan, eppure aveva ben immaginato il suo essere e la sua essenza: tipica ragazza ricca alla ricerca del brivido, tipica aristocratica che vuol toccare il fondo per provare l’ebrezza di risalire e ritornare a prendere il thè alle cinque del pomeriggio con le amiche alto-borghesi. Eppure c’era qualcosa in quella ragazza, qualcosa a cui non riusciva a dare un nome e che non riusciva ad indentificare, che lo spingeva verso di lei ogni volta che tentava di allontanarsene.
Holland non era mai stato un ragazzo impulsivo né tantomeno un ragazzo preso da qualcosa, affrontava tutto con il tipico disinteresse che lo contraddistingueva e rispondeva con le solite frasi saccenti che dimostravano quanto poco tenesse a tutto ciò che aveva attorno.
Non aveva mai avuto una relazione seria, non la cercava, non aveva bisogno di costanti perché la sua bussola non aveva il Nord.
Eppure Morgan Grey lo stava scombussolando.
‘’So già a cosa stai pensando’’ lo distrasse dai suoi pensieri, lei, incrociando le braccia al petto. Nessuno sapeva a cosa pensasse. Nessuno aveva la pretesa anche solo di insinuarlo. Coraggiosa, la ragazza. ‘’Povera ragazzina ricca, vorrei proprio vedere come se la caverebbe se avesse un affitto sulle spalle e una vita da portare avanti.’’
Era esattamente quello a cui stava pensando. Fu piacevolmente sorpreso, alzò un sopracciglio e sogghignò. ‘’Non pensi che tu sia la prima a pensarlo, se ti dimostri così sicura che sia ciò a cui sto pensando io?’’
Morgan lo guardò dubbiosa, prima di ritornare a consumare l’asfalto della strada. ‘’Non sono come tu pensi che io sia’’ disse, dopo un tempo che parve infinito.
‘’E allora come sei?’’
Holland non aveva intenzione di fare quella domanda ad alta voce, era semplicemente qualcosa a cui aveva pensato nella frazione di un secondo e che non era riuscito a trattenere.
Morgan si voltò di nuovo verso di lui, i capelli biondi ad incorniciarle il volto latteo e gli occhi di chi cercava di vedere oltre. Poi scrollò le spalle, ignorando bellamente la domanda. Fu in quel momento che Land capì che, probabilmente, nemmeno lei sapeva come fosse né tantomeno chi fosse. E allora pensò che, dopotutto, poteva permettersi di sbilanciarsi per una volta.
‘’Qual è la tua più grande paura, Morgan Grey?’’ le chiese a bruciapelo.
La ragazzina bionda continuò a camminare allo stesso passo, non si voltò di nuovo per guardarlo, ma rispose alla domanda quasi subito. Come se l’avesse posta a se stessa altre mille volta, prima di quel momento, perché la sua voce uscì fuori sicura e senza la minima presenza di esitazione.
‘’Ho paura di morire’’ rispose.
‘’Bhè, tutti dobbiamo morire’’ la scimmiottò Land. ‘’Fa parte del naturale corso delle cose.’’
‘’Ho paura di quello che succederebbe dopo la mia morte’’ continuò Morgan, come se lui non avesse detto assolutamente niente. ‘’E, sopra ogni cosa, ho paura di non riuscire a dare alle persone un bel ricordo di me.’’
‘’E’ una paura stupida’’ non lo disse con cattiveria, Land, diede solamente voce ai suoi pensieri. Per lui era qualcosa di assurdo e inconcludente aver paura della morte, perché era il fine stesso della vita, come in un cerchio che deve chiudersi per essere completo e per avere un senso.
‘’E tu? Qual è la tua più grande paura, Holland Todd?’’
Aveva una buona capacità di cambiare discorso, la mocciosa, questo occorreva ammetterlo.

‘’Io ho paura del tempo’’
‘’E’ una paura stupida’’
‘’Questo è uno dei motivi per cui io e te non andremo mai d’accordo, ragazzina.’’

 
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La sera era scesa sulle loro teste, le stelle in cielo sembravano voler brillare ancora di più per partecipare in qualche modo alla festa. Il ristorante che Diana – e Zayn, si fa per dire – avevano scelto, dava su un lago artificiale che era calmo come una tavola, era attorniato da un giardino immenso dove erano stati disposti i gazebi bianchi e gialli e che era stato recintato con dei lampioni eleganti. Margareth non aveva avuto mai il minimo dubbio, conoscendo i gusti di Diana, anche dal magnifico secondo abito da sposa che aveva indossato. Corto fin sopra le ginocchia, di un bianco lucente e decorato da tutti i tipi di merletti e di pizzi presenti sul mercato.
In uno dei pochi momenti in cui era stata libera e si era avvicinata al suo tavolo per scambiare due parole, Diana le aveva detto che proveniva direttamente da Venezia.
Le erano state presentate la damigella, Violet, un’amica dell’università di Diana che si sarebbe laureata a breve, e la testimone, Samantha, che invece aveva conosciuto nella scuola dove aveva iniziato ad insegnare inglese. Le ragazze, amiche anche tra di loro, si erano subito dimostrate gentili e simpatiche, l’avevano messa subito a suo agio. E non era una cosa facile, dopotutto.
Aveva conosciuto Lana, la mamma di Diana e la matrigna di Carl, che l’aveva abbracciata pur non conoscendola per niente e le aveva sussurrato parole dolci all’orecchio. Aveva ancora gli occhi lucidi, nonostante fosse sera inoltrata e sua figlia fosse già sposata da un pezzo.
Aveva conosciuto, personalmente da Carl, il famosissimo Peter Pearson. Pur non essendo stato di molte parole, le aveva stretto calorosamente la mano e aveva tentato di sorriderle nel modo meno invadente del mondo. Le aveva fatto pochissime domande, al contrario di tutti quanti gli altri, e poi aveva guardato Carl a lungo. Aveva sorriso anche a lui, dandogli una leggera pacca sulla spalla. Maggie capì che, probabilmente, voleva significare molto più di quel che sembrò a lei.
Aveva conosciuto una trafila di parenti e di amici che Zayn e Diana avevano tenuto a presentarle, per farla sentire ‘’parte di una strana famiglia allargata.’’
I parenti che appartenevano anche a Carl erano pochissimi, in netta minoranza, quindi lui era rimasto zitto per gran parte del tempo. Al tavolo, poi, erano stati posizionati vicino una coppia di zii inglesi di Diana che – oltre ad avere una parlantina esagerata e quasi incomprensibile – erano stati in silenzio giusto il tempo di un boccone. E Margareth, che per educazione annuiva e prestava attenzione ai loro discorsi infiniti, si era ritrovata imbottigliata nelle loro chiacchiere.
Zia Lucille e zio Edward sembravano volerle raccontare sessant’anni di vita cadauno.
Fu quando l’orologio le segnò le nove in punto che, con lo stomaco pieno e un atroce mal di testa, mentre Lucy continuava a raccontarle qualcosa a proposito di suo figlio trasferito in Cina, Carl si alzò ed – educatamente – si diresse verso le ringhiere che davano sul laghetto.
E lei, a suon di ‘’con permesso’’, si alzò dal suo posto e lo raggiunse.
Vicino all’acqua il clima era meno clemente, tanto che si pentì di non aver portato il suo cardigan nero con sé. Individuò Carl quasi immediatamente, con le braccia poggiate sulla ringhiera grigia e un’espressione di serenità sul volto. La camicia bianca non si era spiegazzata nemmeno un po’, incredibilmente, e i pantaloni gli stavano ancor meglio di prima. Silenziosamente, Margareth gli si affiancò ed imitò la sua posizione. Prese a guardare l’acqua dinanzi a lei anche quando sentì gli occhi di Carl bruciarle il corpo, e poi sorrise senza voltarsi.
‘’Perché sorridi?’’ le chiese immediatamente lui. Solo allora Maggie si voltò verso di lui e poggiò una delle sue mani su quella fredda di Carl.
‘’E’ curioso che tutto sia iniziato con dell’acqua ed una ringhiera e tutto finisca esattamente allo stesso modo.’’
Carl sorrise e le si avvicinò, passandole un braccio attorno alle spalle. Non fu solo per il freddo che Margareth rabbrividì, ma le piacque pensare così. ‘’Hai fatto innamorare tutti gli invitati, non ti ho parlato per un secondo oggi’’ la prese in giro, pizzicandole leggermente una spalla.
‘’Tu puoi parlarmi sempre, però’’ sorrise lei.
Sentì le labbra di Carl fermarsi sulla sua tempia nonostante il bacio fosse finito, sentì il suo respiro, il ritmo veloce del suo cuore al di sotto della camicia, e poi guardò l’immensa distesa d’acqua trasparente che aveva davanti. Trasparente come gli occhi di Carl, limpida come il suo carattere, fresca come la sua personalità, avvolgente come tutto quello che faceva, avvenente come tutto quel che diceva. Vicina, immobile ma pur sempre presente.
‘’Ti amo, Margareth’’ le sussurrò lui, estemporaneo come sempre seppur immensamente giusto.
Immensamente amore mio.
Fu in quel momento che vide le stelle brillare ancora di più, tutte quante allineate sopra la sua testa, la stella polare prima di tutte, che con il loro bagliore rendevano il mondo un posto da vivere. Come Carl Pearson, che aveva reso il suo mondo un posto da vivere.
Pensò che, dopotutto, non avrebbe mai trovato le parole giuste per ringraziarlo. Che nessuna dichiarazione e nessun discorso sarebbero mai stati capaci di esprimere a parole tutto quello che sentiva, tutta la gratitudine che provava, tutta la leggerezza che lui aveva portato nel suo animo senza alleggerire di un minimo il suo. Pensò che Carl lo sapesse, che glielo leggesse negli occhi quella sera e che l’avrebbe letto negli stessi occhi tutte le sere a venire, che non ci fosse bisogno dei paroloni o dei ‘’ti amo’’, ‘che tanto lo sapeva bene quello.
Pensò che non esistesse il destino ma che, invece, esistesse qualcosa al di sopra di loro, qualcuno al di sopra della vita stessa, che decidesse e comandasse e facesse accadere tutte le cose. Pensò che Morgan, quella sera, non dovesse essere poi così tanto lontana, che Holland – insieme a lei – li stesse guardando.
Ti dedico tutta la felicità che sto provando adesso, sorellina, ti dedico tutta la gioia che proverò in futuro e ti ringrazio per essere esistita e per continuare ad esistere nel mio cuore. E penso che esista un posto, da qualche parte ed in qualche tempo, in cui le nostre strade si incroceranno ancora una volta, in cui potrò vederti in tutto il tuo splendore per quella che sei, in cui mi renderò conto – finalmente – che tutte le strade della mia vita, alla fine, mi hanno sempre portato a te.
Pensò che la vita è solo vita, che se ami realmente una persona tutto il resto perde importanza.
Perde importanza il tempo, perde importanza la morte, perde importanza la distanza, l’oblio, il buio. Una volta aveva letto che ovunque sei, ovunque vai, sei sempre ad un millimetro dal mio cuore.
E forse lei sarebbe stata per sempre una bambina viziata, forse Carl l'avrebbe riparata o forse l'avrebbe lasciata rotta e difettosa, così com’era, con i suoi difetti ed i suoi capricci, pur amandola lo stesso. O forse sarebbe cresciuta, maturata, sarebbe diventata la persona che Morgan non aveva avuto modo di diventare, che Holland non aveva voluto essere.
In quella notte in cui le stelle sembravano cantare e sorridere con loro, tutta la tristezza e tutto il dolore e tutte le notti insonni e tutte le lacrime silenziose sparirono in una brezza leggera.
Portate via dal vento, lontano, dove il buio non può e non fa più paura.


 
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SCUSATE SCUSATE SCUSATE. 
So benissimo di essere in ritardo allucinante, ma l'estate mi ha completamente assorbita e 
sono stata a Napoli fino alla settimana scorsa. 
Comunque eccovi qui L'ULTIMO CAPITOLO di Amnesia, prima dell'epilogo...
Evito i sermoni e le filippiche e i pianti perchè li riservo al prossimo capitolo...
Anzi, mi dileguo subito. Spero vi piaccia.
Grazie, come sempre, di e per tutto <3
Harryette
  
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