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Autore: Lost on Mars    23/06/2015    5 recensioni
SEQUEL DI "INDACO" (http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2746316&i=1), è consigliabile la lettura.
C’è stato un momento in cui Amelia e Ashton sono rimasti intrappolati in una vecchia istantanea in bianco e in nero: nessun colore a determinare la loro gioia, felicità, paura o tristezza. Nedlands sembra aver congelato la loro esistenza, li ha tagliati fuori dal mondo e non c’è stato niente se non pace e tranquillità. Dall’altra parte dello Stato, però, Luke è a piede libero e va cercando la propria vendetta. Responsabilità e pericoli di duplicano e il mondo li poterà a schierarsi: bianco da una parte e nero dall’altra, in perenne lotta tra di loro. Chi vincerà?
Dalla storia:
«Non ho altra scelta. La mia vita e quella di mio figlio contro la felicità della mia famiglia, so benissimo che li farò soffrire, ma se fossi io a morire sarebbe peggio, non credi?»
«Se non fermiamo Luke passeremo la vita a fuggire da lui. Anche se riuscissimo a cavarcela per i prossimi mesi, spostarsi con un bambino sarebbe impossibile.»
«Fermarlo? Ci abbiamo provato e lui è fuggito dal carcere. Non possiamo fermarlo, è inarrestabile.»
«Ma non è immortale.»
Genere: Azione, Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Calum Hood, Luke Hemmings, Michael Clifford, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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13 – IL SUONO DEL SILENZIO

 

Il tempo si era congelato. Amelia era rimasta con la mente ferma agli istanti che seguirono la scomparsa di Ashton dietro la porta di casa, quelli in cui i suoi passi giù per le scale erano più assordanti di una bomba che esplodeva. I minuti, o forse le ore, ripresero a scorrere solo quando, nel salotto, si aggiunse un’altra presenza: Nola.
Amelia aveva quasi dimenticato che la ragazza, durante il litigio, si trovava nella stanza accanto. Non si chiese se avesse sentito tutto, perché era ovvio che l’avesse fatto, e non se ne curò nemmeno poi così tanto. Non le importava, o almeno questo era ciò su cui cercava di convincersi. Le rivolse uno sguardo fugace, prima di ritornare a puntarlo da qualche altra parte. Rimase molto sorpresa, però, quando la bionda si sedette al suo fianco. Rimase ancor più sorpresa, quando le chiese se andasse tutto bene. Nola era una di poche parole, tranne che con Calum, per questo Amelia la osservò a lungo, prima di risponderle. Da una parte, avrebbe voluto esternare tutti i suoi sentimenti, piangere, non mettere alcun freno inibitore e sfogarsi, raccontando a quella povera ragazza tutte le cose sbagliate della sua vita, tutte le situazioni che potevano essere evitate, tutte le scelte che avrebbe potuto fare invece di scappare.
«Va tutto bene?» le chiese una seconda volta.
«No.» La risposta di Amelia fu secca e tagliente, quasi dura. Si pentì subito d’aver usato quel tono: Nola non c’entrava nulla in tutta quella storia, aveva solo ascoltato tutte le cose cattive che si erano detti. Ripercorrendo gli attimi cruciali della discussione, Amelia si diede della stupida. Per aver provato a contraddire Ashton e per avergli permesso di andar via, anzi, per averglielo imposto.
«Scusa» si affrettò a dire, immediatamente. «Sono solo un po’ scossa. Mi passerà.»
«So di non dovermi intromettermi, ma se vuoi possiamo parlarne. So anche se non mi conosci benissimo e io non conosco te, ma puoi fidarti di me. Io l’ho fatto con tutti voi» continuò Nola. «E poi, abbiamo un problema in comune, noi due.»
Amelia si lasciò scappare un sorriso. «Già… Luke Hemmings, la nostra rovina.»
Nessuna delle due disse niente, alla fine. Amelia non ne parò con Nola e Nola non insistette con Amelia. Rimasero sedute sul divano, vicine, consapevoli che, qualsiasi cosa avessero detto, ci sarebbe stato qualcuno ad ascoltarle.
Amelia sapeva benissimo che avrebbe passato ore d’agonia, seduta lì. Ore ad aspettare Ashton. Perché era convinta che sarebbe tornato, prima o poi. Aveva bisogno di una passeggiata, di una boccata d’aria, non se n’era mica andato. Ne era sicura.
Nola dopo un po’ le chiese se avesse fame. Amelia scosse la testa e la bionda andò a preparare qualcosa per la cena.
Arrivò Calum, dopo il lavoro, e vedendo Amelia in quello stato di trance, chiese a Nola cosa fosse successo. La mora avrebbe voluto che Calum non ne sapesse niente, ma alla fine, era inevitabile che Nola gli raccontasse del litigio che era avvenuto prima.
Amelia lo capì dal guizzo negli occhi di Nola: lei non riusciva a mentirgli, così come lui non riusciva a farlo con lei. Erano strani, si comportavano in modo strano. Che il mondo intero stesse cambiando e lei non se ne fosse nemmeno accorta?
Non fece però in tempo a formulare altri pensieri, che Calum fu davanti a lei e si ritrovarono entrambi in piedi, l’uno di fronte all’altro.
Amelia si svegliò.
«Amy… dì qualcosa. Cosa è successo con Ashton?» Nella voce di Calum c’era un’urgenza quasi disperata, che Amelia aveva sentito raramente. Era sorpresa di sentirla in quel momento.
«Se ne è andato.» E al contrario, Amelia parlava con una tale piattezza da lasciare Calum interdetto. Lo vide, lo sentì e lo percepì: le parole di lei erano tutte vuote.
«Voleva andarsene, io gli ho detto di farlo. Non so dov’è, ma adesso voglio che ritorni. È uscito ore fa.»
Calum sospirò. «Come, se ne è andato?»
«Andato, Calum. Ne conosci il significato? Ha aperto la porta, ha sceso le scale e non è tornato. Io… non so dove sia» disse ancora Amelia, il cuore che le batteva all’impazzata. «So solo che lo voglio qui. Non riesco a stare tranquilla, sapendolo chissà dove a fare chissà cosa.»
«Prima di tutto, credo che tu debba calmarti» osservò Calum, mettendole una mano sulla spalla. Amelia cominciò a scuotere la testa.
Calmarsi? Come poteva essere calma se Ashton era in giro per le strade di Sydney, da solo, al freddo, con la testa piena di pensieri, piena delle parole che si erano rivolti? Con il cuore vuoto, a cui mancava la sua metà, indifeso. Come?
«No, non mi calmo affatto»
«Vuoi mangiare qualcosa? Nola ha detto che non hai mangiato nulla da quando hai litigato con Ashton. Devi mangiare-»
Amelia scosse ancora la testa. No. Non ce la faceva, non poteva. Ogni cosa passava in secondo piano: mangiare, riposarsi, dormire… Ashton non c’era, e niente era più importante. Si sentiva incompleta, aveva paura di non vederlo tornare mai più, aveva paura di vivere per sempre con il rimpianto di non averlo baciato un’ultima volta. Fu colta dal panico: come avrebbe vissuto senza di lui? Come avrebbe cresciuto suo figlio senza di lui? No, era assurdo, assurdo! Ashton doveva tornare. Lei doveva cercarlo. Doveva portarlo a casa.
«Devo uscire di qui» disse ancora, ma Calum la fermò. «No, ti prego. Fermati, lasciami andare. Io devo uscire, devo cercare Ashton, devo riportarlo da me.»
«Stai vaneggiando, Amelia. Calmati. Siediti, mangia qualcosa, Ashton tornerà.»
«No, tu non capisci. Non tornerà se non lo cerco!» esclamò, piena di rabbia, vuota di ragione. La rabbia si trasformò in qualcosa che non seppe definire, ma che la fece piangere. Era arrivata al culmine: aveva fuggito quel momento per tutto il pomeriggio, l’aveva evitato, dicendosi che non avrebbe permesso di finire così, ma alla fine non ce l’aveva fatto.
Dopo un tempo che nemmeno ricordava, dopo mesi e mesi, si era ritrovata di nuovo a piangere tra le braccia di Calum.
Era inarrestabile, lui, istintivamente, l’aveva circondata, le accarezzava la schiena, dolcemente, cercava di parlarle, di dirle che sarebbe andato bene. La sentiva infinitamente piccola, in quell’abbraccio, pur sapendo che quel corpo fragile, che singhiozzava rumorosamente, apparteneva ad una donna forte. Vederla in quello stato, sentirla piangere contro il suo petto lo fece stare male.
Ashton era l’unica cosa che l’avrebbe fatta smettere, e sapendo questo, Calum non riusciva a pensare ad altri modi per rincuorarla. Avrebbe potuto portarle la luna, ma non sarebbe basta, perché non era la cosa giusta.
«Lasciami uscire, Calum» disse ancora, con difficoltà, perché annaspava e soffocava nelle sue stesse lacrime, che scendevano ancora e ancora e le rigavano il viso.
«Non posso. Non puoi uscire in questo stato. Sei a pezzi.»
«Continuerò ad esserlo se non lo trovo.»
Si guardarono negli occhi, Calum sentì il proprio cuore che si spezzava, Amelia voleva era accecata dal desiderio di avere di nuovo Ashton con sé.
Nola s’intromise: «Potresti accompagnarla, io starò bene qui.»
«Va.. va bene» sospirò Calum, alla fine. Lasciò andare Amelia.
Il tempo di andare in camera a prendere le chiavi dell’auto e la giacca, e Amelia era sparita dal salotto. La porta s’ingresso non aveva sbattuto: era ancora aperta.
 
 
***
 
Aveva dimenticato la sciarpa a casa di Calum, ma il freddo non sembrava quasi scalfirla. Fuori era buio e le strade erano vuote, i suoi passi facevano rumore nella sua testa, ma lei non li sentiva. Aveva fatto una pazzia, ma non poteva permettere a Calum di accompagnarla, non voleva che se ne andasse anche lui. Troppe persone era uscite per andare chissà dove, quel giorno, non avrebbe permesso che anche lui soffrisse a causa sua. Sapeva che Calum fosse comunque uscito, magari per cercarla, ma confidava nel fatto che avesse preferito rimanere a casa con Nola. Quest’ultima era la più improbabile delle ipotesi, ma era l’unica in cui voleva credere.
Con le mani in tasca e il passo deciso, Amelia aveva camminato così tanto da non capire più dove si trovasse. Le strade a Sydney erano tutte uguali, forse si era persa, ma non ebbe paura: non importava perdersi finché Ashton era perso assieme a lei. L’avrebbe trovato e lui l’avrebbe riportata a casa. E sarebbe rimasto, si sarebbero chiesti scusa. Tutto sarebbe andato bene.
Non sapeva cosa sentiva, ma era orribile. Era come se si sentisse in colpa, ma allo stesso tempo sapesse che non c’era nulla per cui dispiacersi. Gli aveva detto di andarsene, vero. Ma era stato lui a tirare fuori il discorso. Si chiese se non avesse dovuto, in qualche modo, assecondarlo, lasciarlo parlare e lasciarlo sfogare. Lasciare che le raccontasse tutte le sue paure, che piangesse, che parlasse che si aprisse. E invece, testarda come al solito, gli era andata contro, credendo di fare del bene.
Aveva cercato di aprirgli gli occhi per l’ennesima volta, dicendogli che lui era fantastico, che non aveva colpe, che non doveva angosciarsi così tanto. Ma come era possibile che parole del genere ferissero più di un freddo silenzio?
Amelia non capiva. Non ci capiva più niente. Arrivò a domandarsi se non avessero sbagliato tutto. Tutto quanto. Mentre camminava, quella sera – o quella notte, non sapeva che ore fossero – credé che Ashton, tempo prima, avesse avuto ragione.
E se non si fossero mai incontrati? Amelia avrebbe sentito tutta quella sofferenza, avrebbe pianto abbracciata a Calum e avrebbe pianto mentre l’aria fredda le spazzava via le lacrime e le pungeva il viso?
Lo credé, ma non riuscì a pentirsi di nulla.
Avrebbe superato anche quello, come aveva superato ogni singola cosa che le era capitata negli ultimi mesi. Evitò di pensare che, in tutte le occasioni precedenti, aveva avuto Ashton al suo fianco, mentre in quel momento era da sola.
Sola contro il mondo, alla ricerca di chi avrebbe riempito il vuoto. Lo cercava negli angoli delle strade con gli occhi, nelle voci delle persone con le orecchie. Lo cercava col cuore, ma quello non funzionava. Non riusciva a portarla da lui.
Dov’era Ashton? Perché non era tornato a casa?
E se gli fosse successo qualcosa? Non se lo sarebbe mai perdonato. Il solo pensiero che gli avessero fatto del male dopo essere uscito a… causa sua, la faceva sentire male. Cercò di scacciare via quell’orribile immagine dalla sua testa, perché si sentì mancare l’aria. Non poteva permettersi di arrendersi, doveva pensare positivo.
Avrebbe trovato Ashton, sarebbe andato tutto bene.
Ma era difficile pensarlo, date le circostanze.
Volle tornare a casa, arrendendosi di fronte al suo fallimento. Fece dei respiri profondi e spense le emozioni per un attimo. Pensando a mente lucida, capì il percorso da fare per tornare indietro e realizzò che, alla fine, non si era allontanata nemmeno così tanto.
La sua unica speranza risiedeva nell’illusione che Ashton sarebbe tornato anche senza di lei che lo andava a prendere.

 
 
 
Marianne's corner
Saaaaaalve a tutti. Giuro che ho una giustificazione valida per il ritardo. Avete presente quando vi svegliate all'una del pomeriggio, pranzate e vi gettate sul letto/divano a leggere o guardare la tv perché non avete voglia di fare niente? Ecco, dopo due feste (di merda) sono troppo stanca per fare alcunché. Ragion per cui questa mattina sono andata a correre (e sono morta), ma almeno sono sveglia, quindi aggiorno.
Anyway, torniamo a noi. Eccoci al capitolo molto di passaggio che, lo so, è molto confuso, frettoloso... ma io voglio arrivare al punto! Preparatevi ai prossimi capitoli, sono tutti una corsa ehehehe.
Okay, ora taccio e torno a sentire a ripetizione l'album dei The 1975 (mi sono innamorataaa *-*), chissà, magari divento ispirata (?)
Ringrazio cihunque segua/legga/recensisca questa storia. Grazie! ♥♥♥
Marianne


 
   
 
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