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Autore: Gatto1967    23/06/2015    2 recensioni
L'ultimo giorno d'estate un gruppetto di scout romani si avventura fra le campagne laziali.
Qualcuno o qualcosa trasformerà la loro escursione nel peggiore incubo della loro vita.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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L’ultimo giorno d’estate
 
Il fuoco scoppiettava in mezzo al cerchio formato da quei sette scout in calzoncini e fazzolettoni al collo.
Erano in sette, sei ragazzi di sedici anni e la loro capo-unità, una ragazza di ventiquattro anni.
Finita l’ennesima canzone di quella serata Carola, la capo, guardò il suo orologio.
«Bene ragazzi. Considerata l’ora e che comincia a fare freddino, proporrei di chiudere la serata con un giro di presentazioni. Ognuno di noi si presenti e dica cosa si aspetta e cosa si impegna a fare in quest’anno che stiamo iniziando.
Comincio io.
Mi chiamo Carola, ho ventiquattro anni e studio medicina.
Quest’anno sarò la vostra capo insieme a Luca che non è potuto venire perché all’ultimo gli è venuta la febbre.
Fino all’anno scorso ero con i lupetti e quest’anno mi sono trovata a fare la capo dei novizi. Per me, come per voi, è tutto nuovo e il mio proponimento è di imparare insieme a voi. Di essere una di voi con voi.
E in questo chiedo il vostro aiuto.»
Finito il suo breve discorso, la ragazza si girò verso il suo vicino, come a dargli il via libera.
 «Simone, sedici anni.
Faccio il secondo anno del tecnico industriale, anche se dovrei fare il terzo. Sapete, quando ho finito le medie e sono arrivato alle superiori tutti mi dicevano “guarda che è dura” mentre io dicevo “ma no, è una cavolata”. Ho capito che era dura.» Il gruppetto rise.
«Frequento questo gruppo da tre anni e finora mi sono trovato bene. Certo, un conto è stare con i ragazzini, altra cosa è cominciare a stare con i più grandi.
Da questo anno mi aspetto di diventare “più grande” continuando a divertirmi come mi sono divertito finora.»
«Carlo, sedici anni.
Studio in una scuola professionale di elettronica ed elettrotecnica. Frequento gli scout da quando avevo otto anni. Praticamente qui ho trascorso la metà della mia vita.
Sapete, non vado molto d’accordo con i miei, ma li ringrazio di avermi mandato qui.
In questo gruppo ho vissuto alcuni dei più bei momenti della mia vita e spero di viverne degli altri.»
«Piera, sedici anni.
Faccio il terzo anno del liceo classico.
Vengo da un altro gruppo scout dall’altra parte di Roma.
Mi sono trasferita all’inizio di quest’estate, e siccome per arrivare al mio vecchio gruppo, mi ci vorrebbe più di un’ora di viaggio e adesso abito proprio davanti alla nostra parrocchia, la scelta è stata obbligata.
Mi trovavo bene al mio vecchio gruppo e spero di trovarmi bene anche qui, insieme a voi.»
«Maddalena, sedici anni.
Questo è il mio primo anno di scout. Sono venuta su consiglio di una vicina di casa che ha i figli nei lupetti.
Studio allo scientifico e un giorno vorrei fare medicina.
Sono tristemente famosa per essere una ritardataria cronica.»
«Ce ne siamo accorti.» la interruppe Carola sorridendo «Ma non temere: ti metteremo in riga.»
«Per me lo scoutismo rappresenta un’esperienza nuova. Sapete, io ho sempre amato la Natura e questa mi sembra un’attività in linea con le mie passioni.»
«Andrea, sedici anni ancora da compiere.
Studio al linguistico insieme alla mia sorella gemella Francesca, seduta qui accanto a me. Non riesco a levarmela di torno!»
La sorella gli diede una gomitata e tutti risero.
«Frequentiamo questo gruppo da sei anni. Ci piace molto lo scoutismo un po’ per tutti i motivi che avete detto voi: ci divertiamo, ci piace la Natura, abbiamo molti amici…»
«Francesca, la sorella gemella di questo squallido individuo. Praticamente ha già detto tutto lui, io vorrei solo aggiungere di non far caso ai nostri continui battibecchi, in realtà ci vogliamo un gran bene. non è vero fratellino?»
«Sì, sì, come no?»
Altra gomitata e altra risata del gruppo.
«Ok ragazzi.» disse Carola. «Adesso basta ridere e scherzare. Domani ci aspetta una lunga strada quindi propongo di andarcene a dormire. Oggi è l’ultimo giorno d’estate e per qualche mese le nostre uscite saranno tutte al coperto, quindi godiamoci questa dormita in tenda.
Buonanotte a tutti!» concluse alzandosi in piedi.
 
Carmela entrò nella stanza 17. L’unica occupata da un solo paziente.
Quel paziente non mancava mai di inquietarla. Ce n’erano di casi gravi in quella struttura, dove Carmela lavorava da ben dieci anni come operatore, ma quel paziente era decisamente particolare. Era lì da molto tempo prima che lei fosse assunta e nessuno ricordava di avergli mai sentito pronunciare una sola parola.
Tuttavia Carmela e gli altri operatori non mancavano mai di parlarle sempre con un tono vivace e allegro, nell’illusione che qualcosa nei profondi recessi della sua anima potesse reagire.
«Buongiorno dolcezza» disse mentre apriva la finestra facendo entrare la luce del giorno.
«Un momento di pazienza che arriva il mio collega e ti facciamo il bagnetto a letto!
Oggi è una bella giornata, l’ultimo giorno d’estate!»
La faccia perennemente impassibile del paziente della stanza 17 si mosse e Carmela sbarrò gli occhi: era la prima volta che succedeva.
«O-o-o…..»
La faccia di Carmela assunse espressioni che andavano dall’incredulo al terrorizzato: il paziente stava cercando di parlare!
«Og-gi…. È il giorno…»
In quel mentre entrò anche Gianluca, il collega di turno, e anche la sua faccia assunse le stesse espressioni di sconcerto e paura che si erano dipinte sul volto di Carmela.
                                           
Prima di cenare e mettersi intorno al fuoco i ragazzi avevano montato tre tende: una per i tre maschietti e altre due per le quattro ragazze.
Mentre tutti gli altri si dirigevano verso le tende, Simone prese tutt’altra direzione.
«E tu dove cavolo vai?» lo richiamò Carola «Non intendo prendermi responsabilità per le vostre scorribande notturne, chiaro?»
Simone era famoso per essere particolarmente ribelle all’imposizione di andare a dormire.
«Posso andare a fare pipì?» chiese di rimando con un’aria particolarmente insofferente.
«D’accordo, ma ti voglio in tenda fra cinque minuti al massimo.»
Senza rispondere Simone si diresse verso gli alberi lì vicino. La luce della luna rischiarava sufficientemente il cammino e Carola poté distinguere la sua sagoma sparire fra gli alberi.
 
«Oggi è l’ultimo giorno d’estate.» ripeté per l’ennesima volta il paziente della stanza 17.
«Cosa succede l’ultimo giorno d’estate?» gli chiese la dottoressa Lattanzi seduta accanto al suo letto.
Il paziente si voltò verso la dottoressa con un’espressione allucinata.
«La morte…»
 
Dopo cinque minuti che attendeva invano Carola mutò espressione dall’impaziente all’incazzato nero.
«Adesso lo vado a prendere e lo porto in tenda a calci nel culo! Parola di scout!»
«Avanti!» cercò di dirgli Francesca «Anche se si fa una passeggiata notturna che vuoi che gli succeda? Che se lo mangi un lupo mannaro?»
«Magari! Almeno non dovremmo più sopportare le sue cazzate! Te lo ricordi quando quel ragazzino si è fatto male per seguirlo nelle sue “passeggiate”? Ma se quest’anno mi combina un’altra cazzata del genere, lui con gli scout ha chiuso!»
Ciò detto Carola, con gli occhi che gli uscivano dalle orbite per la rabbia si incamminò in direzione degli alberi dove era sparito Simone.
 
«Si spieghi meglio.» disse la dottoressa «è morto qualcuno l’ultimo giorno d’estate?»
 
Francesca vide la sagoma di Carola sparire fra gli alberi e dentro di sé si trovò a pensare che, in fondo in fondo non aveva tutti i torti. Lei era l’unica maggiorenne in quel gruppetto e di conseguenza l’unica ad assumersi le responsabilità per eventuali cazzate che quel cazzarone di Simone avesse combinato.
Un urlo agghiacciante interruppe le sue riflessioni.
Quella era la voce di Carola!
I cinque ragazzi balzarono tutti fuori dalle loro tende.
«Cazzo succede?!!!» disse Carlo con la voce che gli tremava.
«Prendiamo le torce e andiamo a vedere!» propose Andrea «Voi ragazze rimanete qui!»
«Col cazzo che rimaniamo qui!» gli rispose la sorella «Dobbiamo restare insieme!»
«Ha ragione.» confermò Carlo. «Sbrighiamoci piuttosto!»
Prese al volo le loro torce i cinque ragazzi si incamminarono, con il cuore in gola, nella direzione da cui avevano sentito l’urlo chiamando i loro compagni.
Arrivarono agli alberi e fu come se entrassero in un film dell’orrore. Le sagome degli alberi proiettavano ombre deformate dalla luce della luna.
«Carola! Simone!» continuavano a chiamare i ragazzi, ma alle loro voci faceva eco un silenzio spettrale, irreale.
 
Il corpo magro e macilento del paziente della stanza 17 cominciò a tremare convulsamente.
I suoi occhi si sbarrarono a dismisura.
«L’ORRORE!!! L’ORRORE!!!»
Gli infermieri e gli operatori immobilizzarono quel corpo malconcio per evitare che si facesse male.
La dottoressa fece un cenno all’infermiera più giovane e lei uscì dalla stanza 17.
 
D’un tratto videro un’ombra davanti a loro.
«Carola? Simone?» chiese Carlo, ma dall’ombra nessuna risposta.
«Perché non rispondi?” chiese Francesca che cominciava ad avere VERAMENTE paura.
«Smettila! Ci stai spaventando!» aggiunse Francesca.
«Va bene!» disse Carlo con aria risoluta «Puntiamogli le torce in faccia!»
Ma prima che i loro cervelli impartissero alle mani l’ordine di puntare le torce, la figura scattò in avanti con un balzo che non aveva niente di umano.
 
L’infermiera rientrò nella stanza 17 con una siringa in mano e la dottoressa la prese. Mentre gli altri faticavano sempre di più a tenere ferma la persona nel letto, la dottoressa riuscì infine a iniettargli l’ago nel braccio.
Il paziente si immobilizzò e poco prima di cadere nell’oblio rivide nei suoi occhi sbarrati quello che successe l’ultimo giorno d’estate di tanti anni prima.
 
L’aggressore, chiunque fosse o QUALUNQUE cosa fosse, morse Carlo alla gola, e lui non riuscì nemmeno a gridare. La sua faccia si deformò in un rantolo d’agonia. L’agonia che precede la morte.
Gli altri quattro ragazzi scattarono istintivamente all’indietro. Nessuno di loro si aspettava una simile aggressione e nessuno di loro ebbe la prontezza di reagire.
«Ma che cazzo è?!!!» urlò Andrea in preda al panico mentre le sue compagne gridavano piangendo.
«Scappiamo!!!» gridò di nuovo Andrea mentre voltava le spalle all’orrida scena.
Le ragazze lo seguirono in una fuga scomposta e precipitosa mentre il misterioso assassino, finito di infierire sul corpo di Carlo, alzò lo sguardo verso di loro.
Mentre correvano con il cuore che batteva all’impazzata udirono un grido rauco e innaturale risuonare alle loro spalle.
Piera inciampò e ruzzolò a terra.
«Aiuto!» gridò ai suoi compagni «Aiutatemi vi prego!»
Solo Francesca ebbe l’impulso di reagire alla chiamata della sua amica e di girarsi.
La chiamò prima di dirigersi verso di lei.
Erano in due a correre in direzione di Piera: Francesca e il misterioso aggressore.
Andrea, sentita la voce della sorella, riuscì ad avere la freddezza di fermarsi e girarsi.
«Francy! Che cazzo fai?!!!»
Vide sua sorella ormai vicina a Piera e dietro di loro l’aggressore incalzava.
Non senza provare un senso di vergogna, si decise a correre in direzione di Piera e della sorella, mentre Maddalena rimase paralizzata.
 
«Ma insomma.» chiese Carmela al suo collega Gianni «Che cazzo è successo l’ultimo giorno d’estate? Perché ha reagito così?»
Si stavano prendendo un caffè nella cucinetta vicino al refettorio.
«Lavori qui da dieci anni e non conosci la storia di quel paziente?»
«So solo che ha avuto un violento trauma e ho sempre pensato a un incidente.»
«No. Non è stato un incidente.»
 
Andrea arrivò vicino a Piera e Francesca, e aiutò la sorella a far rialzare Piera.
Intanto il misterioso aggressore si faceva sempre più vicino.
Piera si rialzò e i tre ragazzi ripresero la fuga.
«Maddalena! Che cazzo fai! Corri!» Gridò Andrea che improvvisamente si era sentito responsabile delle tre ragazze che erano con lui.
Maddalena, sempre più in preda al panico, provò a muovere le gambe quando Andrea e le altre ragazze gli passarono vicino, riuscendo infine a correre anche lei.
Non avrebbero mai saputo dire per quanto tempo avevano corso e a quale velocità, ma infine non ebbero altra scelta che fermarsi. Se avessero insistito a correre i loro cuori sarebbero saltati per lo sforzo.
Caddero a terra esanimi sull’erba umida e solo dopo svariati minuti riuscirono ad avere di nuovo il fiato per parlare.
«Chiunque fosse, ha mollato prima di noi.» disse Andrea rivolto più a se stesso che non alle sue compagne.
«Dove saranno Carola e Simone?» disse Francesca.
«Non credo proprio che possiamo farci illusioni. Saranno stati uccisi da quell’uomo.»
«Quello non era un uomo!» esclamò Piera.
«No, e che cazzo era? Un lupo mannaro?»
«Non lo so! Ma non avete visto che razza di salto ha fatto? Da fermo ha saltato almeno venti metri, nessun uomo potrebbe farlo!»
«Non me ne frega un cazzo di chi era! So solo che ha ammazzato uno dei miei migliori amici davanti a noi! E non possiamo essere sicuri di averlo seminato, quindi sarà il caso di rimetterci in marcia. Dobbiamo arrivare a un paese, uno qualsiasi e chiedere aiuto.»
Per quanto Andrea non gli fosse simpatico Piera doveva ammettere che aveva ragione. Con fatica si rialzò e aiutò l’atterrita ed esausta Maddalena a fare altrettanto.
La luna illuminava il paesaggio a giorno e Andrea, guardandosi intorno, sembrò fare il punto della situazione.
«Secondo me dobbiamo andare di là.» disse indicando una collinetta alla loro sinistra.
«Siamo già stati da queste parti e poi mi sono studiato le cartine con Luca l’altro giorno. Domani avremmo dovuto prendere il treno proprio al paese che sta oltre quella collina.»
Andrea era gagliardo in questo genere di cose, quindi le ragazze si fidarono ciecamente delle sue intuizioni.
«E poi in paese che facciamo?» chiese Maddalena come desiderosa di dire o fare qualcosa di utile.
«Sicuramente ci sarà una stazione di polizia o di carabinieri o qualcosa di simile.» gli rispose Francesca. «Chiederemo aiuto lì.»
Erano a circa mezzo chilometro dall’inizio del pendio e in pochi minuti potevano arrivarci, poi una volta salita la collinetta, il paese distava non più di tre chilometri. Camminando a buon passo in meno di un’ora potevano giungere a destinazione e lì sarebbero stati al sicuro. Era improbabile che il loro misterioso aggressore avrebbe osato seguirli in un centro abitato.
«Che ne sarà stato di Simone?» si chiese Piera ad alta voce.
«C’è da chiederlo?» disse Andrea rispondendo con un’altra domanda.
«Ma chi ci ha aggredito? E perché?»
«Non lo so!» rispose lui con una vena neanche tanto malcelata di impazienza nella voce «Ci penseranno altri a stabilirlo. Noi dobbiamo solo metterci in salvo.»
Come ebbe pronunciato queste parole, dalle loro spalle qualcuno o qualcosa saltò addosso a Piera.
Con un grido la ragazza cadde a terra sotto il peso del suo aggressore. Gli altri si voltarono e poterono finalmente vedere il volto del loro nemico!
 
L’effetto del farmaco sfumò e il paziente della stanza 17 aprì gli occhi.
 
Il volto dell’aggressore NON ERA UMANO!!!
Una folta peluria lo ricopriva in tutto il corpo, compreso il volto che era solo un grottesco miscuglio tra un volto umano e un muso d’animale.
Andrea e le altre due ragazze non seppero reagire all’orrore che avevano davanti: rimasero paralizzati con le facce deformate dal terrore mentre l’essere mordeva la nuca della povera Piera.
Maddalena ebbe un conato di vomito e cade in ginocchio, incapace di ogni pensiero e di ogni reazione, razionale o irrazionale che fosse.
«S-s-sc-sc-scappiamo!!!» riuscì a balbettare Andrea, e solo la sorella reagì a quelle parole dandosi insieme a lui all’ennesima fuga precipitosa di quella orribile notte!
Mentre fratello e sorella fuggivano verso il pendio della collina con il cuore che pareva volergli uscire dalla bocca per l’immane sforzo, Maddalena rimase impietrita al suo posto: per lei ormai era finita!
L’essere si voltò verso di lei e dopo averne incrociato lo sguardo in un lunghissimo istante, balzò addosso a lei facendola cadere sulla schiena e mordendola proprio sul petto prominente.
Solo al dolore la ragazza reagì lanciando un urlo tanto stridulo e agghiacciante quanto assolutamente inutile.
Andrea e Francesca continuarono la loro fuga isterica verso la sommità della collina e in breve vi arrivarono.
Istintivamente si fermarono: lo sforzo era stato troppo grande.
Si voltarono e videro in lontananza la creatura che si rialzava lanciando un urlo animalesco al cielo.
Ripresero la loro fuga lungo la discesa ma Francesca era troppo esausta e precipitò rovinosamente a valle lungo la discesa. Andrea la vide che lo superava rotolando come una valanga e la chiamò con una voce sempre più deformata dal terrore.
Francesca perse i sensi ancora prima di fermarsi alla fine della discesa.
 
Il paziente della stanza 17 fissava il soffitto mentre i ricordi continuavano a rigirarglisi nel cervello.
 
Quando riprese i sensi, era già giorno. Il sole doveva appena essere sorto.
Francesca sentiva dolergli ogni centimetro quadrato del suo corpo mentre provava a muoversi, ma sentiva anche di non avere niente di rotto.
Chiamò il fratello e mentre si rialzava lo vide sdraiato a faccia in giù a poca distanza da lei.
Vincendo il dolore si precipitò su di lui. Sembrava illeso.
“Grazie al cielo” pensò, ma poi si avvide che non reagiva e iniziò a scuoterlo chiamandolo per nome.
Lo girò e capì che suo fratello era morto.
Non per mano della creatura, qualunque cosa fosse, ma semplicemente per un colpo apoplettico: lo sforzo sostenuto era stato troppo grande!
Gridò il suo nome, più e più volte e poi iniziò a piangere convulsamente sul corpo del suo fratello gemello e non si accorse che dietro di lei qualcuno stava scendendo lungo la collina.
Si sentì toccare sulla spalla e si girò: era Simone.
Istintivamente scattò all’indietro e strisciando sulla schiena si allontanò da lui.
«E tu da dove vieni? Dove cazzo eri finito?» Notò la sua camicia scout strappata in più punti. Lo squadrò meglio e vide che qua e là era sporco di terra e forse di sangue.
«Tu chiedi a me dove sono finito? Ma VOI dov’eravate finiti!!! Io stavo infrattato fra quegli alberi a fare i miei bisogni e poi ho sentito la voce di Carola che urlava. Stavo tornando indietro e sono inciampato. Ho perso i sensi e quando sono rinvenuto sono tornato al campo e voi eravate spariti!!! Che cazzo è successo???»
Francesca si convinse che quelle macchie rosso-scuro che Simone aveva sulla sua divisa scout erano macchie di sangue.
«Eri tu!!!»
«Ero io… a fare cosa?»
«Eri tu il mostro peloso! Sei tu che li hai ammazzati tutti!»
La faccia di Simone assunse un’espressione incredula e incazzata insieme.
«Ma che cazzo stai dicendo!!! Chi avrei ammazzato??? Dove sono gli altri?»
«Sono tutti morti!»
«M-morti?!!! Come morti? Che cazzo dici?»
«Li hai ammazzati tu! Eri tu il lupo mannaro!»
Simone iniziò a ridere convulsamente.
«Ma ti senti che cazzo stai dicendo? Ma ti sei fumata il cervello? E che cazzo fa tuo fratello lì sdraiato?»
«è morto! Abbiamo corso troppo forte quando hai ammazzato Maddalena e il suo cuore non ha retto!»
Simone si chinò sul corpo di Andrea e non tardò a rendersi conto che Simone era davvero morto.
«Cazzo! Questo è morto per davvero! Ma che è successo??? Io non ci sto capendo un cazzo!!!» gridava e piangeva insieme, e non si avvide che Francesca stava dietro di lui con un coltello in mano, un piccolo coltello a serramanico che, usato nel modo giusto, poteva diventare un’arma mortale.
Mentre Simone si voltava verso di lei, la lama di quel coltello a serramanico gli si piantò in gola.
 
«La trovarono lì, impietrita con il coltello in mano. Un testimone la vide dalla finestra di casa sua proprio mentre uccideva il suo compagno e chiamò i carabinieri. Da quel giorno Francesca non ha più pronunciato una sola parola, fino ad oggi.» Gianluca aveva finito di spiegare ogni cosa alla sua collega proprio mentre sistemavano Francesca per la cena.
«E i suoi compagni?»
«Il fratello venne ritrovato accanto a lei, morto d’infarto. Secondo i medici aveva corso a perdifiato per tutta la notte e alla fine il cuore aveva ceduto.
I cadaveri di tre ragazzi vennero trovati parzialmente sbranati, si pensò a dei cani randagi inferociti.
Il corpo della responsabile di quel gruppetto, tale Carola Sereni, non venne mai ritrovato.»
Francesca aveva sentito e capito ogni parola.
Il corpo di Carola non venne mai ritrovato?
Cos’era veramente successo quella notte?
Era veramente Simone l’assassino?
Si era veramente trasformato in una specie di lupo mannaro?
O magari avevano avuto un’allucinazione collettiva?
O magari era Carola il lupo?
O forse erano stati veramente dei cani randagi?
E quelle macchie di sangue che aveva visto, o creduto di vedere addosso a Simone erano veramente macchie di sangue?
O magari l’assassina era proprio lei, Francesca, che poi si era inventata quella storia assurda?
E Carola, che fine aveva fatto Carola?
Perché il suo corpo non era mai stato trovato?
Dai suoi occhi uscirono delle lacrime proprio mentre i due operatori la sistemavano sulla carrozzina e la portavano in refettorio per la cena.
Tutte quelle domande l’avrebbero martellata fino alla fine dei suoi giorni e non avrebbero MAI trovato una risposta.
Cos’era veramente successo l’ultimo giorno d’estate?
   
 
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