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Autore: Mikirise    24/06/2015    4 recensioni
Un miracolo è qualcosa di semplice. Così semplice che nemmeno ce ne rendiamo conto. Può essere un tuo amico che si riprende dopo essere stato mollato. Può essere una tua amica che ti porta alla Fiera delle Arti Moderne, quando sei giù perché sei stato mollato. Può essere il sedersi davanti a un quadro che pensavi non ti piacesse.
I pianeti si allineano col sole e hai il tuo miracolo, per cui devi lottare lottare e continuare a lottare, per poterlo mantenere nel tempo e nello spazio.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Calipso, Jason Grace, Leo Valdez, Leo/Calipso, Percy Jackson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Le peripezie'
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IV






"Ciao mamma." Leo si sedette sulla terra accanto alla lapide, abbandonando la testa su di quella e sospirando, mentre la sua voce si perdeva tra le voci di tante altre persone intorno a lui. "Ciao mamma" ripeté, incrociando le dita delle mano e guardando verso il basso. "Ho visto tanti posti dall'ultima volta che sono venuto a trovarti. Sono andato a vedere la Londra Babbana insieme a Percy, che ha litigato con alcuni inglesi perché voleva colorare il fish-and-chips di blu, siamo passati sul London's Bridge e ci siamo bagnati tutti, perché non faceva altro che piovere e piovere e piovere. Londra sembra un grande cimitero, quando piove tanto, ma l'ho trovata bella, sfondo della mia tragedia. Sono andato anche a Parigi, con Jason, perché lui conosce il latino e qualcosina doveva capire di francese. È un bugiardo, non ci ha capito niente e mi ha fatto comprare delle cose ridicolissime, perché ripeteva sempre oui oui. Ti ho..." frugò nella sua giacca, rivoltandola due volte, per poi tirar fuori un carillon a cilindro. Fece girare la manovella, e, in poco, una canzoncina, la Vie en Rose, prese a suonare acuta e dolce. "So che hai sempre voluto andare a Parigi. Efesto... papà dice che canticchiavi questa canzone con un forte accento spagnolo e che sognavi di salire sulla Torre Eiffel. Io non so se è vera la cosa dell'accento spagnolo. Io e te parlavamo una lingua tutta nostra. Però, sai? Era bello. E ho pensato a te, mentre il sole cuoceva le nostre teste e i francesi non mi volevano parlare in inglese. Ho pensato: loro vogliono parlare solo la lingua che parlavano con la loro mamma, sono un po' come me. Però, io l'inglese l'ho imparato a parlare. E anche lo spagnolo. Non avrei voluto, ma l'ho fatto." Continuò a far suonare il carillon, rimanendo in silenzio per qualche secondo, come se stesse ascoltando qualcosa, o qualcuno. "Ho usato parte dei soldi che papà mi dà per venire qui, per viaggiare e andare a Parigi. Perché mi ha detto che non mi darà altro, finché non terminerà l'anno accademico. In un anno avrò la laurea triennale. Sarò il primo laureato dei Valdez, non sei fiera? Papà pensa che questi viaggi mi possano distrarre. Per questo non vuole più finanziare la mia ricerca. Devo studiare e basta, ha detto. E io con i soldi per venire da te sono andato a cercare lei. Per questo sono arrivato tardi. Jason e Percy mi hanno accompagnato in macchina. Abbiamo fatto un viaggio niente male, ci siamo divertiti, anche se tra quei due non so cosa stia succedendo. Finché la mia situazione permarrà, loro rimarranno in questo stato di non belligeranza, ma poi? Cosa succederà? Mamma. Vuoi sapere cosa sta succendendo, vero? Perché non sono arrivato prima, perché spreco i miei soldi, perché sono distratto. Ti sei sempre preoccupata troppo." Leo sorrise, facendo frusciare i suoi capelli contro la lapide. "Ti ricordi quando dicevi che chiunque avesse voluto portarmi via di casa, qualunque ragazza, avrebbe dovuto vedersela con te? Perché me lo ricordo. Parlavi di orgoglio messicano. E ora sto facendo quello che farebbe qualsiasi ragazzo col cuore spezzato: sono venuto a piangere dalla mamma. Non letteralmente. Nyssa dice che non sopporterebbe vedermi piangere. Alla fine avevi ragione: non capisce il mio senso dell'umorismo, ma mi vuole bene." Sospirò.

La signora White, che lo aveva visto quando era piccolo, che gli lasciava delle caramelle poco dopo la morte di Esperanza, coperta dal suo giubotto pesante, nonostante in Texas facesse caldo in quell'inizio di Novembre, lo salutò da lontano, mentre con l'altra mano accarezzava la lapide fredda del signor White. Leo la salutò indietro con un gesto sbrigativo, prima di muovere la testa all'indietro a leggere il nome di sua madre. Riabbassò la testa fino a far toccare alla sua guancia la sua spalla. Pensò che doveva lasciare un po' di torta alla signora White.

In Texas fa sempre freddo, se ti è morto qualcuno.

"Quest'anno mi sono innamorato, mamma. Di una ragazza coi capelli color cannella e la risposta sarcastica pronta. Di una ragazza che in un appartamento a New York ha infilato migliaia di piante del Mediterraneo. Di una ragazza che quando canta fa vergognare gli usignoli della loro voce, fa cascare le scimmie dagli alberi per lo stupore e girare la persona più distratta verso di lei. Si chiama Calypso, come la ninfa dei miti greci ed è stata abbandonata da chi amava, come me. So che tu non mi hai voluto abbandonare. So che Eco non poteva fare altro. Lo so. Ma il risultato è lo stesso, no? E comunque, mi ha abbandonato anche Calypso. Forse le ragazze non mi piacciono se non mi abbandonano. Ma che ne so. Devo essere un complessato. Ma, lei la potevo raggiungere, sai? Avevo tre tappe. Londra, Parigi o Roma. Non ho neanche la sicurezza che non sia a Londra o a Parigi. Nel senso, lei poteva essere ovunque e in poche settimane non potevo andare ovunque. Ma, ho parlato con Frank, e mi ha detto una cosa che nessuno mi aveva mai detto: non importa che io la trovi, la cosa che importa è che, se non la trovo, io le riesca a dire addio. Se non la trovo, devo essere pronto ad andare avanti. E fare l'ultima tappa... Io non voglio dirle addio. Io la voglio trovare, io..." Si passò una mano trai ricci, trovandoli incastrati tra loro e poi tra le sue dita. Rise, ricordandosi di tutte le volte in cui Esperanza prima, Piper e Annabeth più tardi, avevano provato a pettinarlo, facendogli più male che altro. "Sento di non poter gettare la spugna."

"Mi suonano familiari." Una voce si alzò in modo piuttosto teatrale dalle tombe, mentre un ragazzo spuntava dai cespugli, nascosto da un folto cespuglio di capelli e un giubotto da aviatore. "Parole e voce mi suonano familiari."

Leo alzò in fretta la testa, guardando davanti a sé, con un sorriso allegro e facendo scattare le gambe, per potersi alzare in piedi. "Nico!" esclamò, poggiando le mani sulle ginocchia e spingendosi in una corsa verso il ragazzo, che lo salutava con un gesto veloce della mano.

Il messicano lo attirò verso di sé, subito dopo aver con una leggera corsa raggiunto la posizione leggermente spostata verso Ovest, per intrappolarlo in un abbraccio caldo e affettuoso.

"Vacci piano, Messico." Nico cercò di scansarlo, dimenando mani e gambe, mentre sbuffava pesantemente. "Poi vi chiedete perché non vengo mai a trovarvi" sbuffò, arrendendosi nella Battaglia Abbraccio e dando delle imbarazzate pacche sulle spalle dell'amico.

A Leo le parole del piccoletto non facevano né caldo né freddo. Semplicemente lo abbracciò con tutta la forza che aveva dentro.

















 
  
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