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Autore: Malanova    24/06/2015    1 recensioni
Come non detto ... QUESTA STORIA E' IN FASE DI MODIFICA!
Anno 1992. Un gruppo di otto ragazzi, provenienti da diverse parti del mondo, verranno catapultati a Digiworld per salvarlo dai Hacker e riportare la pace nel mondo digitale ... Ci riusciranno oppure il Mondo Digitale è destinato a soccombere? Detto questo; vi auguro buona lettura e scusatemi ancora ... Alla prossima!
Genere: Avventura, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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1992, Digiworld.

Il castello del continente di Server era molto più inquietante di notte. Era come se le tenebre si infiltrassero tra le mura dell’edificio, in ogni singolo mattone, ed lo rendessero ancor più tetro e inospitale di quanto lo fosse sotto la luce del sole. Nel laboratorio, vicino alle segrete, un uomo stava digitando sulla tastiera di un’enorme computer ed inseriva velocemente una serie di codici complessi. Accanto a lui c’era un Digimon dall’aspetto di uno struzzo, con lunghe piume che gli ricoprivano il corpo dai colori neri, viola, beige ed un tocco di rosso qui e là. Egli arruffò le penne e mugolò “Quanto ci stai mettendo Gennai?!? Gli Hacker o qualcuno dei loro emissari potrebbero essere qui da un momento all’altro …” “Calmati Peckmon … ho quasi finito …”. Il pennuto digitale non sembrò rassicurato dalle sue parole. Razzolò per terra con una zampa e continuò a guardarsi attorno, nervoso, facendo sembrare il collo sinuoso ad un serpente. Gennai gli diede un’occhiata veloce e sospirò.

A vederlo; Gennai sembrava un normalissimo uomo sui trent’anni: alto, con una folta zazzera di capelli castani raccolti in un codino ed penetranti occhi grigi che scrutavano il prossimo con benevolenza ma anche con risoluzione. Era vestito con una tonaca beige dotata di un cappuccio, che gli faceva risaltare le spalle ampie ed il fisico atletico. In realtà lui apparteneva all’antica razza degli ID ed il suo corpo era formato da dati esattamente come lo erano i Digimon.

Mentre Gennai stava inserendo l’ultimo codice, quello più importante, venne colpito improvvisamente alle spalle da una frustata. Il colpo fu così forte che gli fece sbattere la testa contro lo spigolo dello schermo, procurandogli un profondo taglio sulla fronte. Prima che potesse reagire fu colpito da un’altra frustata, che lo gettò a terra. Dolorante; Gennai si tirò su leggermente fino a vedere il suo aggressore. Il Redvegiemon sghignazzò, mentre fletteva i suoi tentacoli dall’estremità piena di spuntoni e si preparava ad infierire di nuovo. Il Digimon pianta sembrava del tutto uguale ai suoi simili tranne che l’occhio sinistro era completamente viola ed aveva uno strano tatuaggio sulla pancia raffigurante una mano stilizzata con un punto in mezzo al palmo. Peckmon giaceva a terra a pochi metri di distanza, privo di sensi e con dei piccoli tagli che gli circondavano la base del collo. Probabilmente Redvegiemon lo aveva colto di sorpresa alle spalle e prima che il Digimon struzzo potesse dargli l’allarme; lo aveva stretto tra le sue spire fino a tramortirlo.

Gennai sputò per terra, tenendo gli occhi sul Digimon pianta. Intanto pensava a come uscire da quella situazione: se non avesse messo per intero il codice nei prossimi dieci minuti; l’intero programma si sarebbe cancellato automaticamente e la loro missione sarebbe andata a rotoli. Doveva pensare … In quel momento; si ricordò che sulla parete alle sue spalle c’erano ammassati un mucchio di tubi metallici stretti e lunghi. Poteva usarne uno come arma. Peckmon si contorse appena ed emise un gemito, che fece voltare il Redvegiemon verso di lui. L’ID approfittò di quella distrazione. Scattò in piedi e corse verso il muro. Afferrò uno dei tubi, lo fece roteare nelle sue mani e si mise in posizione d’attacco ma rimase inorridito da ciò che vide.

Peckmon, intanto, aveva ripreso i sensi e si era alzato. L’occhio sinistro si era tinto completamente di viola e sull’ala nera era spuntato lo stesso tatuaggio del Redvegiemon. “No …”. Il Digimon struzzo si mise affianco all’altro Digimon ed stridette minacciosamente verso Gennai. L’ID chiuse gli occhi, addolorato, con le palpebre rese appiccicose dal sangue che sgorgava dalla sua fronte e raccolse le forze. Strinse con più forza il tubo ed attese che fossero i suoi avversari a fare la prima mossa. Dopo un paio di minuti; i due Digimon si lanciarono verso di lui. Quando entrambi furono a poca distanza; Gennai riaprì gli occhi e si lanciò a sua volta. Mosse il tubo metallico come se fosse l’estensione del suo braccio, bloccando e schivando con agilità il becco acuminato di Peckmon ed le braccia liane del Digimon pianta. Dopo l’ennesima schivata; Gennai approfittò di un loro momento di distrazione e calò il tubo sulle loro teste con precisione, facendogli perdere i sensi. Quando fu sicuro che non si sarebbero rialzati; gettò l’attrezzo a terra e si riavvicinò al computer. Lo schermo gli illuminò il viso sporco di sangue e sconfortato. Si rimise alacremente a lavoro, riuscendo appena in tempo ad recuperare il codice. Infine; schiacciò il tasto d’invio ed attese.

Lo schermo si spense per pochi secondi, poi si riaccese e si illuminò di tutti i colori. Apparve una mappa globale dove si accesero otto puntini luminosi in varie parti del mondo.

Dal grande altare di pietra del Tempio custodito da Centaurimon; una potentissima colonna fatta di luce si erse dal terreno fino a raggiungere il cielo ed otto Digi Vice vennero raccolti da questa energia. Fluttuarono in alto, attraversarono l’atmosfera del mondo digitale fino a perdersi nell’universo. Poi la colonna di luce si affievolì lampeggiando e si spense del tutto.

Gennai spense il computer e si avvicinò al Digimon che fino a pochi minuti fa era un suo caro amico ed si chinò al suo fianco. Con una mano gli lisciò dolcemente le piume sul capo e mormorò “Mi dispiace …”.



Inghilterra:

James si esercitava al piano nella sua lussuosa sala di musica. Stava suonando il celebre pezzo di Mozart, il “Rondò alla turca”, con molta perizia e concentrazione. Anche se il brano era tra i suoi preferiti ed sapeva suonarlo con maestria; per il giovane non era abbastanza … perfetto. Voleva ardentemente che alla festa sia i suoi genitori che gli ospiti lo ammirassero per la sua bravura nell’arte musicale. Mentre le sue agili dita stava per suonare per l’ennesima volta il ritornello; si sentì bussare alla porta.

Il ragazzino si interruppe e borbottò un “Avanti” con tono acido: odiava essere interrotto quando si esercitava. Una cameriera fece il suo ingresso, una giovane donna piuttosto robusta, si inchinò e annunciò “Signorino James; il pacco che stavate aspettando è arrivato” “E’ stato riposto nella mia stanza come avevo richiesto?” domandò lui seccato, richiudendo lo strumento di legno lucido con una piccola chiave d’oro. “Si, signorino” rispose la donna con deferenza e tenendo gli occhi abbassati sul pavimento. James le rivolse un sorrisetto freddo “Molto bene. Se non avete altro da aggiungere potete andare” la congedò infine, con tono pomposo. La cameriera si inchinò ancora ed uscì dalla stanza facendo meno rumore possibile. James, dopo aver preso gli spartiti, uscì dalla sala di musica a sua volta.

James era un ragazzino di dieci anni alto, un po’ esile per la sua età, con folti capelli biondo grano rigorosamente pettinati all’indietro che valorizzavano la fronte leggermente spaziosa. Gli occhi erano di un bellissimo blu mare ma erano costantemente freddi ed arroganti, come se provasse disgusto per le cose che lo circondano o per la persona a cui si rivolgeva. Le uniche volte che quei occhi brillavano d’affetto era quando conversava con sua madre oppure quando suonava. Quel giorno indossava un completo da cerimonia bianco con annodato un cravattino azzurro al collo che si intonava con i suoi occhi.

Attraversò i vari corridoi tappezzati dove i quadri dei suoi antenati lo scrutavano con austera importanza, rispose con lievi cenni del capo agli inchini dei servitori, infine si ritirò nella sua stanza. La camera era molto ampia e illuminata, arredata con sobri mobili pregiati e un lampadario di puro cristallo. Sul letto a baldacchino c’era un grosso pacco bianco legato con del semplice spago da cucina.

James lo guardò con bramosia per pochi istanti, poi si affrettò ad andarlo ad aprire, dando le spalle al grosso computer di ultima generazione. In quel momento il ragazzino fu travolto da una colonna di luce accecante, che inondò tutta la stanza. Durò pochi istanti, poi la colonna si affievolì fino a scomparire del tutto. La stanza era rimasta perfettamente in ordine, vuota. James era sparito nel nulla.


India:

Kwaku correva a perdifiato per le strade polverose della città. Dietro di lui, a qualche metro di distanza, sei poliziotti lo seguivano armati di un sottilissimo frustino. Però Kwaku, nonostante fosse talmente magro da far intravedere le costole; era velocissimo ed i pochi muscoli che aveva parevano d’acciaio. Infatti correva portando sulla spalla un cesto di frutta dove c’era riposto lo schermo di un computer con una tastiera, una piccolissima parte del carico che aveva perduto un furgone per colpa di un incidente stradale. Si introdusse nelle stradine del mercato. Alcuni passanti riuscirono a scansarsi appena in tempo ma altri vennero spinti con poca grazia da un lato, sia dal ragazzino che dai poliziotti. Poteva sentire attorno a sé le imprecazioni e le risate dei turisti nel vedere la scena. Kwaku svoltò un angolo e scavalcò agile un carretto pieno di meloni con un semplice salto.

Il sudore colava sul petto nudo e gli rendevano appiccicosi i logori pantaloni grigi. I piedi poggiavano nudi sul terreno duro, dandogli gli slanci di una gazzella. La zazzera di capelli neri, unti e ispidi, erano in parte schiacciati sulla pelle ed in parte frustavano le ampie spalle. Gli occhi neri, però, brillavano come carboni ardenti, euforici dal continuo pensiero che gli affollava la mente “Con questo potrò sfamare la mia famiglia per almeno dieci anni!!!”. La pelle color cannella lo aveva mimetizzato molte volte, durante i suoi furti, tra i muri d’argilla del quartiere; ma questa volta non avrebbe funzionato. Non con quel carico che attirava l’attenzione di passanti e di altri ladruncoli. Il ragazzino di appena dieci anni, però, conosceva ogni anfratto della città ed arrivato ad un buon punto, quando i poliziotti credevano di averlo in pugno, svoltò l’angolo e riuscì a sparire dalla loro vista come per magia.

Dal suo nascondiglio, una cantina sotterranea abbandonata ormai da anni, poteva sentire benissimo le loro imprecazioni. Rise: nessuno lo aveva mai preso e mai ci sarebbero riusciti. Fece qualche passo verso la porta quando accadde una cosa che lo stupì: una fortissima luce lo prese in pieno, accecandolo. Il cesto cadde dalle sue braccia e si squarciò, facendo spargere i pezzi per terra. Kwaku, però non poteva protestare perché egli era sparito nel nulla.


Russia:

Vladimir era nervoso. Toccava a lui ed a suo fratello maggiore Sergei chiudere lo spettacolo quella sera. Gli batteva forte il cuore. Sarebbe stata la prima volta che si sarebbe esibito davanti ad un pubblico che non fosse formato solo dai membri della famiglia e dai suoi amici mentre l’altro andava in scena ormai da sette anni. Sospirò. Tutti i membri della famiglia erano artisti circensi da duecento anni e, come da tradizione, ogni ragazzo o ragazza che compiva dodici anni doveva fare il suo primo esordio alla fine dello spettacolo. E lui li aveva compiuti proprio quel giorno.

Vladimir si fissò allo specchio che aveva in camera, attaccato al muro. Aveva un fisico atletico, dalle braccia forti e le gambe robuste. I capelli, di un biondo quasi sul bianco, erano legati nella sua consueta coda di cavallo e si sposavano con gli occhi verde smeraldo con cui si era accorto, con un velo di piacere, che le ragazze apprezzavano. Però ora vedeva solo un ragazzino impaurito. Un ragazzino che non voleva andare in scena, un ragazzino che non voleva passare il resto della sua vita all’interno di un tendone ...

Ludmilla, la sorellina di otto anni, entrò con la forza di un uragano nella sua stanza. “Vlad! Vlad!” lo chiamò in lacrime mentre il ragazzo si chinava su di lei “Che succede, Milla?” “Stavo … giocando con Dimitri in sala quando … all’improvviso … il computer si è acceso da solo ed a illuminarsi come il sole!”. Il fratello maggiore fece un risolino di scherno “E ti spaventi per così poco? Voi due lo avrete acceso senza farlo apposta …” “No!” protestò la bambina asciugandosi le lacrime con il dorso delle mani “Ha anche parlato! Continuava a dire il tuo nome!”. Vladimir alzò gli occhi al cielo: sicuramente il fratellino di dieci anni le avrà fatto uno stupido scherzo ... Ed ne aveva approfittato dal momento in cui gli adulti erano troppo impegnati ad organizzare la sua festa. Però come poteva non andar a controllare quando a chiederti aiuto era una dolce bambina come Ludmilla? “Ok … Vengo a dare un’occhiata …”. Lei annuì, sollevata, e gli afferrò saldamente la mano.

Lo guidò per il lungo corridoio fin davanti alla porta del soggiorno. Dalla porta della cucina si poteva sentire benissimo la madre e le sue zie cantare. I suoi occhi si posarono su Dimitri e si era sorpreso che il bambino di sette anni aveva la stessa cera della sorella e lo fissava, terrorizzato. C’era veramente qualcosa che non andava … Il dodicenne lasciò la mano di Milla ed accarezzò la testa del fratello, poi socchiuse la porta del soggiorno e … tutto divenne bianco.


Cina:

Hu stava servendo la zuppa ad una coppia di anziani quando successe il fattaccio: i suoi genitori iniziarono a litigare per la terza volta. Per fortuna; i clienti abituali del ristorante non si spaventavano ed quelli nuovi, alcune volte, li trovavano perfino esilaranti, per le cause assurde per cui scoppiavano. Per il giovane Hu, invece, quei perenni litigi erano solo fonte di imbarazzo. “Dove hai messo la salsa di soia, donna? E’ mai possibile che in questa cucina non si trovi niente a portata di mano?!” “Taci! Tu sei cieco come una talpa rachitica e non riesci a vedere nemmeno dove poggi i piedi! Non vedi che è là, su quella credenza?!?”. Esasperato; il ragazzo cercò di fare del suo meglio per prendere le ordinazioni senza dover entrare nell’orbita della discussione. Ci mancava solo che si mettesse ad urlare anche lui oppure, ancor peggio, venir costretto a prendere la parte di uno dei genitori.

Il campanello in cima alla porta prese a tintinnare. Hu si voltò verso di essa e salutò con il tono più lieto che riusciva ad avere, anche se il suo sorriso era tirato “Benvenuti alla Tigre di Giada …” e lì si interruppe. Una bella ragazzina asiatica, di circa dodici anni, dai capelli neri lisci e morbidi che le arrivavano a metà schiena e gli occhi pieni di dolcezza; entrava nel locale. Il mondo attorno al ragazzino smise di girare: era Mei, la ragazzina di cui aveva una cotta paurosa! Sospirò d’amore mentre la vedeva prendere posto in un tavolo vuoto e sedersi con una grazia da gran dama. Non perse tempo. Era arrivato il momento di far vedere il suo fascino.

Si tirò su il grembiule, si avvicinò al tavolo ed esclamò “Mei! Che piacere vederti qui! Che cosa posso portarti?”. Lei alzò lo sguardo ed lo incrociò con quello di Hu, facendogli battere il cuore più velocemente e lievitare come un palloncino. “Hu!” disse lei con la sua bellissima voce “Per ora non prendo nulla … Sto aspettando Yang …”. A quelle parole; il cuore del ragazzo piombò giù come un macigno. Certo … Come poteva dimenticarsi di Yang il ragazzo– che-tutti- vorrebbero- come- figlio ed il ragazzo più bello della loro scuola? Quello che riusciva a prendere sempre i massimi voti? Ed ha anche un appuntamento con Mei, questo doveva aggiungerlo alla lista. Però lui continuò a farle il più radioso dei sorrisi, anche se gli costava parecchio, ed borbottò “Ah … Non c’è problema! Appena arriva fammi un cenno e verrò subito …”. Poi le disse, abbassando la voce “Attenta! Oggi potrebbero arrivarti dalla cucina piatti che non hai ordinato …”. Lei ridacchiò e lui sparì in fretta dietro alla porta della cucina.

Come si sentiva stupido! In fondo era un ragazzino di undici anni in sovrappeso; come poteva pretendere di essere notato da lei? Come poteva credere di poter competere con Yang? Soltanto i suoi capelli neri, legati tanto da avere una piccola treccia, e gli occhi dello stesso colore erano le uniche bellezze che possedeva il suo corpo. Neanche sul fascino della divisa poteva contare perché gli stava stretta e mostrava molti rotoli di ciccia. Sua madre urlò “Hu, maledizione! E’ la quarta volta che ti sto chiamando! Và a tagliarmi quelle maledette verdure, subito!”. Il ragazzino sospirò, sconsolato. Passò davanti al computer del locale e li … Sparì come tutti gli altri.


Italia:

Luisa finì di cucire gli ultimi punti della manica del vestito medievale, poi prese una forbicina e tagliò il filo in eccesso. Aveva confezionato apposta quell’abito per la festa in maschera della scuola. E questa volta avrebbe vinto lei il concorso per il costume più bello, ne era certa. Lo indossò e fece un paio di piroette per vedere se la gonna fosse abbastanza mobile e che le cuciture fossero a posto. Poi aprì l’armadio e si guardò allo specchio incastrato su una anta. Il vestito color argento e blu aveva dei ricami fatte con le perline di vetro-plastica, che rilucevano sotto la luce e mandavano riflessi sulla sua pelle candida.

Luisa sembrava più grande dei suoi dodici anni a causa delle sue forme generose; ma in realtà la ragazza era molto ingenua ed adorava di più stare con la testa fra le nuvole piuttosto che seguire la moda ed il gossip come facevano gran parte delle ragazzine della sua età. Non si accorgeva neanche che la sua beltà iniziava a far battere qualche cuore ed a attirare l’invidia delle altre ragazze. I capelli ramati erano lunghi fino alla vita e terminavano in boccoli, facendo venire il desiderio di infilarci una mano tra di essi. Gli occhi erano più scuri dei capelli e avevano una linea grigio-blu attorno all’iride ed erano così dolci …

Aprì un cofanetto di legno e si mise qualche gioiello di vetro da abbinare con l’abito. Angelina, la sua migliore amica, entrò nella sua stanza travestita da strega dell’Ovest. “Luisa!” esclamò appena la vide “Sei bellissima!” “Grazie!” rispose imbarazzata e facendo una piroetta “Mi è costato tanta fatica a farlo; ma alla fine è venuto bene …” “Vedrai che quest’anno sarai tu a vincere!” “Lo spero tanto!”. Proprio in quel momento, mentre le due ragazze stavano ridendo allegre, il computer che teneva Luisa in camera si accese ed inondò la stanza di una luce così forte che la povera Angelina dovette coprirsi gli occhi. Quando si tolse le mani dal viso, Luisa non c’era più.


Francia:

Jean si preparava per la sfida di scherma tenuta nella palestra scolastica. Provò il fioretto con rapide stoccate e un po’ di affondi, e lo flesse. Poi passò al casco. Tutto era in perfetto ordine. Le sue ammiratrici stavano sugli spalti della palestra e urlavano allegre ogni volta che lui si voltava e le faceva un cenno di saluto mentre le tifose dell’avversario gli facevano “Bo!”. Lui adorava quella tensione che si creava quando mancavano una manciata di minuti prima del duello.

Il suo ultimo avversario era Mattieu, il suo rivale da quando aveva iniziato a fare quello sport cinque anni fa, che entrò nella palestra già vestito di tutto punto e con la maschera calata sul viso. Jean indossò la sua e si mise davanti a lui. I due ragazzi si inchinarono e poi, sotto il controllo dell’arbitro, iniziarono a combattere … Dopo tre ore Jean tornò a casa, stanco ma con la coppa della vittoria sottobraccio. Nonostante Mattieu fosse un ottimo avversario; egli non aveva mai vinto contro di lui. Il ragazzo si girò e disse “Dai … Non te la prendere! Avrai altre occasioni per farmi le scarpe …”. L’avversario del torneo gli lanciò un’occhiataccia “Per una fottuta volta potresti astenerti dal gongolare? Mi rendi solo nervoso …”. I due ragazzi di undici anni si misero fianco a fianco. Due gocce d’acqua. Fratelli gemelli.

Avevano entrambi i capelli rossicci e riccioluti, occhi color nocciola con sprazzi di verde e oro ed un mare di lentiggini sul viso ereditati dalla madre di origini irlandesi. Dopo essere entrati a casa si fecero una doccia ed andarono in camera a fare i compiti. “Ognuno c’ha le sue qualità …” continuò Jean guardando il libro di matematica come se fosse scritto in aramaico “Io sono il Re della scherma e tu, invece, il Signore dei compiti …” e allungò il collo per sbirciare le note del fratello. Quello si mise a ridere e urlò “Va al diavolo!”. Iniziarono fare a botte per gioco quando dal computer provenne una luce intensissima e li costrinse a chiudere gli occhi. Quando Mattieu li riaprì scoprì con orrore che il fratello gemello era scomparso ...


Grecia:

Ania stava sempre attenta a quello che le diceva sua nonna. Perché la nonna era una strega, però di quelle buone, capaci di vedere il futuro nelle stelle e sui fondi delle tazze. Se lei diceva che ci sarebbe stata burrasca; qualche ora dopo il mare si ingrossava ed sfogava la sua potenza. Così quella sera, mentre stava impastando la pasta per il pita, la chiamò con voce profonda, come quando aveva una visione, e le disse “An … ieri ho guardato il cielo ed ho letto il tuo destino …”. La ragazzina di dieci anni la ascoltava in silenzio, timorosa anche di respirare e di rompere l’incantesimo

“Otto bambini si riuniranno in un mondo nuovo …
Otto bambini prescelti che porteranno nel loro cuore un dono …
Otto bambini che provengono da terre lontane …
uniti contro la potenza delle comete …
Otto bambini erano giunti ma solo uno di loro la fine del nemico profetizzerà …
Otto bambini erano giunti ma solo uno di loro a casa ritornerà …”.

“Nonna …” la richiamò la nipote, spaventata. La donna si soffermò a guardare la bambina. Le accarezzò i morbidi capelli neri e volle imprimersi nella mente il castano dei suoi occhi. Ania scoppiò a piangere. La pelle scura faceva un po’ contrasto con l’abitino bianco che la nonna le aveva confezionato con tanto impegno. Si strinsero forte. “Devi andare tesoro mio … il mondo dei sogni ti sta aspettando …”. Le donò un rosario e la lasciò andare nella sua stanza, dove una luce intensissima filtrava tra la porta socchiusa. La bambina chiuse gli occhi, respirò a fondo ed entrò ...


Giappone:

Quando successe; Midori era nella sua stanza, intenta a digitare sulla tastiera del suo computer. Era quasi riuscita a far inserire in un file un potente virus, in modo che quell’uomo orribile che aveva centinaia di materiale pedopornografico perdesse tutto ciò che aveva. Aveva sonno, la piccola, in fondo erano anche le due del mattino. Sbadigliò. Visto che iniziava a stancarsi; mandò un e-mail ai computer della polizia in modo che potessero rintracciare l’uomo e lo mettessero in prigione. Entrare nei computer dei altri era così semplice per lei e certe volte la cosa la divertiva parecchio. Almeno così non pensava alle sue preoccupazioni ed a suo padre, così spesso lontano.

Midori era una graziosa bambina di otto anni, con lunghi capelli neri raccolti in una fascia bianca che lasciava scoperti due meravigliosi occhi grigi, rarissimi se non unici tra la popolazione nipponica. Il piccolo corpo di bambina era avvolto in un pigiama verde con le foglioline. Afferrò il suo peluche preferito, un dinosauro dai occhi un po’ malinconici e lo strinse a sé. Fissò ancora l’ora e, sconsolata, mormorò “Papà non è ancora tornato …”. Guardò il peluche con tristezza e aggiunse “Ryu, lo so che papà lavora così tanto è perché se no non mangeremmo e non avremmo una casa … però vorrei che almeno alla sera tornasse qui …”. Sbadigliò e aggiunse “Ho anche un po’ di fame ... Vediamo che cosa c’è rimasto in frigo”. Proprio quando stava uscendo dalla stanza; il computer si illuminò con una fortissima luce. Durò per pochi secondi. Quando la luce sparì la camera era vuota. E Ryu, il dinosauro di peluche che fino a pochi secondi fa stava tra le braccia della bambina, fissò con i suoi grossi occhi di plastica malinconici lo schermo del computer, dove era sparita. Però lo schermo nero gli rimandava indietro solo la sua immagine sfocata.


Gli otto bambini prescelti si stavano dirigendo a Digiworld.


Digiworld, nella Terra Della Rinascita:

Gennai era seduto nella posizione del loto sopra ad una pila di cubi enormi. Ogni tanto alzava la testa ed osservava il cielo, alla ricerca di un punto di luce dove i bambini prescelti sarebbero arrivati. Era da molte ore che stava lì ad attendere … Forse il codice … La voce di un Digimon supremo gli arrivò nella mente limpida come l’acqua di una cascata “Gennai, non essere nervoso, i bambini prescelti arriveranno presto …” “Credete che sia giusto che sia io ad assumermi questo compito, grande Azulugmon?” domandò l’ID per poi dire “Gli Hacker stanno acquisendo sempre più forza … Diventa sempre più arduo combattere ed il loro virus infetta sempre più Digimon … Ed io non sono altro che un semplice ID …”. Ci fu un lungo silenzio da parte di entrambi; poi Azulugmon gli domandò, gravemente “Quindi hai perso la speranza, amico mio? Il tuo coraggio e la tua astuzia non sono serviti fino ad ora ad affrontare i pericoli sul tuo cammino? Mi vuoi forse dire che sei rassegnato a lasciare Digiworld al suo destino?” “No! Piuttosto la morte che questo!” rispose Gennai con ardore “Però non posso nasconderti la mia preoccupazione per loro. Sono soltanto dei ragazzini … Come potranno affrontare questa guerra che non gli appartiene? E per che cosa poi? Per una stupida profezia a cui gli Hacker credono …” “Tutto ciò che possiamo fare per loro è guidarli verso la loro strada …” rispose il mistico Digimon “Devi aver più fiducia in te stesso e in loro …”. Appena ebbe concluso di dire queste parole; otto raggi di luce squarciarono il cielo sereno ed i ragazzi caddero sul terreno spugnoso della Terra Della Rinascita, svenuti. Gennai allora si alzò e scese dai blocchi di cubi impilati l’uno sull’altro.

  
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