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Autore: pamina71    24/06/2015    10 recensioni
Un incontro precedente alla storia che conosciamo, in un missing moment antico che sa di legno, mele e cannella.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Generale Jarjayes, Oscar François de Jarjayes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mestiere del padre.

 

Il grande stanzone in legno che costituiva il piccolo arsenale di Monsieur Frilot era illuminato da lame di sole che tagliavano trasversalmente, in cui il pulviscolo del legno segato, molato, raspato, limato, danzava come fosse dotato di vita propria.

E' davvero un bel posto.

Pensò il bimbetto arrivato alcuni istanti prima insieme al padre.

Nessuno li aveva ancora notati, nessuno aveva alzato gli occhi dell'attività cui era intento.

 

Poi qualcuno si volse e vide quell'aristocratico, un uomo alto ed elegante sulla quarantina, con un abito cremisi ed un tricorno in mano. Lo accompagnava un bambino che non poteva avere più di quattro anni, con una nuvoletta di riccioli biondi in testa, e gli occhi azzurri, ma di un colore più brillante rispetto allo sguardo ghiacciato del padre. Appena si l'attività dell'affaccendato cantiere ebbe un fremito, gli strumenti sospesero il loro ritmico andamento, le mani operose si arrestarono. Qualcuno corse nel piccolo ufficio a chiamare Monsieur Frilot; si prospettava un'eccellente commessa, non era occasione dal lasciar andare.

 

Il piccolo, irrequieto, attivissimo capo della piccola attività si presentò, tutto inchini e moine, salutò fin troppo cortesemente il nuovo venuto e lo condusse nella stanza attigua, che amava definire pomposamente il suo studio, ma era una piccola stanza ricolma di scaffali e carte, ottenuta in un angolo dello stanzone.

L'aristocratico si rivolse al bimbetto:

- Aspetta qui, e non muoverti.

Con un cenno di assenso il giudizioso piccino si dispose all'attesa. Non gli dispiaceva, però. Era contento di potersi guardare attorno, quella grande stanza pareva piena di meraviglie. Carene di piccoli navigli rivoltate come scheletri di enormi animali, sirene e delfini da porre come ornamenti di polene e fiancate, volute dorate pronte per essere poste a decoro di lussuose barche da parata. Gli occhietti color fiordaliso erano colmi di muta meraviglia.

Se l'idea di accompagnare il padre in quell'incombenza lo aveva dapprima deluso, perché avrebbe voluto giocare col padre, invece di doverlo sempre seguire (non sapeva ancora, che anche quelle piccole commissioni erano giudicate parte integrante della sua educazione, dal Generale suo padre) ora non poteva davvero dirlo. Mai aveva visto una simile meraviglia.

Si guardò attorno inquieto, poi mosse qualche passo esitante. Il Padre aveva detto di non muoversi, e sapeva bene quanto potevano essere dure le punizioni del padre. Ma non riusciva a resistere alla tentazione di guardare meglio. Si avvicinò ad un delfino, alto quasi quanto lui, dipinto in un meraviglioso color argento, che si levava da flutti turchini. Allungò un minuscolo indice e lo toccò.

- Ti piace?

La voce alle sue spalle lo fece sobbalzare. Svelto, sveltissimo, portò la manina dietro la schiena e atteggiò il visetto nella migliore espressione da "io non ho fato niente, tutta colpa del delfino". Alzò lo sguardo e vide un uomo alto, forse quasi quanto il Generale. Aveva i capelli molto neri, ricci e corti. Ma aveva uno sguardo gentile, non pareva arrabbiato.

Allora il bimbetto azzardò ad accennare un sì con la testa.

- Vuoi vedere altre cose?

Si fece coraggio e rispose con un filo di voce:

- Oh, sì!

Allora l'uomo gli porse una mano grande e ruvida e lo accompagnò in giro per lo stanzone. Gli spiegò cosa fossero le cose che vedeva, gli raccontò le storie delle barche che avevano fatto e varato. Intanto osservava il piccolino al suo fianco. Che assurdità, mettere degli abiti simili a un cosino alto come uno sgabello, pensava, guardando il giustacuore ricamato, il panciotto, la camicina con gli jabots. Come fa a correre e giocare? Magari non lo lasciano nemmeno giocare come vuole.

- Come ti chiami?

- Oscar François.

- E come mai hai due nomi se sei un bambino solo? - Si mise a ridere l'uomo gentile che lo portava in giro ad osservare quella meraviglia di atelier.

- Tutti hanno due o tre nomi, a casa mia...- rispose timidamente il bambino. - Tu no?

- Io mi chiamo Christophe e basta. Un nome solo. Sono una persona sola.

Perché quel carpentiere dai capelli neri ben sapeva che il bimbetto che gli dava fiduciosamente la mano era una femminuccia, visto che sua madre lavorava come governante proprio a casa di quell'aristocratico appena entrato. Così come sapeva che l'uomo era entrato per ordinare un'imbarcazione da cerimonia per le nozze della figlia maggiore, Geneviève, che andava in sposa ad un qualche duca decisamente più anziano di lei. Una barca da cerimonia, ma quando mai! Da un lato per fortuna, sarà un lavoro ben pagato che porterà altri clienti...

E che quell'uomo che celebrava le nozze di una figlia con una barca, ne aveva chiamata un altra con un nome maschile, e la stava crescendo come un piccolo soldato obbediente. E nemmeno un nome con cui si possa far confusione, ma uno evidentemente duro e virile come Oscar.

- E tu sei un papà?

- Sì, sono un papà.

- E come si chiamano i tuoi bambini?

- Ne ho soltanto uno.

Non ebbe il coraggio di spiegare a quell'angioletto così piccolo che ne avrebbe avuti tre, in realtà, ma due di loro erano già volati in cielo prima che l'ultimo compisse i due anni.

Ma la bambina vestita da bimbo non demordeva.

- Come si chiama?

- Si chiama André.

In quel momento la porta del piccolo ufficio si aprì ed il nobiluomo uscì, chiamando a sé l'erede, che si affrettò a raggiungerlo, salutando con la manina paffuta il suo nuovo amico.

 

Più tardi, nel pomeriggio, il mastro d'ascia Christophe Grandier, mentre era intento a misurare i dettagli di una chiglia, si sentì tirare per una manica. Guardò e vide il monellino biondo con due mele caramellate, una per mano.

Gliene porse una.

- Questa dalla al tuo bambino.

E corse fuori da suo padre, il Generale.

 

 

 

   
 
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