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Autore: LadySissi    25/06/2015    1 recensioni
Raccolta di racconti ispirati ai testi delle canzoni della cantautrice americana Taylor Swift. Storie che indagano le relazioni, l'amore, i cambiamenti, le scelte...e tutto ciò che può riservare la vita.
Genere: Commedia, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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NOTA AUTORE: Bentornati, cari lettori!! Questo capitolo non è parte di una "coppia", come tanti altri, ma una semplice one-shot. L'argomento è... particolare, lo riconosco. Potremmo definirla la storia di una vocazione, o della passione di una vita. Come sempre, vi ripeto che aspetto i vostri pareri più che volentieri... anche le critiche, ovvio!! Buona lettura!

la siccità è stata davvero il peggio

quando i fiori che avevamo cresciuto insieme sono morti di sete

sono stati mesi e mesi di avanti e indietro

e tu sei ancora su di me come un vestito macchiato di vino

che non posso più indossare

nella mia testa, mentre perdevo la guerra,

ed il cielo diventava nero come una perfetta tempesta

 

Se c'era qualcosa di cui, nel corso della sua vita, non aveva potuto mai, mai e poi mai dubitare, era l'abilità e, allo stesso tempo, la passione di una vita: studiare.

Lei aveva sempre saputo di voler dedicare una vita alle Lettere, per quanto la sua indecisione e la sua paura del futuro l'avessero spinta, a volte, a pensare ad altre strade. Per questo, mentre le sue compagne di liceo avevano pianto e tremato all'idea di affrontare tema e versione, lei aveva conseguito la Maturità classica quasi in scioltezza ed aveva chiuso le porte delle superiori con un certo senso di sollievo. Sempre per lo stesso motivo, dopo i primi mesi di Università in cui si era sentita sconvolta a causa delle mille novità, aveva ingranato, senza perdersi nemmeno un esame ed un buon voto. Aveva conseguito la Laurea Triennale con lode (e lodi dei prof che l'avevano seguita) ed iniziato la Magistrale praticamente nello stesso momento. Lo studio era una delle costanti della sua vita, ma non si trattava solo di questo. La questione fondamentale era il fatto che lei amasse l'Università, punto e basta. La amava in toto, in ogni suo particolare, e, più passava il tempo, più si affezionava alle cose minuscole. Le piaceva arrivare, fare lezione, mettere in ordine gli appunti, prendere un caffè al bar con le altre amiche letterate, restare tra i chiostri per un pranzo con gli amici, fare ricerca in biblioteca, restare seduta a studiare in corridoio o in un'aula libera... vivere lì, in generale. La vita accademica era una parte essenziale della sua vita e non si sarebbe riuscita ad immaginare in altro modo. Per questo motivo non si era saputa spiegare perché, a 23 anni, all'inizio del suo secondo ed ultimo anno di Magistrale, era arrivata, un giorno, a dirsi: non ne posso più.

 

Quell'autunno era iniziato come i precedenti: dopo gli esami a settembre, le lezioni erano riprese, così come gli appuntamenti con gli amici e le sue attività consuete. Ciò nonostante, c'era una sensazione che la inseguiva fin dall'estate. Era una sorta di stanchezza, di fatica... come se non avesse più senso lottare. Si sentiva come se quell'anno, qualsiasi cosa lei avrebbe fatto, si sarebbe rivelato un perfetto disastro.

Aveva iniziato a passare moltissime notti in bianco, senza spiegarsi il perché. La sua routine quotidiana, da piacevole e confortante, era diventata una sorta di trappola noiosa. Forse alcune lezioni le sembravano già sentite; o magari apprendere passivamente, senza dare un contributo personale, l'aveva stufata.

Si sentiva come bloccata in mezzo ad una palude fangosa, senza via d'uscita: non poteva restare dov'era, perché l'avrebbe soffocata; tuttavia, non poteva nemmeno uscirne, perché il futuro la spaventava. Non c'era più la sete di sapere, di conoscenza, di scoperta che l'aveva animata negli anni precedenti; stava arrivando ad un punto di saturazione.

Sotto Natale, convinta che questo l'avrebbe aiutata a dare una scossa alla grigia routine degli ultimi mesi, aveva deciso di andare dalla sua solita relatrice a chiedere la Tesi per la Magistrale. Era uscita dallo studio felice e con tutti gli onori: aveva un progetto splendido, seguito dalla professoressa in persona.

Già qualche ora dopo, però, mentre restava seduta su una panchina del chiostro, si era accorta che quella sarebbe stata la goccia che avrebbe fatto traboccare il vaso. Scrivere la Tesi l'avrebbe obbligata a scegliere: se non ce l'avesse fatta perché ormai studiare era diventato faticoso ed un po' ripetitivo, sarebbe rimasta nel limbo degli ultimi esami universitari; se però ce l'avesse fatta... sarebbe dovuta uscire.

Francamente, in quel momento non sapeva quale delle due opzioni fosse la peggiore.

Una volta, aveva letto un romanzo di una scrittrice che le piaceva, Sophie Kinsella. Nel libro, La regina della casa, la protagonista si sentiva, dopo essere stata licenziata, come se avesse avuto una “relazione sentimentale di sette anni” con lo studio legale in cui era stata impiegata. Anni prima ne aveva riso. In quel momento, nel ripensare a quelle pagine, le saliva in gola un groppo amaro. Quanto era vero! La sua “relazione” con l'Università si era ormai guastata, ed era tempo di guardare avanti.

Non c'era altra soluzione. Nonostante questo, quanto era difficile accettarla! La tempesta era iniziata.

 

non c'era nient'altro da fare

e le farfalle diventate cenere coprivano tutta la mia camera

così ho fatto un buco dando un pugno al tetto

ho lasciato che il flusso portasse via tutte le mie immagini di te

l'acqua riempiva i miei polmoni, urlavo così forte ma nessuno udiva niente

 

A dispetto delle aspettative, i mesi successivi avevano visto un costante miglioramento sia delle sue giornate che del suo umore. Anche se con molti pianti, nervosismi ed ansie, aveva iniziato a far entrare nel suo cuore l'idea che sarebbero stati i suoi ultimi mesi in Università. Quello che davvero le serviva era un cambio di prospettiva: nei mesi precedenti si era concentrata troppo sull'aspetto accademico per poter vedere davvero quello che aveva guadagnato in questi anni e che non le sarebbe stato portato via, come le passioni, gli amici, le certezze di ogni giorno. Riuscendo ad inserire lo studio all'interno di un quadro più ampio, aveva rivalutato le sue giornate, e capito che, a poco a poco, era giusto stringere i denti e concludere un percorso che era stato bello e stimolante. Doveva a se stessa almeno questo.

Così aveva terminato gli ultimi esami, e, nell'autunno successivo, si era dedicata alla Tesi, iniziando ad arrotondare con qualche lezione privata. A quel punto dell'anno, si sentiva già una persona piuttosto diversa; non solo aveva scoperto di amare davvero il soggetto della Tesi che aveva scelto, ed aveva ritrovato energia ed entusiasmo nello studiare e nel fare ricerca, ma, a differenza di tanti suoi compagni laureandi, che si sentivano sull'orlo di un precipizio, lei si sentiva più sollevata e fiduciosa nel futuro, anche se, in quel momento, non c'erano grandi punti fissi.

Così, quando la tanto sospirata Laurea era stata fissata per febbraio, perfettamente in linea con i tempi che si era prefissata, lei non aveva più pensato, per l'ennesima volta, soltanto al punto di vista scolastico: si era occupata personalmente di vestiti, confetti, aperitivi con i compagni, festeggiamenti con gli altri amici.

A ventiquattro anni (e mezzo), si era presa la sua seconda Laurea con lode. E dopo un lungo pomeriggio in Università, dopo una discussione brillante e tanti (in)aspettati complimenti, dopo un mare di foto e riti goliardici, dopo un aperitivo insieme ai (tanti!) presenti alla sua laurea, dopo un sabato ed una domenica passati a festeggiare con amici di Università e non... era uscita.

 

I giorni successivi erano passati in una bruma di stanchezza ed incredulità; prima ancora che se ne potesse rendere conto, aveva trovato un piccolo stage. Si trattava di un apprendistato – ovviamente non retribuito, ok – in un'associazione culturale che si occupava di eventi in città ed editoria. Aveva accettato la mezza giornata, continuando a dare lezioni private pomeridiane. L'ambiente era piuttosto informale e lavorare lì era tutt'altro che sgradevole.

Quella primavera si era sentita sorprendentemente leggera: aveva deciso di prendere quell'esperienza come una “palestra” per il futuro, per abituarsi al mondo del lavoro. Lei era sempre stata una fan della teoria “dura e pura”, ma in quei mesi aveva scoperto che non le dispiaceva affatto uscire un po' dal seminato e tentare un approccio più pratico alle materie umanistiche. Dopo molti ripensamenti, si era comprata un piccolo pc ed uno smartphone; aveva imparato questioni economiche ed amministrative di cui non aveva mai sentito parlare fino a poche settimane prima; aveva perfino iniziato ad apprezzare il fatto di non avere più il costante pensiero dello studio, specie nei weekend e nei momenti liberi. Ed il fatto di aver corretto le bozze di un libricino su uno dei poeti milanesi viventi più importanti l'aveva riempita di gioia.

 

Quando, verso l'estate, il suo tirocinio stava per finire e si era messa alla ricerca di un impiego vero, la sua allegria aveva iniziato a svanire. Non si sentiva più leggera come una farfalla, ma esausta, come se fosse stata coperta di qualcosa, tipo cenere, che le impediva di muoversi.

Dei suoi primi colloqui di lavoro, solo uno su quattro le aveva dato una parvenza di onestà. Il lavoro che aveva fatto durante lo stage le piaceva, ma sembrava che non ci fosse modo di replicarlo. A questo problema si era aggiunto qualche dissapore in famiglia ed una strana rabbia. Era come se covasse dentro di sé un desiderio di libertà ed indipendenza che non vedeva, purtroppo, realizzato a breve.

A luglio inoltrato, concluso lo stage, era iniziata per lei l'estate. L'agosto insolitamente piovoso di quell'anno l'aveva aiutata a scoprire qualche nuovo angolo della zona dove di solito passava le vacanze, aveva contribuito a farle fare una “gita” da un'amica ed anche a farle passare qualche giorno in beata solitudine.

Alcune notti si svegliava in seguito ad incubi, oppure, durante il giorno, provava, di nuovo, un amaro groppo in gola. C'erano attimi in cui rimpiangeva la scelta di Lettere, anzi, rimpiangeva la scelta di studiare, in generale. Le capitava di andare dalla parrucchiera, dall'estetista, dal panettiere, e di pensare: se solo mi fossi accontentata di uno di questi mestieri...! Se solo non avessi coltivato l'ambizione di studiare! Forse ora sarei serena, si diceva. Tutte le cose meravigliose che aveva imparato in quegli anni... che cosa se ne sarebbe fatta? Davvero non lo sapeva. Una singola esperienza di stage era stata ottima, ma al quel punto non era più sufficiente. Senza contare che, se non avesse trovato una soluzione in fretta, avrebbe continuato a dipendere dai suoi genitori e, con ogni probabilità, a litigarci, perché delle volte era nervosa senza motivo. L'acqua, sia di cielo che di mare, riempiva i suoi polmoni; aveva voglia di gridare, ma nessuno sembrava comprendere il suo problema. Le frasi che sentiva più spesso erano: “Sei laureata da poco!”, “Aspetta, qualcosa salterà fuori”, “Eh, cosa vuoi, c'è crisi”. Era già stufa di sentirle! Era rientrata in città poco prima di Settembre.

 

la pioggia è venuta, battente, mentre stavo annegando

è stato allora che ho potuto finalmente respirare

 

A Settembre, molto prima del previsto, erano usciti i bandi del Dottorato. La carriera accademica era qualcosa a cui, negli anni precedenti, aveva pensato moltissimo e con serietà. Anche mentre faceva il tirocinio si era ripetuta, più volte: “Dai, magari l'anno prossimo faccio il Dottorato”.

Sarebbe stato semplice rientrare nel circuito dell'Università, ricominciare con i corsi, la ricerca, il rapporto costante con un relatore, lo studio. Peccato che in quel momento le paresse infinitamente difficile.

Aveva provato a dirsi frasi come: “il tuo entusiasmo è scarso perché sai che la tua relatrice va in pensione e che sarai abbinata ad un altro prof”; “forse non sei motivata perché il concorso è spesso pilotato, dai, prova!”. Tutte motivazioni verissime che, in effetti, le lasciavano possibilità quasi nulle di entrare.

Tuttavia, anche se ci fosse stata una reale opportunità di entrare, lei sapeva benissimo di non volere. Era ormai oltre quel mondo, per quanto lo avesse amato. Sentiva di aver dato davvero tutto, almeno per il momento.

Aveva rinunciato al Dottorato senza troppi ripensamenti.

 

C'era un'altra cosa, invece, a cui si era sempre rifiutata di pensare, ma che ora continuava a farsi strada tra i suoi pensieri: insegnare.

Si era sempre detta di non farlo, sia perché il mondo delle scuole era diventato difficilissimo, sia perché sia sua madre che sua zia erano insegnanti, e lei era sempre stata restia a seguire le orme di famiglia.

Che aveva da perdere, però? Tutti i lavori erano difficili da trovare e da praticare. E scegliere lo stesso mestiere di qualcuno di famiglia non significava essere dei doppioni. Ogni lavoro poteva essere differente, se svolto con la propria personalità.

Proviamo, si era detta.

Era stato così che, ad inizio ottobre, pochi giorni dopo il suo venticinquesimo compleanno, era stata chiamata dalla sua prima scuola.

 

L'inizio era stato sorprendente. Aveva passato i primi giorni senza dormire, mangiando a stento, in preda all'ansia. Sentirsi chiamare “prof” e passare dall'altra parte della cattedra dopo tanti anni era stato per lei un impatto sconvolgente. La scuola, un Istituto Professionale di periferia, aveva una pessima fama, era povera e piuttosto disorganizzata, ma non era questo che si sarebbe ricordata. Quello che le sarebbe rimasto per sempre nel cuore era l'accoglienza che le era stata riservata. Aveva due classi su tre al Triennio, perciò i suoi alunni avevano pochi anni in meno di lei, ma... l'avevano accolta, eccome.

Ogni giorno si doveva alzare prestissimo e fare un lungo viaggio; doveva affrontare colleghi, ragazzi, lezioni e responsabilità quotidiane; ogni volta che usciva da scuola, però, si sentiva come se respirasse aria nuova.

Giorno dopo giorno, infatti, la smetteva di rimpiangere la sua scelta di aver studiato. Quello di cui aveva bisogno davvero – e se ne rendeva conto proprio in quel momento – era di far fruttare quello che aveva imparato, di restituire almeno un po' di quello che aveva ricevuto. Il momento in cui usciva dall'Istituto e capiva di aver passato la mattinata a fare qualcosa di bello ed importante era decisamente il migliore della giornata. I dubbi restavano, le paure continuavano a covare in un angolo, ma i giorni passavano, l'uno dopo l'altro.

Sfortunatamente, dopo meno di un mese il Ministero aveva ribaltato tutte le carte in tavola ed a lei, che era supplente, era toccato andarsene.

Separarsi dai ragazzi era stato uno strazio ben peggiore del previsto. Un paio di ragazze di quinta avevano pianto e l'avevano seguita in aula professori; il clima era tristissimo in tutte e tre le classi; per due giorni aveva ricevuto biglietti, lettere e persino torte di commiato. Lei stessa aveva passato due giorni a piangere, non tanto per lei, quanto per i ragazzi, ai quali si era sinceramente affezionata.

Nonostante si sentisse con il morale a terra, non poteva fare a meno di pensare che fosse stata per lei un'esperienza meravigliosa. Niente l'aveva gratificata più che sentire dai suoi stessi ragazzi – più di uno – che avrebbe trovato di sicuro qualcos'altro, perché era tagliata davvero per fare la professoressa.

Mentre si trovava in aula professori a dare qualche ultimo consiglio di lettura ad una delle ragazze di quinta (“Quando ho capito che se ne sarebbe andata mi è crollato il mondo addosso!” aveva commentato, e lei non aveva potuto evitare di pensare “... A te,eh??”), le erano venute in mente le prof.di Lettere del liceo che tanto aveva adorato. Le sembrava fosse ieri, ma... era trascorsa una vita. Ora stava dal loro lato, in un certo senso. E questo pensiero, non si sa come né perché, le dava la consapevolezza di avercela fatta.

 

Non c'era stato troppo tempo per piangersi addosso. Cinque giorni dopo si trovava in una scuola media del paese di fianco al suo, pronta a ricominciare. Con le spalle più solide, un sorriso più deciso ed una nuova consapevolezza alle spalle.

 

sobria da 10 mesi, devo ammettere

solo perché sei pulita, non significa che non ti manchi

più vecchia di 10 mesi, non lascerò perdere

ora che sono pulita non rischierò

la siccità è stata davvero il peggio

quando i fiori che avevamo cresciuto insieme sono morti di sete

 

Ovviamente aveva dovuto affrontare tutto un altro mondo. L'impatto con i ragazzi più piccoli era stato sicuramente più difficile, ed anche la routine quotidiana era un po' diversa. Si trattava – serve dirlo? - di un'altra supplenza a tempo “indeterminato” - dove qui l'aggettivo non sta a significare “sei a posto, vai tranquilla!”, bensì “ringrazia Dio per ogni giorno che lavorerai, perché quest'anno il Ministero continua a combinare casini”. Ovviamente la situazione di incertezza non giocava a suo favore, e si univa, ogni giorno, a tanti dubbi e difficoltà. La passione per il lavoro svolto chiamava a sé, inevitabilmente, delle responsabilità. Si andava avanti giorno dopo giorno; lei era stordita da tutte le novità, ma cercava di non lasciarsi travolgere.

Era ormai metà novembre, ed erano passati ben nove mesi da quel giorno di febbraio in cui aveva salutato l'Università. Si era aspettata il vuoto siderale, il nulla, una certa disperazione.

Oh, certo, le emozioni erano state davvero infinite, e non erano di certo esaurite: sapeva benissimo che altri colpi di scena l'avrebbero aspettata. Non sapeva quanto a lungo sarebbe durato il suo nuovo incarico, né se l'insegnamento sarebbe stato davvero il mestiere della sua vita (aveva gettato buone basi, ma era così giovane!), né se un giorno le sarebbe venuto il desiderio di tornare a studiare, di fare un altro mestiere o chissà cos'altro.

Quello che sapeva era che, anche se provava nostalgia per la vita universitaria, era riuscita a non far diventare questo sentimento un attaccamento morboso e senza futuro; e che il suo vero nemico era il rischio di ostinarsi in una situazione che non la soddisfaceva completamente, piuttosto che cambiare.

Ora capiva di poter avere – pur con mille tentennamenti! - il coraggio di svoltare. Era uscita dal pantano fangoso in cui si era trovata. E forse, forse... aveva individuato la chiave per uscire da altri che avrebbe trovato in futuro.

 

E, quella mattina, se n'era andata ogni traccia di te!

...penso di essere finalmente pulita.

  
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