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Autore: Tralala    25/06/2015    2 recensioni
“Ti prometto che andrà tutto bene Louis. Lo sai che va sempre tutto bene”
“Tu non puoi saperlo. Non puoi, perché quello che fai è troppo imprevedibile. Non sai mai quello che ti potrebbe succedere il giorno dopo. Non sai mai per certo se potrai tornare per le vacanze da noi. Non lo sai e basta ed è inutile che mi dici che andrà tutto bene perché finché non ti vedrò scendere da quell'aereo per la prossima licenza, non ti crederò e continuerò a vivere ogni giorno con la paura che tu non rit...”
Harry non mi lasciò finire che mi abbracciò. Mi strinse forte tra le sue braccia e iniziò ad accarezzarmi la schiena per tranquillizzarmi.
“Io non vado da nessuna parte e questo posso giurartelo. Manterrò il mio giuramento. Lo sai che lo faccio, ogni anno” [...]
“Lo so. Lo so che tornerai”
“Si, Lou tornerò da te”. A quelle parole il mio cuore fece una capriola. [...]
“Devo andare” mi disse staccandosi dall'abbraccio.
“Okay, mi mancherai da morire”
“Non c'è bisogno di morire per la mia mancanza, Boo. Ci vediamo presto”
“Ci vediamo presto, Harry”
18k parole.
Enjoy:)
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vi consiglio di ascoltare alcune canzoni mentre leggete.

E' una playlist che ho fatto per ascoltarla mentre scrivevo:) Quelle sottolineate, sono quelle che troverete anche nella storia.

 

  • Hold back the river, need the sun to break, running, move together (amate questa canzone), wait in line ( James Bay)

  • Warrior ( Beth Crowley)

  • Thinking out loud, One ( Ed Sheeran)

  • Over again, once in a lifetime, fool's gold, 18, ready to run ( One Direction )

  • Look after you ( Louis' cover)

  • Don't let me go ( Harry Styles)

  • A little bit of your yeart ( Ariana Grande)

  • Hunger (Gary Ross)

  • Sky full of stars ( Coldplay)

  • E poi altre che non mi ricordo perché il mio telefono non mi legge più la memoria SD e non ho più nulla and I'm screwed.

     

Wherever you are is the place I belong.

 

Non appena scorsi la sua chioma riccia, iniziai a correre.

Mi feci spazio tra la gente in fila o che camminava troppo lentamente, trasportando pesanti valigie.

Mi accorsi che lui non mi aveva ancora visto e che mi stava cercando in quella massa di gente.

Corsi ancora perché avevo un bisogno impellente di abbracciarlo.

All'improvviso i nostri sguardi si incontrarono.

Mi fermai bruscamente e restammo entrambi a guardarci da lontano, immobili trattenendo il fiato.

Poi il suo solito sorriso malizioso colorò il suo sguardo e ci ritrovammo entrambi a correre l'uno verso l'altro, incuranti della gente che ci guardava o che ci prendeva per maleducati.

In meno di un secondo mi trovai tra le sue braccia, aggrappato a lui come una scimmia.

Inspirai il suo profumo, quello che gli avevo regalato al suo compleanno.

<< Mi sei mancato Boo >>

<< Anche tu, Haz. Da morire >> .

Rimanemmo l'uno nelle braccia dell'altro a cullarci per qualche minuto, lasciando che la gente fluisse intorno a noi.

Quando ci dividemmo mi beai del suo sorriso e dei suoi occhi così belli, bellissimi.

<< Dobbiamo andare o faremo tardi per la festa a sorpresa che ti ha organizzato tua sorella >> dissi io, iniziando a camminare.

<< Louis! Ma se doveva essere una sorpresa, non avresti dovuto dirmelo! >>

<< Ops >> dissi, ridendo.

Anche lui rise e in quel momento realizzai quanto la sua risata mi fosse mancata, come quel suono illuminava il mio spirito ogni volta che si nascondeva nell'ombra e si chiudeva in sé stesso.

<< Beh, fai finta di non sapere niente quando arriveremo >>

<< Sai che non sono bravo a recitare >>

<< Lo so, cerca di essere credibile >> .

Prendemmo un taxi al volo che ci guidò attraverso le strade più trafficate di New York e mentre Harry guardava fuori dal finestrino per ricordare quelle vie e quelle persone che non aveva visto per così tanto tempo, io lo osservavo, anzi lo fissavo.

Fissavo le sue gambe magre, strette nei soliti jeans neri dannatamente attillati che in servizio non aveva mai potuto indossare. Fissavo i suoi bicipiti che si intravedevano dalla maglietta a mezze maniche che indossava nonostante fossimo a Dicembre.

Ma soprattutto fissavo le sue labbra, carnose e rosee, unite tra loro così strette da sembrare incollate.

Non avrei dovuto fissare le sue labbra, lo sapevo, ma non potevo negare ai miei occhi quel piacere. Non avrei dovuto avere il desiderio quasi incontrollabile di assaggiare quelle labbra, perché sapevo essere off limits per me, per me che ero solo il suo migliore amico.

Sfrecciammo per quelle strade ancora per del tempo, mentre restavamo in silenzio, fiduciosi che quella notte l'avremmo passata in bianco a parlare.

Quando arrivammo all'appartamento di Gemma, aiutai Harry con la valigia che non era né molto grande né molto pesante e gli feci provare delle facce sorprese, per non deludere sua sorella.

I suoi miserabili tentativi mi fecero piegare in due dalle risate, mentre lui mi rimproverava dicendomi che avrei dovuto aiutarlo invece che ridere, ma io non riuscivo a smettere soprattutto per quel faccino imbronciato che aveva messo su a causa delle mie risate.

Appena suonammo alla porta, qualcuno ci aprì, ma non vedemmo nessuno perché tutto era buio, finché non mettemmo piede in casa e miliardi di luci insieme a talmente tante persone che l'appartamento sembrava sul punto di esplodere, spuntarono da ogni parte della casa.

Harry sorrise, cercando di essere sorpreso.

Ma il suo sorriso era sincero e questo non aveva avuto bisogno di provarlo. Sua sorella gli corse incontro e lo abbracciò come io avevo fatto in aeroporto poco prima e lui la prese al volo, stringendola stretta e inspirando il suo buon profumo.

Dopo di lei tante altre persone andarono a salutare Harry, tra parenti e amici e non riuscii più ad avvicinarmi a lui.

Liam mi fece compagnia mentre lui sorrideva cordiale a tutte quelle persone che la sorella aveva, secondo me inutilmente, invitato.

Ogni tanto lo vedevo lanciarmi uno sguardo di supplica e io ridevo, ma non andavo ad aiutarlo.

<< Lo trovo bene >> mi disse Liam ad un tratto.

<< Beh a parte la miriade di cicatrici e spero non cose peggiori che avrà sicuramente per tutto il corpo, si sta bene >> risposi io, sorseggiando un analcolico lentamente.

<< Il suo lavoro non è una passeggiata, è ovvio che ci siano delle ripercussioni >>

<< Sai che potrebbe morire, Liam >>

<< Almeno il suo è un lavoro onorevole. C'è gente che si fa ammazzare perché spaccia o agisce illegalmente >>

<< Onorevole... puah >> replicai io, poco convinto.

<< Louis, Harry ha deciso di servire la patria arruolandosi nell'esercito >>

<< Come avrei voluto che avesse scelto di servire la patria facendo sentire a tutti la sua voce >> sospirai, pensando a quelle volte in cui Harry mi aveva cantato una canzone, nel cuore della notte senza preoccuparsi di svegliare qualcuno. A quanto la sua voce mi avesse fatto venire i brividi, tanto che lui aveva dovuto interrompersi credendo che avessi freddo e a quanto mi si fosse avvicinato, cercando di riscaldarmi con il suo corpo. E io, seppure avessi voluto ascoltare ancora la sua voce, ero felice perché averlo così vicino da permettermi di sentire il suo battito era la consolazione migliore che potessi chiedere.

Liam rise, annuendo.

Finalmente Harry si liberò di tutte quelle persone e si avvicinò a noi.

<< Oh, vi prego ditemi che mia sorella non ha comprato solo inutili analcolici >>

<< Tieni Haz >> dissi, porgendogli un bicchierino di vodka.

Lui lo scolò tutto in una volta, facendo una smorfia dopo che il liquido gli fu sceso per la gola.

Io e Liam ridemmo, poi iniziò la musica.

Gemma aveva preparato una gran bella festa di bentornato.

<< Dov'è mio fratello? Ah eccolo che si nasconde perché sa cosa gli toccherà fare ora. Vieni a cantare, fratellino! >> disse Gemma al microfono.

Harry iniziò a scuotere la testa, ma io, Liam e altri ragazzi iniziammo a spingerlo verso il karaoke e lui non fece troppo resistenza.

Partì la base di “Free fallin” di John Meyer, la sua canzone preferita.

Iniziò a cantare e tutti gli invitati si zittirono. Alcuni accesero addirittura degli accendini,iniziando a muovere le braccia a ritmo, ridendo e cercando di cantare come stava facendo Harry.

Ma la verità era che nessuno sapeva cantare come lui.

Si era seduto su uno sgabello con il microfono tra le grandi mani che amavo, aveva chiuso gli occhi e si era lasciato trasportare dalla musica, tralasciando tutta quella gente, qualsiasi cosa che gli fosse successa in quell'anno e si era fatto cullare dalla melodia, aveva iniziato a seguire le note, a cantare con la sua voce roca e graffiante, la voce che veniva a trovarmi ogni notte nei miei sogni e che mi diceva sempre la stessa frase; “ Ovunque tu sia, quello è il mio posto”.

E io non potevo far altro che svegliarmi nel cuore della notte con gli occhi umidi, con gli occhi che sentivano la sua mancanza.

Lo osservai mentre cantava e lo sentii.

Lo sentii dentro di me. La sua voce che rimbombava nella caverna del mio cuore. Le note che sfioravano la mia pelle e facevano drizzare i peli.

La melodia sfiorata dalle parole che lui pronunciava, accarezzava me come una mano calda guarisce una guancia solcata dalle lacrime, come la brezza marina solca le onde del mare, come le dita scorrono veloci sui tasti del pianoforte.

E senza volerlo mi ritrovai a sentire una lacrima salata sulle mie labbra, una lacrima che silenziosa era scappata dalla prigione dei miei occhi.

Anche io avevo chiuso gli occhi, avevo lasciato che la musica mi abbracciasse e cullasse anche me.

Quando la voce di Harry si spense sull'ultima nota, il fragore degli applausi mi riportò alla realtà e aprii di scatto gli occhi, asciugando con il dorso della mano quell'unica lacrima, velocemente e senza farmi vedere da nessuno. Incrociai gli occhi di Harry solo per un istante, un istante che mi bastò a notare il luccichio dei suoi occhi.

 

Dopo un paio di ore, Harry era ubriaco fradicio e fui costretto a portarlo al piano superiore, facendolo reggere a me.

Puzzava terribilmente di alcool eppure sotto quell'odore riuscivo ancora a sentire le tracce del suo di profumo, quello che non lo abbandonava mai, che lo distingueva e che non riuscivo mai a dimenticare, nemmeno dopo un anno senza vederlo.

<< Eccoci H, ora puoi dormire >> gli dissi appoggiandolo al suo letto. Gli tolsi le scarpe e gli rimboccai le coperte proprio come mia mamma faceva ogni sera quando ero bambino.

Harry aveva gli occhi chiusi e il respiro regolare e per questo pensai stesse dormendo, ma quando mi sentii prendere la mano mi accorsi che era ancora sveglio.

<< Resta >> mi disse in sussurro che se non avessi guardato il movimento delle sue labbra probabilmente non avrei capito.

<< Non ci entriamo Hazza >> risi piano. Il suo era un letto a una piazza sola.

<< Ci stringiamo >> ribatté.

All'improvviso l'idea di dormire così vicino a lui mi fece bloccare il respiro in gola.

Delle fastidiose e rumorose farfalle iniziarono a gironzolare nel mio stomaco e iniziai a sentire il mio cuore pompare troppo velocemente per il normale.

Ma Harry non aveva ancora lasciato la mia mano e io non potei fare a meno di stringerla nella mia, togliermi le scarpe e infilarmi sotto le coperte con lui.

Entravamo a stento e io sarei sicuramente caduto, con tutti i calci che Harry era solito dare mentre dormiva, ma mi sentivo così protetto tra le sue braccia e così al caldo che quello non lo considerai nemmeno un problema.

Il problema era il suo respiro caldo che andava sfiorando la pelle della mia nuca, creando dei piccoli brividi che non riuscivo a controllare.

La cosa era alquanto fastidiosa, il fatto di essere impotente vicino a lui mi rendeva l'uomo più vulnerabile del mondo.

Eppure a me andava bene così.

Avrei preferito mille volte averlo accanto a me, anche se avessi dovuto per sempre comportarmi solo come amico e soffrire dentro piuttosto che non averlo più con me, di non vederlo, di non sentirlo.

Avevo bisogno di lui come si ha bisogno dell'aria e non pensavo che questo paragone fosse esagerato perché quando era in servizio, in qualche paese dove la guerra dilagava e non lo sentivo da qualche settimana, mi sentivo morire dentro, quando mi rendevo conto che era troppo tempo che non sentivo la sua voce o anche solo che non leggevo una sua email, mi sentivo mancare l'aria come se fossi stato sott'acqua troppo a lungo e allora sentivo il bisogno di uscire, prendere lunghe e profonde boccate di aria fredda per schiarirmi la mente e scacciare quegli orrendi pensieri.

Quegli orrendi pensieri che me lo facevano immaginare sdraiato da qualche parte, con il suo bel viso deformato magari a causa di un'esplosione, così tanto irriconoscibile che ci avrebbero messo giorni per riconoscerlo e mandare qualcuno a dare la terribile notizia.

Odiavo pensare a quelle cose, perciò cercavo sempre di sostituire quei pensieri a dei ricordi, ricordi felici di me e lui, magari di qualche anno prima quando eravamo ancora insieme ogni giorno e ci divertivamo a fare le cavolate che ogni giovane fa a quell'età.

Ma decisi che quella sera non dovevo pensare più a nulla, né a cose brutte né ai ricordi né a nulla e vivere il presente perché lui era tornato, sano e salvo ed era così vicino a me da sentire il suo battito mentre dormiva profondamente.

Ci misi molto ad addormentarmi, ma alla fine,cullato dal suo respiro e dalle sue braccia che mi stringevano, mi feci prendere da un sonno senza sogni.

 

Il mattino dopo mi svegliai di soprassalto. Mi ero svegliato per un freddo strano che non avevo sofferto durante la notte. Così mi voltai e capii perché avevo freddo. Il letto era vuoto, Harry si era già alzato.

Mi prese uno strano panico, di quelli che ti ostruiscono le vie respiratorie. Scesi velocemente dal letto, ancora vestito come la sera prima e iniziai a chiamare il suo nome. Nessuno mi rispose, ma poi sentii un profumo e un leggero sfrigolio venire dalla cucina. Scesi le scale e vidi Harry che canticchiava mentre cucinava la colazione. Feci un sospiro di sollievo così profondo che lui mi sentì e si voltò.

<< Buongiorno Boo >> mi salutò.

<< Ehi, Haz >> dissi io, facendo finta di non aver avuto un mini attacco di panico.

<< Pancakes? >> mi chiese, mettendone alcuni in un piatto. Cominciai a mangiarli, anche se non avevo molta fame.

<< Come stai? >> gli chiesi, riferendomi alla sbronza della sera prima.

Lui sorrise. Dio, quel sorriso mi faceva morire ogni volta.

<< Come se avessi fatto 'giro giro tondo' almeno duecento volte di seguito, ma per il resto bene >> .

Risi, dopodiché finimmo di fare colazione.

<< Ti va di andare a fare un giro? >> mi chiese

<< Ho voglia di rivedere New York, mi è mancata >> mi spiegò con uno sguardo trasognato.

<< Si, certo >> risposi entusiasta.

Mezz'ora dopo stavamo camminando per le vie affollate della città.

Una settimana dopo sarebbe stato Natale e in quel periodo New York diventava ancora più luminosa del solito, con alberi altissimi in quasi ogni piazza, luci in ogni vetrina e la neve che, soffice, si posava sulle strade. Ogni tanto, per strada potevi salutare un Babbo Natale che suonava una campanella e faceva il suo solito “Ohohoh”.

Harry sorrideva come un bambino ogni volta che ne vedeva uno e si guardava intorno come se fosse stato il suo primo Natale a New York. Volle farmi entrare in almeno dieci negozi, tutti che vendevano idee regalo. Disse che doveva comprare qualcosa da mettere sotto l'albero.

Quando entrammo nel quinto o sesto negozio, mi disse di uscire e io capii che aveva trovato un regalo per me. Sorrisi, scuotendo la testa. Ogni Natale era così. Gli piaceva fare i regali e tenere la sorpresa su cosa fosse fino alla fine. Io invece ero solito domandare alla gente cosa volesse per non scervellarmi troppo. Aspettai fuori, mentre iniziava a nevicare e la gente correva dentro negozi o bar per stare al caldo. A me non dispiaceva così tanto il freddo, ci ero abituato fin da piccolo e soprattutto amavo la neve perché mi faceva venire in mente ricordi felici di quanto ero bambino e insieme a Harry costruivamo pupazzi di neve o quando da più grandi ci appostavamo fuori casa e appena usciva un nostro familiare iniziavamo a fare a palle di neve contro di lui. Negli ultimi anni invece avevamo imparato a pattinare sul ghiaccio. Harry era più bravo e coordinato e aveva imparato in fretta. Io invece ci avevo messo un'eternità e ancora qualche volta mi capitava di cadere. E ogni volta che succedeva Harry rideva di me, una risata così fragorosa ogni volta che faceva girare tutte le persone presenti. Io, dopo un momento di rabbia nel vederlo ridere di me senza neanche aiutarmi, iniziavo a ridere insieme a lui, poi mi rialzavo e lo prendevo a pugni per finta o ci rincorrevamo come bambini.

E la gente scuoteva la testa rassegnata.

Harry uscì dal negozio con aria trionfante e io ritornai al presente.

<< Allora, fatto begli acquisti? >> chiesi, ironico.

<< Bellissimi! >> mi rispose lui felicissimo.

Dopo poco anche noi ci rinchiudemmo in un bar, perché la neve iniziò a cadere più fitta e il freddo insistente si fece sentire.

Prendemmo due cioccolate calde, anche se a me non piaceva particolarmente, avevo bisogno di qualcosa di bollente che mi riscaldasse.

<< Strano che tu non mi abbia ancora chiesto niente di quest'anno >> se ne uscì il riccio, mentre sorseggiava la bevanda.

Io lo guardai per un po'. In effetti non gli avevo chiesto niente su quello che aveva passato, su quello che aveva subito, su quello che aveva sofferto, e non glielo avevo chiesto non perché non mi interessasse, ma per puro egoismo. E la verità era che non volevo soffrire anche io ascoltando quello che mi avrebbe raccontato, i giorni in cui era rimasto solo, in cui aveva sofferto il caldo o il freddo, le notti insonni, le esplosioni così vicine che lo avevano fatto rimanere sordo per qualche ora, le volte in cui aveva dovuto uccidere.

<< Non voglio farti rivivere quei momenti >> risposi, mostrandomi altruista quando invece non lo ero per niente.

Lui scosse piano la testa con un sorriso amaro che gli dipingeva le labbra.

Poi le morse, tremando.

Io corsi a stringergli la mano. Anche se non mi aveva raccontato nulla, sapevo che stava rivivendo tutto nella sua mente.

<< E' stato... peggio degli altri anni. Quella gente non ha scrupoli, non... si fa scrupoli a coinvolgere donne e bambini, a usarli come armi, a ucciderli. Non si preoccupano più di tanto se sono i loro stessi figli a finire in mezzo a una guerra. Non si ritengono responsabili di quello che sta succedendo. Vogliono solo dominare sugli altri, far predominare la loro opinione. Non si fermano a sentire le altre, perché secondo loro la ragione è solo la loro, loro che sono guidati da Dio a fare quello che fanno. Ma da quando Dio vuole che i suoi figli si uccidano tra loro? >> . Una lacrime gli rigò il volto e io strinsi la sua mano ancora più forte.

<< Non lo so, Harry. Niente è più giusto o sbagliato ormai. Ma tu non devi... tu non devi pensarci. Devi vivere la tua vita. Tu sei vivo, sei con i tuoi familiari e i tuoi amici, nella tua città a bere una tazza di cioccolata calda. Devi metterti l'anima in pace, perché sai di aver fatto il tuo dovere, di aver provato a salvare quella gente. Non puoi fare di più, non sei un supereroe. Non puoi salvarli tutti. >>. Cercai di convincerlo, ma sapevo che quelle immagini sarebbero sempre state davanti ai suoi occhi, a tormentarlo, a fargli pensare che avrebbe potuto fare di più. Sapevo che avrebbe continuato a sentire le grida di tutte quelle persone che scappavano dagli spari, che avrebbe sempre rivisto nei suoi sogni le lacrime di quei bambini che non c'entravano niente lì.

Lo sapevo per certo, perché erano le stesse immagini che tormentavano me ogni notte. Mi svegliavo di soprassalto e non riuscivo più a dormire. Solo quella notte ero riuscito a non sognare nulla, a fare finalmente un sonno lungo e profondo senza interruzioni. Ci ero riuscito perché Harry non era solo nei miei sogni, ma era effettivamente vicino a me.

Quella notte era riuscito a farmi sentire al sicuro, tra le sue braccia, e ora toccava a me farlo sentire protetto.

<< Sarai sempre al sicuro, Harry. Te lo prometto >>. Quello che avevo appena detto non c'entrava molto con il discorso precedente, ma mi ero sentito in dovere di dirglielo. Aveva bisogno di sapere che l'avrei protetto sempre, a qualsiasi costo. Lui mi guardò un po' stranito, ma poi annuì, sollevato. E anche io lo fui.

<< Bene, allora io ti offro la cioccolata, facciamo un'altra passeggiata fino a Times Square e poi mangiamo una bella pizza da Mario e lì offri tu, ok? >> dissi, cercando di farlo ridere. Lui lo fece e accettò.

La sera ci ritrovammo a casa mia, davanti al camino acceso.

Le mie sorelle gironzolavano per casa, mentre io e Harry guardavamo la tv. Beh, più che altro lui guardava la televisione, io guardavo lui.

Ripensai al momento in cui capii di essermi innamorato di lui. Era un giorno come un altro. Harry mi chiese di andare a casa sua per giocare alla playstation e io accettai anche se non amavo i videogiochi. Quando ci stufammo di giocare e io dovetti tornare a casa, Harry si offrì di accompagnarmi anche perché abitavamo a due isolati di distanza. Mentre camminavamo e parlavamo, Harry mi sfiorò la mano, ma lo fece involontariamente. Io però me ne accorsi e dopo quel tocco la mia mano sembrò bruciare. La strinsi in un pugno e cercai di calmare il mio cuore che aveva iniziato a battere all'impazzata. Era accaduto tante volte di stare a contatto, insomma ci conoscevamo da quando eravamo bambini, eppure quell'unico sfioramento mi aveva provocato un qualcosa che in quel momento non capii fino in fondo. Quando arrivammo davanti casa mia, Harry stava per andarsene, ma io gli presi la mano, la stessa con cui prima mi aveva sfiorato, la strinsi forte nella mia e poi senza pensarci molto su, gli diedi un bacio sulla guancia. Non riuscii a baciarlo davvero, ad assaporare quelle labbra che mi chiamavano come se fossero stati dolci avvelenati, ma avevo sentito il desiderio impellente di sentirlo più vicino. Appena mi staccai, senza guardarlo, entrai in casa e lo lasciai sull'uscio della porta, stordito.

Avevo diciotto anni. Erano cinque anni che lo amavo e che non lo avevo detto a nessuno, che avevo tenuto ogni piccola parola sigillata dietro le porte della bocca, che avevo lasciato ogni più insignificante pensiero e desiderio nascosto sotto una montagna di tanti altri pensieri che erano stronzate in confronto. Erano cinque anni che avrei voluto dirgli due parole, solo due, invece di tutte le altre migliaia che gli avevo detto.

E invece non ero riuscito a trovare il coraggio di farlo. Ero stato coraggioso in così tante cose in quegli anni, ma non nel dirgli cosa provavo davvero.

Lo osservavo e sognavo di dirglielo, di fargli un bel discorso, magari di scrivergli una lettera e poi leggergliela, senza guardarlo negli occhi così sarebbe stato meno imbarazzante.

Ma non ero granché a scrivere, ero più bravo a parlare. Avrei dovuto cercare le parole giuste, non troppo sdolcinate, ma comunque romantiche. Avrei dovuto studiare le espressioni con cui dirgli ogni singola parola e dove andavano fatte le pause, se fossi riuscito a farle. Immaginai il momento in cui glielo avessi detto, immaginai la sua reazione. Come sarebbe stata? Sarebbe stato stupito? O mi avrebbe rivelato che in verità lo aveva già capito da solo? E poi cosa avrebbe fatto? Mi avrebbe detto che ricambiava e mi avrebbe baciato o, dispiaciuto, mi avrebbe detto che per lui ero solo un amico e che magari era innamorato di un'altra persona?

Un urlo di esultanza di Harry mi riportò alla realtà. La squadra per cui tifava aveva appena fatto gol.

<< Ehi, Lou ma hai visto che gol fantastico?! >> mi chiese tutto felice. Io annuii.

Era così innocente e ingenuo.

Forse era meglio così, pensai rassegnato.

 

Una settimana dopo, il giorno di Natale ci ritrovammo con le nostre famiglie a casa mia che era più spaziosa. Mangiammo così tanto che mi sentii scoppiare, ma Harry mangiò forse il doppio di me e sembrava stare una pacchia. Io avrei potuto vomitare. Quando arrivò il momento dei regali, le bambine furono le prime a posizionarsi attorno all'albero. Ognuno prese un regalo e lo diede al suo destinatario.

<< Questo è per te >>. Harry mi porse un pacchetto incartato con una carta rossa e blu. Lo scartai cercando di non distruggere del tutto la carta, senza successo.

<< Oh, Harry >> dissi con stupore.

<< Ti piace? >> mi chiese.

Annuii. << Che cos'è? >> chiesi poi, sorridendo.

<< Ma come! Mi dici che ti piace e non sai nemmeno cos'è! >>

<< Beh, che è un cd lo vedo. Ma di chi? E comunque qualsiasi cosa mi regali mi piace a prescindere >>.

Quella frase lo fece quasi arrossire. Quasi.

<< Beh, in verità sono varie canzoni. Sono... le mie preferite. Volevo che le avessi con te, quando ripartirò >>.

Di slancio, lo abbracciai. Lo strinsi forte, perché non volevo separarmi di nuovo da lui. << Grazie >> gli sussurrai mentre tenevo ancora il mio viso tra i suoi capelli.

Poi mi staccai. << Ma io pensavo che il regalo me lo avessi comprato in quel negozio sulla 67esima, quando mi hai chiesto di uscire! >>

<< Cosa? No! Lì ho comprato il regalo a mia sorella >>

<< E allora perché mi hai fatto uscire dal negozio scusa? >>

<< Perché era un regalo... personale e non, insomma non potevi vederlo >>

<< E cosa le hai regalato di così segreto? >> chiesi io ridendo.

In quel momento Gemma aprì il regalo da parte del fratello.

<< Harry! >> urlò.

Harry iniziò a ridere sotto i baffi.

<< E' un vibratore >>. Iniziammo a ridere entrambi, mentre Gemma con finta timidezza, nascondeva il regalo. Quando finimmo di ridere mi rivolsi a Harry. << Anche io ho un regalo per te >> gli dissi.

<< Davvero? >> gli si illuminarono gli occhi come succedeva alle mie sorelle.

Risi e annuii, poi mi avviai verso la mia stanza, perché il suo regalo era troppo grande per andare sotto l'albero. Ritornai nella sala mentre gli altri ancora aprivano e commentavano i regali.

<< Tieni >> glielo porsi.

<< Wow >> disse Harry quando vide quanto era grande e pesante.

<< E' un bazuca? Ho sempre desiderato un bazuca. >>.

Scoppiai in una fragorosa risata. << No, decisamente no >>

Lui scartò il pacchetto senza tante cerimonie, distruggendo completamente il mio capolavoro.

<< Lou... mi hai regalato una chitarra! >>

<< Mm, ma davvero? >> dissi io ironico.

<< Ma il mio regalo fa schifo in confronto! >>

<< Non dire stronzate, lo adoro. È perfetto >> gli dissi, sinceramente.

Quando tutti si accorsero del regalo che gli avevo fatto, pretesero che Harry suonasse e cantasse qualcosa.

Lui all'inizio cercò di rifiutare, dicendo che aveva mal di gola, che avrebbe dovuto riscaldare la voce, che non sapeva come si suonasse la chitarra e a quel punto lo guardammo tutti come per dire “ ma non prenderci per i fondelli e suona” e allora lui cedette.

Iniziò a toccare qualche corda, per assicurarsi che la chitarra fosse ben accordata poi iniziò a cantare una melodia che non avevo mai sentito prima, delle parole che insieme non avevano mai composto un testo.

Quella era una canzone che ancora non esisteva perché era stato Harry a scriverla. Lo capii perché mentre cantava aveva un'espressione mista tra il concentrato e l'orgoglioso. E orgoglioso lo era giustamente.

Quella canzone era magnifica.

 


 

<< One day you’ll come into my world and say it all
You say we’ll be together even when you’re lost
One day you’ll say these words
I thought you’ll never say
You say we’re better off together in our bed

I want you here with me
Like how I picture it
So I don’t have to keep imagining

Come on, jump out at me
Come on, bring everything
Is it too much to ask for something great? >>


 

E quando cantò l'ultima strofa il mio cuore si sciolse.

 

<< You’re all I want
So much it’s hurting
You’re all I want
So much it’s hurting >>

 

Tutti rimanemmo in silenzio per qualche secondo, mentre nell'aria ancora aleggiavano le ultime note della canzone, poi scoppiammo in fragoroso applauso.

Harry, con il suo solito sorriso timido e le sue fossette adorabili, ci ringraziò facendo il modesto.

La notte non riuscii a dormire e nel bel mezzo del buio sentii il mio cellulare vibrare. Lo presi e mi accorsi di un nuovo messaggio.

“ Grazie del regalo Boo” da Harry.

“ Grazie a te per quella canzone” gli risposi io.

“ Ahah, perché mi ringrazi?”

“ Perché hai scritto una canzone meravigliosa e mi sembra giusto ringraziarti per quello che ci hai regalato oggi”

“ Quanto sei esagerato Lou, ho scritto solo quelle che mi veniva dal cuore”

E io ringrazio ogni giorno Dio per averti dato quel cuore.

Lo pensai, ma non lo scrissi e con tutti quei pensieri in testa mi addormentai.

 

Due settimane dopo mi ritrovai al punto di partenza.

Ero di nuovo con Harry a fare i bagagli.

Ero di nuovo con lui a guardare le sue grandi mani che prendevano alcuni vestiti e li sistemavano più ordinatamente possibile in un borsone.

Ero di nuovo con lui in silenzio perché non servivano parole, non c'erano parole per esprimere quello ci passava per la mente.

Lui sarebbe ripartito. Per un altro anno, altri mesi, troppi mesi.

E forse, solo forse sarebbe ritornato per il prossimo Natale.

Forse non sarebbe tornato proprio, perché gli avrebbero negato la licenza, forse perché avrebbe dovuto tornare troppo presto in servizio che non valeva la pena allontanarsi, forse, forse...

Non volevo pensare a nient'altro.

Forse semplicemente sarebbe tornato, come ogni anno, avrebbe passato le vacanze con noi e poi sarebbe ripartito. Era un circolo vizioso, una scomoda routine che Dio solo sa quanto avrei voluto cambiare.

Finimmo di impacchettare le poche cose nel pomeriggio.

La sera lo accompagnai all'aeroporto, come facevo ogni anno solo perché era lui a chiedermelo.

Aveva indossato la divisa con la quale stava maledettamente bene.

Avrei voluto starlo a guardare vestito così per l'eternità e allo stesso tempo avrei voluto che gettasse quei vestiti nel primo cassonetto e che se ne potesse liberare per sempre.

Mancava poco meno di un'ora al suo volo. L' ansia iniziò ad assalirmi e per questo cominciai a camminare avanti e indietro e a sudare.

<< Ehi, Lou tutto bene? >> mi chiese Harry vedendomi così irrequieto.

<< Non sto mai bene quando arriva questo giorno >> sbottai.

Come poteva chiedermi se stavo bene? Pensava che vederlo partire e andare verso la possibile morte mi facesse piacere, mi facesse stare comunque bene, mi facesse sentire tranquillo? Era ovvio che non lo ero, sin dal primo anno in cui partì per la prima volta avevo etichettato questo giorno come il peggiore dell'anno.

Harry si alzò dal posto in cui si era seduto e mi venne incontro, fermando la mia camminata nervosa.

Mi mise le mani sulle spalle e mi guardò dritto negli occhi, come solo lui sapeva fare.

<< Ti prometto che andrà tutto bene Louis. Lo sai che va sempre tutto bene >>

<< Tu non puoi saperlo. Non puoi, perché quello che fai è troppo imprevedibile. Non sai mai quello che ti potrebbe succedere il giorno dopo. Non sai mai per certo se potrai tornare per le vacanze da noi. Non lo sai e basta ed è inutile che mi dici che andrà tutto bene perché finché non ti vedrò scendere da quell'aereo per la prossima licenza, non ti crederò e continuerò a vivere ogni giorno con la paura che tu non rit... >>

Harry non mi lasciò finire che mi abbracciò. Mi strinse forte tra le sue braccia e iniziò ad accarezzarmi la schiena per tranquillizzarmi.

<< Io non vado da nessuna parte e questo posso giurartelo. Manterrò il mio giuramento. Lo sai che lo faccio, ogni anno >>

Sospirai. Dovevo dargli ragione, smettere di angosciarlo ancora di più con le mie stupide paure.

<< Lo so. Lo so che tornerai >>

<< Si, Lou tornerò da te >>. A quelle parole il mio cuore fece una capriola.

Avevo sentito bene? Sarebbe tornato da me. Lo aveva detto in un tono così convinto che tutte le mie paure scomparvero per un attimo.

<< Devo andare >> mi disse staccandosi dall'abbraccio.

<< Okay, mi mancherai da morire >>

<< Non c'è bisogno di morire per la mia mancanza, Boo. Ci vediamo presto >>

Con un gesto fulmineo che non mi diede nemmeno il tempo di realizzare, Harry mi lasciò un bacio sulla guancia, così fugace e quasi inesistente che temetti di averlo sognato.

Poi prese la sua borsa e senza guardarmi un'altra volta si avviò verso il suo gate.

Harry aveva detto che non c'era bisogno di morire perché sentivo la sua mancanza, ma lui non si rendeva conto che io mi sentivo morire ogni giorno proprio perché sentivo la sua mancanza, perché lui non era accanto a me a consolarmi come aveva fatto poco prima, a dirmi che lui sarebbe sempre tornato. Tornato da me. Eppure mentre guardavo la sua figura allontanarsi piano piano, sapevo che in qualche modo l'avrei rivisto, prima o dopo non importava.

Perciò non potei far altro che rispondergli mentre scompariva dalla mia vista.

<< Ci vediamo presto, Harry >>

 

 

<< Ryan, Green, Lopez, Tomlinson. Voi quattro dal comandante >>.

Quando sentii il mio nome, il cuore cominciò a battermi più forte. Di solito quando si veniva chiamati dal comandante non era un buon segno. Forse avevo infranto qualche regola senza nemmeno accorgermene e mi avrebbero rimandato a casa. Io e gli altri tre ragazzi ci scambiammo delle occhiate preoccupate, poi ci incamminammo verso la nostra presunta fine di carriera. Fecero bussare me e quando sentimmo “avanti” ci decidemmo ad entrare. Ci mettemmo sull'attenti non appena fummo vicini alla scrivania dove era seduto il comandante. Era un uomo sulla cinquantina, con i capelli brizzolati e un mento pronunciato. Sulla guancia aveva una cicatrice che, secondo le leggende che giravano per il campo, provocata da una scheggia di vetro durante un'esplosione, mentre cercava di proteggere un bambino dalla bomba. Ci guardò intensamente per qualche minuto, nei quali noi non ci azzardammo a respirare.

<< Siete stati chiamati per un motivo, soldati >>

“Grazie Comandante, non lo avrei mai detto”, pensai.

<< Uno dei nostri gruppi è intrappolato in una casa a 30 km a sud di Damasco, circondata da mine antiuomo. Sono stati attirati lì con l'inganno credendo ci fossero degli ostaggi e quando sono entrati in casa, sono state attivate le mine. Abbiamo perso già due dei nostri per questo giochino >>.

<< E Comandante, se posso chiedere, perché ha fatto chiamare proprio noi? >>

mi azzardai a chiedere.

Il Comandante fece un piccolo sorrisetto.

<< Perché ho saputo che siete stati i migliori nei test di disinnescamento bombe. E anche per un altro motivo, che non ho intenzione di rivelarle signor Tomlinson >>

<< Sissignore >> risposi, non pensando nemmeno per un attimo di chiedere spiegazioni più approfondite.

<< Domani mattina all'alba partirete e porterete con voi altri quaranta soldati che sembrano pronti per il campo. Ora potete andare >>

<< Sissignor si! >> dicemmo in coro noi quattro, per poi avviarci fuori dall' ufficio del Comandante.

<< Tomlinson >> chiamò una voce dietro di me.

Mi voltai verso il Comandante, ancora seduto dietro la scrivania e mi accorsi che aveva smesso di scrivere, cosa che aveva fatto durante più o meno tutta la durata della nostra conversazione.

<< Si, Comandante? >> chiesi io che ero rimasto per ultimo e che ero aspettato dai miei tre compagni.

<< Quando sarà davanti quella casa e dovrà disinnescare quelle bombe, non si faccia distrarre da nulla. Non faccia nulla di sciocco o avventato, per nessun motivo. Non pensi a sé stesso o solo a qualcuno in particolare. Pensi a tutti quei soldati intrappolati e ai suoi compagni che contano su di lei. Pensi che la riuscita del suo compito potrebbe portare a molte meno morti. Ha capito? >>

Io non avevo capito nemmeno una parola di quello che il Comandante aveva appena detto, ma come da copione annuii, serio.

<< Bene, può andare >> mi congedò così il mio superiore, tornando a scrivere.

Quando chiusi la porta dell'ufficio dietro le mie spalle, il soldato Lopez mi domandò cosa avesse voluto dire il Comandante con quelle parole che mi aveva rivolto. Io gli risposi che non ne avevo la più pallida idea.

 

L'indomani eravamo pronti a partire alle prime luci dell'alba. Avevano messo me e Green al comando della missione. Era la mia prima volta da comandante, la mia prima missione, la mia prima volta sul campo. Ero un novellino e non sapevo come si facesse la guerra. Non sapevo come si trovasse il coraggio di sparare a della gente vera e non solo a dei manichini. Non sapevo come avrei fatto a non pensare alle persone a cui avrei tolto la vita, come a vivere con il rimorso, a cercare di non farmi lacerare da dentro. A essere pronto ogni volta a ripeterlo. A ripetere tutto d'accapo. Temevo che mi sarei bloccato, sul campo. Che davanti a un qualsiasi “nemico” con un arma puntatami contro, non avrei reagito, avrei semplicemente lasciato che mi sparasse, perché ero bloccato, ero congelato sul posto e alla fine sarei morto. Semplicemente, morto.

E non sapevo come reagire alla morte. Non sapevo se nei miei ultimi momenti di vita avrei sorriso, avrei sofferto, avrei ringraziato, avrei maledetto qualcuno. Se avrei rivisto tutta la mia vita scorrermi davanti, se avrei cercato di assaporare gli ultimi momenti rimasti o se la morte mi avrebbe colto troppo presto, lasciandomi incapace anche solo di fare un'ultima preghiera.

Con quei pensieri che mi oscuravano l'anima, partii seguito dai miei compagni.

Il volo che ci portò fino a Damasco durò tre ore abbondanti. Dalla città saremmo arrivati nella periferia, a quei 30 km a sud, nei carri armati.

Le mie mani iniziarono a sudare sempre di più man mano che ci avvicinavamo.

Il Comandante mi aveva fatto capire che la missione dipendeva da me, che tutti contavano su di me. Ma perché proprio su di me? Non ero l'unico così bravo nel disinnescare bombe. Era forse una specie di test, di prova generale per verificare se fossi stato davvero pronto a stare sul campo?

Ma quelle domande rimasero senza risposta, senza nemmeno un'ipotesi azzardata poiché il carro si fermò prima che io potessi formularne una.

Eravamo arrivati.

I carri si erano ovviamente fermati a una distanza di sicurezza, a circa due km dalla casa circondata di mine.

Perciò percorremmo quei due km a piedi, sotto il sole cocente di mezzogiorno, con i fucili sotto braccio, pronti a sparare.

Io camminavo davanti agli altri, affiancato solo da Green che era mio co-comandante per la sua anzianità. Guidavo più di quaranta soldati in una missione di salvataggio. Se non fossi stato in una vera guerra, se non fosse stata una situazione così delicata, probabilmente sarei stato molto orgoglioso di me stesso. Mi chiesi se Harry sarebbe stato orgoglioso di me. Se mi avesse visto in quel momento che cosa avrebbe pensato.

 

Harry.

 

Harry che non sapeva, non avrebbe mai potuto immaginare che il suo migliore amico, che sempre aveva voluto tenere lontano da quell'incubo, aveva seguito esattamente le sue orme. Harry, ingenuo Harry che credeva me al sicuro a casa, a New York, al college. Che credeva che per quei due anni passati lui fosse stato l'unico a essere tornato a casa solo per le vacanze di Natale, con una licenza e che subito dopo la fine delle vacanze sarebbe dovuto tornare a fare la guerra.

Avrei voluto vedere Harry, in quel momento. Sentirmi rassicurato dalla sua voce e dal suo sorriso, prima di affrontare quella missione.

Perciò cercai di richiamare alla memoria quella voce roca, quando cantava, quando rideva, quando si rivolgeva a me. Cercai di immaginarmelo lì, affianco a me che mi diceva che sarebbe sempre stato al mio fianco, che sarebbe sempre tornato. Tornato per me.

Con la sua immagine nella mente, proseguii guidando i miei compagni.

Quando arrivammo in prossimità della casa circondata da mine, iniziai a tremare. Quella era la mia prima vera e pericolosa missione, da cui sarei potuto non tornare e tutto dipendeva da me, solo me e avevo la responsabilità di tutti i miei compagni, persone che come me avevano una famiglia a casa che li aspettava, che era in pensiero per loro, che si preoccupava ogni giorno di ricevere quella fatidica lettera.

E mi sentivo tutto il peso del mondo sulle spalle in quel momento. Mi sentivo Atlante, immobilizzato con quel peso da reggere, imprigionato, incastrato e come se le mie membra non fossero abbastanza forti per adempiere a quel compito, iniziai a tremare, a sentire le gambe molli e il respiro spezzato.

Dovetti fermarmi e mettermi in ginocchio per calmarmi e Lopez mi venne accanto, appoggiandomi una mano sulla spalla.

<< Tutto bene, Tomlinson? >> mi chiese, premuroso.

<< Andrà bene quando tutto questo sarà finito >> affermai, cercando di convincere più me stesso che lui. Lopez annuì e mi sorresse mentre mi alzavo.

<< Ce la farai, Louis. Sei il migliore per questo lavoro >> cercò di rassicurarmi e in parte ci riuscì.

Guardai bene la casa e alle finestre iniziarono ad affacciarsi i soldati imprigionati lì dentro. Si accorsero di noi e cominciarono a esultare, salutandoci e abbracciandosi tra loro. Ma la situazione non era ancora risolta.

Se fossi stato attento e avessi compiuto ogni passaggio nel giusto modo avremmo avuto motivo per festeggiare, ma se avessi sbagliato anche solo la più piccola e stupida cosa, saremmo potuti morire tutti.

<< Tomlinson, siamo pronti? >> mi chiese il mio co-comandante.

<< Si, penso di s...>> le parole mi morirono in bocca.

Vidi una figura a una delle finestre della casa. Si era avvicinato ad alcuni dei suoi compagni per vedere cosa stesse succedendo. Era in divisa, come tutti noi, ma a lui quell'uniforme stava maledettamente bene.

Fu un attimo, un attimo soltanto in cui incrociammo i nostri sguardi.

Vidi passare sul suo viso un'espressione incredula, prima che Green mi costringesse a concentrarmi e a iniziare il mio lavoro.

In quel momento capii le parole che mi aveva detto il Comandante prima di congedarmi dal suo ufficio.

Non avrei dovuto farmi distrarre, non avrei dovuto pensare solo a me stesso o solo a qualcuno in particolare.

Qualcuno in particolare.

Capii a chi si stesse riferendo il Comandante, ma non mi chiesi come lui facesse a sapere.

Poi quella nuvola rischiarata di pensieri sparì e io fui costretto a concentrarmi sul serio, a pensare a tutti quei soldati che andavano salvati, alle mie responsabilità.

Sapevamo che tutte le mine erano state attivate da lontano con un telecomando, ma che c'era un generatore comune. Se fossi riuscito a disattivare quello, si sarebbero disattivate tutte le mine intorno alla casa.

Subito tutti ci mettemmo a cercare il generatore. Con una mappa fornitaci dall'esercito, individuammo le postazioni delle mine e evitandole tutte, ci muovemmo per trovare la mina-madre. Era più grande delle altre, ma il problema era riuscire a vedere sotto la terra. Molte non erano state sotterrate con cura, segno che il lavoro era stato fatto di fretta e dopo circa un'ora di ricerca, un soldato urlò che forse aveva trovato il nostro obiettivo.

Mi diressi da quella parte e una volta arrivato constatai che era effettivamente più grande delle altre e scioccamente posta al centro della rete di mine.

Ora arrivava la parte difficile. Dovevo concentrarmi, dovevo distruggere tutto quello che avevo intorno a me e concentrarmi solo sull'obiettivo. Fare del mio meglio perché da me dipendevano troppe vite.

Le mani mi sudavano, ma non dovevano sudarmi. Non dovevano essere scivolose, dovevo armeggiare con fili e utensili. Non potevo permettere che le mie mani tremanti e sudate rovinassero tutto. Cercai di prendere dei respiri profondi e di asciugare frettolosamente le mie mani sull'uniforme.

Quando fui soddisfatto presi a scavare attentamente intorno alla mina più grande.

Inginocchiato nella polvere, sentivo il caldo della terra che mi bruciava gli occhi e sentivo che tutti mi stavano osservando, immobili, con la paura persino di respirare.

Aspettavano me, aspettavano un mio segnale positivo, un cenno che assicurava loro che eravamo tutti salvi.

O forse aspettavano di morire, di saltare in aria se io avessi sbagliato anche la più insignificante delle cose. Stavano pregando i loro dei forse, guardando le nuvole e immaginando già di trovarsi lassù.

Il tempo sembrava passare con una lentezza estenuante, era come se mi stesse scorrendo sulla pelle, come la sabbia di una clessidra.

Non avevo tanto tempo, se i terroristi avessero scoperto che stavamo lavorando per risolvere la situazione sarebbero potuti arrivare, coglierci di sorpresa e uccidere tutti quanti.

Allora decisi che non potevo più temporeggiare, non potevo permettere che il tempo mi scivolasse addosso indisturbato. Avrei dovuto prendere quei granelli di sabbia e soffiarli via e avrei dovuto dominare il tempo.

Chiusi gli occhi e cancellai tutto. Sentivo solo i miei pensieri e il battito del mio cuore. La mia mente si era liberata di qualsiasi pensiero proprio come mi aveva insegnato il generale.

Aprii gli occhi e iniziai.

Sono sicuro di averci messo almeno un paio d'ore. Non era così facile come lo fanno sembrare nei film, dove a un secondo dall'esplosione riescono a disinnescare la bomba. Ogni mezz'ora Green veniva a darmi un po' di supporto, portandomi dell'acqua visto che la mia gola diventava sempre più secca per il troppo caldo.

I soldati si erano seduti, lontani dalle mine e aspettavano.

Anche dentro la casa non se ne vedevano molti in piedi o che facevano due passi per quelle quattro mura.

In questa situazione mi sentii più a mio agio e potei lavorare meglio. Non c'era nessuno che mi teneva gli occhi puntati addosso, in aspettativa.

Quando mi resi conto di esserci riuscito, tirai un sospiro di sollievo.

Per essere completamente sicuri che l'avessi disinnescata avremmo dovuto fare una prova, gettando sulla mina più lontana dalla casa qualcosa di inutile.

<< Ragazzi, penso di avercela fatta >> urlai, alzandomi.

Subito tutti i soldati si risvegliarono dal loro intorpidimento o interruppero le loro chiacchiere per guardarmi e venire verso di me.

<< Sicuro Louis? >> mi chiese Lopez.

<< Al novanta percento. Facciamo la prova >> suggerii e quello annuì.

Mi allontanai da quella zona infernale, facendo attenzione a evitare ancora le mine, nel caso non si fossero disinnescate.

Raggiunti i miei compagni, mi accorsi che nella casa i soldati si erano accorti del movimento all'esterno e si erano alzati, affacciandosi tutti alla finestra.

Anche lui.

Presi un sasso qualunque da terra e mi preparai a lanciarlo su una mina.

<< Allontanatevi tutti >> avvertii gli altri.

Tutti si posizionarono dietro di me, io presi un altro grande respiro e tirai il sasso.

Ero bravo nella mira, soprattutto con i sassi.

Da piccolo mio padre mi aveva insegnato che la mira era importante per chi era nell'esercito, come lui. Insomma, è la prima cosa che ti insegnano quando inizi a sparare. Così mi faceva lanciare dei sassi nel lago quando andavamo in campeggio, cercando di farli rimbalzare perché diceva che così avrei imparato a bilanciare la mia forza. Poi mi poneva degli obiettivi da colpire da distanze pian piano sempre più lontane.

Era così che avevo legato davvero con mio padre e quando era arrivato Harry nella mia vita era diventato quasi un secondo figlio per mio padre, incapace di dire no a qualsiasi sua richiesta.

Aveva insegnato anche a lui a prendere bene la mira e quando si era arruolato gli aveva fatto promettere di ricordarsi delle sue lezioni con i sassi.

In quel momento quelle lezioni mi tornarono utili e le misi in pratica.

Il sasso colpì esattamente la mina che avevamo scavato precedentemente.

Non successe nulla, solo il silenzio assoluto regnava.

Poi sentii un urlo di esultanza alle mie spalle e capii che ce l'avevo davvero fatta.

Avevo salvato tutti quei soldati, avevo salvato lui.

Qualcuno mi abbracciò da dietro e capii che si trattava di Green quando vidi il suo braccio tatuato.

<< Ce l'hai fatta, Louis! Sei stato grande! >> mi urlò all'orecchio.

Io, senza essermene accorto, avevo un sorriso da ebete stampato in faccia e iniziai ad abbracciare persone a caso, disperdendo “grazie” a destra e sinistra.

Vidi con la coda dell'occhio i soldati imprigionati, che aprivano la porta frettolosamente e correvano verso di noi, urlando felici anche loro.

I due gruppi si abbracciarono e tanti di loro mi saltarono letteralmente addosso, ringraziandomi per aver dato loro la possibilità di tornare a casa, dalle loro famiglie. Quando tutti mi ebbero abbracciato, rimasi da solo mentre gli altri ancora festeggiavano e mi misi a fissare l'orizzonte.

Con le mani nelle tasche, mi misi a ripercorrere la giornata appena trascorsa e iniziai a sentire la terribile stanchezza che impregnava le mie membra, dopo che tutta la tensione provata aveva abbandonato il mio corpo, lasciando i miei muscoli molli.

Ma un nuovo senso di ansia mi attraversò tutto subito dopo, facendo accelerare il mio battito.

<< Louis >>

Cinque lettere. Tre vocali e due consonanti. Un suono.

Fu quello che sentii. Mi concentrai sul mio nome per non pensare alla voce che lo aveva pronunciato, ma poi realizzai che non avrei mai e poi mai potuto ignorare quella voce.

Mi voltai lentamente, con il cuore che sembrava volermi uscire dal petto.

Quando me lo trovai di fronte, più vicino di quanto avessi creduto, il mio cuore decise di fermarsi. Mi era mancata quella sua uniforme, quella che gli fasciava così bene tutto il corpo. Ora indossava solo i pantaloni con una maglia bianca strappata che lasciava scoperte le braccia piene di tatuaggi e parte del petto. Risalii con gli occhi dalle gambe, al petto, al viso. Quasi mi spaventai quando vidi l'espressione che scuriva il viso sporco di fumo e sudore. Aveva le sopracciglia aggrottate, una ruga profonda sulla fronte e le labbra serrate. Tutto sul suo viso diceva una cosa, che era arrabbiato, mentre i suoi occhi ne dicevano tutt'altra. Mi guardava, con quegli occhi sbarrati, immobile, incurante del vento sferzante che gli mandava i ricci sugli occhi.

Il tono che aveva usato però non era sembrato sorpreso.

Sembrava quasi deluso.

Era deluso, lo sapevo.

Era deluso di trovarmi lì quando tante volte mi aveva detto che non avrebbe augurato la sua vita al peggiore dei nemici, figurarsi a me.

Era deluso di vedermi lì, con quell'uniforme uguale alla sua quando io ero completamente diverso da lui.

Era deluso di sé stesso perché nonostante tutte le cose che mi aveva detto era riuscito comunque a portarmi dove ero e nonostante tutto era deluso di sé stesso perché in fondo avermi davanti a lui, anche in quella circostanza, lo faceva felice.

Lo sapevo che in fondo era felice, glielo leggevo nell'oscuro fondo dei suoi occhi, quella scintilla che impregnava la sua espressione ogni volta che tornava a casa.

Con me, lui si sentiva a casa.

<< Harry >> dissi con un filo di voce.

Gli occhi iniziarono a riempirsi di lacrime, involontariamente.

Pensare che lui era stato fino a poco prima in quella casa, pensare che sarebbe potuto morire da solo senza che io l'avessi visto un'ultima volta mi strinse il cuore. Probabilmente si accorse dei miei occhi lucidi e per questo la sua espressione si addolcì.

Mi corse incontro come era successo tante volte quando rientrava a casa e io feci lo stessa cosa, con lo stesso impeto di sempre.

Ci abbracciammo, ci stringemmo forte, come se la nostra vita dipendesse da quell'abbraccio.

Mi alzai in punta di piedi e gli gettai le braccia al collo, sprofondando nei suoi ricci morbidi e sentendo le sue braccia che forti mi stringevano la schiena.

Un singhiozzo mi sfuggì, ribelle e Harry iniziò ad accarezzarmi la schiena.

<< Shh, Louis va tutto bene. Siamo salvi >> .

Lui era salvo, era vivo, era questo quello che mi importava davvero.

Dopo quelli che sembrarono secoli ci staccammo e ci guardammo negli occhi.

I suoi occhi verdi si incastrarono ai miei azzurri e per la prima volta sembrarono essere gli ultimi pezzi mancanti di un perfetto puzzle.

<< Che ci fai qui? >> mi chiese Harry quasi disperato, prendendomi il viso tra le sue grandi mani.

<< Sono venuto a salvarti >> risposi con un mezzo sorriso.

Una piccola risata roca risalì la sua gola e io me ne beai, dopo tutto quel tempo in cui l'avevo solo potuta richiamare dai ricordi.

<< Ci sei riuscito, Lou. Grazie >> .

Harry usò quel tono tanto dolce che usava quando mi ringraziava anche per le più piccole sciocchezze, ma io scossi la testa.

<< Non ringraziarmi. Non avrei mai lasciato che tu morissi, a costo di morire io stesso >> confessai prendendo le sue mani e stringendole tra le mie.

Lui rispose alla stretta e mi sorrise, facendo comparire le sue bellissime fossette ai lati delle labbra.

<< Mi sei mancato Boo. Come ogni volta >>.

Il mio cuore fece un salto e poi ritornò al suo posto, continuando a cercare di battere il record per maggior numero di battiti al secondo.

<< Anche tu, Haz. Da morire >>.

Prima che potessi dirgli qualcos'altro, la voce del soldato Lopez ci raggiunse.

<< Ragazzi, andiamo al campo! >>.

Il campo a pochi km da dove eravamo, uno dei tanti che erano stati costruiti per i soldati americani. Entrambi annuimmo e dopo esserci sorrisi un'ultima volta, ci incamminammo verso gli altri.

 

 

Il ritorno al campo fu silenzioso, almeno da parte nostra. Tutti gli altri invece non facevano che parlare e ridere, felici di essere sopravvissuti un altro giorno.

Quando finalmente ci accolsero al campo e ci assegnarono le nostre tende, potei tirare un sospiro di sollievo.

Ero riuscito a portare a termine la missione e allo stesso tempo mi ero tolto il peso del mio segreto. Tenere Harry all'oscuro per tutto quel tempo era stato troppo difficile e troppe volte ero stato tentato di scrivergli un email mentre era in servizio e dirgli come stavano veramente le cose.

Avevo dovuto inventarmene di cose, con lui che mi chiedeva del college e della famiglia e ogni volta che gli dicevo una bugia, mi sentivo un passo più lontano da lui.

Il fatto che lui l'avesse scoperto così, senza che mi preparassi nemmeno un discorso era stata la cosa migliore. In questo modo Harry aveva dovuto affrontare la verità dei fatti tutta in una volta e vedermi già sul campo, vestito come lui e all'opera lo aveva probabilmente aiutato ad accettare la cosa.

Mi sistemai ben presto nella mia enorme tenda insieme ad altri dieci soldati, tra i quali c'era Harry.

Senza nemmeno consultarci, forse per abitudine, prendemmo i due letti vicini e una volta buttata la nostra borsa senza troppe cerimonie, ci sedemmo esausti, sprofondando nel materasso non troppo comodo.

<< Sono stanco morto >> affermai, sbuffando.

<< E' sempre così la prima volta >> mi rispose Harry sorridendo.

<< La prima volta di cosa? >> chiesi, curioso.

<< La prima missione. Tutta l'adrenalina, la tensione, la paura che provi durante, svaniscono completamente una volta finito tutto e ti ritrovi con il corpo incapace di muoversi per la stanchezza >>.

Era esattamente come mi sentivo, in quel momento.

Un silenzio non imbarazzante, ma calmo scese tra di noi, lasciandoci assaporare il momento di pace che stavamo provando.

Sentii gli altri che si incamminavano per la cena e ben presto la nostra tenda fu vuota.

<< Dovremmo andare a mangiare anche noi >> affermai, iniziando a sentire un certo appetito.

Mi alzai dal letto, sicuro che Harry mi avrebbe seguito, ma non fu così.

<< Perché l'hai fatto? >> mi chiese sottovoce, quasi come se avesse avuto paura a pronunciare quella domanda.

Aspettavo quella domanda, era quella a cui avevo preparato milioni di risposte, risposte che mai mi avevano soddisfatto. Sospirai rassegnato, capendo che era arrivato il momento di parlare. Così mi voltai e guardai Harry che ancora seduto sul bordo del letto era quasi completamente nascosto dall'ombra della notte.

<< Perché l'ho fatto? >> chiesi stavolta io, come domanda retorica.

Vidi solo Harry annuire debolmente nella penombra.

<< L'ho fatto per te Harry, perché se no? >>

<< Non mi sembra una ragionevole risposta >> affermò lui, quasi arrabbiandosi.

<< Ragionevole? Avevo tutte le ragioni del mondo per farlo, Harry >>

<< Cioé? Quali sarebbero queste ragioni? >>

<< Io.. >> non potevo dirgli la verità.

Non potevo dirgli che lo avevo seguito perché in verità lo amavo e non come si amano due migliori amici, ma come si amano due amanti.

Harry, però aspettava una risposta.

<< Io.. l'ho fatto per te >>. Non ero stato del tutto sincero, ma non avevo nemmeno detto una bugia.

<< Beh non ce n' era bisogno >> rispose Harry, alzandosi dal letto.

Non ce n'era bisogno? Stava dicendo che avevo sbagliato ad arruolarmi? Che lui non aveva bisogno di me? Forse perché aveva bisogno di qualcun altro, di una ragazza magari, ma non di me.

Scossi la testa, sorridendo amaramente.

<< Non lo dici per davvero >> affermai convinto.

<< Si, invece. Non avevo bisogno di un baby-sitter >>.

Harry mi guardava e negli occhi aveva l'amarezza pura.

Non capivo perché si stesse comportando in quel modo, perché mi stesse trattando come un ostacolo al suo cammino.

<< Non sono il tuo baby-sitter, Harry! Mi sono arruolato solo per stare... >>

<< Per stare con me?! >> urlò lui, senza curarsi di chi potesse sentirlo.

<< Potevi benissimo stare con me a Natale, non ti bastava? >>

<< No che non mi bastava! Sapere che per tutto l'anno eri oltreoceano a rischiare di morire mi faceva impazzire, dovevo fare qualcosa! >> urlai anche io.

<< E arruolarti ti è sembrata la cosa più logica, giusto? >>

<< Si! >>

<< Beh, hai fatto una cazzata perché ora dovrò preoccuparmi ancora di più per te! >>.

Rimasi in silenzio. Quindi era per quello che mi stava urlando contro. Era perché non voleva preoccuparsi per me. Non voleva stare, come me, costantemente con i pensieri pieni delle cose orribili che mi sarebbero potute accadere. Non voleva rischiare di distrarsi per pensare a me e finire lui stesso morto.

Io lo capivo, ma non per questo doveva arrabbiarsi. Doveva cercare di capirmi perché ero sicuro che anche lui avrebbe fatto la stessa cosa.

Harry teneva la testa bassa e non riuscivo a scorgere il suo viso. Vidi le mani che gli tremavano e quando succedeva, sapevo, che non era per la rabbia, ma per le lacrime.

<< Harry... >> incominciai, con un tono più dolce.

<< No, Lou. Non avresti dovuto farlo >>. La sua voce tremava e aveva gli occhi lucidi, ma percepivo ancora della rabbia nel suo tono.

<< Si che dovevo farlo. Avresti fatto lo stesso anche tu >>

<< Ma ora starò sempre a preoccuparmi per te! >> disse Harry, alzando di nuovo il tono di voce.

<< Ma perché ti preoccupi così tanto, non dev... >>

<< Perché ti amo, cazzo! >>.

Un pugno allo stomaco. Ero sicuro che il mio cuore si fosse fermato e fosse caduto con un tonfo nel mio stomaco. Ero sicuro che il mio sangue non scorresse più nelle vene, né che le gambe stessero reggendo più il mio peso.

Ero sicuro che le mie mani avessero iniziato a tremare incontrollabilmente e che i miei polmoni avessero smesso di fornirmi ossigeno.

Tutto quello era irreale.

Come in un sogno, il mio corpo stava fluttuando, non aveva alcun peso, né pensiero. Non si preoccupava di rispondere alle esigenze, era come se fosse fatto di metallo. E come in un sogno ero convinto che tutto quello fosse solo frutto della mia immaginazione.

Eppure sentivo gli odori, i colori erano vividi e non avevo dieci dita per mano.

Allora il mio cervello iniziò a elaborare una nuova teoria.

Iniziò a farsi spazio dentro di me l'ipotesi che tutto quello che stava succedendo fosse reale, che non fosse frutto della mia immaginazione, che non fosse uno dei tanti sogni che facevo la notte, ma che era un momento vero, che quelle parole che Harry aveva pronunciato erano parole dette per davvero, che avevano un significato e che non erano state dette solo perché era il mio sogno, perché io volevo che le dicesse.

Quelle due parole che ogni volta avevo desiderato confessargli, ma che ogni volta erano state sostituite da mille altre. Quelle parole che credevo avrei pronunciato io e io soltanto, che sarebbero state la mia condanna erano state invece pronunciate dall'uomo che amavo e che credevo non provasse niente di più che affetto nei miei confronti. Tutto quel tempo passato a rimuginarci sopra, se valeva la pena aprire il mio cuore ad un uomo che mai mi avrebbe amato come io amavo lui e invece.

E invece avevo solo perso tempo.

<< Harry... tu.. >>. Iniziai a dire, senza saper trovare le parole.

Lui fece una risatina.

<< Ecco, l'ho detto. Chi se lo sarebbe mai aspettato è? Ma lascia perdere, fa finta che non abbia detto nulla ok? >>

Io non sapevo come reagire. Non potevo far finta che non fosse successo nulla, non potevo cancellare quelle parole dalla mia testa. Come poteva pretendere che io lasciassi perdere quello che era stato per tanti anni il mio sogno proibito?

Harry sospirò e poi si voltò, iniziando a camminare verso gli altri soldati e la cena.

Ma io non potevo lasciarlo andare così. Se avessi perso quest'occasione me ne sarei pentito per sempre. Se avessi perso quest'occasione forse non ce ne sarebbe stata un'altra. Non potevo sapere se domani sarei morto o se Harry sarebbe morto, ma se avessimo dovuto morire avrei voluto baciare quelle labbra almeno una volta.

Così, senza pensarci troppo, gli presi il braccio e senza badare alla sua faccia sorpresa lo avvicinai a me il più possibile e affogai nelle sue labbra.

All'inizio Harry non rispose, forse troppo sbalordito per capire cosa stava succedendo, ma io continuai imperterrito a premere le mie labbra sulle sue.

Quando finalmente Harry si sciolse e si rese conto del fatto che lo stessi baciando mi prese per la vita e schiuse le labbra.

Le nostre lingue finalmente si incontrarono, dopo tutti quegli anni prigioniere e custodi del nostro amore mai rivelato.

E si cercarono e si assaporarono e non volevano dividersi mai più.

Intrecciai le mie dita tra i ricci di Harry come tante volte avevo fatto, ma solo per scherzo o solo perché lui me lo aveva chiesto. Mai avrei immaginato che lo avrei fatto mentre le nostre labbra erano unite in un bacio focoso e pretenzioso.

Piano piano i nostri respiri divennero troppo affannosi e ci calmammo, lasciando le nostre labbra ancora unite ma in un bacio dolce e leggero, dove tutto si sfiorava appena.

<< Louis >> mi sussurrò Harry sulle labbra pulsanti.

Le nostre bocche finalmente si separarono e i nostri occhi si incontrarono. Dopo tanto tempo si incontrarono. Per la prima volta si videro per quello che erano davvero; custodi del più grande segreto e ora liberi di urlarlo al mondo intero.

<< Tu... >> iniziò Harry.

<< Si >> lo interruppi io. Sapevo già cosa stava per chiedermi e la risposta era si. Era sempre stata si.

<< Ti amo Harry. Da troppo tempo ormai >> confessai sorridendo.

Harry scosse la testa quasi sconvolto, continuando però a tenermi tra le sue braccia.

<< Perché non me lo hai detto prima? >> chiese curioso.

<< Pensavo che tu.. che mi considerassi solo il tuo migliore amico. Che tu non mi avresti mai guardato come... come >>

<< Come? >> chiese Harry, addolcendo la sua espressione

<< Come mi stai guardando adesso >> completai la frase.

Harry sorrise e si avvicinò di nuovo alle mie labbra.

<< Beh, abituatici perché d'ora in poi ti guarderò sempre così >> disse prima di baciarmi nuovamente mentre io sorridevo.

Tutto quello che avevo sempre voluto si era davvero realizzato.

Pensai alla frase della Disney, “ se puoi sognarlo, puoi farlo” e mi dissi che con me quella filosofia funzionava. Il ragazzo che per tutta la vita avevo desiderato baciare, stava davvero baciando me, mi aveva davvero appena detto che mi amava e aveva davvero detto che d'ora in avanti saremmo stati insieme. Desideravo Harry da così tanto tempo che, pensandoci in quel momento, non riuscivo a capire come avessi potuto resistere così a lungo.

<< Harry, ti voglio >> dissi, gemendo sulle sue labbra.

Harry si allontanò e mi guardò sorpreso.

<< Sei sicuro? >> mi chiese titubante.

<< Non sono mai stato tanto sicuro di una cosa >> gli dissi fiondandomi di nuovo sulle sue labbra, senza aspettare nessun permesso o invito.

Ora, Harry era mio.

Con le mani tremanti iniziai a sfilargli la maglia, lentamente. Volevo assaporare ogni momento, viverlo come se fosse stato il primo e l'ultimo. Harry mi stringeva a sé, incapace di muoversi.

Sapeva solo baciarmi e per quanto a me andasse bene questa cosa, volevo di più. Il mio corpo voleva più di lui.

Senza molte cerimonie, ci buttammo sul mio letto e finalmente riuscii a sfilargli completamente la maglietta.

Il suo torso nudo avevo potuto ammirarlo tante volte, ma mai mi era sembrato bello come in quel momento, pieno di tatuaggi, in quell'istante in cui si alzava e abbassava velocemente per il fiato corto, per l'eccitazione, per me.

<< Louis >> gemette Harry, inarcando la schiena, mentre iniziavo a creare una scia di baci dal petto fino all'ombelico, soffiandogli sui capezzoli e mandando in estasi entrambi.

Ci eravamo desiderati per così tanto che ora il minimo tocco poteva farci morire. Non sapevamo cosa fare esattamente, come procurare piacere all'altro, ma sapevamo che qualsiasi cosa avessimo fatto sarebbe stata quella giusta. Nessuno di noi due sapeva quali erano le cose che di solito si facevano, ma sapevamo che qualsiasi cosa fatta sarebbe andata bene all'altro, solamente perché era stata fatta dal ragazzo che amavamo. Anche un solo sguardo, con la consapevolezza dell'amore che provavamo, in quel momento ci appagava.

E sapevamo che quello che stavamo facendo era forse la cosa meno appropriata in quel momento, in quel luogo, con gli altri soldati che sarebbero potuti arrivare inavvertitamente, ma non ci importava, non ci importava nulla delle regole, nulla di quello che sarebbe dovuto essere giusto fare, nulla di quello che la nostra stessa coscienza ci diceva di fare, perché c'eravamo noi, solo noi uniti, con un “ per sempre” scalfito in mente e nel cuore, con i “ ti amo” che profumavano l'aria intorno a noi e senza nessun altro bisogno, né pensiero a preoccuparci facemmo l'amore.

Non l'amore quello dei film, non quello dei libri, ma l'amore come lo avevamo immaginato noi. Era tutto nostro e solo noi potevamo sapere ogni piccolo gesto cosa significasse per l'altro.

Era un amore che ti lascia andare completamente all'altro, ti permette di riporre tutta la tua fiducia nell'altro, perché sai che tutto ciò che farà ti potrà solo piacere. Era un amore che gridava, che ti lasciava essere te stesso e allo stesso tempo un tutt'uno con l'altro.

Che ti lacerava e ti ricuciva.

Che ti bruciava e ti rinfrescava.

Che ti sporcava e ti puliva.

Facemmo l'amore, un amore che non era né cieco né sordo, che ti sussurrava all'orecchio, che ti urlava nel cuore, che ti procurava i brividi, che quasi ti uccideva.

Facemmo l'amore e fu come la prima e l'ultima volta.

Ci amammo come mai sarebbe potuto succedere e forse era stato tutto troppo frettoloso, ma la verità era che a noi era sembrato il momento giusto dopo tanto tempo trascorso insieme, come se fossimo sempre vissuti come una coppia innamorata, che aveva deciso di amarsi ancora di più, senza riserve.

Era forse questo quello che ci attendeva. Un amore infinito, senza riserve, che cresceva di giorno in giorno, che riempiva fino all'orlo i nostri cuori. Era un amore instancabile, che conosceva bene ogni difetto e ogni pregio, che ci sapeva guidare, che ci guardava con i suoi occhi vigili, un po' come quelli del dottor T.J. Eckleburg de “ Il grande Gatsby”.

Cosa di tutto questo sarebbe avvenuto, in quel momento, non lo sapevamo e non ci importava granché. Stavamo cogliendo l'attimo ed era l'attimo più bello che avessimo mai colto.

 

Ero da solo nel mio letto, al buio e fissavo il soffitto.

Tutti gli altri soldati erano rientrati dopo cena ed io e Harry eravamo tornati ai nostri letti come se niente fosse successo.

Ci eravamo scambiati un sorriso complice appena tutti, rientrando, avevano incominciato a prenderci in giro su cosa avessimo fatto noi due da soli e perché non ci eravamo presentati a cena.

La faccenda era molto divertente così non negammo né confermammo niente, giusto per tenere un po' di suspense e mistero intorno a noi.

Mentre ero disteso con mille pensieri per la testa, sentii un peso vicino a me, che fece abbassare il materasso.

<< Fammi un po' di spazio >> sentii Harry sussurrare.

Io sorrisi nel buio e mi feci da parte per fargli spazio.

Non ce ne era molto di spazio in un letto singolo, ma noi eravamo abituati. Fin da bambini dormivamo nello stesso piccolo letto, l'uno abbracciato all'altro.

<< Credevo che davanti agli altri avresti negato tutto >>. Harry si riferiva alle prese in giro dei nostri compagni.

Io scrollai le spalle.

<< Non vedo perché avrei dovuto. Avrei detto una bugia >> gli sorrisi anche se lui probabilmente non poteva vedermi e poi mi chinai sulle sue labbra per lasciargli un bacio dolce.

Harry rispose assaporando le mie labbra, centimetro per centimetro, come se stesse cercando qualcosa, un tesoro nascosto.

Poi si staccò e posò la sua testa sul mio petto, abbracciandomi. Io iniziai ad accarezzargli i ricci, come sapevo che a lui piaceva, massaggiandoglieli lentamente. Ad un certo punto come se si fosse stufato, Harry prese la mia mano e la intrecciò alla mia e entrambi iniziammo ad osservare le nostre mani intrecciate che si alzavano fino all'altezza dei nostri occhi, che si cercavano, si allontanavano e poi si abbracciavano un volta ancora.

<< Facciamo un gioco >> proposi io, spezzando il silenzio.

<< Quale? >> chiese Harry.

<< Io dico la frase di una canzone e tu ne devi dire un'altra della stessa canzone, per farmi capire che hai capito di che canzone si tratta >>

<< Okay, capo >> rispose scherzoso il mio riccio.

<< Inizio io? >> chiesi.

<< Vai >>

<< Mmm... allora senti questa >>

 

<< One look and I can’t catch my breath
Two souls into one flesh
When you’re not next to me
I’m incomplete >>

 

Anche se era impossibile, vidi Harry sorridere riconoscendo la canzone e le parole che avevo scelto.

<< 'Cause I’m on fire like a thousand suns
I couldn’t put it out even if I wanted to
These flames tonight
Look into my eyes and say you want me, too
Like I want you >>

 

<< Ti voglio, Harry >> dissi, rispondendo alla richiesta della canzone.

<< Per sempre? >> mi chiese lui, con un tono da bambino.

Io sogghignai. << Sempre >>.

Dopo un altro bacio, continuammo.

<< Okay vado io adesso >> si propose lui.

 

<< Let me feel the sting, the pain, the burn under my skin >>

 

<< Oh,ohh >> iniziai a prenderlo in giro.

<< Vuoi che ti faccia sentire dolore, eh? >> lo provocai.

Lui rise.

<< Se non te lo faccio sentire prima io >>

<< Oh, 'sta zitto! >> risi insieme a lui.

<< Devi dire l'altra frase >> mi ricordò Harry dopo qualche istante.

<< Giusto >> ci stavo pensando.

In mente già avevo una frase, ma mi soffermai un attimo a osservare Harry.

Teneva ancora la sua testa sul mio petto e io non potevo vedere i suoi occhi, nessun lineamento del suo viso. Ma li conoscevo così bene per tutte le volte che li avevo studiati che non mi serviva un' altra occhiata. Riuscivo anche ad immaginare la sua espressione in quel momento. Era rilassata, magari teneva gli occhi chiusi e un piccolo sorriso a dipingergli le labbra.

Ad un tratto alzò la testa e si rivolse a me.

<< Allora? Hai capito che canzone è? >>

 

<< Open my eyes, I must be dreaming >>

 

Tutto quello che avevo davanti agli occhi mi sembrava ancora un sogno. Uno di quei bellissimi film mentali che creavo durante il giorno o la notte prima di addormentarmi con il suo viso nei miei pensieri.

<< Non è un sogno, Lou. Io sono qui davvero e ti amo >>.

Harry sembrava saper sempre leggere i miei pensieri e capire ciò che mi passava per la testa. Tutte quelle sicurezze che mi stava dando erano indispensabili per me, insicuro come ero di tutto il mondo e di me stesso.

<< Lo so, ora lo so >> risposi prima di accarezzargli la guancia come se attraverso la mia mano potessi infondergli tutti i sentimenti che provavo per lui e le emozioni che mi stavano scuotendo in quel momento.

Dopo qualche minuto di coccole, Harry si risvegliò.

<< Tocca a te ora >>.

Si stava fomentando con quel gioco e perciò risi del suo entusiasmo.

<< Okay, mmm... >>

<< I wanna die in your arms >>

 

<< Louis! Perché dici certe cose? >> mi rimproverò Harry.

<< Che c'è? E' una frase della canzone >> risi io.

<< Si, ma potevi sceglierne un'altra >>

<< E' uguale, mi rimproveri solo perché non sai che canzone è e stai prendendo tempo >> lo derisi io.

<< Ti sbagli, caro >> disse prima di canticchiare un altro verso della canzone.

 

<< In a sky full of stars I think I saw you >>

 

<< Oh, ma che romantico Hazza! >>

<< E' solo una frase della canzone >> ripeté le mie parole per prendermi in giro.

Il fatto era che avevo scelto quella frase della canzone perché era una sorta di confessione che volevo fargli da tempo, ancora prima di rincontrarci sul campo, prima di sapere che anche lui mi amava.

Se avessi potuto scegliere come morire, il miglior modo sarebbe stato tra le sue braccia.

Eppure se glielo avessi detto avrebbe iniziato a dirmi di non pensare a certe cose, perché mi avrebbero bruciato solo il cervello.

Ma io non potevo non pensarci; ogni giorno rischiavamo la nostra vita e pensare a un buon modo per morire quasi mi rassicurava.

<< Non prendermi in giro, idiota >> gli dissi, schiaffeggiandolo scherzosamente.

<< Non lo farei mai, capo >> mi rispose beffardo.

<< E non chiamarmi capo! >> lo rimproverai.

<< Ok, capo. Ora tocca a me >>

 

<< When my heart is ready to burst,
When the world spins in reverse
I'll keep running
To the place where I belong >>

 

<< Dovunque sei tu è il posto a cui appartengo >> risposi senza nessuna esitazione.

<< Non è una frase della canzone >> osservò Harry,giustamente.

<< Lo so, ma potrebbe diventarlo >> consigliai io.

<< Mi stai suggerendo di scrivere una canzone? >>

<< Forse >> replicai io, ovvio.

 

<< Cause honey your soul can never grow old, it's evergreen
Baby your smile's forever in my mind and memory >>

 

Iniziai una nuova canzone, senza finire la precedente.

A sentire queste ultime parole Harry mostrò il suo più bel sorriso. Conosceva molto bene quella canzone. Era una delle sue preferite così come il suo cantante.

 

<< But baby now
Take me into your loving arms >>

 

Rispose mentre io lo stringevo ancora di più tra le mie braccia.

 

<< Kiss me under the light of a thousand stars
Place your head on my beating heart >>

 

Continuai senza spezzare l'incantesimo di quella canzone. Eravamo sotto un cielo pieno di stelle e quello sarebbe stato un momento perfetto per un bacio romantico.

E come aveva già fatto, avrebbe potuto benissimo riposare il capo sul mio cuore, quel cuore che da quando lo aveva rivisto non la smetteva di battere all'impazzata.

 

<< I'm thinking out loud
That maybe we found love right where we are >>

 

Harry completò la canzone e senza nessun' altra parola premette le labbra sulle mie, lasciandomi beare del suo profumo, del suo sapore.

Lasciandomi beare di lui, finalmente al mio fianco.

 

 

Mi svegliai di soprassalto.

Il rumore della guerra era inconfondibile.

Nonostante fossi un novellino sul campo, gli spari, le urla, quelle erano cose impossibili da confondere.

La mia prima reazione fu voltarmi verso Harry e stringerlo forte a me.

Anche lui mi guardava con occhi consapevoli e preoccupati.

<< Piccioncini, alzatevi. Ci attaccano >> disse un soldato di cui sinceramente non ricordavo il nome con tono serio, ma non allarmato, quasi giocoso.

Io e Harry allora ci alzammo dal letto e ci rivestimmo in tutta fretta, mentre qualcuno ci dava delle armi.

Harry le afferrò come se avesse preso del cibo dalla mensa di scuola, mentre io ancora facevo fatica a tenerle tra le mani e capacitarmi del fatto che io sapessi usarle, che con quelle cose che avevo tra le mani potevo uccidere.

Harry sembrava così esperto e serio, con la sua espressione tutta concentrata e ogni movimento e gesto calcolato.

Avrei voluto saper gestire le cose come lui, in quel momento.

Avrei voluto non farmi rapire dalla paura, dal panico, dall'ansia, dal tremore.

Avrei voluto almeno sembrare sicuro di me, ma la verità era che se ero in un certo stato d'animo invece che in un altro, non riuscivo a mascherarlo.

Così Harry si accorse che non me la stavo passando proprio bene.

Si avvicinò a me e mi prese le mani.

<< Louis, andrà tutto bene. Sta vicino a me e non ti succederà niente >>

<< No, tu sta vicino a me >> replicai io.

Non avevo paura di uccidere, non avevo paura di morire io stesso. Avevo paura di perdere lui.

<< Harry, non posso perderti capito? >> gli dissi, prendendogli il viso tra le mani.

<< Non mi perderai, promesso. Staremo vicini, non ci divideremo. >> cercò di rassicurarmi lui e ci riuscì quasi del tutto solo dopo avermi dato il primo bacio della giornata.

Harry mi prese per mano e mi guardò per un ultimo cenno di approvazione che io gli concessi. Quando uscimmo dalla tenda e fummo sul campo, mi congelai.

Ce ne erano troppi, con troppe armi e noi eravamo di meno, eravamo impreparati. Harry mi lasciò la mano, ma io la ripresi subito.

<< Ho paura >> confessai. Probabilmente quello non era l'atteggiamento migliore da assumere in quel momento, ma la verità era che non riuscivo a controllare le mie emozioni.

<< Tutti l'abbiamo Louis. Devi imparare a conviverci. Devi imparare a usarla contro gli altri piuttosto che contro di te. Devi farne il tuo punto di forza >>.

<< Facile a dirsi >> risposi, quasi disperato. Quella era un' abilità che avrei dovuto imparare prima. Non sarei potuto diventarne un esperto in cinque minuti.

<< Lo so, ma ce la puoi fare. Louis io credo in te >> mi disse Harry stringendomi per le spalle. Così un po' del mio tremore scomparve e io iniziai a concentrarmi. Lui credeva in me e anche se non era così dovevo pensare che lui facesse affidamento su di me. Dovevo essere abbastanza forte per entrambi.

Così mi feci coraggio. Ecco ciò che serviva in quel momento. Coraggio.

<< T i amo >> dissi a Harry, un po' per ringraziarlo dei suoi incoraggiamenti, un po' perché avevo bisogno di farglielo sapere, un po' perché non sapevo se avrei potuto dirglielo ancora o se lui avesse potuto sentirlo altre volte.

Le nostre vite erano in bilico. Eravamo in un purgatorio infernale e dovevamo riuscire a redimerci e a salire. Insieme, unendo le forze.

<< Ti amo anche io Lou >> rispose Harry, baciandomi appassionatamente.

Mi godetti quel bacio finché potei, abbandonandomi completamente a esso.

Poi ci buttammo nella mischia.

Era un ammasso di corpi, di armi scariche, di proiettili, di sudore, di uniformi uguali e poi diverse, di uomini che sembravano macchine, di grugniti, di rabbia e di paura.

Si sentiva la paura. Era come se ci fossero delle zone buie, anche se tutto il campo era aperto ed esposto al sole, in quelle zone buie doveva risiedere la paura.

Afferrava chiunque, persino i più valorosi, ma soprattutto coloro che non avevano nulla per cui combattere, per cui vivere. Avevano una sola preoccupazione: sopravvivere. Dovevano sopravvivere ma per sé stessi e allora la paura li raggiungeva e li indeboliva, li rendeva dubbiosi e persi.

E pian piano vidi tutte quelle zone buie cadere. Ma se ne creavano sempre di più, man mano che altri morivano, sia dall'una che dall'altra parte.

Io avevo paura, ma quel buio non era riuscito a stringermi nella sua morsa.

Non ci era riuscito perché io avevo qualcosa per cui combattere e l'avevo proprio accanto a me, come se fosse stato il mio angelo custode.

Non mi guardava, guardava l'orizzonte, guardava alla salvezza.

Mentre io ero raggomitolato nelle mie paure, lui faceva il salvatore.

E mi sembrava il ruolo adatto per Harry, lui avrebbe potuto benissimo essere il mio angelo custode e il mio salvatore.

Io invece non sapevo definirmi, ma se pensavo che Harry sarebbe dovuto essere il mio salvatore allora io sarei stato l'ostaggio.

Ostaggio della paura, di tutte le sue sfumature, del futuro inconoscibile, della distanza e persino dell'amore.

Il mio amore che non conosceva limiti, né freni, che senza alcun permesso aveva deciso di schiacciarmi con il suo peso e diventare parte della mia vita, ogni giorno.

E aveva deciso di mostrarmi la verità, la libertà, la salvezza.

Era stato lui a costringermi a cercarla e finalmente a trovarla, era stato lui a guidarmi verso Harry e a ciò che lui rappresentava per me.

Era grazie a lui che ora ero lì, vicino al mio salvatore, al mio unico amore, che ero lì nonostante la guerra, nonostante la paura, nonostante me stesso.

Perché avevo deciso che ero io stesso il mio più grande rapinatore. Ero io stesso che mi ero rinchiuso in una gabbia d'oro, bellissima ma letale.

E essere lì, in quel momento mi aveva fatto realizzare che ero riuscito a liberarmene. Ero riuscito a trovare una via di fuga, quella più bella e pericolosa.

E avrei fatto qualsiasi cosa per quella strada che mi aveva guidato alla libertà, avrei donato tutto me stesso.

Harry era la mia via di fuga e non avrei mai potuto ringraziarlo abbastanza per questo. Essere lì a fare del mio meglio per proteggerlo era solo una delle piccole cose che ero disposto a fare per lui.

Sicuramente lui mi avrebbe detto che non ce n'era bisogno, che lui non aveva fatto nulla per me, che avevo fatto tutto da solo, che lui mi aveva semplicemente amato per tutto quel tempo senza nemmeno dirmelo.

Ma era proprio questo il punto. Lui mi aveva amato, come nessuna persona aveva fatto mai e nonostante non si fosse dichiarato prima, in tutti i suoi gesti e nelle sue parole c'era sempre stato quell'amore segreto che tingeva il tutto come un arcobaleno.

Un arcobaleno che in quel momento sarebbe stato impossibile vedere tra la polvere, tra il sangue, tra il marcio.

Sparavo, sparavo a chiunque non fosse vestito come me.

Non mi soffermavo a vedere a chi avessi tolto la vita, non mi soffermavo a vedere se chi avevo ferito stesse soffrendo, né facevo una preghiera sul loro corpo affinché fossero perdonati da Dio. Non mi soffermavo e basta, ero diventato anche io una macchina da guerra.

Harry faceva lo stesso, davanti a me, ma lo faceva in modo diverso, quasi con eleganza.

Lui non gridava, non offendeva, non gesticolava come un pazzo.

Lui era semplicemente serio, si muoveva agilmente, ma furtivo e non parlava, aveva la fronte aggrottata, ma non sembrava preoccupato.

Harry si stava dirigendo a destra, per andare in soccorso a un gruppo di soldati assaltati dai nemici.

Ma era solo un uomo, non aveva nessun super potere, nessun senso amplificato. Perciò c'ero io, io ero la sua estensione, la sua scorta, il suo udito, la sua vista.

Così non appena vidi uno dei nemici andargli incontro, mitra in spalla, pronto a sparare, gridai.

<< Harry! >> lui si voltò subito verso di me e spalancò gli occhi.

Sentii un colpo, come gli altri eppure questo, questo lo sentii particolarmente vicino. Ne sentii un altro e capii che Harry aveva sparato a quel tipo.

Qualche secondo e mi si mozzò il fiato. La consapevolezza di essere stato colpito mi attraversò come un fiume in piena, mi congelò il sangue nelle vene. Con gli occhi spalancati per la sorpresa, cercai Harry. Era solo a qualche passo da me.

Incontrò i miei occhi, mentre con la mano trovavo il punto in cui il proiettile mi aveva colpito. Sentivo tutti i rumori intorno a me come dopo un'esplosione. Tutto ciò che mi rimbombava nelle orecchie era il battito accelerato del mio cuore. Prima che potessi cadere, due braccia mi trovarono e mi presero al volo. Sentii la mia schiena contro il petto di Harry e fu come se il mio cuore si fosse fermato.

<< Ehi, ehi sono qui >> mi sussurrò Harry e questo riuscii a sentirlo chiaramente.

Mi accorsi che avevo iniziato a stringergli fortissimo la mano solo quando mi disse che non mi avrebbe lasciato.

Avevo paura, una nuova paura mai provata prima, sentivo tutto il corpo rigido, in tensione come quando avevo dovuto disinnescare le mine. Ma questa era una tensione diversa, era quasi contro la mia volontà, aveva raggiunto tutte le parti di me senza che me ne accorgessi. Persino i miei pensieri erano offuscati, ostacolati da un'ansia nuova.

<< Louis? >> sentii la voce strozzata di Harry fuoriuscire da tutte le altre nella mia testa. Mi accorsi di aver chiuso gli occhi. Erano così stanchi che senza chiedere alcun permesso stavano trovando il loro riposo. Ma quella voce, quel suono li costrinse a riaprirsi. Vidi Harry che copriva il sole. I suoi ricci sudati ricadevano su di lui, coprendogli metà viso.

Era come se fossimo stati solo io e lui, come se il tempo si fosse fermato, come se gli spari si fossero congelati e i soldati fossero immobili, tutti a guardarci.

Sentii quanto Harry mi stesse stringendo a lui e quanto però stesse tremando.

Vederlo così, debole, vedere i suoi occhi ricoperti da un velo di lacrime e la sua espressione distrutta, mi diede una nuova forza, come mai l'avevo avuta, quel tipo di forza che fino a quel momento solo Harry aveva avuto e che aveva usato con me.

Perciò comandai alla mia bocca di aprirsi e parlare.

<< Harry... >>

<< Sono qui, Louis. Non ti lascio >. Ero sicuro che lui non mi avrebbe lasciato. Non ero sicuro però se fossi stato io a lasciare lui. Volevo rassicurarlo, volevo dirgli tante, troppe cose e sapevo di non averne il tempo.

<< Harry... avvicinati >> gli dissi.

Lui chinò la testa e avvicinò il suo orecchio alle mie labbra. Non so se fu quella nuova forza a permettermi di canticchiare quelle parole, ma lo feci perché non potevo andarmene senza avergliele dette.

 

<< All of the words I was dying to say, never came out the right way >>

 

Harry sapeva a cosa mi stessi riferendo, che canzone fosse. Era una delle poche sdolcinate che piacevano ad entrambi.

Eppure quella canzone non completava ciò che davvero volevo dirgli. Avrei voluto dirgli che la mia vita era stata così bella solo grazie a lui, che senza di lui non sapevo che fine avrei fatto, che per tutto quel tempo lui era stato il mio sogno proibito e che sapere che io ero stato il suo mi aveva reso la persona più felice del mondo. Che a lui dovevo la mia vita, perché l'aveva salvata tante volte senza saperlo, semplicemente ricordandomi che c'era, che lui sarebbe tornato.

Tornato da me.

E che non lo accusavo di essersi confessato così tardi, non gliene facevo una colpa perché anche io avevo fatto la stessa cosa, che lo perdonavo per qualsiasi sciocchezza di cui si accusava. Che lui era stato il mio angelo custode in vita e io sarei stato il suo in morte.

Ma non ce la facevo, non riuscivo a dirgli tutte quelle cose e speravo che in cuor suo le sapesse già perché avevo la forza di pronunciare solo due parole, quelle due che per così tanti anni avevo tenuto tra la lingua e i denti, sempre pronte ad uscire, ma mai uscite.

<< Ti amo >> sussurrai a Harry ancora chino su di me.

Glielo avevo già detto, eppure sapevo che quella volta entrambi lo avevamo sentito per davvero, forse per la prima volta.

Sentii un singhiozzo. Harry non si trattenne più. Se aveva voluto mostrarsi forte davanti a me per non farmi perdere la speranza, aveva ceduto. Le sue lacrime salate rigavano quel bel viso da angelo.

<< Ti amo anch'io Louis >> disse tra i singhiozzi che ora lo scuotevano tutto. Un sorriso mi dipinse le labbra e chiusi gli occhi per godermi quel momento.

Harry pensò che me ne stesi andando e iniziò a scuotermi, gridando il mio nome.

I miei occhi si erano abituati al buio e riaprirli fu una della cose più difficili che avessi mai fatto.

<< Louis, non te ne andare! Non adesso che ti ho ritrovato >> disse tra i singhiozzi. Mi teneva le spalle, stringendomi forte e avrei voluto tanto consolarlo, dirgli che mi dispiaceva, asciugargli le lacrime, raccoglierle in tanti baci.

Baciargli quelle labbra rosse.

<< Sono sempre stato con te, Harry e sempre lo sarò >> lo rassicurai, riuscendo ad accarezzargli una guancia.

Sarei sempre stato al suo fianco, lo avrei guardato e guidato. Lo avrei amato per l'eternità anche da lassù.

<< Ma io ti voglio con me... i-io voglio baciarti ogni giorno, fare l'amore con te ogni notte. Non voglio che tu te ne vada, non adesso, è troppo presto. N- non puoi >> disse, quasi arrabbiandosi. Era arrabbiato con il mondo, lo sapevo. Con il destino che ci aveva concesso di stare per così tanto tempo tanto vicini, ma mai quanto avremmo voluto, quanto negli ultimi giorni. I giorni che avremmo sperato non finissero mai e che invece lo erano così presto. E io mi sentii in dovere di scusarmi, nonostante fossi anche io incazzato con il mondo.

<< Mi dispiace >> gli sussurrai sulle labbra.

Volevo assaggiarle un'ultima volta prima di andarmene. Ne avevo avuto il privilegio per così poco tempo e adesso il destino mi doveva un ultimo bacio. Ultimo come quello di Romeo e Giulietta, che avrebbe suggellato per sempre il nostro amore.

Harry scosse la testa, forse per la frustrazione, ma quando gli ordinai di baciarmi lo fece senza esitazione.

Fu un bacio dolce e salato. Dolce per tutto l'amore con cui era dato, salato per le lacrime di Harry che si mescolavano alle mie. Piangevo per il troppo dolore e non solo fisico, ma per quello del mio cuore che non era per niente pronto ad abbandonare Harry. Quando il bacio finì, Harry posò la sua fronte sulla mia e si lasciò andare a un altro singhiozzo.

<< Visto? Sto morendo tra le tue braccia, come volevo io >>.

Quella era la mia unica consolazione. Il destino mi aveva concesso di morire come avevo sempre desiderato, tra le braccia di Harry.

<< Non morire >> mi supplicò lui.

Io sentivo che ormai le forze mi stavano abbandonando, che il buio stava per accogliermi, che i miei occhi anelavano per quel buio. Così pregai per un'ultima richiesta.

<< Harry... canta. Cantami quella canzone >>

<< Quale? >>

<< Quella... quella di Natale >> dissi a fatica.

Quella magnifica canzone che aveva scritto.

<< Quella che ho scritto per te? >> chiese. Non sapevo l'avesse scritta per me, ma ripensandoci con il senno di poi, aveva un senso. Perciò quasi ridendo, risposi un flebile “si”.

 

<< I want you here with me, like how I pictured it, so I don't have to keep imagining... >>.

 

Sull'ultima parola la voce di Harry si spezzò, ma io sorrisi.

<< Promettimi che diventerai un cantante >> gli dissi, sperando che davvero avrebbe regalato al mondo la bellezza della sua voce.

<< Te lo prometto >> mi rispose, annuendo.

<< Bene... >>

<< Louis >>.

Sorrisi sentendo il suo ultimo sussurro, la sua voce sussurrare per l'ultima volta il mio nome e la sua voce, il suo volto accompagnarono i miei occhi verso il buio, verso l'ultimo buio.

Dicono che quando si stia per morire ti passi tutta la vita davanti, ma io tutto ciò che ero riuscito a vedere era stato Harry, forse perché tutta la mia vita era stato proprio lui.

 

 

TRE ANNI DOPO

 

<< Mi dispiace ragazzi, ma questa è l'ultima canzone per stasera >>.

Un grido di disappunto riempì l'arena.

<< Lo so, lo so. Ma in compenso l'ultima è una canzone speciale >>.

Rimasi in ascolto per qualche secondo delle urla esultanti dei fans, che già sapevano a quale canzone mi stessi riferendo.

<< E' una canzone che ho scritto per una persona meravigliosa. Per l'amore della mia vita. Mi manchi Lou >>.

Poi iniziai a suonare la chitarra e non sentii più nulla. Le grida, il calore delle luci, il sudore.

Non sentii più nulla, se non la musica.

Non pensai più a nulla se non a chi aveva ispirato quella canzone.

 

<< There's a lightning in your eyes I can't deny
Then there's me inside a sinking boat, running out of time
Without you I'll never make it out alive
But I know, yes I know we'll be alright

There's a devil in your smile that's chasing me
And every time I turn around it's only gaining speed
There's a moment when you finally realize
There's no way you can change the rolling tide
But I know, yes I know that I'll be fine

This time I'm ready to run
Escape from the city and follow the sun
'Cause I wanna be yours
'Cause you wanna be mine
I don't wanna get lost in the dark of the night
This time I'm ready to run
Wherever you are is the place I belong
'Cause I wanna be free
And I wanna be young
I'll never look back now I'm ready to run
I'm ready to run

There's a future in my life I can't foresee
Unless of course I stay on course
And keep you next to me

There will always be the kind that criticize
But I know, yes I know we'll be alright

This time I'm ready to run
Escape from the city and follow the sun
'Cause I wanna be yours
'Cause you wanna be mine
I don't wanna get lost in the dark of the night
This time I'm ready to run
Wherever you are is the place I belong
'Cause I wanna be free
And I wanna be young
I'll never look back now I'm ready to run

This time I'm ready to run
I'll give everything that I got for your love

This time I'm ready to run
Escape from the city and follow the sun

'Cause I wanna be yours
'Cause you wanna be mine
I don't wanna get lost in the dark of the night
This time I'm ready to run
Wherever you are is the place I belong
'Cause I wanna be free
And I wanna be young
I'll never look back now I'm ready to run >>

 

 

Louis mi aveva salvato la vita e non solo quella volta che aveva disinnescato le mine o quando era stato ferito ed era morto al posto mio. Lui era stato il mio unico motivo per tornare a casa ogni volta, l'unica cosa che riusciva a farmi combattere e ad avere voglia di vivere. E quando se ne era andato sapevo che sarei morto se avessi continuato a stare nell'esercito. Senza una ragione per vivere e con il dolore per la sua perdita sempre vivo e presente, non mi sarebbe rimasto niente per cui combattere. Lasciare l'esercito era stato facile, era già da un po', prima che lui morisse, che desideravo andarmene, iniziare una nuova vita, possibilmente con Louis. Se avessi saputo prima che lui aveva provato le mie stesse cose per tutti quegli anni, in quel momento, in prima fila a guardarmi, a cantare le mie canzoni ci sarebbe stato lui.

Ma era inutile rimuginare su quello che sarebbe o non sarebbe potuto accadere, quello che era successo mi aveva distrutto e il mio cuore si stava ancora leccando le ferite, ma lentamente avevo iniziato ad accettarlo.

Sapevo che Louis avrebbe voluto vedermi felice, realizzare il mio sogno ed anche il suo. Cantare, regalare la bellezza della mia voce al mondo, come aveva detto lui.

Non era tanto il fatto di diventare famosi, quanto proprio quello di fare ciò che veramente desideravo fare, l'unica cosa in cui ero bravo.

E avrei voluto che Louis fosse lì a incoraggiarmi, ad accogliermi a braccia aperte, in casa nostra, dopo ogni concerto.

Ma lui non c'era eppure sapevo che c'era. Era come una sensazione strana che sentivo ogni volta che pensavo a lui e che soprattutto lo desideravo vicino.

Quasi un brivido fugace, come un soffio leggero uscito proprio dalle sue labbra e che profumava di lui.

Quella sensazione ogni volta mi ricordava della sua promessa.

Lui c'era sempre stato per me e sempre ci sarebbe stato. Sapevo che lui era bravo a mantenere le promesse e sapevo che da lassù lui continuava a guardarmi e forse ad essere orgoglioso di me.

Quando suonai l'ultima nota di Ready to run, la folla esplose in un boato e io sorrisi.

<< Buonanotte a tutti e grazie di aver scelto di passare la serata con me! A presto >>.

Le luci si spensero e io corsi dietro le quinte dove la mia troupe mi accolse, facendomi i complimenti.

Quello era stato il mio primo concerto in un arena così grande e per questo ero carico di adrenalina, non riuscivo a far altro che a sorridere a tutto ciò che mi succedeva intorno.

Abbracciai mia sorella e mia madre che mi corsero incontro, felici di vedermi dopo tanto.

<< Harry sei stato fantastico! >> mi urlò Gemma nell'orecchio.

<< Grazie sorellona >>

<< Il mio bambino >> mia madre prese il posto di mia sorella tra le mie braccia.

Era fiera di me, lo avevo capito dal tono che aveva usato.

Da quanto Louis era morto loro due erano state le persone che più mi erano state vicine, che mi avevano incoraggiato e mi avevano aiutato a costruire la carriera che finalmente avevo.

<< Anche Louis sarebbe orgoglioso di te >> mi sussurrò mia madre e io la strinsi più forte.

Una lacrima solitaria trovò una via di fuga e solcò la mia guancia destra e io non la scacciai via.

<< Grazie >> dissi a mia madre per poi staccarmi e andare a prendere la macchina.

Velocemente tornai a casa. Era una casa grande, bella e vuota.

Era quella che avevo sempre sognato di comprare, di comprare per me, Louis e la nostra eventuale famiglia.

Per tutti i nostri parenti, avremmo preparato pranzi, barbecue, compleanni e feste in piscina.

E la sera, alla fine di ogni festa ci saremmo rinchiusi solo noi due a guardare un film sul divano e Louis probabilmente si sarebbe addormentato e io lo avrei guardato dormire. Poi lo avrei preso tra le braccia e lo avrei portato nel nostro letto, mi sarei disteso accanto a lui e lo avrei baciato.

Pensavo spesso a come sarebbe stata la nostra vita, nei minimi particolari e sorridevo a qualche immagine dolce o divertente che prendeva forma nella mia mente.

In quel momento immaginai il nostro matrimonio e a quanto sarebbe stato difficile scegliere tra me che avrei optato per uno stile semplice e Louis che avrebbe voluto chiamare uno wedding planner per organizzare il matrimonio più memorabile di sempre.

Alla fine l'avrei data vinta a lui, come sempre.

Mi diressi in camera mia e presi un grosso scatolone da sopra l'armadio.

Erano due anni che non aprivo quella scatola. Dentro c'erano tutte le foto che possedevo di me e Louis, tutti gli stupidi bigliettini che ci scambiavamo a scuola, tutti i regali che mi aveva fatto, tutti tranne uno.

La chitarra che mi aveva regalato il Natale prima di morire, quella chitarra era l'unica che suonavo, che portavo con me in tournée e a qualsiasi concerto e che non lasciavo toccare a nessuno.

Era la cosa più preziosa che avevo, quella semplice chitarra con la scritta “ For Harry by Louis” scritta da lui stesso.

Ma in quel momento mi concentrai sulle foto e passai non so quante ore a sfogliarle tutte, a ricordare tutti i momenti che avevano catturato, quali cose ci eravamo detti prima e dopo lo scatto e mi concessi qualche lacrima.

Ma mi concessi anche tanti sorrisi, perché la mia vita con Louis era stata la vita più piena e felice che un uomo potesse desiderare e anche se era finita, non avrei mai smesso di ricordarne ogni momento, di raccontarne qualche episodio, di continuare a vivere nella sua memoria, di continuare a ricordarlo per ciò che era e ringraziarlo, ringraziarlo mille volte per esserci semplicemente stato.

Per aver reso la mia vita bella da morire, per averla resa indimenticabile e infinita.

Con quei pensieri in mente e con il sorriso sulle labbra chiusi lo scatolone, lo poggiai vicino al letto dove avrei potuto raggiungerlo tutte le volte che avessi voluto, mi stesi sul letto e con un ultimo pensiero alla risata di Louis e ai suoi occhi, più azzurri del cielo, chiusi i miei e mi addormentai.


 


 

THE END.


 


 

Holaaa gente! Alour, spero innanzitutto che questa OS vi sia piaciuta, so che finisce una cacca, vi avrà fatto piangere magari e tutto quanto e cavolo HO UCCISO LOUIS, CAPITE? HO UCCISO LOUIS, IL MIO LOUIS, IL MIO SOLE CUORE AMORE.

Però qualche volta và fatto. Ho sempre pensato ( e continuo a farlo) che le belle storie non devono essere per forza tristi, non devono per forza finire male cavolo, mi piacerebbero tantissimo anche se tutti rimanessero vivi, felici e contenti. Però mi sono accorta che quelle tristi, dove muore qualche personaggio sono quelle che più mi rimangono impresse e perciò mi sono cimentata anche io nel drammatico, cosa che non farò più. Cioè lo farò, ma penso che il finale sarà sempre felice, come diceva la Austen. I suoi personaggi avrebbero sempre avuto un lieto fine!

Per l'epilogo, proprio l'ultima parte, sul fatto che Harry “ si addormenta” vi lascio libera interpretazione.


 

HARRY E' VIVO, SI E' DAVVERO SOLO ADDORMENTATO AHAHAH non sapevo come finirla lol.

Comunque, tutto qui spero che abbiate sentito qualche canzone della playlist che vi ho lasciato SOPRATTUTTO JAMES FIGO BAY, e se vi è piaciuta la mia storia mi farebbe piacere se lasciaste una recensionina;)

A presto!

Noemi:)

  
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