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Autore: _ A r i a    26/06/2015    2 recensioni
La paura non è un sentimento razionale, come d'altronde la maggior parte delle cose che ci circondano.
Ne ero sempre stato cosciente, eppure quella sera mi sembrava così difficile credere a quelle stesse parole, che tante volte avevo sentito ed altrettante avevo pronunciato.
Sempre elogiato per la mia intelligenza, i miei nervi saldi, la mia innata capacità di essere impassibile in ogni situazione. Non è esattamente così.
Anche le certezze più solide crollano, prima o poi. Anche quelle che credevi dure come rocce. Dopotutto, anche le rocce si disintegrano, erose dallo scorrere delle epoche od indebolite dalle intemperie.
Probabilmente, per me, quella notte fu un insieme di entrambe le cose.
Genere: Angst, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jude/Yuuto, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 “Forse non riesco ad odiarti perché non ho mai smesso di  amarti”.

La paura non è un sentimento razionale, come d’altronde la maggior parte delle cose che ci circondano. Ne ero sempre stato cosciente, eppure quella sera mi sembrava così difficile credere a quelle stesse parole, che tante volte avevo sentito ed altrettante avevo pronunciato. 
Sempre elogiato per la mia intelligenza, i miei nervi saldi, la mia innata capacità di essere impassibile in ogni situazione. Non è esattamente così. 
Anche le certezze più solide crollano, prima o poi. Anche quelle che credevi dure come rocce. Dopotutto, anche le rocce si disintegrano, erose dallo scorrere delle epoche od indebolite dalle intemperie. 
Probabilmente per me, quella notte, fu un insieme di entrambe le cose. 
La prima volta che piansi me la ricordo bene. Avevo sei anni ed erano appena giunti a casa degli assistenti sociali. Dissero che i miei genitori erano morti in un terribile incidente. Non piansi lì, sul momento, non avevo ancora somatizzato la notizia. Quella notte, mentre mia sorella dormiva tranquilla, ignara di tutto -non avevo avuto cuore di rivelarle la verità, non subito perlomeno- piansi in silenzio, incapace di mettere un freno alle mie lacrime. Mi ero sentito completamente solo, abbandonato.
Nessuno avrebbe potuto aiutarmi.
Eppure, non avevo ancora conosciuto la solitudine. Solo ora lo la piena coscienza di cosa sia. La seconda volta che mi abbandonai alle lacrime avevo all’incirca dieci anni. Anche allora avevo temuto di essere solo. Forse, invece, quella era stata un delle poche volte in vita mia in cui non ero stato solo. Il terrore irrazionale ed infantile era tornato ad impossessarsi di me, almeno così credevo. Non era la prima volta che gli incubi tornavano a tormentarmi, forse non avevano mai smesso di farlo. A volte, proprio come in quell’occasione, non erano dei veri e propri incubi, di quelli che ti tormentano nell’incoscienza notturna. In effetti era ancor più terrorizzante perché io mi sentivo padrone del mio corpo, eppure non riuscivo a scacciare quell’angoscia. Continuavo a rigirarmi spasmodicamente tra le coperte, senza riuscire a trovare pace. Il mio letto sembrava essere albergato da terribili spine, indicibilmente acuminate. 
Avevo paura di tutto. 
Avevo paura del buio. Avevo paura delle strane ombre che si formavano sulle pareti, sembravano prendersi gioco di me, il lato puerile che era rimasto in me temeva che quella minacciosa oscurità potesse allungare le sue orride braccia nella mia direzione e portarmi via con sé per sempre. 
Assurdo, avevo sempre cercato di liberarmi di della mia parte bambina per analizzare i problemi con maggior occhio critico eppure, a quanto pareva, non ci ero riuscito e non sembravo neppure in grado di nasconderla. La verità, tuttavia, era ben altra. 
Avevo paura di morire. 
Già, io, il ragazzo cinico e calcolatore, che si lasciava influenzare da delle sciocchezze simili, come i tuoni che scoppiavano in lontananza, il vento che ruggiva ed i rami della quercia secolare, posta davanti alla mia stanza, che stridevano con rumori alquanto inquietanti sul vetro della mia finestra, producendo quelli che nel terrore scambiavo per grida così spaventose da far gelare il sangue. Sapevo che non era affatto così, eppure non riuscivo a crederci del tutto. Mi lasciai sfuggire un singhiozzo, completamente in preda al panico mentre sentivo lacrime calde e salate rigarmi il volto. Nel silenzio della notte, sentii un fruscio accanto a me ed avvertii le lenzuola muoversi. Ci siamo, pensai, decisamente ben poco lucido, quelle ombre sono venute ad impossessarsi di me. 
Non era così. 
D’improvviso un’ondata di calore dolce e rassicurante m’investì, rincuorandomi, mentre qualcuno mi abbracciava alle spalle, tenendomi stretto contro il suo petto. Non era un abbraccio soffocante né malvagio, bensì così tenero che fui sul punto di perdere quell’ultimo briciolo di dignità che mi restava e piangere ancora di più. Un bacio si perse tra i miei capelli mentre delle dita affusolate scivolavano sui miei fianchi, lasciati scoperti dal lembo della maglietta che li ricopriva, spostatasi a causa dei miei bruschi movimenti. Sentii quelle dita, così sconosciute eppure così familiari, accarezzare la pelle nuda dei miei fianchi e benché fossi abituato a rifiutare ogni genere di contatto fisico, soprattutto di un tipo così inconsueto da sembrarmi un’intrusione, non tentai in alcun modo di allontanare quelle dita. Non mi fidavo di nessuno, è vero, eppure quelle carezze delicate erano riuscite a far cambiare parere perfino a me. Le mie guance s’imporporarono quando avvertii il suo volto affondare nel mio collo. Non mi allontanai nemmeno allora. Dovevo stare proprio male per essere arrivato ad un punto tale, trarre piacere dal contatto fisico, che avevo cercato di evitare in tutti quegli anni.
«Non riesci a dormire?»
Un sussurro, così flebile e delicato, le parole bisbigliate che mi carezzavano la pelle del collo mentre le  labbra si muovevano sinuose, sfiorandomi sensualmente la gola. Arrossii ancora di più ed un brivido mi percorreva indisturbato la schiena. Le dita si spostarono proprio su questa, sfiorandola con delicatezza, scivolando lungo tutta la colonna vertebrale.«Sono tornate»ammisi a voce talmente bassa da risultare inudibile, nonostante temessi che le mie parole suonassero ancor più stupide di quanto non fossero già a mio parere«sono di nuovo qui, vogliono prendermi, mi porteranno via. Io non … non voglio che quelle ombre orribili mi prendano». I miei singhiozzi aumentarono, avevo paura di vedere quel velo d’oscurità tornare ad agitarsi davanti ai miei occhi da un momento all’altro. Tremai forte e sentii quell’abbraccio rinvigorirsi, nel tentativo di tranquillizzarmi. Avvertivo quelle braccia così sicure e protettive, così capii che era lì che volevo stare, da nessun’altra parte. Sapevo che mi avrebbe salvato.«Kidou, io non permetterò a nessuno di farti male, né tantomeno di portarti via da me»mi confidò. Il mio cuore prese a battere più forte del dovuto ed il rossore sulle mie gote s’intensificò ancor di più. Il calore tornò a divampare nel mio corpo, solo che ora non veniva da fuori, bensì da dentro. Mi voltai cautamente, ritrovandomi finalmente di fronte a lui.«Ti ho sentito piangere»riprese, catturando uno lacrima sulla mia guancia, interrompendone il percorso«detesto vederti stare così». Si chinò su di me, lasciandomi un bacio leggero sulla fronte. Le mie guance non fecero che avvampare ancora di più. Oh, dannato autocontrollo che va a farsi benedire puntualmente proprio quando ne avrei bisogno.«La febbre ha ripreso a salire»constatò, una lieve nota di preoccupazione nella voce«sarà meglio che vada di sotto a prendere gli antipiretici». Lo sentii cominciare a scostarsi lentamente dal mio corpo e realizzai che, di lì a poco, sarei tornato ad essere solo. Il panico fece di nuovo il mio corpo suo con prepotenza ed in preda al terrore gridai:«No!». Mi gettai tra le sue braccia, cingendogli il collo con le mie, d’improvviso avvertivo quel febbrile bisogno di averlo accanto a me, come a voler recuperare in una notte tutti quegli anni di lontananza tra i nostri corpi. Affondai il volto nel suo petto, ora invaso da un’ondata di vergogna per quel gesto impulsivo, che così poco mi apparteneva. I miei respiri affannati suonavano meno intensi, attutiti dalla sua giacca e per un momento ebbi il sospetto che non avesse udito la mia voce quando sussurrai:«Kageyama … resta con me. Ti … ti prego». Ormai il mio volto aveva assunto una sfumatura violacea a causa dell’imbarazzo ma era ormai troppo tardi per rimangiarsi quelle parole. Anche perché, in fondo, non ero poi così certo di volerlo fare. Sentii le sue mani circondarmi il volto e cautamente sollevarlo verso di sé. I miei occhi rubizzi si persero ad osservare il suo volto in ogni minimo particolare mentre avvertivo i suoi polpastrelli scivolare sulle mie guance, cancellando il segno delle lacrime.«Io non me ne vado, Kidou»mi rassicurò, quella voce così protettiva che quasi non riuscivo a credere che fosse proprio sua«io resterò con te». Tremai, ora avevo così freddo da credere che le imposte si fossero spalancate di colpo. Mi strinse ancor più a sé, così trovai il coraggio necessario per chiedergli:«Per … per sempre?». Era buio pesto, eppure mi sembrò di distinguere un sorriso spuntare sul suo volto. Mi diede un altro bacio sulla fronte e rispose:«Per sempre, te lo prometto». Il mio cuore prese a battere all’impazzata, così forte che temetti che fosse sul punto di esplodere da un momento all’altro, tuttavia mi limitai a non allentare minimamente la mia stretta attorno al suo collo, mentre mi addormentavo lentamente, scivolando in un sonno sempre più profondo.

Il mare è calmo, quasi immobile, i pochi flutti che hanno l’ardore di muoversi in questa placida notte si infrangono in poco più di qualche secondo sulla morbida sabbia della riva. Il cielo è scuro ma terso, non il minimo refolo di vento si alza, per non turbare quella calma. Per quello basto io. Lancio un ennesimo sasso in acqua con così tanta violenza che compie qualche balzo prima di scomparire nell’oceano cristallino.
È finita.
Non è una notizia facile da accettare. La possibilità che la verità possa celarsi dietro quelle parole mi pare tanto remota che troverei più facile essere colpito da una stella cadente, qui su questa spiaggia, in questo esatto momento. L’esperienza accumulata col passare del tempo, tuttavia, mi ha insegnato quanto possa far male continuare imperterriti a mentire a se stessi, nonostante si conosca già perfettamente la realtà. Prima o poi, si è comunque costretti ad affrontarla lo stesso. Pertanto, meglio accettarla al più presto possibile e smettere di ingannare la propria mente con credenze irreali e mendaci che, a lungo andare, finirebbero erroneamente per obnubilarla. Arresto di colpo la mia mano prima che possa lanciare l’ennesimo sasso in mare.
Io non me ne vado.
Per sempre?
Per sempre.
«Per sempre»sussurro amaramente, nel buio della notte. Quelle parole sembrano rotolare all’infinito sulla mia lingua, ne assaporo il retrogusto ferroso, poi scivolano giù, tornano nella gola, per andare ad annidarsi nelle viscere del mio corpo. Qualcosa scatta dentro di me, come una reazione a catena. Una risata, dapprima leggera, poi sempre più forte, sgraziata, quasi un ruggito. La rabbia s’impadronisce di me, tanto che scaglio con furia ancor maggiore che in precedenza la pietra che tengo in mano, mandandola a finire in un punto imprecisato nel mare, molto più lontana di quelle cui è seguita.«Avevi detto che sarebbe stato per sempre!»grido, il senno della ragione ormai perduto. Cado in ginocchio sulla sabbia, di colpo mi sento privo di forze. Eccole di nuovo lì, quelle dannate lacrime, sentono ancora una volta il bisogno di scendere. Erano anni che non sentivo un impulso tanto forte di piangere, come fosse un bisogno primario. Mi sfilo gli occhialini e li lascio atterrare con malagrazia a terra. Le lacrime cadono senza esitazione, calde, copiose. Mi rigano il volto e cadono al suolo, formando piccole chiazze umide sul manto perfettamente asciutto della spiaggia. Mi lascio andare a dei singhiozzi strazianti, senza alcun timore di apparire vulnerabile agli occhi di un ipotetico qualcuno, qualora mi stessero osservando. Non me ne importa niente, ora ho necessità di versare le mie lacrime. So che è troppo tardi e che ormai non c’è più nulla che sia in mio potere per poter cambiare il corso degli eventi e forse è proprio questo che fa aumentare ancor di più le mie lacrime. Il senso d’inutilità che si è impossessato di me, la consapevolezza che ormai non c’è più niente che io possa fare se non stare qui, in ginocchio su questa spiaggia, a piangere le mie lacrime, è ciò che mi fa rendere conto che ora, l’unica cosa che mi rimane, sono quelle otto lettere. Fisso la luna splendere della sua luce riflessa alta nel cielo, così lontana. Eppure, quel suo stato così placido, la fa apparire immutabile, come se non esistesse nulla in grado di turbarla, neppure il mio tormento, quest’agonia straziante che mi lacera in ogni parte del mio corpo, mi distrugge, mi divora, annullandomi. Forse sono come la luna:non ho luce mia ma dipendo dal mio sole ed ora che questo se ne è andato, stavolta per sempre, non mi resta altro da fare se non lasciarmi andare a mia volta, abbandonandomi alla mia umana sofferenza. Ho perso tutto, ora sì che so cos’è la solitudine ed ora l’unica cosa che mi resta è quel singhiozzo spezzato dalle lacrime, l’ultimo disperato lamento, un richiamo d’aiuto ignorato dal mondo.
«Kageyama …»
* Angolo della depressa *
Salve a tutti, popolo di Efp! Inizio col presentarmi: il mio nome è Aria_black ma voi potete tranquillamente chiamarmi Aria (o come vi pare). Questa è la mia prima storia, una one-shot. All’inizio avevo pensato di postare qualcosa di molto più normale (si fa per dire, il mio canone della normalità è alquanto relativo ù.ù), una long con iscrizione ad OC nel fandom di Percy Jackson. L’avevo buttata giù eppure non mi convinceva del tutto, pertanto mi metto a lavorarci in questi giorni e spero di risolvere il problema, anche perché di solito quando dico così è decisamente peggio, visto che finisco sempre puntualmente per portarmi sfiga da sola ed abbandonare la suddetta idea. Yup. Comunque forse non mi convinceva nemmeno perché non mi rispecchiava, così ho deciso di inaugurare la mia pubblicazione di fanfiction, che mi auguro quanto più longeva possibile (incrociamo le dita sempre per quella storia di portarsi sfiga da sola di prima) con qualcosa che sento decisamente più mio. Il fandom di Inazuma Eleven è un po’ casa mia (storia lunga e complicata) e scrivervi per me è sempre un piacere. Unico problema:sto attraversando un periodo un po’ complicato che mi porta ad essere parecchio depressa e questa storia ne è la dimostrazione vivente. Scusate davvero tanto ma avevo bisogno di scriverla, d’altronde scrivere è un po’ la mia valvola di sfogo. Speravo in un inizio un po’ meno deprimente su questo sito ma pazienza. Qualche chiarimento: allora, io amo codesti personaggi, sono la perfezione*^* la fiction è sia fluff che angst? Credete che non lo sappia? Non doveva venire fuori così, temo sia anche OOC, però la mia depressione deve aver preso il sopravvento su di me mentre scrivevo, sigh! Ormai è andata. Quanto al contesto, ho fatto dei salti di quattro anni precisi completamente involontari che non mi spiego, se non concettualmente. Sono tre momenti importanti nella vita di Kidou (l’amore che provo per lui è incommensurabile), il che sta a dimostrare che non è affatto un automa privo di sentimenti, anzi. Il primo chiaramente risale a quando aveva sei anni, davanti alla perdita dei genitori. Notare che non piange appena gli viene data la notizia, come se prima necessitasse di tempo per comprendere quelle parole nefande. Ci credo, temo che chiunque avrebbe reagito allo stesso modo. Oh, mio dolce tesoro :,( scusate, sono una persona orribile e questa spiegazione avrà ben poco senso se continuo a scoppiare in lacrime ogni due secondi. Il secondo momento in cui le lacrime tornano a solcare il meraviglioso volto del mio Kidou-kun (perché lui non lo sa ma è mio) è durante una notte di tempesta, quando paure e memorie (e pure la febbre, in effetti) lo tormentano. A questo punto mi sembra superfluo dirlo ma amo pure Kageyama, ecco perché compare random nelle mie storie. Infatti è proprio lui a rincuorare il più piccolo (momento feels). Sono una brutta persona, già. L’ultimo momento di pianto per Kidou è proprio alla morte del suo Comandante –qualcuno mi aiuti o rischio di morire pure io– in cui si sfoga e gli porge il suo ultimo, disperato addio.
Io … mi dispiace se ho fatto le note chilometriche e se ho scritto quest’orrore, mi dispiace tantotanto. Magari un giorno riuscirò a scrivere qualcosa di decente, dai. Ringrazio chiunque abbia letto fin qui od in generale letto l’obbrobrio sopra citato e per prassi chi recensirà/metterà tra le preferite/ricordate. Dubito esista qualcuno tanto caritatevole (ormai sono fermamente convinta che questa “cosa” faccia davvero pietà) ma quel che è detto è detto. Io la chiudo qui perché altrimenti potrei dire qualcosa di seriamente compromettente. Attendo con ansia che mi veniate a linciare in recensione!
Aria_black
P.S.:dedico questa fanfiction a Martina, che mi è rimasta accanto durante i cambiamenti che sta avendo ultimamente la mia vita. Grazie infinite, sei veramente fantastica e credo che non finirò mai di ringraziarti.  
   
 
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