Un sibilante colpo di tosse
uccise il silenzio velato di umidità dell’alba mentre una mano
scarna e nodosa saliva ad asciugare svogliatamente le innumerevoli gocce di
sudore che imperlavano la fronte ampia e macchiata dalla vecchiaia.
Lo sguardo si rivolse ancora una
volta all’orizzonte indaco e sonnolento sospirando mestamente di fronte
alla distesa infinita di sabbia che sembrava non voler cedere posto ad altri
che lei, quindi, deluso, amareggiato,rassegnato, tornava a guardare i sandali
logori cercando il coraggio da infondere a questi per compiere ancora qualche
passo.
Dietro ad essi solo una lunga
strada fatta di impronte che si trascinavano stanche una dopo l’altra.
Il vecchio si poggiò
più saldamente al bastone che gli permetteva di sorreggersi meglio sulla
gamba malferma e deformata dall’artrite e con una smorfia di dolore che
ormai era divenuta l’unica espressione ancora leggibile su quel volto
rugoso segnò il deserto con un altro passo.
Il sole sollevò
incuriosito il primo raggio del giorno poi, piano, si sedette sul dorso delle
dune aspettando che i granelli di sabbia si scuotessero dal gelo della notte
quindi, con l’ultimo sbadiglio che gli era concesso, balzò in
piedi staccandosi definitivamente dalla terra.
Il vecchio ansimava violentemente
ma non voleva rassegnarsi al bisogno di fermarsi a riposare, obbligava quel suo
corpo curvo a continuare a muoversi tappando le orecchie al suono doloroso
delle ossa delle ginocchia che scricchiolavano e stridevano come i sassi
schiacciati dalla forza di una pressa. Poi, beffarda e malvagia, la sabbia
lasciò posto ad una buca larga quanto il piede di un uomo e il vecchio
vi inciampò al suo interno finendo per sbattere violentemente la cassa
toracica al suolo. Il respiro gli abbandonò in un attimo i polmoni
svuotandoli e strizzandoli lasciandolo con la bocca aperta e bramosa di aria.
L’anziano rimase immobile con la faccia rivolta alla sabbia nel tentativo
di compiere un primo difficile respiro: alcuni rivoli di bava gli erano
scivolati dalle labbra e il sudore scendeva copioso dalle tempie andando a
bagnare il colletto della misera
casacca grigia più per le macchie che per vero colore. Un altro accesso
di tosse lo costrinse a girarsi sul dorso per permettere alle mani di
stringersi al petto cercando di lenire la tagliente fitta che si era svegliata
a livello delle sue costole fluttuanti sinistre.
Poi, finalmente, gli spasmi presero
a calmarsi e il vecchio, palpando per un attimo l’infuocata arena come a
voler trovare un appiglio per darsi forza, irrigidì ogni muscolo del
proprio corpo e si mise a sedere.
Scrutò la piccola buca che
l’aveva fatto cadere e si deterse la faccia incrostata di sabbia e sudore
scostandosi le rade ciocche di capelli dalla fronte prima di puntellarsi su un
braccio per cercare di rimettersi in piedi.
Il primo tentativo fallì e
l’anziano, ansimando, puntò lo sguardo sul bastone che durante la
caduta era finito più in la, non troppo distante, ma abbastanza da
essere intoccabile. Digrignò i denti mettendo in mostra le gengive ristrette
quindi trattenne il fiato per dare nuova forza alle gambe stecchite ma
l’artrite lo vinse ancora:
- NO! – urlò con
quel po’ di fiato che gli era rimasto in gola – non è ancora
il momento! – il vecchio si girò mettendosi a carponi e serrando
gli occhi e il cuore al dolore intenso che si spigionò dalle
articolazioni distrutte.
Mosse qualche strisciante passo
verso il bastone e quando fu sicuro di averlo tra le dita spalancò lo
sguardo smeraldo e con uno sforzo che sembrò fargli esplodere il cuore
nel petto si costrinse ad alzarsi.
La testa gli girò
violentemente e un inatteso brivido gelido gli attanagliò le viscere
facendolo barcollare:
- ho detto di no! –
sibilò sottovoce – maledette gambe! –
Il vecchio alzò la testa
per scrutare l’oceano di fuoco che gli si apriva tutt’intorno:
- e li…dietro
li…- formularono le labbra aride e screpolate
dalla sete – manca molto poco e poi potrò morire…-
Un rumore sordo e improvviso come
un tuono fece spalancare di soprassalto gli occhi di Gaara
che si tirò su a sedere respirando in maniera affannosa mentre cercava
di liberare il proprio corpo dalle coperte che gli si erano attorcigliate
attorno.
Giro più volte la testa
percorrendo con lo sguardo impazzito le quattro mura spoglie della stanza da
letto quindi, dopo essersi assicurato che il suono l’aveva udito
solamente nella sua mente, si portò le mani al viso e si stropicciò
gli occhi.
Sbadigliò soffermandosi
poi ad osservare le coltri sgualcite prima di buttare le gambe giù dal
letto e rabbrividire al contatto con il pavimento freddo.
Qualcuno prese a bussare alla
porta e Gaara si voltò a guardare da sopra la
spalla la maniglia che veniva abbassata con cautela:
- Gaara
– Kankuro entrò nella stanza a piedi
nudi – ti sei svegliato finalmente…- il
marionettista si fermò un momento, indeciso se continuare a parlare, poi sospirò andando
verso il fratello che era rimasto seduto sul bordo del letto.
Gli si sedette accanto e lo
fissò:
- sei riuscito a dormire? –
gli chiese un po’ in ansia.
Gaara
accennò ad un breve assenso con la testa mentendo un’altra volta
al fratello maggiore:
- eppure – continuò Kankuro – sei ancora così pallido, sicuro di
stare bene? –
- si…-
rispose il Kazekage studiando i contorni a frange
della tenda che copriva la finestra alzandosi quindi in piedi per cominciare a
togliersi il pigiama.
Kankuro
seguì i movimenti del fratello con lo sguardo spiandone il fisico
asciutto e la pelle pallida per finire poi sulle spalle larghe e lievemente
incurvate. Poi, come fosse stato chiamato da una voce sconosciuta, il
marionettista voltò lo sguardo verso l’angolo più remoto
della stanza immersa ancora nella penombra: la giara era scomparsa.
E non ci sarebbe stata mai
più.
- Kankuro
– Gaara lo richiamò alla realtà –
apri le finestre per favore finchè mi vesto –
Il marionettista annuì tirandosi
su dal letto quindi passò affianco al fratello venendo investito dall’odore
muschiato della sua pelle senza farci troppo caso:
- il sole è già
alto stamattina – disse Kankuro seguendo con lo
sguardo uno stormo di uccelli che volavano formando degli ampi cerchi sopra le
abitazioni di Suna - ti recherai in ufficio ora? –
Gaara
abbottonò l’ultimo bottone della giacca e affiancò il fratello
alla finestra aspirando il profumo pungente e caldo del deserto:
- si, andrò in ufficio…-
Kankuro
sbattè le palpebre senza distogliere l’attenzione
dalle evoluzioni compiute dagli uccelli:
- ti senti pronto quindi –
- si Kankuro,
sono pronto per ricominciare…il mio villaggio
ha bisogno di me…-
Il marionettista si voltò
a guardare il fratello:
- il tuo fisico potrebbe essere
ancora piuttosto debole, non devi stancarti –
- lo so – rispose il Kazekage – non dimenticarti che ora però posso
dormire e questo mi aiuta a rimettermi –.
Kankuro
sospirò poggiando una mano sulla spalla di Gaara:
- già, ora puoi dormire
anche tu – il ragazzo si voltò per raggiungere la porta – se
hai bisogno di qualcosa, chiedi pure fratellino…-
e uscì lasciando Gaara immerso nel silenzio
della stanza.
Il kazekage
sospirò rimanendo alla finestra perdendosi a guardare l’infinita
distesa di sabbia che si apriva di fronte ai suoi occhi al di la delle grandi
mura di Suna quindi chiuse le palpebre alla ricerca
di quel senso di doppia vita, di fermento, di ansia che per tanti anni, da
quando era nato, l’aveva accompagnato.
Non l’avrebbe sentito mai
più.
Non avrebbe più avuto chi
lo rodeva e lo spaventava durante la notte. Eppure ora gli sembrava di avere
più paura di prima.
Una folata di vento caldo gli
alzò i capelli rossi dalla fronte gonfiandoli e rendendoli leggeri e
donandogli un senso di leggerezza che gli era nuovo.
Gaara
deglutì quindi abbandonò la sua posizione per andare a prendere l’abito
ufficiale da Kazekage che giaceva piegato sulla sedia
della scrivania; lo accarezzò per un momento poi uscì dalla
stanza.
Percorse il lungo corridoio che
lo portava alle scale prendendo a discenderle lentamente: sentiva provenire
dalla cucina le voci di Kankuro e Temari
che discutevano sul suo ritorno in ufficio. Temari come
al solito era apprensiva e insisteva sul fatto che forse sarebbe stato meglio
per Gaara aspettare ancora qualche giorno prima di
rimettersi al lavoro. Kankuro invece trovava che per Gaara era utile tornare quanto prima a fare il Kazekage.
E per un momento, una brevissima
frazione di secondi, Gaara si trovò ad odiare Kankuro per quella sua affermazione, a chiedersi se per un
solo istante il fratello si fosse chiesto se sarebbe stato ancora in grado di
fare il Kazekage come prima.
Gaara
rimase imbambolato nei suoi pensieri con la mano protesa sulla maniglia della
porta incapace però di abbassarla, i muscoli contratti da una paura che
sembrava più grande di quella che lui stesso aveva sempre avuto di Shukaku.
Abbassò la testa
deglutendo il nodo che gli si era formato in gola quindi tolse la mano dalla
porta voltandole le spalle tornando quindi verso le scale.
Ciao a tutti
quanti!!!! Sono tornata con una nuova storia che spero e mi auguro possa
appassionarvi come quella che ho terminato! Mi propongo allora di mettercela
tutta per fare un lavoro decente…poi, lascio a
voi giudicare!un bacio grande dalla sempre vostra SNK.