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Autore: Always_Always    27/06/2015    14 recensioni
Quando Jeremiah Arkham ha aperto i cancelli per la prima volta, non sapeva certo a cosa stesse andando in contro. Era stato più un salto nel buio, il suo: il sogno di realizzare qualcosa di grande. Col pugno di ferro non si era fermato e non aveva mai ceduto alla paura, conscio che quelle che aveva davanti fossero solo persone. Persone che - seppur piene di problemi, di violenza latente e con una concezione di giusto e sbagliato altamente precaria - potevano essere gestite con il giusto personale e la giusta determinazione.
Ma con quest'ultima annata sta per cambiare tutto, perché qualcosa non quadra.
È la classe dell'ultimo corridoio che non quadra, con i suoi studenti. Come se concentrasse in sé qualcosa di sbagliato che fa tremare le pareti di tutto l'Arkham High School.

...
AU ambientato tra i banchi di scuola che cercherà di raccontare dei personaggi quando ancora non sono quelli che conosciamo. Di quello che succede in quel lasso di tempo tra il prima e il dopo.
...
{BrucexSelina, BrucexTalia, HarveyxRachel, JokerxHarley}
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Batman, Due Facce, Harley Quinn, Joker, Un po' tutti
Note: AU, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo n°2
What now
 
 
 
I've been ignoring this big lump in my throat
I shouldn't be crying tears were for the weak 
The days I'm stronger now what so I say
But something's missing
 
Whatever it is
It feels like it's laughing at me 
Through the glass of a two-sided mirror
Whatever it is
It's just laughing at me
And I just wanna scream
 
(Rihanna, What Now)
 
 
 
Harleen Quinzel deve ricordarsi più e più volte che c'è un lato positivo in ogni cosa per evitare di rovesciare il caffè del distributore automatico addosso a qualcuno. Deve ripetersi come un mantra che lei è una ragazza ottimista per natura e pertanto non può farsi crollare l'umore per delle sciocchezze insignificanti.
La sveglia non ha suonato, questa mattina, e con la scusa dell'ospedale suo padre non era lì per evitarle l'irreparabile ritardo. Ha dovuto prepararsi in tutta fretta, saltare la colazione e gettarsi in strada dimenticandosi completamente l'ombrello. Così, la pioggia che da qualche giorno infuria su Gotham City ha attaccato i suoi capelli come se li stesse aspettando. Il massimo che ha potuto fare è stato coprirli alla bell'è meglio con il cappuccio della felpa, ma non è servito. Inutile dire che ora sono gonfi e acconciati in una pessima imitazione delle parrucche di Maria Antonietta. Pam si è arrabbiata moltissimo per il mancato appuntamento, inveendo contro di lei con messaggi piuttosto coloriti nei quali concludeva che si sarebbero viste a scuola e che poteva anche andare a quel paese. Harleen non se l'è presa più di tanto, sa che la rabbia indispettita di Pam può essere sconfitta facilmente con una tazza di the verde; parla per esperienza. Comunque, ha cose più importanti a cui pensare, ora come ora: suo padre le ha lasciato un altro dei suoi bigliettini in cui scrive che starà via tutto il giorno e non tornerà in tempo per portarla ad allenamento. Questo la fa imbestialire più di tutto il resto: suo padre sa quanto sia importante la ginnastica artistica per lei.
Ma se pensa che resterò a casa ha capito male.
 
"Signorina Quinzel, il suo ritardo è imbarazzante."
"Mi dispiace, professor Nashton, ma la mia—"
"Se la risparmi, Quinzel. Si sieda e ringrazi che l'abbia fatta entrare."
 
Harleen ingoia un insulto e non ribatte alla provocazione. Sanno tutti che Edward Nashton è un isterico bastardo che si diverte a umiliare gli studenti e lei non ha intenzione di farsi prendere di mira proprio l'ultimo anno, anche se le prudono le mani. Forse il professor Nashton smetterebbe di essere arrogante con una matita conficcata nell'occhio. Dovrebbe provare, una volta.
Fruga la classe con lo sguardo alla ricerca di Pam e del banco vuoto accanto a lei, sperando che la sua rossa abbia accantonato le divergenze di questa mattina; non potrebbe davvero sopportare altri problemi, ora come ora.
Ma, ovviamente, quando mai le sue preghiere vengono ascoltate?
Nel momento in cui se ne rende conto, si blocca in mezzo all'aula e manca poco perché si metta a urlare.
Selina. Selina Kyle occupa il posto accanto a Pamela. Quello riservato solo ed esclusivamente a lei.
Non. È. Possibile.
Selina deve accorgersi del suo sguardo assassino perché per un istante le concede un'occhiata curiosa, un invito malizioso a fare qualcosa.
Un'altra matita conficcata nell'occhio, pensa Harleen con le vene che si gonfiano, e per completare l'opera ti toglierò quel sorriso a furia di pugni.
Pam, nell'altro banco, ha assunto una faccia mortificata e sta intavolando una conversazione di sguardi che hanno chissà quale significato.
In tutto questo, Harleen ancora non riesce a crederci.
 
"Quinzel, c'è qualche problema in particolare o sta perdendo il mio tempo solo per dare spettacolo?"
 
Fottiti.
Suo malgrado, è costretta a riprendere possesso delle sue abilità motorie e camminare in fondo all'aula, fino al banco che la cara Selina ha deciso di abbandonare per ragioni ignote. Appena lo raggiunge si lascia cadere con un tonfo poco elegante, per poi incrociare malamente le braccia e nasconderci la testa, seccata. Chiude gli occhi e s'immagina i modi più atroci per farla pagare a Selina Kyle.
È sempre stata una ragazza ottimista per natura, ma certe volte le viene da pensare che un omicidio di massa possa davvero fare la differenza.
 
"Sai, il broncio non ti si addice…"
 
Spalanca gli occhi, anche se non alza la testa.
È una voce. È un ragazzo. Ed è incredibilmente vicino. Harleen non impiega molto per risolvere il mistero: deve essere il suo nuovo compagno di banco. È stata così occupata a imprecare contro il mondo che non si è nemmeno ricordata di lanciare uno sguardo al suo nuovo vicino. Per un momento l'idea di essere gentile le sfiora la mente. Solo per un momento, però. Poi si ricorda di essere irritata fino all'inverosimile e dimentica tutto il resto.
 
"Non ho chiesto il tuo parere," ringhia. Parlami ancora e ti mordo.
"Accidenti, biscottino, sei davvero acida. Non ti facevo così suscettibile."
 
Biscottino?
 
Questo è davvero troppo. Probabilmente se gli sputa in un occhio capirà che non deve importunarla più; ma quando solleva la testa per attuare il suo piano di vendetta, Harleen incontra finalmente il suo volto e ogni cattivo proposito si dissolve nel nulla.
 
"Come mai questo improvviso mutismo?" è ancora lui a parlare. È divertito: "Sembravi così sicura di te, qualche secondo fa…"
 
Improvvisamente si rende conto di aver già visto questo ragazzo, di averne già sentito parlare. Non conosce il suo nome, ma la sua faccia è inconfondibile. Se la ricordano tutti.
 
Alla fine lui sorride e rende il tutto ancora più grottesco: "È per le cicatrici?"
 
Harleen si chiede che fine abbia fatto la sua grande capacità di argomentazione, perché in quel momento non riesce a fare altro che osservare quei segnacci scuri e gonfi che prolungano gli angoli della bocca in un macabro sorriso. Ne ha sentite tante sul ragazzo strano con le cicatrici in faccia. A scuola si dice che siano delle ferite orribili che danno il voltastomaco. Non è del tutto vero, anche se deve ammettere che sono tremende. E ciò che rende il tutto ancora più raccapricciante è che nessuno sa come se le sia fatte. O chi gliele abbia fatte.
Harleen, maledizione, dì qualcosa!
 
"… Quei due graffietti?" ribatte, quasi inconsapevolmente, "non li avevo neanche notati."
 
È come se il tempo rallentasse. Le parole del professor Nashton riguardo funzioni e derivate non sono altro che suoni ovattati che Harleen percepisce a stento. I suoi pensieri si congelano e quell'unica frase le rimbomba nella testa, insieme a un'altra considerazione che non attarda ad arrivare.
Sei una cretina, Harl.
Giusta obiezione. Lei e la sua stramaledetta lingua lunga; quando c'è di mezzo la tensione, non riesce a controllarsi. Pam la sgrida spesso per questo e anche se lei cerca d'impegnarsi, non riesce ad evitare uscite imbarazzanti come quella di adesso. Spera solo che il ragazzo non si senta troppo schernito.
Lui la sta osservando con uno sguardo vitreo e anche se Harleen è convinta che ci sia soltanto astio nei suoi grandi occhi verdi, si sorprende di come la facciano sentire: come se riuscissero a leggerle dentro. Arrivare all’anima.
Contro ogni previsione, il ragazzo ruota la testa all’indietro e comincia a ridere forte, così forte che non soltanto lei piomba in un imbarazzo del tutto improvviso, ma tutti i compagni di classe si voltano a osservarli e il professor Nashton li incenerisce con un’occhiata di fuoco.
 
"Voi due! Se la lezione non v'interessa, uscite immediatamente dalla mia classe!"
 
"Harleen Quinzel… tu sei… uno spasso…" risponde lui, ancora ridendo, simulando poi uno sguardo pensoso che pare proprio una presa in giro. Ripete due o tre volte il suo nome lentamente, assaporandone il suono con la bocca piena, poi torna a ridere come se avesse sentito la battuta più divertente del mondo.
 
"Harleen… Quinzel… Harley… Quinn… Harley Quinn! Harley Quinn!"
 
Questo ragazzo è pazzo.
La campanella suona e questo le dà il pretesto che aspettava: si alza con uno scatto e comincia a camminare a passo svelto fuori dall'aula. Ha una sensazione strana all'altezza del petto. È un'agghiacciante inquietudine che le smorza qualsiasi pensiero razionale. Vuole uscire da lì, deve.
Da lontano, percepisce la voce profonda e carezzevole del ragazzo solleticarle le spalle e le vengono i brividi.
 
"È stato un piacere, Harley."



 
∞∞∞ 


 
La fuga rocambolesca della Quinzel non passa inosservata dalla sua inseparabile compagna; la rossa si precipita dietro di lei dopo aver rivolto a Selina l'ultima occhiata fulminante della lezione. Lei risponde con un ghigno, anche se Pamela si è già voltata, e dopo aver sventolato la mano davanti al naso per scacciare l'odore di fiori che quella ragazza si trascina dappertutto, si volta verso la sua nuova spina del fianco.
Rachel Dawes è ancora intenta a sistemare i suoi libri. Istintivamente alza gli occhi al cielo.
 
"Vuoi sbrigarti? Non voglio perdere di nuovo i posti migliori."
"Non preoccuparti, la prima fila resta sempre vuota."
"Appunto."
 
Rachel avvampa, anche se mantiene lo sguardo basso. Selina ha notato che difficilmente guarda qualcuno negli occhi.
Chissà perché.
 
"… L-la prima fila è il posto ideale per—"
"Niente stronzate da secchiona, Rachel. Se vuoi avere le spalle coperte devi fare come dico io. E questo vuol dire ultima fila, da adesso in poi."
 
Anche se deve ammettere che la faccia di Harleen è stata impagabile.
 
"Ancora non riesco a capire perché non ti sei seduta vicino a me…"
 
La piccola Rachel Dawes è timida e riservata, ma quando s'impunta sa essere assolutamente determinata. La rispetta per questo. Anche se è una sfigata e in quanto tale Selina ha il dovere di far rispettare la gerarchia.
 
"Non sono tenuta a giustificarmi con te, dolcezza. E poi sono io che decido come comportarmi durante i miei servizi."
"Ehi, io ti pago per il tuo servizio."
 
È vero, lo deve ammettere. E inoltre, dare fastidio a Talia è una di quelle piccole soddisfazioni che la gratificano sempre. Però non deve darlo a vedere, soprattutto se vuole mantenere la sua reputazione e con quella i suoi lavoretti.
 
"Muoviti", sbotta infine, senza darle il tempo di ribattere.
 
Si allontana verso la porta con le braccia incrociate e la voglia disperata di un chewing-gum. Potrebbe costringere Rachel a comprarle un pacchetto. Non sarebbe una cattiva idea.
I suoi vaneggiamenti perdono di significato quando qualcosa di assolutamente più appetitoso entra nel suo campo visivo: Bruce Wayne non è dotato di una bellezza mozzafiato, ma quando hai così tanto fascino e molti zeri nel conto in banca, non ne hai bisogno.
 
"Oggi siamo di poche parole, principino."
Bruce si accorge di lei e, capita l'antifona, sogghigna.
"Cerco di evitare di parlare a sproposito, gatta. Al contrario di te."
 
Gatta. Il soprannome comincia a piacerle, ma non può pensarci adesso: è in corso una sfida ed è giunto il momento di sfruttare appieno i suoi occhioni blu. Li sbatte due o tre volte.
 
"Non è carino dire certe cose a una donna, Bruce. E io che pensavo di piacerti…"
 
Il loro è un gioco di rivalità ormai di consuetudine. Nessuno dei due ammetterà mai quanto effettivamente faccia piacere.
 
"Non cercare di fare la ragazza indifesa, Selina. Sei tutto meno che questo."
 
Sorride mostrando i denti nivei e quando Rachel, senza degnarli di uno sguardo, li supera e scompare nel corridoio, capisce che è il momento di chiudere la questione.
 
"… Ed è proprio questo che ti piace di me, vero?"
 
Esce dall’aula e può scommetterci tutti i suoi risparmi: Bruce Wayne la sta guardando.
Quanta soddisfazione dà la consapevolezza di avere un buon potere di seduzione.
Dopotutto, gli uomini sono uomini. E il caro principino non fa eccezione.
 
 

 
∞∞∞ 



"Harl, aspetta!"
 
Dammi un minuto.
 
"Harleen?!"
 
Continua a camminare imperterrita verso la prossima aula, la risata del ragazzo ancora nelle orecchie. Vorrebbe riuscire a dare una spiegazione razionale all'ansia isterica che l'ha pervasa qualche istante fa e che non sembra volersene andare, ma Pamela la raggiunge e a quel punto lei non può più far finta di niente. Chiude quelle emozioni in una piccola scatola e la nasconde nei meandri della sua mente. Dopo, dopo penserà a quello che è successo. Ora deve sfoggiare la sua migliore faccia da poker.
 
"Scusa, Pam. Non ti avevo sentita."
 
Pamela la guarda in tralice, la tipica espressione che assume quando scopre le sue bugie.
D’altra parte, Pam ha la straordinaria capacità di capire quando sta mentendo, faccia da poker o no.
Harleen sente il bisogno di cambiare argomento prima che Pamela possa fare qualche domanda scomoda.
 
"Stasera mio padre non può accompagnarmi in palestra."
 
Non riesce a nascondere l'astio nelle sue parole, forse perché non vuole proprio perdonarlo. Suo padre sa che la ginnastica artistica è l'unica cosa che conti davvero e che non può perdere nemmeno un allenamento se vuole avere una qualche chance in futuro. Ma, evidentemente, il suo futuro non rientra nelle priorità di suo padre.
È deludente realizzare quanto poco lo conosca.
 
"Mi dispiace…" risponde Pam, ma Harleen scuote la testa.
"Nessun problema. Ho intenzione di andarci comunque."
 
Tre, due, uno, via: Pamela assume il classico sguardo ombrato. Prevedibile.
 
"Harl, sai quanto sia pericolosa questa città di notte. Non è sicuro an—"
"So quello che faccio. Non succederà niente."
"Non è che ora io sia più tranquilla."
"Pam, rilassati: so cavarmela da sola."
 
La rossa resta zitta, ma la fronte corrugata e le labbra corrucciate vogliono dire tutt'altro. Harleen sente nuovamente il bisogno di cambiare argomento.
 
"Sai chi è il ragazzo con le cicatrici?"
Pamela alza le sopracciglia curate: "Tutti sanno chi è."
 
È vero. La leggenda del ragazzo con le cicatrici per sorriso è nota e parecchio diffusa.
Ma non è quello che intendeva lei.
 
"Conosci il suo nome?"
 
Pamela apre la bocca e alza l'indice affusolato, per poi bloccarsi a mezz'aria e mutare la sua espressione in uno sguardo di grande perplessità.
 
"Jack? John? Forse Jerome?"
 
Un buco nell'acqua.
Harleen resta a pensarci ancora qualche istante, prima di seguire Pamela dentro l'aula e concludere che, chiunque sia quel ragazzo, l'alone di mistero che si porta appresso è più fitto di quanto pensasse.
 
 

 
∞∞∞
 


Le strade di Gotham City non sono mai state pulite e accomodanti. Nemmeno quelle di alto rango. E la sua palestra non è certo nelle zone più prestigiose della città. Per fortuna manca davvero poco per arrivare a casa.
Quando quella mattina Harleen ha detto a Pam che non c'era nulla di cui preoccuparsi, diceva sul serio. Solo che il freddo pungente della notte penetra attraverso la sua tuta di feltro e i rumori confusi che avverte in quella stradina isolata, illuminata soltanto da un piccolo lampione rovinato, la stanno facendo ricredere. Non vede l'ora di arrivare a casa e affogare queste sue sciocche preoccupazioni in una fumante tazza di caffè bollente. Niente di meglio per perdere il sonno.
Ad accompagnarla in quella lunga camminata notturna c'è un gatto grigio appollaiato su un bidone della spazzatura. La studia con scarso interesse e ogni tanto si lecca le zampe tra miagolii e fusa. Probabilmente è l'unico ad essere a proprio agio nell'atmosfera notturna di Gotham. Beato lui.
Un rumore secco le arriva alle orecchie. È alle sue spalle. Si volta di scatto serrando la presa sul suo borsone, ma è soltanto il vuoto a restituirle lo sguardo. Resta ancora per qualche istante a osservare l'oscurità, pensando che quel dannato lampione sarebbe da rottamare, quando un altro rumore, che stavolta identifica con una voce ben distinta, anticipa la figura di un uomo che si stacca dall'oscurità e cammina nella sua direzione.
Per un attimo, Harleen si chiede se non sia meglio cominciare a correre.
Non essere ridicola, Harl: perché qualcuno dovrebbe…
 
"Che ci fai in giro tutta sola, signorina?"
 
L'ombra sotto di lui è lunga e deforme e raggiunge la punta dei piedi di Harleen. Il passamontagna calato sul volto la inchioda per un istante al pavimento.
Girati e scappa.
 
"… Sto… tornando a casa…"
 
Corri Harl.
 
Un ghigno: "Potrei accompagnarti io."
 
Corri!
 
È un attimo. Il gatto si rifugia nel bidone della spazzatura, Harleen si volta lasciando cadere a terra il borsone e l'uomo scatta verso di lei.
Il cuore le batte all'impazzata, impedendole di pensare lucidamente e di respirare. Un'arma, deve trovare un'arma. Qualcosa da usare per cacciarlo via, per difendersi. Cerca di ricordarsi quali siano i punti sensibili per mettere fuori gioco un uomo, i punti di pressione per debilitare gli aggressori: occhi, testicoli, stinchi, setto nasale. Qualsiasi cosa. Ma il suo cervello non vuole saperne di collaborare. La paura si mischia al suo sangue e le stilla un solo pensiero nella testa: la fuga. Così, invece di elaborare un piano d'attacco, non fa altro che muovere le gambe più che può nella speranza di incontrare qualcuno che possa soccorrerla.
Con uno strattone, l'uomo la spinge a terra e lei sbatte la testa contro il lampione della luce. Cade rovinosamente, la pelle si slabbra e comincia a bruciare all'altezza dei gomiti e delle ginocchia. Non riesce a muoversi.
 
"Fermati…" mormora all'uomo, che ora è cavalcioni su di lei. "Non ho soldi, per favore!"
"Dovrò accontentarmi di altro, allora."
 
No, tutto ma quello no.
 
"Se stai tranquilla, non farà troppo male."
 
Le mani sudicie l'accarezzano e lei si sente sporca. Si lascia sfuggire due lacrime amare, mentre si rifugia tra i suoi pensieri, dove Pamela le sorride e il sole splende. Forse se si concentra riuscirà a non accorgersi di nulla. Come se non fosse mai successo.
 
"Che cazzo…?" dice lui. Ha una voce disgustosa.
 
Non aprire gli occhi, Harl.
 
"Chi cazzo sei, eh? Fatti vedere!"
 
Avverte il peso sul suo corpo farsi improvvisamente più leggero e solo in quel momento Harleen racimola un po' di coraggio e apre leggermente gli occhi. L'uomo è in piedi e le dà le spalle, osserva l'oscurità che ha davanti e sventola le braccia in aria con forza. La lama del coltello che stringe nella mano luccica per un istante nel buio.
 
"Oh no…" mormora poi lui, nella voce un terrore che Harleen riconosce a stento, perché i suoni si sono fatti confusi e lei non sa dire se sia per la paura o per il colpo alla testa, ma sente di non essere a pieno contatto con la realtà.
 
"Perché? Io… ti ho dato quello che volevi…"
 
Le sembra di sentire una risata, nell'oscurità. È quella del diavolo?
 
"No, Joker… no!"
 
Soltanto quando lo vede afflosciarsi a terra come un sacco vuoto riprende la lucidità. Sbatte le palpebre, ma quello che ha davanti, sebbene lo riguardi una, due, tre e mille altre volte, le fa accapponare la pelle: quell'uomo è morto. Quel mostro, quel bastardo, quell'infimo animale che meritava di morire, è morto davvero. E il suo stesso coltello conficcato al centro del torace non lascia spazio a dubbi: qualcuno lo ha ucciso.
E quel qualcuno è ancora qui.
Harleen si rannicchia su se stessa senza staccare gli occhi dall'oscurità che inghiotte il vicolo, cercando di restare nel piccolo cerchio di luce che quel dannato lampione disegna attorno a sé. Può sentire distintamente il battito del suo cuore scalpitare in una corsa frenetica e trapanarle la mente. Vorrebbe urlargli di smetterla, sbattere la testa contro il muro nella speranza di placare quel rumore assordante, ma ancora una volta è il panico totale ad ancorarla all'asfalto sporco.
Schiarisce la voce, solo per controllare che ne abbia ancora una.
 
"Chi… chi c'è?"
 
Non deve aspettare molto per conoscere la risposta. Dal buio pesto davanti a lei emerge una figura ingobbita. Ha la faccia truccata in quella che può definirsi una macabra rappresentazione di un pagliaccio da circo. I capelli sono tinti di verde, il volto è completamente bianco e il sorriso è rosso scarlatto, prolungato fino alle guance da delle terribili cicatrici che le ricordano incredibilmente…
 
"TU!" esclama Harleen, alzandosi di scatto. Sembra improvvisamente ripresa, anche se i dolori che ora ignora si faranno sentire, domani.
 
"Ci rincontriamo, Harley."
 
Una voce accomodante ma agghiacciante, così diversa da quella placida che aveva al loro primo incontro.
 
"Che diavolo ci fai qui!? E- quell'uomo! E- quel coltello! T-tu l-l'hai ucciso! Cazzo, l'hai ucciso! Sei pazzo?! L'hai ucciso! Davanti a ME! E-"
 
Forti braccia la sbattono contro il palo, bloccando sul nascere quella crisi di nervi. Harleen fa fatica a crederci: il suo dannatissimo compagno di bancoè davanti a lei, preme un braccio sul suo collo e con l'altra mano…
Oh, cazzo! Quello è un coltello?!
 
"Ho sempre pensato che fossi una ragazza troppo chiacchierona, zuccherino…" sussurra lui a due centimetri dal suo viso e il suo tono di voce è cambiato ancora, è gracchiante, rauco e docile allo stesso tempo. Le ricorda tanto una faina pronta a scattare. Il coltello le carezza la guancia lasciando una scia fredda che la manda in tilt.
 
"Perché ti ha chiamato 'Joker'?" chiede, rendendosi conto soltanto dopo di quanto sia fuori luogo quella domanda.
Lui curva la testa di lato e si lascia sfuggire un risolino: "Chiedilo a lui…"
 
Sarà colpa della sua voce, del suo sorrisetto divertito o dei suoi occhi verdi, ma Harleen non ha paura. Il terrore si è volatilizzato, non riesce neanche a ricordarsi che sapore abbia. Solo che ora capire il perché richiede una lucidità che sa di non possedere.
 
"Aveva paura di te…" – un'altra considerazione fuori luogo.
"Mmh," lui aggrotta le sopracciglia e si lecca le cicatrici rosse rosse, "forse non gli piacevano i clown…"
"Hai intenzione di uccidermi?"
"Fino a poco tempo fa, sì."
 
Dovrebbe urlare e chiedere aiuto. Dovrebbe assestargli una gomitata in pancia e fuggire il più lontano possibile dallo strano luccichio che accende i suoi occhi. Eppure non riesce a muoversi. La paura che prima l'aveva spinta a correre fino a consumarsi le gambe ora sembra assopita e lei scopre di non volersene andareSa che potrebbe ucciderla da un momento all'altro, ma non le importa.
 
"Perché hai cambiato idea?"
 
Lui scoppia in una risata. Quella del diavolo. E in quel momento Harleen si dà della stupida perché, anche se molto più macabra, soffiata, temibile e distorta, quella risata non è molto differente da quella che gli ha sentito fare in classe.
E non è stata capace di riconoscerla.
 
"Sai, bambolina… tu sei troppo divertente. Mi fai ridere, vedi? E questa è una cosa carina."
 
È soltanto quando lui si volta che si rende conto di non averlo più addosso.
 
"Ci vediamo domani, Harle-quin…"
 
Dalla sua gola non esce alcun suono. Si sente disorientata e la testa ruota vorticosamente, impedendole qualsiasi ragionamento razionale. È consapevole di aver fatto un incontro assurdo, il più pericoloso ed esaltante di tutta la sua vita, ma ora, osservando camminare quel ragazzo a passo tranquillo, non sa dire che sensazioni abbia in proposito. Intercetta con lo sguardo il corpo ormai privo di vita dell'animale che stava per aggredirla e, suo malgrado, non riesce a provare pena per lui. Al contrario, il bastardo è all'inferno dove merita di stare. Ma quando il ragazzo scompare nell'oscurità da dov'è venuto, ecco che tutta la magia svanisce in un battibaleno e lei realizza quello che è appena successo. Si ritrova in un vicolo buio, sola in piena notte e il terrore l'assale ancora, brutale e inarrestabile come una ganascia d'acciaio. Recupera il suo borsone e schizza a casa alla velocità della luce.
Soltanto quando infila le chiavi nella toppa e chiude la porta dietro di sé si permette di guardare in faccia tutto quello che è successo. Si accascia contro la porta, immersa in un silenzio surreale che non lascia scampo. Una volta tanto è grata che suo padre non sia in casa.
"Mmh, forse non gli piacevano i clown…"
Una risata sconnessa le sfugge dalle labbra, prima che fiotti di lacrime le bagnino il viso e lei precipiti in un pianto isterico carico di paura e terrore.
 
 
 
Through the glass of a two-sided mirror
Whatever it is
It's just sitting there and laughing at me
And I just wanna scream
 
What now? I just can't figure it out
What now? I guess I'll just wait it out
What now? Please tell me
What now?
 
(Rihanna, What Now)
 
 




Angolo dell'autrice:

Eccomi qui con il secondo capitolo.
In verità non c'è davvero molto da dire.
Volevo solo ringraziare chiunque avesse letto il capitolo e tutti quelli che hanno messo la mia storia nelle seguite — preferite — ricordate! 
E ovviamente grazie a chi ha recensito e a chi recensirà! 

Ci riaggiorniamo al prossimo capitolo!

Always_Always
 
   
 
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