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Autore: _Aly95    27/06/2015    1 recensioni
(REVISIONE in corso capitoli)
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"Durante quel racconto aveva ricordato ciò che il corpo non aveva mai dimenticato: la sua pelle, le sue mani fredde, che si infilavano sotto la propria carne, quel suo sangue di ghiaccio, da predatore paziente e calcolatore, implacabile. E quel suo senso di superiorità e di potere che sprigionava con ogni parte del suo essere, la sua natura possessiva e misteriosa: sbagliato, forse morboso, ma era ugualmente eccitante. [...] Era rabbrividita, con un certo timore: un essere del genere, avrebbe mai trovato la pace, in particolare nella sua folle vendetta..?
Si stava sciogliendo. Sciogliendo tra la neve."
[Pre-Thor] / [Post-Avengers] - [Thor: The Dark World] - [Post- Thor: The Dark World]
Il destino mescola le carte e noi giochiamo _ Arthur Schopenhauer
Genere: Angst, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio, Thor
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Loki avvertiva le labbra gonfie e tumefatte, il ferro che ancora gli nauseava le viscere.
Col dorso di una mano si pulì il mento, poi, voltandola, la passò sulle labbra, carne martoriata, senza riuscire a trattenere un gemito di dolore.
Non poteva vedersi in viso, riflesso.
Odino aveva deciso che la tappa successiva a quella carneficina fosse la sua mostra come trofeo di re, come cane bastonato e punito per i suoi morsi; poteva ancora notare le schegge e gli slabbri di una cella che gli ricordavano un altro tipo di dolore.
Sei davvero un sadico torturatore psicologico, Odino.
Il sangue che si era posato sulle vesti era diventato nero, quello rimasto abbondantemente sulla parte inferiore del volto, una strisciata che con la mano si era espansa fino alla guancia destra, era invece di colore rosso vivo e di densità molto spessa e morbida, o perlomeno quello era ciò che leggeva sul proprio palmo sporco.
Posò lo sguardo distratto intorno, rimirando le celle degli altri prigionieri che non avevano il coraggio di osservarlo in viso per più di un breve momento, si voltavano subito non appena alzava gli occhi freddi su di loro. Con movimento svelto si asciugò una nuova lacrima di sangue che era sfuggita alle croste ancore tenere, con gli smeraldi guardò verso la parete interna, visibile e grezza, non appena colse una serie di passi familiari.
Oltre al dolore gli passavano nella mente flash improvvisi, che poteva quasi dipingere su quella parete bianca; l'immagine più vivida, perfettamente nitida a causa dell'odio che gli trapassava gli occhi, riguardava Odino che, dall'alto del trono, muoveva l'ago dorato sulla tela estratta dalla cassa di pietra nerastra, sulla quale erano state incise una marea di rune e di scritte sacre mentre il filo nero, anziché intrecciarsi con il tessuto grigio e vuoto, chiudeva le labbra sottili sigillando per sempre la proferitrice di inganno e spergiuro nella propria tana umida.
Odino aveva filato il suo destino.
O quasi.
Posò leggermente l'indice e il medio sul labbro inferiore, alzò quello superiore sulla parte destra, toccandosi la lingua; la parte opposta rimaneva innaturalmente serrata. Un rivolo di sangue fresco sgorgò di nuovo dall'incurvatura delle croste che si erano rotte.
“Parli di compassione, giovane donna. Non è forse la pietà a mancare in colui che difendi?”
Storse il naso, in collera: l'umiliazione di un orgoglio fatto a pezzi e difeso da altri bruciava più della sua bocca. Abbassò le ciglia, guardando il pavimento, soffocando qualunque reazione potesse emergere dai suoi gesti o dai suoi movimenti: avvertiva fastidiosamente il suo sguardo silente fissargli la nuca. Lo ignorò, giocando con la sua pazienza e il suo tempo, con assoluta calma prese a pulirsi la mano con un sudicio cencio grezzo. Thor sembrava aspettare diligentemente che concludesse il suo meticoloso lavoro, se ne stava dietro la parete invisibile in assoluto silenzio.
Solo quando giunse a tamponare l'anulare della mano sinistra, forse si accorse che lui, quella pulizia, avrebbe potuto benissimo protrarla per giorni.
«Sai bene che da me non avrai mai sguardi di compassione.»
E di questo infatti ti ringrazio: non hai bisogno di chiedermi come mi sento.
Lo sai.
Sempre che te ne importi, ovviamente.

Continuando a dargli la schiena, accolse le sue parole con assoluta freddezza. «Credevo di sapere bene come ti piacesse oziare ai piedi di Padre». Cercava di muovere la bocca il meno possibile, sebbene ogni sforzo di muscolo gli facesse infiammare le labbra, e tirare la carne che formicolava quasi indolore fino al mento. Le parole uscivano a fatica, a stento si delineò un ghigno. «Forse sbaglio?»
«Non credere che per me sia stato semplice»
«Mi viene difficile».
Lo udì sospirare, mentre gli smeraldi continuavano a fissare le macchie di sangue che non riusciva a togliere con quello straccio altrettanto carico.
Thor era rimasto immobile, come tutti. Probabilmente avrebbe dovuto aspettarselo, eppure faceva male ogni volta che gli capitava di constatarlo.
Perché devo continuare a soffrire per coloro che mi hanno distrutto?
Tante volte, tempo prima, senza poterlo ammettere, aveva desiderato una sua visita in quella vecchia cella; tante volte aveva sperato addirittura che Odino giungesse anche solo per farlo sentire più miserabile di quanto le sue punizioni e le sue parole non lo facessero apparire e sentire.
Al contrario, la loro indifferenza aveva scavato ancora più a fondo, in un terreno fertile nel petto che si era stupito di possedere ancora; quelle frecce, continuavano a penetrare senza fermarsi mai.
«Il solo colpevole che puoi biasimare è te stesso, Loki. In tante occasioni ho tentato di convincerti a tornare indietro..»
«Avanti, immagini davvero di potermi mentire, Thor..?». Rise cattivo, voltandosi finalmente verso di lui. «Chiunque in quella stanza ha goduto dello spettacolo che Odino ha dato..! Chiunque ha sempre agognato di vedermi fare una fine simile».
Un gran dolore lo colse come una diramazione sulla guancia sinistra, toccandogli diversi nervi, costringendolo a sfumare ogni ghigno; quello sfregio tentava di ostacolare le sue maschere menzognere.
Il Dio del Tuono rimase in silenzio, serio, ma non seppe dire, Loki, se a causa delle sue parole o della visione di ferite e sangue in parte raffermo. Una cosa non escludeva l'altra.
Questo è il mostro che mi avete fatto diventare, che adesso terrorizza anche sopra la pelle.
I lunghi capelli biondi scomparivano oramai dietro le spalle, indici di un tempo che passava e che li vedeva sempre più irrimediabilmente divisi, rilucendo nel buio generale di un giorno che stava giungendo al termine; quando la sua voce roca suonò di nuovo, essa vibrava di una latente rassegnazione. «Minimizzi gli sforzi di chi ha scelto di difenderti a dispetto della situazione»
Digrignò i denti, infastidito.
Non puoi parlarmi di ciò che non sai, figlio di Odino. Tu non sai niente. Né di me, né di lei.
«Non necessito dell'aiuto di nessuno. Specie del suo».
Anche il suo sguardo si indurì. «E' inutile persistere nelle menzogne, Loki, come inutile è lo sdegno ostentato di cui tu stesso tenti di convincerti. Tutti hanno assistito a quello che è successo. Il filo che non ti cuce parte della bocca è merito suo».
«Non le ho chiesto di interporsi tra me e il Padre degli Dèi..!» ringhiò ansimando, infilando le unghie nella carne del palmo, ingoiando un grumo di pus.
Alcune ciocche di capelli corvini erano scese sul viso, impastandosi al disastro che stava di nuovo scendendo dalla bocca, una smorfia e un gemito più di frustrazione che di dolore.
Non potevano adesso rinfacciargli la decisione che aveva preso di testa sua!
Non potevano incolparlo per qualcosa che non aveva preteso, d'altronde, il dio, aveva preso la drastica decisione di non chiederle più nulla, perché da lei più nulla avrebbe voluto.
Non ho bisogno di lei, né tantomeno dei suoi prevedibili rimorsi.
Vide Thor stringere le labbra, l'azzurro che si infrangeva nel verde come onde sulla riva, una calma che stonava con la sua reazione aggressiva.
L'universo sembrava girare nel verso opposto: quante volte il Dio del Tuono aveva perso la calma ed egli aveva cercato di tranquillizzarlo con la sua solita, quieta, freddezza distaccata?
Lo fissò in silenzio, con sdegno e rancore, mentre una pozza di saliva, sangue e purulenza andava formandosi sul pavimento, davanti ai piedi, gocciolando prima lungo il mento.
«Abbiamo parlato». Lo disse con una smorfia sospirata, mentre gli occhi azzurri brillavano fermi.
Bravi, complimenti.
Soffocò un riso per mascherare il colpo cocente di una pugnalata. «Se siete così in amicizia, perché ti ostini a giungere da me per delucidare informazioni che ha già avuto l'intimità di rivelarti?»
«Perché un dubbio corrode il mio animo, e tu sei il solo che possa placarne la forza»
Prese un profondo respiro, soppesò la situazione. Era certamente allettante l'idea di lasciar marcire Thor con la propria voce nella sua testa, con i dubbi grazie ai quali era possibile infilarsi nella sua mente ingenua, forse pura come il suo cuore. Era stato così facile destabilizzarlo dalle sue sicurezze, persino quelle amorose, quando si erano diretti da Malekith per salvare il suo microbo di mortale e vendicare una dea, una donna, che al contrario il mondo avrebbe continuato a piangere nei millenni a venire. La curiosità però lo sospingeva a farlo parlare. Smorzò gli ultimi ansiti, mentre cercava di riprendere contegno «Illuminami, dunque»
Thor annuì appena, esitando. Chiuse e aprì i palmi delle braccia che scendevano lungo le membra. «Tengo ancora nella mente i tuoi antichi propositi riguardo l'odio che non sapevo potessi portarmi così profondamente. Rammento i dispetti che ti promettevi di farmi». Oh, e ricordi proprio bene. Cercò di non far trapelare il suo interessamento, continuò a mantenere un'espressione vagamente indifferente e infastidita dal suo blaterare.
Thor si ammutolì di nuovo, un momento, facendolo ardere dall'impazienza.
«Mi domando se davvero tu non l'abbia plagiata, e solo per colpire me»
"Ti chiedo se il suo affetto sia solo un'assurda menzogna come tutto ciò che ti circonda."
Spostò lo sguardo posandolo su un'altra cella simile alla sua.
Entrambi assaporarono di nuovo il silenzio interrotto da qualche prigioniero poco distante, uno di quelli che aveva l'onore di vederlo ridotto in quello stato.
Sorrise appena: una smorfia di amarezza.
Occorre per forza un movente tanto miserabile per fare una cosa simile?
Le passava le dita tra i lunghi e morbidi capelli, in silenzio, si stupiva del calore dei suoi sorrisi ogni qualvolta si voltava verso colui che le sfiorava il manto scuro.
Di tanto in tanto, spesso, arrossiva lievemente, sorpresa che si trattasse di lui, del Dio dell'Inganno che spesso preferiva non parlarle, e se lo faceva era per recarle malumore: gelosia verso Thor? Sua infima condizione di mortale? Il suo caratterino che lo faceva irritare? Forse tutto vero, forse tutto falso.
Eppure la desiderava. Desiderava per sé ogni sua attenzione.
Occorre necessariamente desiderare di fare un dispetto a te, Thor, per volerla per me..?
Nella mente baluginavano ogni immagine, ogni tocco, ogni profumo, ogni tasto che aveva sollevato in silenzio e nell'ombra per farla cadere tra le proprie braccia. Tutto ciò che avesse fatto inconsciamente o meno, ammettendolo o meno verso se stesso.
“Non dorme, Dio dell'Inganno. Forse è l'aria di Álfheim, o forse i troppi pensieri che la tormentano.”
Forse era invece la mancanza delle stanze in cui l'aveva appositamente rinchiusa, forse la dipendenza dal suo profumo tra le coperte, tutto, dal veleno di attrazione che le aveva iniettato nelle vene?
Non conosco altro modo per ottenere quel che desidero, se non mentendo e ingannando, agendo nell'ombra e manipolando: come potrei d'altronde batterti senza giocare sporco, Thor?
«Trovi davvero così strano che qualcuno provi dell'affetto per me? O sei forse geloso..?». Alzò le sopracciglia, sogghignando per quel che il dolore fisico gli permettesse di fare. «Non parlavamo forse, del tuo tremendo gusto per le mortali l'ultima volta che ci ha colto una conversazione decente..?»
«Sei stato proprio tu ad insegnarmi a non fidarmi delle apparenze».
Ma non capisci, Thor? Io sono, solo apparenza, io sono, vane bolle di sapone che si disperdono al vento. Il mio stesso appellativo reca con sé il tessuto dell'illusione.
«Non è giusto che qualcun altro paghi per le nostre diatribe»
Digrignò di nuovo i denti. «Non ti sei mai angustiato per la mia sorte». Un fiotto di fiamme di rancore, un conato vorticoso di disprezzo e collera, fomentati dalla legna secca di disperazione e sconfitte le cui radici giacevano sul fondo delle viscere, risalirono veloci lungo l'esofago, rivitalizzando il taglio affilato della lingua. Fremeva, ricordando ciò che aveva dipinto con la mente su quella parete bianca. «Torna pure da tuo Padre e prenditi il trono macchiato del mio sangue.. sarai fin da subito un re dalle mani sporche di rosso»
E questa è l'unica vana e ridicola consolazione che mi resta.
Gli diede il profilo, sedendosi sulla sedia. «Vattene, sono stanco»
Prese un lembo di stoffa pulita e se lo mise alla bocca; se non fosse stato attento, si sarebbe potuto davvero dissanguare.
La familiare voce roca lo raggiunse di nuovo. «Mi hai sempre accusato di non tenere a te, Loki.. forse i miei modi non parevano dimostrarlo, ma sono sempre stato certo che tu più di tutti riuscissi a comprendere: "a volte non occorre la parola"»
Guardava il pavimento, in silenzio, apparentemente disinteressato. La freddezza che avvertiva dentro la sentì muoversi, levandogli il respiro.
Perché le tue parole non sono mai una menzogna? Perché suonano e profumano ogni volta di sincerità?
E perché poi, se cedo e decido di crederci, e di abbandonarmici, subisco lo schiaffo dei tuoi comportamenti contraddittori e opposti?

Un paio di spilli bucarono da dietro le palpebre; cercò di fossilizzare l'espressione.
«Allora allietami, figlio di Odino. Va' via»
«Non ti interessa la sua sorte?»
Il rancore vacillò paurosamente, l'acqua a tratti spengeva alcune fiamme di fuoco, altro evaporava.
«Fatene quel che volete»



Udì rumore di passi metallici.
Li avrebbe ignorati se si fosse trattato di quelli soliti, noiosi e frustranti, delle guardie che facevano la solita ronda tra le celle delle prigioni; quella giornata pareva non voler mai giungere a termine.
Posò il panno sporco sulla sedia accanto al letto, allungandosi meglio sulla testata del talamo dopo aver scoccato loro un'occhiata di sufficienza. «Odino domanda di me?»
Esse si limitarono ad un cenno di assenso, disattivarono il campo magnetico che occupava la parete invisibile ed entrarono per scortarlo.
Si alzò lentamente, e offrì i polsi per le consuete catene.
Forse questa volta il re si sarebbe deciso a privarlo di una vita sempre più funesta.
Magari gli avrebbe mozzato la testa, permettendogli di abbracciare per sempre e interamente la madre di tenebra e buio.
Due guardie gli offrirono un lungo mantello pesante provvisto di pelliccia, che lo copriva del tutto, andando a celare lo stato pietoso in cui riversavano i pantaloni di stoffa non più beige, ma di colore nero e rosso di un sangue incrostato o più recente.
Storse il naso: desiderava un bagno più di qualunque altra cosa, odiava la sensazione orribile di sentirsi – in realtà lo era anche troppo, per i suoi gusti – sudicio. A sporcargli l'anima ci pensavano già le bugie e la manipolazioni.
Si convinse a non pensarci, prese un muto respiro e alzò gli occhi verso il soffitto, le braccia sempre ben tese davanti a sé affinché le guardie riuscissero a segregargli meglio i polsi; dalle piccole finestre poste in alto, molto in alto, poteva discernere perfettamente il buio della notte fonda.
Si domandò inconsciamente quali oscuri piani avesse in serbo per lui Odino, per decidere di svegliarlo in un'ora così tarda.
Onestamente, credeva che la sua sorte fosse oramai quella di marcire per il resto della sua inutile vita in quella cella priva di intimità, e destinata all'intrattenimento di chiunque avesse avuto voglia di passeggiare allegramente tra le celle di traditori, ladri e stupratori. Aveva compreso infatti che la condanna prevedesse il suo progressivo deterioramento nell'indifferenza, nel disinteresse e nella trascuratezza da parte di Odino e parenti.
Intanto camminava, seguendo i diligenti cani del re; fece per svoltare verso il corridoio di sinistra, mentre le guardie lo strattonarono per invitarlo gentilmente a seguirle: la strada che stavano percorrendo non portava alla Sala del Trono, a meno che Padre Tutto non avesse avuto l'inconsueto desiderio di fargli sgranchire le gambe prima di strapazzarlo a dovere.
Si guardò intorno, senza farsi notare troppo individuò le armi e le armature dei quattro soldati che lo stavano scortando, un paio davanti e un paio dietro.
Si concentrò sull'uomo alla propria sinistra: se fosse riuscito a sfilargli la spada dal fodero, avrebbe potuto ucciderlo ficcando la punta nella sottile fessura lasciata scoperta tra elmo e cotta di maglia. Al meglio, confidando ottimisticamente nella sorpresa, avrebbe potuto uccidere anche l'altro.
Tuttavia, doveva considerare le manette – tra l'altro, pesanti – che gli chiudevano i polsi legando la sua libertà di movimento, la propria condizione attuale e la bravura degli uomini rimanenti, da non sottovalutare affatto, e che difficilmente avrebbe potuto compensare con la capacità con l'arma affilata e la sorpresa. Al solito, gli capitava di chiedersi come mai uomini sani di mente preferissero delle spade o comunque armi ingombranti quando un pugnale, coordinato di veloci movimenti, avrebbe condotto un lavoro pulito e veloce, senza problemi.
Si riconcentrò sul piano di fuga che stava disegnandosi spontaneo nella sua mente macchinosa: per la fuga in sé, non ci sarebbero state difficoltà troppo accentuate – anche senza seiðr sarebbe riuscito comunque a cavarsela, conosceva ogni bugigattolo e anfratto del regno; il problema riguardava proprio le guardie.
Sorrise appena, alzando l'angolo destro della bocca.
Doveva ammettere però che la percentuale di successo aumentava vertiginosamente contando come positiva anche la morte, di gran lunga preferibile ad un'altra umiliazione e alla vista insopportabile di quell'occhio da bisbetico.
Fissò con attenzione silenziosa il braccio della guardia che pendeva ad intervalli regolari: sarebbe stato sufficiente allungare la mano quel tanto che bastava per impossessarsi dell'arma. E dopo averla presa, la liberazione, in un senso o nell'altro, sarebbe giunta con sua grande accoglienza.
Fece per protendere la mano.
Il mondo diventerà piuttosto noioso senza il sollazzo del Caos..
Si fermò a mezzo.
Alzò gli occhi davanti a sé, oltre le guardie, dimenticando immediatamente ogni pensiero.
Ella attendeva in piedi, le mani che si torturavano con carezze violente; un mantello di candido velluto, dotato sulle spalle di una pelliccia di volpe bianca, scendeva sulla sua intera figura.
Si immobilizzò, all'istante, scettico e sospettoso, come si fosse sentito tradito dalle stesse guardie che avrebbero avuto l'onore e il tedio di liberare il cosmo dal disordine del caos.
Non era sola. Fandral, che aveva interrotto un dialogo piuttosto intimo, fatto di voce bassa e poca distanza tra volti, le mani sulle sue, gli si avvicinò con troppa confidenza.
«Dovremmo curargli le ferite alla bocca»
Loki si sdegnò, spezzò all'istante ogni intenzione di soccorrerlo. «Non ho bisogno dell'aiuto di gente inetta come voi»
«Dovresti mostrare più riconoscenza verso chi vuole aiutarti»
Quando ho avuto bisogno, non c'è mai stato nessuno. Mi avete lasciato marcire sul mio putrido piedistallo.
Cinque.
Quasi cinque buchi prima che qualcuno provasse a fermare il Padre degli Dèi; li aveva contati.
Più e più volte per controllare gli effettivi danni, e le reazioni, le infiammazioni che tale trattamento gli avevano causato.
Alzò le sopracciglia, sorridendo appena. «Il mio desiderio più grande è vederti morire ammazzato nel letto dalle donne che frequenti: spiegami la ragione per cui dovrei dimostrarti riconoscenza»
Quello non si scompose, ma gli sfuggì una smorfia. «Mi contengo solo perché è presente una lady; una lady che invece se la meriterebbe, la tua riconoscenza, cara principessa presuntuosa»
Benzina sul fuoco; si trattenne a stento dall'incenerirlo con i suoi smeraldi. «Ripetilo, e giuro che berrò il sangue dal tuo teschio..»
«Smettetela, vi sembra il caso..?!»
Rise, celando un gemito di fronte al frizzo sulle labbra. «Credete davvero che io arrivi ad apprezzare la vostra finta apprensione? Allora non mi conoscete»
La vide avvicinarsi, con lo sguardo serio e la voce stanca, e superare lo spadaccino, che non si mosse di un passo. «Adesso basta, Loki. Non ti vuole attaccare nessuno. Nessuno avrebbe voluto assistere a ciò che è successo..»
Non è vero, e lo sai bene.
Nessuno si era esposto per lui, a nessuno importava molto di Loki, Dio dell'Inganno e del Caos, se non per sputare sul suo nome e sulle sue azioni prima ancora di conoscerlo, sempre se mai avessero avuto la malaugurata sorte di doverlo incontrare.
E tu più di tutti, mi corri incontro solo perché ti faccio pena, costretta dai tuoi disgustosi rimorsi.
Ma io non sono il debole che voi credete di vedere.

Infilò un dito tra le labbra, che spostò con meccanica violenza verso la parte sinistra della bocca, quella cucita con altrettanta brutalità, che tirava ad ogni accenno di movimento per poi sanguinare, che aveva creato disgustose bolle di pus e di infiammazione.
Il dolore che ne seguì gli fece perdere per un momento la vista, le croste che avevano provato a formarsi con fatica si alzarono a mezzo dalla pelle, mentre il sangue ricominciava la sua corsa verso il basso, verso il pavimento.
Ma non si fermò.
Con l'unghia dell'indice dentro la bocca afferrò a caso una sezione di filo che lo legava internamente, con quella del pollice, dall'esterno, scavò tra il sangue e il frizzo, il dolore, più volte, fino a riuscire ad arpionare la stessa seta maledetta.
Esitò un momento, una beffa per far loro credere di averci ripensato. Non appena colse i loro muscoli rilassarsi nella speranza consapevole di poterne parlare, di poterlo fermare, tirò in basso, con violenza e forza, di netto, il proprio braccio.
Strappò.
Fu come squarciare un pezzo di carta, anche il rumore non sembrò poi così differente.
L'inferno, però, non sarebbe mai bruciato abbastanza per fargli provare di nuovo un dolore simile.
Aveva bloccato ogni grido nella gola, per rancore, odio, e orgoglio di non voler dare la stessa immagine patetica e pietosa consumatasi dinnanzi al Padre degli Dèi, quando quell'ago dorato gli aveva estratto dalle corde vocali lacrime e richiesta di pietà; forse, perfino di pentimento, ma non poteva essere sicuro per quel che rammentava.
Lasciò cadere il filo nero di fronte ai presenti, dalle espressioni dei quali, nauseate e intimorite, inorridite, poteva solo leggere il riflesso di se stesso.
Così doveva essere.
Ficcò gli occhi dentro quelli nocciola, anch'essi comunicavano ribrezzo e avversione, erano incollati allo sfregio sulla bocca come una calamita.
Non ho bisogno di te.
Ella deglutì lentamente, con grande sforzo sembrò volersi sottrarre a quella visione, soltanto dopo qualche ulteriore istante levò le pupille sulle sue; abbandonavano il ribrezzo e il timore per uno sguardo fermo e rassicurante, quasi addolcito e rassegnato. La vide allungare il braccio verso la propria guancia.
Loki arretrò impercettibilmente di un passo, mentre la sua calda mano si avvicinava, cercandolo.
Non sono disposto a farmi ferire ulteriormente.
Quel palmo però lo toccò, così come l'altro, giunto a cullargli la testa in una stretta rasserenante. Si avvicinarono pericolosamente le sue labbra, incuranti del sangue e di qualsiasi altro flusso sgorgasse a fiotti dalla carne strappata in numerosi pezzi.
Stupito, diffidente e confuso, rimase immobile di fronte a tanta fermezza e serietà, oppose una flebile sottrazione della bocca, inutile e vana dinnanzi a tanta tenacia che lo spiazzava come mai gli era successo. Con gli occhi chiusi, Anirei lo cercava senza remore né vergogna, davanti ai presenti.
La sentì, la sentiva, ma non rispose, rimanendo fermo e distaccato, freddo.
Le ferite dentro l'anima che aveva causato guaivano.
Quando si staccò, con le labbra anch'esse insanguinate, di un sangue non suo che avevano entrambi sulla lingua, ne avvertivano il pungente sapore, lo squadrò triste e afflitta, apparentemente sconfitta nel silenzio generale che li assisteva.
Fandral si fece avanti, ogni commento muto, così come inconsuetamente ogni solito comportamento beffardo. «E' ora di andare. Heimdall vi aspetta»



«Padre?»
Non sapeva come l'avrebbe presa.
Si trovava sulla terrazza, apparentemente ammirava il paesaggio che il regno degli Æsir gli rimandava indietro nel pieno della sua meraviglia sotto la luce dell'alba, le punte degli edifici e delle statue intinte di oro e di arancione, con piccole chiazze rosa sparse un po' ovunque.
«So già ciò sei giunto a dirmi». Salì con un sospiro le poche scale che dividevano la stanza dalla terrazza, lo raggiunse fermandosi a pochi passi di distanza. «E inconsuetamente tu non ne sei coinvolto»
Abbassò gli occhi, piantandoli lontani, laggiù, verso l'orizzonte che confondeva le acque e il cielo, dove un unico colore di mille sfumature univa il mondo.
Non so cosa avrei fatto, dopo ciò cui ho assistito.
«Al momento non so più cosa aspettarmi». Da nessuno.
«E' l'effetto che fa tuo fratello.». Udì un sospiro affannato, si voltò lesto verso Padre; dopo un lungo e profondo respiro tolse la mano dal busto, tornando a muovere il petto normalmente. Thor non fu lo stesso persuaso, e chiamò uno dei servitori personali del re, con un cenno gli fece intendere di portare veloce un medico.
Gli stava ancora annuendo, prima che si congedasse in silenzio, quando Odino, sempre di spalle, riprese a parlare. Il dio si chiese se non avesse ritrovato la voce proprio in quel momento. Dal tremolio stanco, tanto diverso dalla solita fermezza con cui suo padre si era sempre mostrato, sembrava invecchiato di colpo di secoli.
«Credi che la mia decisione sia stata troppo dura?»
Un brivido nelle viscere, un salto dello stomaco: non sapeva cosa rispondere.
D'altronde, le sue certezze avevano ricevuto un bella mazzata da parte dell'uomo che aveva davanti, colui che aveva mentito non ad uno solo dei suoi figli, ma bensì ad entrambi: una bugia che si era estesa a tutto il cosmo, che aveva portato il Dio dell'Inganno a comportarsi come colui che credeva essere un vero padre.
Quello stesso uomo che sapeva essere severo, quello stesso uomo che lo aveva esiliato tempo prima.
Eppure, non riusciva a digerire ciò che avesse fatto a Loki, quell'impassibilità fredda con cui aveva eseguito la propria sentenza prima di venire interrotto.
Aveva le urla straziate ancora nelle orecchie; il sangue che scendeva a fiotti, quella cascata di crudele cattiveria, quel fiume che Loki stesso aveva fatto grondare di rosso, innocente quanto coloro che erano stati spazzati via da un suo capriccio, negli occhi azzurri. Non si sarebbe meravigliato affatto se, svegliandosi un giorno, li avesse visti diventare rossi quanto l'immagine che consumavano in silenzio.
Osservò il dio canuto, avvolto in preziose vesti arancioni arricchite, elegantemente, di piccolissime decorazioni geometriche, e di filature appena più grandi, recanti oggetti e animali dal tratto delicato e fine. Il cielo che Odino stava scrutando era terso, limpido, non sporcato dalla presenza di nessuna nuvola, quasi il sangue sparso il giorno precedente fosse stato lavato via in maniera piuttosto indifferente e cinica, un cielo che sembrava essersi indurito di fronte alle umane pietà e che col tempo si fosse abituato a spazzare via la polvere delle sciocche azioni dei viventi.
Il suo cielo, che solitamente riempiva con le proprie emozioni.
E che non aveva pianto nemmeno una goccia. Era per caso risuonato un tuono?
Sì. Uno solo, potente e lontano, affinché Loki non scambiasse il suo dolore, la frustrazione per non essere riuscito a porre un rimedio alle situazioni che gli sfuggivano di mano, con la pietà che tanto detestava. Uno solo, quando l'ago aveva forato per la quinta volta.
"Credi che la mia decisione sia stata troppo dura..?"
Per un attimo, Thor si domandò se dietro quella difficile domanda non si nascondesse in realtà l'insicurezza e l'esitazione di un padre che si affacciava da dietro la maschera di re.
«Se non si fosse intromessa la figlia di Märni, tradendo la sua posizione rappresentativa, tradendo ogni vittima caduta sotto la mano di una vendetta vittimistica e infantile: ti saresti opposto tu?»
Alzò gli occhi, lo guardò fiso, cercando di sostenere il suo sguardo perforante.
«Reputo giusta una punizione per i crimini che ha commesso, ma..»
Distolse lo sguardo, sospirando.
Nella mente spuntava quel bambino e quel ragazzo dalla pazienza mordace, più grande di qualunque conoscente che subito si arrendeva di fronte alla sua ignorante cocciutaggine, quei sorrisi saccenti ma sinceri che si addolcivano di fronte alla sua ingenuità.
..Ma è Loki. Non voglio e non posso vederlo soffrire.
Come si fa a scindere il Dio dell'Inganno da mio fratello?

«Noi tutti adempiamo a dei ruoli, Thor. Io sono re, tu sei il protettore dei Nove Regni.. ma è solo questo, che siamo? Viviamo solo delle nostre maschere?»
“A volte, si confonde il personaggio con l'attore.”
La porta cigolò; ambedue si voltarono verso l'uomo che era sopraggiunto per accertarsi della condizione del re, solo Odino rispose vago al suo inchino.
«Non siamo statuette costrette in abiti di pietra»
Thor rimase in silenzio, in piedi, sulla terrazza, con i propri pensieri. Osservava con poca attenzione un re che rifiutava di farsi visitare. Lo vide avviarsi verso la porta.
«C'è altro di cui devi parlarmi prima che mi rechi da Heimdall?» si informò sull'uscio prima di andarsene, sempre tentando di tenere lontano il medico, interponendo l'alabarda.
Tutto, Padre, e tu continui a non mettermi al corrente.
«Si trovano su Jötunheim» rispose con un filo di voce, dando concretezza ad una sola delle preoccupazioni che pulsavano nella testa. Non potevano essersi esiliati in posto peggiore.
Quel regno è terra mortale per la sanità di Loki, e tu, Anirei, rischi di soccombere sotto la sua ira.


                                                                                  ***


Il cielo scuro, a tratti blu notte, veniva trapassato da una luce fredda e bianca, come se il corpo, il sole che la emanava, venisse in parte ostacolato, coperto, col risultato di illuminare poco una volta cosparsa di piccoli e grandi pianeti, di tantissime stelle, men che meno una terra sempre ghiacciata.
Il gelo le bruciava le mani, nonostante il pesante mantello di pelliccia bianca e i guanti spessi. I piedi poi, stretti in stivali sempre troppo leggeri, assorbivano l'umidità come una spugna, finendo per ghiacciarle anche le ossa.
Qualunque cosa facesse, sembrava non esserci scampo dalla morsa del freddo.
Anirei cercò di non affondare troppo sulla tenera neve che le arrivava a metà gamba, mentre inseguiva un dio che non rallentava di un passo. Loki si era chiuso nel silenzio, né ella d'altronde aveva desiderio di assaporare il freddo anche dentro la bocca.
Osservava la sua nuca scoperta del cappuccio in pelliccia, un mantello che a lui serviva a ben poco.
Non soffre il freddo.
Non ne aveva mai parlato, con lui. Aveva imparato tempo addietro a non approfondire questioni che egli non voleva argomentare, come per l'appunto quella riguardante le sue origini, informazione che aveva tratto tantissimo tempo prima dal libro del destino: da lì, aveva compreso il motivo dei suoi atteggiamenti che provocavano in lui e negli altri una fredda diffidenza, le era improvvisamente parso evidente come il freddo che in quel momento la stava mangiando.
“Loki è nostro figlio.”
Così Frigga aveva risposto al suo interrogativo mentre tra le mani reggeva il volume dalla rilegatura nera; aveva compreso e non ne aveva fatto parola, ben sapendo che parlando di tale argomento avrebbe potuto sollevare tasti dolenti che era meglio fingere non esistessero.*
In mezzo al vento, volò un lontano ululato.
Loki si fermò, guardando fiso la foresta nera che si estendeva per miglia e miglia, i capelli corvini seguivano in parte le onde della forte sferza di ghiaccio. La sua espressione pensierosa e seria non era per niente rassicurante. «Muoviamoci»
La fanciulla lo raggiunse con due veloci saltelli, sebbene la neve le creasse un impaccio non da poco. L'ululato tornava a ritmi alterni, ma sempre piuttosto distante.
«Che cos'è..?» chiese levandosi i capelli scuri dal volto, ma inutilmente a causa del vento. Si strinse meglio sotto il mantello. «E' pericoloso?»
«Pensa solo questo: io non posseggo al momento il seiðr, e tu non riesci a controllarlo»
«Non è la migliore delle situazioni» osservò meccanicamente. Loki non rispose.
Ingoiò la saliva, osservò il viso che adesso poteva di nuovo scorgere. Il freddo non aveva migliorato le sue ferite sulla bocca, divenute livide di un viola molto intenso, nere di croste e sangue rappreso.
Senza sforzo, poteva avvertire di nuovo la sensazione e il gusto del ferro sulle proprie labbra e sulla propria lingua, mentre gli occhi non lasciavano quello sfregio barbaro che gli rovinava la carne tra naso e mento.
Ebbe una fitta al cuore; alzò piano la mano destra, tentando. «Lascia che ti curi..»
Si ritrasse, voltandosi con decisione, ma non senza prima regalarle una smorfia sprezzante e distaccata.
Guardò rassegnata la sua schiena mentre ricominciava a camminare, nel silenzio chiuso che la batteva più assordante di una sfuriata, di quella reticenza che la distanziava più delle sue ampie falcate. La tagliava fuori da se stesso.
Respirò con un singhiozzo, chiuse per un momento gli occhi, prima di ripartire e seguirlo: sicuramente, preferiva le conseguenze del suo rancore e del suo sprezzo, piuttosto che saperlo in un'agonia orribile e dolorosa con la bocca cucita e l'orgoglio annientato.
Non sapeva che cosa avesse provato in quel momento terribile, quando Odino aveva mosso con un lento guizzo il polso e aveva posto il primo punto di un disegno di sangue.
Aveva avvertito il niente, l'abbattimento rassegnato, e la morte dell'anima e dell'essere ad ogni suo urlo straziato, di quei suoni perforanti che non avrebbero mai più lasciato la sua memoria né la sua vita.
Era rimasta immobile; immobile nel vederlo contorcersi su se stesso, mentre inerme non poteva fare nulla per disfarsi di un filo nero che gli univa le due labbra. Odino cuciva e cuciva, come se stesse cercando di riparare uno strappo, qualcosa di rovinato cui porre un rimedio.
E poi, si era detta no. No, come quando aveva scaraventato la spada lontano da se stessa.
No.
Non poteva considerare Loki un vecchio telo straccio che si cerca di riparare alla bell'e meglio, un lupo che viene incatenato affinché gli venga impedito di mietere altre vittime.
E sebbene la divorasse la colpa di non aver reso onore e giustizia a coloro che erano morti innocenti sotto la sua furia, non poteva perdonarsi meno l'esecuzione di tanta crudeltà, difetto di ragione e di empatia, di fronte alla quale il popolo degli Æsir non aveva battuto ciglio. Nessuno era rimasto scioccato quanto lei, una giovane della vita che la guerra e la sofferenza non avevano ancora sfiorato, né tanto meno toccato, la cui spada nera non era mai uscita da arene che ricordavano più l'intrattenimento che un vero duello.
«Útgarð»**
Anirei sussultò, all'udire di nuovo la voce tanto amata, e guardò davanti a sé, ponendo attenzione a ciò che rimaneva della vecchia città.
Stavano in piedi solo macerie di un impero lasciato cadere sotto il peso della privazione di luce ed energia. La guerra tra Æsir e Jötnar era stata molto dura: era sufficiente guardarsi intorno per comprenderlo, per accorgersi di come la sconfitta di una lunga battaglia combattuta un millennio prima non fosse mai stata superata, che niente fosse stato ricostruito per abbandonarsi ad un lento scivolamento verso il disfacimento dell'oblio. Bastava guardare colui che le camminava davanti, per misurare il peso di una guerra talmente dura da costringere Odino ad accogliere nella propria reggia un pargolo che avrebbe assicurato una pace stabile e duratura.
Alzò maggiormente la gamba, per salire su un'alta piattaforma ghiacciata; guardandone i fregi intagliati nel più freddo e duro del ghiaccio, si accorse della sua originaria funzione di parete. Si voltò verso destra, individuando la parte restante che non era caduta e che si reggeva come un grappolo d'uva all'ossatura dell'arco che ospitava il muro.
Procedendo in avanti trovava situazioni simili a quella su cui si era maggiormente soffermata.
Non resse ulteriormente il silenzio. «Dove stiamo andando?»
Loki sembrava di parere diverso, e manteneva chiusa la sua bocca non più cucita.
Si adirò un po', dimentica dei buoni propositi di non farlo innervosire. Si schiarì la voce «Appena possiamo, fermiamoci per favore.. non credo di sentirmi più i piedi..»
Le rispose uno sprazzo di vento che vorticò sinuoso tra il ghiaccio di cristallo azzurrognolo e si infranse sul suo viso ovale, obbligandola a tirarsi di nuovo sulla testa il cappuccio. Starnutì.
Si strinse nel mantello, il sospiro si trasformò in una nuvoletta di vapore. Sulle guance e sul naso avvertiva un'umidità di piccoli cristalli ghiacciati. Probabilmente sarebbe morta assiderata.
Starnutì di nuovo, e i denti batterono a lungo, mentre la mascella vibrava spontaneamente.
Se non faccio qualcosa, muoio di sicuro.
Mise le mani a coppa, fermandosi, e si avvicinò ad un pavimento rialzato di tre scalini, un'apertura grandissima accolta da due altrettanto grandi colonne, presso cui riuscì a ripararsi approssimativamente.
Si concentrò, cercando di distendere la mente e di cancellare ogni pensiero; i muscoli tuttavia vibravano di freddo, e le era difficile stare in piedi.
Respira, concentrati. Respira, concentrati.
Tremò. I palmi erano ancora vuoti.
Oh, andiamo.. com'è possibile?
Non riusciva a concentrarsi, nemmeno per riscaldare i palmi delle mani, quando ovviamente era fuori discussione la creazione di una piccola fiammella; certo la frustrazione con cui imprecava contro se stessa non aiutava.
Non posso proprio contare su me stessa..?
«Cosa stai facendo..?!»
Accolse il ringhio feroce del dio con cipiglio di collera. «Evito di morire per l'inverno perenne di  Jötunheim, se permetti»
«Non puoi usare il seiðr senza prima chiedere se ci siano delle conseguenze pericolose o meno..!»
«Mi perdoni, onnisciente divinità, non credevo di poter usare la telepatia per comunicare con il suo mutismo..»
Loki la afferrò con violenza, avvicinando i loro volti. «Fa' il favore di tacere, Anirei. Non sarei mai voluto venire qui.. ora le carezze di Odino mi paiono più invitanti»
La lasciò, mentre un masso di rimorso le piombava sul capo ed ella affondava nel mantello facendosi piccola piccola, consapevole della propria colpa che faceva da base a tutta la situazione in cui erano capitati.
Il dio si voltò, dandole le spalle, per l'ennesima volta. In una mano stringeva un guanto che si era appena tolto, mentre il capo abbassato indicava che stava guardando in basso. «Avrei sopportato tutto, tranne questo posto»
“Tranne te.”
Era così palese da non far più male. Loki era arrabbiato, di una rabbia che forse non sarebbe svanita mai.
Purtroppo, più che scusarsi, più che impegnarsi e promettere di comportarsi meglio, non poteva fare. Non poteva essere sicura di uscire sempre vincitrice dalle lotte intestine del suo essere.
«Mi dispiace che sia successo tutto questo». Il dio non rispose e scosse appena la testa, rassegnato.
Continuarono a camminare, sempre in silenzio, sempre più lontani.
Le montagne che circondavano il luogo erano talmente alte e talmente gelate da riuscire quasi a toccare il cielo con la loro cima di neve.
Forse era questo il punto: il sole, sdegnato da tanta presunzione, dalle dita rocciose che tentavano di sfiorare il suo mare scuro e brillante, si era allontanato, condannando la terra a soffrire nel freddo della sua distanza.
Un'enorme ombra si distendeva all'orizzonte, diventava più nitida a mano a mano che si avvicinavano.
La fanciulla rallentò, sbattendo più volte le palpebre e rimirando l'edificio che svettava maestosamente, coperto sul retro e in parte lateralmente da un'enorme massa rocciosa. Il palazzo, in parte distrutto, fatto interamente di vetro e cristallo in ghiaccio, possedeva mura spesse e dalla forma appuntita, una miriade di gradini sformati in maniera verticale, di parallelepipedi incastrati tra loro e dalle cime aguzze, a punta, per combattere la pesantezza della neve.
Zampillò in avanti, seguendo il dio diretto all'interno del palazzo. «Vuoi andare là dentro?»
«Non credo che nei paraggi ci sia un edificio meno cadente di questo»
Non era convinta.
Dove sono andati a finire tutti gli abitanti?
Loki parve leggerle nella mente e la onorò straordinariamente di un'attenzione prolungata. «Dopo la morte di Laufey, suppongo che la poca gente rimasta si sia dispersa in gruppi che attenteranno al potere»
Deglutì. «Quindi prima o poi torneranno per sedersi sul trono»
«Suppongo di sì»
Bene. Se non morissi miracolosamente assiderata, sarò coinvolta in una faida per il potere; e chissà che non venga loro l'idea di smembrarmi perché ho usurpato questo luogo..
«Non potremmo andare da un'altra parte?»
Loki si richiuse nuovamente nel suo ostinato silenzio, ed entrò senza attendere oltre attraverso le altissime porte d'ingresso, rimaste socchiuse e apparentemente troppo pesanti per poter essere spostate ulteriormente, in un verso o nell'altro.
Con un sospiro lo seguì all'interno del palazzo, evitando di affossarsi sul cumulo di neve che si dipanava per un bel pezzo dall'ingresso, attraverso l'uscio aperto.
Si guardò intorno, curiosa; era tutto troppo grande per lei, persino per Loki: non a caso gli Jötnar erano conosciuti anche col nome di Giganti di ghiaccio.
Dette una veloce occhiata all'enorme stanza d'ingresso, poi si sfregò le mani le une contro le altre, cercando di ritrovare la sensibilità che stava perdendo a causa del contatto prolungato del suo corpo contro il freddo. Già le dita dei piedi si stavano ghiacciando, terrorizzandola al pensiero di poterle perdere per sempre.
Si sedette sopra una piattaforma fredda, si sfilò gli stivali: definirli umidi era un complimento. Osservò con timore e preoccupazione i piedi gonfi e vagamente violacei, poi si tolse anche i guanti, constatando che le dita si trovassero in uno stato di gran lunga migliore.
Infine si coprì tutta nell'immenso mantello bianco, beneficiando della sua posizione fetale, avvolta come in un caldo bozzolo.
Cercò di rilassare i muscoli irrigiditi, pregò che il freddo facesse presto ad abbandonare le sue ossa, così come l'umido la sua pelle. Il corpo vibrava per conto suo, sfuggendo al controllo della sua mente conscia. I capelli molli, sicuramente, non aiutavano.
«Loki..» bisbigliò vedendo un'ombra scivolare dietro la parete che conduceva all'entrata.
No..
Scostò subito il mantello, corse imboccando la strada verso cui si era diretta la sagoma scura.
Lo prese che era sull'uscio.
«Dove vai..?» lo chiamò con la voce morbida ma già rassegnata. Immaginava sarebbe successo, il bacio freddo di prima, di quando il dio era rimasto immobile e indifferente, le aveva già rivelato le invisibili speranze a cui poteva ancora aggrapparsi.
Non mi abbandonare proprio adesso.. ho fatto quel passo.
Ho scelto te.

Loki le dava le spalle, volgeva appena la testa indietro.
«Cosa ti fa pensare che io mai ti perdonerò..? Puoi dirti già fortunata che io, stolto, abbia forzato la mia natura venendoti incontro». Tornò a guardare l'orizzonte innevato. «Non commetterò lo stesso errore per la seconda volta»
Già sentiva le lacrime posarsi tra una ciglia e l'altra, gelarsi assieme ai suoi piedi nudi che affondavano nella neve da poco entrata.
«Non lasciarmi..»
Sapeva che non ci fosse niente che avrebbe potuto convincerlo a rimanere, niente. Eppure il cuore che scoppiava nel petto tentava ingenuamente di provarci. Con l'appanno del dolore sulle pupille, poteva vedere piccoli fiocchi di ghiaccio che si attaccavano alla sua chioma d'ossidiana e al suo mantello.
Vorrei tanto essere un fiocco di neve e poterti stare accanto..
«Tu lo hai sempre fatto, Anirei. Sono stanco dei tuoi timori, dei tuoi problemi e delle tue paranoie. Dei rifiuti in particolar modo».
“Sono stanco di te.”
Guardava in basso, triste, al punto di rottura, del pianto che stava per giungere.
Era frustrante e doloroso constatare quanto lo avesse ferito, quanto quegli stupidi dubbi che l'avevano colta all'alba di una mattina nuova, quelle paure, quel concentrato di fattori inconsci che non volevano farle spiccare il volo della propria vita, fossero andati a marchiare la sua felicità. Forse quella di entrambi.
Vorrei tornare indietro e riavvolgere tutto..
Peccato che la vita scorresse in un solo senso.
La sensazione della sua imminente partenza le fece scoppiare il petto e lo stomaco, e percepire i battiti del cuore in tutto il corpo.
«Ti amo»
Erano uscite così, quelle parole, un lieve sussurro sfuggito alla sua coscienza. Accarezzò ogni singolo suono di quelle sillabe così care che col passare dei momenti le parevano sempre più vere e familiari; normali.
Ma Loki non si voltò.
«Getti parole contro un muro che tu hai eretto»






*:Anirei si sbaglia. Crede che tutti, sin dall'inizio, siano a conoscenza della verità su Loki, compreso lo stesso, che le dà l'impressione di non voler parlare dell'argomento quando in realtà egli non vuole semplicemente aprirsi in generale; in seguito alle parole di Frigga, e all'atteggiamento chiuso del dio, si convince a non tirare fuori il discorso che non avrebbe fatto altro che tenere presente le diverse origini di Loki, rinnovando lo sdegno che tutti gli portano e il dolore del diretto interessato.
Per una serie di coincidenze, quindi, Anirei non parla né al Dio dell'Inganno né a nessun altro – con l'eccezione della regina - delle sue origini.



**:Capitale e fortezza del regno di Jötunheim.







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Salve a tutti!
Domando scusa per il ritardo, ma proprio non ho avuto tempo per dedicarmi alla fic, nonostante in ogni minimo ritaglio di tempo sia passata a scrivere parti di capitolo. Non credo che la situazione andrà a migliorare, purtroppo.
In ogni caso, spero che abbiate gradito il capitolo, mi ci è voluto uno sforzo enorme per completarlo (credo di avere riscritto alcune parti almeno un centinaio di volte) e per la revisione sono ancora molto indietro. Lo so, mi merito di soffrire nell'astinenza dei Pan di Stelle *nooooo....!* per un bel po'.
Vi ringrazio per la pazienza, per il tempo che dedicate a questa storia e a me, in questo piccolo cantuccio d'autore.
Al prossimo (spero, non troppo lontano) capitolo.
Ciao!
La vostra Ali



 
   
 
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