Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Himenoshirotsuki    27/06/2015    4 recensioni
Il suo corpo era luce, la emanava come una stella nella volta celeste, i capelli simili a lingue di fiamma. Ledah guardò quell'anima splendente, mentre si faceva strada tra i rovi e le spine. In quel luogo opaco, a cavallo tra la realtà e il mondo dell'oltre, ogni suo passo era troppo corto, la sua voce non era sufficientemente forte perché lei si accorgesse che la stava febbrilmente rincorrendo. Per un tempo indistinto inseguì quelle tracce vermiglie, testimoni delle catene corporee che la tenevano ancorata a questo mondo. Poi lei si girò, incrociando lo sguardo disperato di Ledah, e in quell'istante egli capì: lei era il sole nell'inverno della sua anima, l'acqua che redimeva i suoi peccati, la terra che poteva definire casa. Lei era calore e fiamma bruciante. Lei era fuoco, fuoco nelle tenebre della sua esistenza.
Revisione completata
-Storia partecipante alla Challenge "L'ondata fantasy" indetta da _ovest_ su EFP-
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Guardiani'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

28

Nelle Mani del Destino

"Chi combatte con i mostri deve guardarsi dal non diventare egli stesso un mostro. E se guarderai a lungo nell'abisso, l'abisso guardera dentro di te."
F. Nietzsche

Sul far della sera, col cappuccio calato e avvolto nel mantello, Felther si allontanò dall'accampamento. Quando passò vicino alle sentinelle, quelle non fecero una piega, continuando a fissare dritto davanti a loro con sguardo assente. Si inoltrò nel bosco e in pochi istanti, ormai al riparo nella fitta vegetazione, un silenzio assordante lo circondò. Non si sentivano né i richiami degli animali notturni né il fruscio del vento tra le foglie. Pareva tutto immobile, come se la natura stesse trattenendo il fiato. 
Ad un tratto, Felther udì il suono ritmico di un battito d’ali. Un corvo con gli occhi rossi lo raggiunse e planò sulla sua spalla senza esitazioni, come se avesse riconosciuto il padrone, affondando gli artigli nel mantello. L'uomo lo osservò e inclinò la testa di lato verso il suo becco, restando in ascolto. 
- Capisco. Sarà fatto. - mormorò poi piano. 
Il corvo gracchiò, sbatté freneticamente le ali e si alzò di nuovo in volo. Quando la sua figura svanì al di là delle cime degli alberi, il Cavaliere del Drago sospirò e scrocchiò il collo. Sollevò la testa e guardò in alto, verso il cielo, e la sua espressione si fece ancora più seria e determinata.
“Per il re e la regina.”
Infine diede le spalle alla luna e si incamminò in direzione dell'accampamento.

 
* * *

Per i seguenti quattro giorni la febbre non diede tregua ad Airis. Spesso riemergeva dall'abisso popolato da incubi che l'aveva presa in ostaggio e schiudeva le palpebre per alcuni istanti, cercando di orientarsi nella semioscurità che la circondava. Ma appena si sforzava di mettere a fuoco i contorni delle cose, l'oblio la ghermiva di nuovo, guidandola in un mondo dove il sogno e la realtà si confondevano. Vide immagini sfocate, frammenti di passato e volti di persone che credeva di conoscere. Prigioniera delle ombre, solo la voce di Ledah fu in grado di darle pace, insieme al ricordo della promessa che si sarebbero incontrati ancora. 
Solo la mattina del quinto giorno Airis riuscì finalmente ad alzarsi. Si sentiva molto spossata, debole e disidratata. Tuttavia, benché non fosse ancora rientrata in possesso di tutte le sue forze, era abbastanza sicura di aver riacquistato l'equilibrio sulle proprie gambe, almeno quel tanto da alzarsi in piedi.
Quando si era svegliata, la prima cosa che era entrata nel suo campo visivo erano stati gli occhi gelidi e indifferenti del Drow, seduto in un angolo della tenda con un rotolo in mano, immerso nella penombra. Aveva sostenuto il suo sguardo enigmatico senza battere ciglio e poi si era tirata su a sedere, dandogli le spalle per cominciare a vestirsi con degli abiti puliti che aveva trovato piegati su un panchetto accanto al giaciglio. 
Il ricordo della discussione della sera prima era ancora vivido nella sua mente. Per quanto considerasse l'elfo un alleato, l'idea che in qualche modo sospettasse della sua natura l'aveva messa in allarme. Eppure Fenrir lì per lì non era sembrato diverso dal solito, benché fosse difficile decifrare le sue espressioni e capire quando era turbato o solo pensieroso.
- Non ti sforzare troppo, sei ancora molto debole. - l'ammonì severo, senza distogliere l'attenzione dalla pergamena ingiallita che stava leggendo, - Non ti devo ricordare che le ferite non sono ancora guarite, vero? -
Airis sbuffò e si defilò in silenzio. Non appena mise piede all'esterno, inspirò profondamente, riempiendosi i polmoni dell'aria frizzante di quella mattina primaverile, che le penetrò nelle narici facendosi strada in lei e scacciando via l'odore stantio che aveva respirato durante i giorni passati prigioniera in quella maledetta tenda, circondata da pellicce di animali non proprio profumate. 
"Non mi sembra vero di essere viva." 
Socchiuse le palpebre, godendosi ancora per qualche istante la carezza del vento sulla pelle, poi prese a camminare con l'intenzione di perlustrare i dintorni e verificare con i suoi occhi lo stato dell'accampamento. Un timido sole disegnava i pallidi contorni di una decina di tende allineate in file ordinate, mentre uomini e donne dalle facce scavate e i vestiti laceri sedevano attorno alla brace rosseggiante di un falò ormai prossimo a spegnersi. Alcuni correvano a destra e a sinistra trasportando cibo, legna o bende intrise di sangue. Poco più in là, tre ragazze erano accomodate in circolo lavorando sugli impennaggi di una manciata di frecce, mentre altre due, una molto giovane con un bambino piccolo attaccato al seno e l'altra con il viso pieno di rughe e i capelli striati di grigio legati stretti in una crocchia, ruotavano sul fuoco uno spiedo su cui erano stati infilzati quelli che parevano conigli. Non appena la videro, le rivolsero un breve cenno del capo in segno di rispetto e si lanciarono delle occhiate furtive, per poi tornare fin troppo rapidamente alle loro occupazioni. Ma ad Airis non sfuggì il modo con cui la guardarono, il timore e la paura che albergavano in fondo ai loro occhi.
All'improvviso venne colta da un attacco di vertigini. Poggiò ansimante le mani sulle ginocchia e si scostò i capelli dalla fronte sudata. Quella breve camminata l'aveva sfiancata come se si fosse inerpicata su per una salita tortuosa. Sentiva il corpo pesante e, in alcuni momenti, le era sembrato di avvertire le ossa scricchiolare sotto il suo stesso peso. Si vergognò profondamente di quella debolezza, ma la faccia che aveva fatto Felther quando l'aveva vista era stata più che sufficiente a farle capire quanto critiche dovevano essere state le sue condizioni. 
Rammentò gli incubi che l'avevano tormentata e dopo un po' le tornò in mente il volto della bellissima ragazza che le era apparsa in sogno, insieme alle sue parole criptiche.
"Yggrasil... l'ultima Guardiana dell'umanità... cosa vorrà dire? Che la febbre mi abbia fatto perdere del tutto il senno?"
Il suo cervello era affollato dalle domande, ma era inutile cercare di capire se quello che aveva sognato fosse reale o frutto della fantasia, anche se una parte di sé le suggeriva che ciò che aveva visto era tutto fuorché un'illusione. In ogni caso, non le interessava ottenere una risposta subito, poiché le premeva di più assicurarsi che tutti stessero bene. Con i pensieri corse a Myria, Zefiro e Melwen e pregò di trovarli fra quelle tende, sani e salvi. Inaspettatamente, si trovò a domandarsi se anche Ledah fosse insieme a loro. Lo aveva lasciato a combattere a fianco di Copernico, ma poi non ne aveva più saputo nulla.
Puntò lo sguardo sull'orizzonte e contemplò le cime invalicabili dei monti Erasse, che in lontananza si stagliavano oltre le fronde degli alberi. La catena montuosa si innalzava fino al cielo, tanto che le sue vette erano sempre coperte da un fitto strato di nubi, come a voler celare l'ingresso verso il regno degli dei. I suoi contorni frastagliati erano simili alla spina dorsale di un qualche mitico mostro leggendario e non erano poche le storie che narravano di una creatura addormentata, che un giorno, abbandonata la corazza di roccia di cui si era rivestita per difendersi dalle intemperie e dagli attacchi nemici, si sarebbe risvegliata seminando il caos. 
Si raddrizzò e fece qualche passo, ma il ginocchio destro cedette a tradimento. Tentò di riprendere l'equilibrio spostando il peso sull'altra gamba, ma sentiva la testa pesante e il suo corpo non voleva saperne di obbedire agli ordini. Chiuse gli occhi e si preparò all'impatto col suolo. L'istante successivo qualcuno l'afferrò per un polso e la strattonò indietro, costringendola in ginocchio.
- Voi “gambelunghe” siete più stupidi dei muli. -
La voce tagliente del nano le graffiò le orecchie e dovette fare appello a tutto il proprio autocontrollo per non rispondergli a tono. Sbatté le palpebre un paio di volte e si impose di respirare il più lentamente possibile. Udì uno scalpiccio frettoloso e vide una figura arrestarsi a qualche passo da lei, mentre un mormorio sommesso spezzava la quiete.
- Messer Baldur, il Generale sta bene? - chiese timida una donna.
Altri si avvicinarono, richiamati dal leggero trambusto.
- Sì, sta benissimo, non vedi? Sprizza salute da tutti i pori, credo proprio che la porterò a fare una bella scampagnata. - sputò sarcastico. 
- Non intendevo dire... -  
- Sì, va bene, va bene, ho capito. Ora di' a tutti di tornare a lavorare. - borbottò e rivolse ai presenti uno sguardo truce, - Avete capito? Qui non c'è niente da vedere, alzate i deretani e tornate a fare quello che stavate facendo. State respirando tutta l'aria. -
In meno di un attimo le persone che si erano raccolte intorno a loro si allontanarono in fretta, non osando contraddire il nano, famoso per essere permaloso e scorbutico. Baldur grugnì, poi trascinò senza grandi sforzi la guerriera fino ad un tronco posizionato vicino a un altro falò e l'aiuto a sedersi. Airis lo sentì inveire a denti stretti contro quella gente impicciona, ma presto tacque e concentrò la sua attenzione su di lei. Con un gesto brusco staccò la borraccia che portava legata alla cintura e bevve a grandi sorsi. Alcune gocce trasparenti gli colarono dagli angoli della bocca, scivolando sulle trecce rossicce della lunga barba. La guerriera rimase imbambolata a osservarle mentre il nano si dissetava, riflettendo su quanto tempo dovesse averci messo ad acconciare quel cespuglio crespo. 
- Bevi anche tu, così magari il cervello riprende a funzionarti per bene. -
Airis lo scrutò di sbieco, poi spostò lo sguardo sulla borraccia che le aveva piazzato sotto il naso.
- Non l'ho bevuta tutta se è quello che stai pensando, gambelunghe. Ora muoviti, prima che ti apra la bocca con la forza. -
Il sapore dell'acqua fresca le sembrò più dolce che mai e trangugiò avidamente il resto del contenuto.
- La mocciosa, la donna umana e suo figlio stanno bene, comunque. - aggiunse dopo un minuto.
Airis posò la borraccia sulle ginocchia e assentì piano. Fissò sovrappensiero l'armatura di Baldur, accarezzata dai tiepidi raggi del sole, e osservò le decorazioni, le rune e i simboli incisi sull'acciaio dell'ascia che gli ciondolava sulla schiena.
- Che mi dici della moglie e della seconda figlia di Copernico? -
Il nano si adombrò e scosse la testa. Airis si morse il labbro e abbassò lo sguardo. Era tutto troppo doloroso, troppo straziante da commentare, e dall'occhiata che scambiò col nano capì che anche lui la pensava allo stesso modo.
La guerriera esitò e solo dopo un attimo d'incertezza riuscì a parlare.
- Che ne è stato di Ledah? -
- Non lo so. Io e l'orecchie a punta siamo fuggiti prima dell'esplosione e non lo abbiamo ritrovato fra le macerie. E' scomparso. -
Airis strinse le mani a pugno e chiuse gli occhi. Ledah non poteva essere morto, le aveva promesso che si sarebbero rivisti, anche perché voleva farsi raccontare cosa le era successo agli occhi. Quello era stato un arrivederci, non un addio. Ledah era vivo, lo sentiva.
Una fitta al petto le fece incurvare le spalle e una nuova emozione la pervase.
“Stupido elfo.”
Rimasero entrambi in silenzio per alcuni minuti, ma il vuoto lasciato dalle loro parole fu riempito dal chiacchiericcio sommesso dei superstiti che si affaccendavano tra le tende. Una raffica di vento gelido proveniente da Nord soffiò tra i rami degli alberi.
- Quanti sono i sopravvissuti? - esordì Airis, facendosi coraggio.
- Pochi. Quelli che sono stati investiti dalle fiamme sono stati più fortunati: hanno avuto una morte indolore, il calore era talmente potente da averli arsi istantaneamente. Agli altri, quelli che sono stati colpiti dall'onda d'urto, è toccata la sorte peggiore. L'esplosione ne ha scaraventati a decine a quasi un miglio dalla città. Alcuni sono morti cadendo in un burrone non lontano da qui. Io e l'orecchie a punta siamo stati protetti da una barriera magica che Copernico aveva eretto attorno a noi prima che andassimo via. Assieme a quei pochi che siamo riusciti a far evacuare abbiamo battuto la foresta e aiutato chi si trovava in difficoltà. Direi che di tutta la popolazione di Luthien solo un decimo ce l'ha fatta. -
- Avrete dovuto fare delle scelte, immagino. - 
- Purtroppo sì. Per quanto mi sia dispiaciuto, non potevamo soccorrere tutti. Ci siamo limitati a dare una morte veloce a quelli che avevano perso degli arti o avevano riportato ferite mortali, poi con calma siamo tornati a seppellirli nel modo più dignitoso possibile, così come insegnano i nostri Avi. Anche tu eri tra coloro che avremmo dovuto sotterrare, Airis. -
A quelle parole, il cuore della guerriera mancò un battito. 
- Mi hanno detto che ero messa male, ma non potevo aspettarmi qualcosa di diverso dopo quello che è successo. - rispose cercando di mantenere la calma, anche se percepiva un leggero tremore alle mani.
- Allora sei più stupida di quanto credevo, gambelunghe. Ascolta, non me ne frega un bel niente di chi tu sia, Caillean o Airis, un soldato semplice o il Cavaliere del Lupo. Fin dal giorno in cui le nostre strade si sono incrociate, avevo capito che non eri chi dicevi di essere, ma ho fatto finta di nulla e ho preferito vedere come ti comportavi per decidere se tagliarti la testa o meno. Per tua fortuna non mi hai dato motivo per farti diventare cibo per vermi, ma sappi che odio essere preso in giro. - dichiarò secco, squadrandola con cipiglio minaccioso, - Ora, quando dico che eri da sotterrare, intendo che eri morta. Però, per qualche motivo a me sconosciuto, all'improvviso hai ricominciato a respirare. Avevi quasi tutte le ossa rotte e metà corpo ustionato. Quando siamo tornati al punto di ritrovo con gli altri sopravvissuti, quell'orecchie a punta ha insistito per prendersi cura di te e adesso guardati, sei come nuova! Più o meno. Non so come tu abbia fatto, né mi interessa sapere che genere di intruglio miracoloso quello lì ti abbia somministrato, ma sta di fatto che dovresti già essere in una fossa. Qui non si tratta della tua posizione nell'esercito o del tuo vero nome, si tratta di essere umani o no. -
Il cuore di Airis fu inondato dall'ansia e dalla paura, batteva talmente forte che temette le stesse per sfondare la cassa toracica. Prima Fenrir, ora Baldur e non era da escludersi che qualche altro dei sopravvissuti si fosse posto delle domande. Fece per ribattere, ma aveva la bocca impastata e le parole rimasero incastrate in gola. 
Il nano attese alcuni istanti, col respiro affannoso a causa del lungo discorso e gli occhi che mandavano saette, e solo quando le guance, rosse di rabbia, cominciarono a scolorirsi riprese a parlare.
- Comunque non è questo che mi preoccupa. Certo, non lascerò perdere la questione, ma adesso ho altri grattacapi. Per esempio, il tuo amichetto Felther non me la racconta giusta. - fece un respiro profondo e si guardò intorno circospetto, per sincerarsi che nessuno fosse a portata d'orecchio.
Ancora sorpresa per il repentino cambio di argomento, Airis aggrottò le sopracciglia, tirando un sospiro di sollievo per essere riuscita, almeno per il momento, a rimandare le spiegazioni. Si annotò mentalmente di inventarsi una scusa credibile appena fossero tornati in tema.
- Cosa intendi? - 
- Questa faccenda puzza più degli escrementi di un cinghiale. E quelli, credimi, puzzano da morire. - si strofinò il naso con una smorfia disgustata, - Quel damerino è arrivato qui per aiutare gli abitanti di Amount-vinya? Seh! A Sershet e ai suoi sovrani non è mai fregato nulla di quei poveri derelitti e poi, di punto in bianco, decidono di mandare un Generale pluridecorato a salvarli? Qui gatta ci cova ed è qualcosa di grosso, molto grosso, ci scommetto la mia ascia. Me lo sento nella barba. -
Airis arricciò le labbra per nascondere un sorriso, ma rifletté seriamente su quanto detto da Baldur. Le parole che lei e Felther si erano detti la sera addietro le erano rimaste impresse nella memoria ed effettivamente nel racconto del suo commilitone c'era più di una lacuna. Si fidava ben poco della presunta bontà della capitale e dei suoi regnanti, soprattutto se uno di questi era un Lich manipolatore e senza scrupoli.
- Dobbiamo andarcene, Airis, io, te e i tre gambelunghe tuoi amici. Dobbiamo farlo prima che sia troppo tardi. Il lupo gigante, l'amico dall'orecchie a punta strambo, ha continuato a girare attorno all'accampamento in questi giorni e ci scorterà fino al confine. Anche lui è spaventato. -
- Spaventato? Da cosa?
- Gli animali percepiscono sempre prima di noi il pericolo, è bene prendere esempio da loro e ascoltarli. -
Le indicò con un lieve cenno del capo un soldato, che se ne stava in piedi di guardia di fronte all'entrata di una tenda. Airis lo studiò di sottecchi. Era un soldato semplice e piuttosto giovane. Come tutti i suoi compagni, indossava un'armatura completa, con il simbolo della casata imperiale inciso sul pettorale, e nella destra stringeva una berdica. Notò che c'era qualcosa di strano nella sua postura, nello sguardo fisso e nell'immobilità innaturale del corpo. Si sentì d'un tratto a disagio, ma non seppe spiegarsi che cosa le procurava quella sensazione di inquietudine.
- Capisco, ma non posso scappare e abbandonare tutte queste persone. -
Il nano inarcò un sopracciglio, mentre una smorfia contrariata gli increspava le labbra: - Per gli Avi, non possiamo salvare tutti! Dovresti saperlo meglio di me. -
- Ne sono consapevole, ma ciò non significa che non ci debba provare. Lasciare indietro gli indigenti non fa parte del mio giuramento di Cavaliere. - replicò pacata.
- Va bene, va bene, fai come ti pare. - sbuffò, alzando le mani in segno di resa.
- Che ne sarà di Fenrir? Hai intenzione di lasciare anche lui indietro? - lo provocò.
A sentir pronunciare il nome del Drow, Baldur contrasse la mascella e una scintilla oscura brillò in fondo alle sue iridi dorate.
- Non voglio che venga con noi, non mi fido. -
- Come puoi parlare così? Si è preso cura di me! - esclamò scattando in piedi, ma il movimento improvviso le procurò un capogiro che la costrinse di nuovo a sedersi.
Stringendo i denti, si obbligò ad alzare il capo e rivolse al nano uno sguardo di sfida.
- Non significa nulla. È e rimane sempre un Drow. Quelli come lui non fanno mai niente per niente. -
- Pregiudizi e basta. Fenrir non ha aiutato solo me, ma anche gli abitanti di Amount-vinya e Luthien. Non è l'approfittatore che descrivi tu. -
Baldur scoppiò in una risata rabbiosa: - Ti sei forse innamorata, ragazzina? Io ho alle spalle più cicli lunari di te, conosco fin troppo bene la sua razza. Voi umani credete di sapere tutto, ma evidentemente al posto del cervello avete solo letame e vomito di lumaca. Credi davvero nella bontà di un popolo che aveva come re niente meno che lo spietato Aesir? Sempre sia dannato! Non escludo nemmeno che Fenrir stia eseguendo gli ordini di un qualche demonio schifoso o che sia in qualche modo coinvolto in quello che è successo a Luthien. -
- Non puoi davvero lasciarti condizionare dai pregiudizi e quello che dici è assurdo! Pure lui ha rischiato di morire, ricordi? E quale sarebbe il suo scopo? -
- Se questi pregiudizi possono salvarmi le terga, sì che li seguo! Non so ancora cos'ha in mente, ma ti giuro che lo scoprirò. L'ho osservato con attenzione sin dall'inizio e qualcosa mi è sempre parso strano, come il fatto che un Drow, che per legge dovrebbe essere schiavo, se ne vada a zonzo libero e senza collare. Sul serio non te lo sei mai chiesta? È sospetto. - borbottò scuro in volto, per poi scoccare un'occhiata cauta verso un gruppetto di persone raccolte intorno a un fuocherello, - Questo non è il luogo migliore per discutere di certe cose, ci sono troppi occhi e troppe orecchie per i miei gusti. Il tempo sta cambiando, Generale. Tra poco arriverà una tempesta e, se non saremo lontani da qui, rischiamo di prenderla in pieno. L'unica soluzione è scappare. - si avvicinò ad Airis e le assestò una pacca sulla spalla, - Stasera vieni nella foresta. Segui il sentiero per quattrocento passi, poi vai a destra e continua sempre dritto. Troverai una radura dominata da un grosso abete, che si erge proprio al centro, come un altare. -
Poi, prima che lei potesse ribattere, Baldur scavalcò il tronco e sparì tra le tende. La guerriera rimase immobile, le mani strette a pugno e mille pensieri che le turbinavano in testa. Lanciò nuovamente un'occhiata fugace al soldato di guardia, constatando che non si era mosso di un solo millimetro. In un certo qual modo sembrava che non stesse nemmeno respirando. Un brivido freddo le corse lungo la spina dorsale e la spinse ad alzarsi di scatto come se fosse stata punta da un'ape. Fu nuovamente colta dalle vertigini, ma stavolta riuscì a rimanere in piedi.
Tutto quello che aveva detto Baldur aveva senso e, in fondo, anche lei sentiva che c'era qualcosa di strano. Lo aveva avvertito fin da quando aveva parlato con Felther, lo aveva intuito dal suo sguardo sfuggente e dal tono della sua voce. Per quanto nutrisse una profonda fiducia nei suoi confronti, non poteva continuare a far finta di niente. Inoltre, ora che il nano glielo aveva fatto notare, ogni volta che un soldato le passava vicino non riuscì ad esimersi da squadrarlo da capo a piedi. Ne contò all'incirca una ventina o poco più: troppo pochi per liberare una città, ma abbastanza per sopprimere una manciata di uomini malconci e disarmati.
Scrollò il capo con rabbia e aumentò l'andatura, diretta alla tenda di Felther. Le due guardie poste davanti all'entrata fecero un lieve inchino e senza che lei dicesse nulla si spostarono per lasciarla entrare. Quando li superò, Airis incrociò lo sguardo del vecchio soldato sulla sinistra e in quegli occhi vacui e lattiginosi riconobbe le iridi vuote dei morti senz'anima dell'esercito di Lysandra. 
Baldur aveva ragione. Come aveva fatto a non accorgersene?
Appena la tenda si richiuse alle sue spalle, venne avvolta dalla penombra e un intenso odore di legna bruciata le penetrò nelle narici. Lentamente i suoi occhi si abituarono all'oscurità. Quattro bracieri pieni di carboni ardenti posti ai quattro angoli cardinali spandevano una tenue luce aranciata nell'ambiente, disegnando il profilo di un semplice letto da campo e di un vecchio tavolo tarlato piazzato al centro della tenda. Le pelli di animali che giacevano sul pavimento proteggevano dal freddo e dall'umidità che regnava all'esterno, trattenendo il calore. Il manichino dove era stata riposta l'armatura languiva annoiato vicino a uno sgabello sbilenco e, seduto su quest'ultimo, bardato di tutto punto, l'attendeva il Cavaliere del Drago.
- Sono felice che ti sia ripresa, Airis. - la accolse con un sorriso amichevole, - Il Drow aveva detto che ci sarebbe voluta più di una settimana per vederti tornare a camminare, ma non posso che rallegrarmi nel constatare che si sbagliava. Non ti smentisci mai. - 
La sua voce era calma come al solito e gli occhi azzurri la fissavano con attenzione. Si sentì pervadere da una strana sensazione di malessere e i suoi muscoli si tesero. Stava reagendo come se si fosse trovata di fronte ad un nemico, quando in realtà c'era solo Felther lì con lei. Il suo istinto le suggerì di stare attenta e non abbassare la guardia, ma c'era una parte di Airis che ancora si rifiutava credere che colui che aveva davanti non era più il Generale che aveva conosciuto. 
Si focalizzò sul mantello verde appeso sul manichino, lo stesso che Felther aveva indossato il giorno della caduta di Llanowar. 
Egli la scrutò perplesso, poi, accortosi di cosa avesse attirato la sua attenzione, sorrise. Si avvicinò al manichino per accarezzare le pieghe della stoffa e solo allora la guerriera notò che era rovinata in più punti.
- Non sono riuscito a ripararlo, però ci sono affezionato. Insieme agli onori della vittoria, volevano consegnarmi un'armatura dorata e un nuovo mantello, ma non ho accettato il loro dono. Buttare via quello che ho indossato quel giorno significava lasciarsi il passato alle spalle e io non ho mai desiderato dimenticare. -
- Anche se lo volessimo, non ci riusciremmo. -
Felther sospirò annuendo. La raggiunse in poche falcate e si arrestò a un paio di passi di distanza. La sua figura era imponente, torreggiava su di lei superandola di almeno tre spanne, ma Airis non ne era mai stata intimorita. La gentilezza di quell'uomo dall'aspetto duro si esprimeva nello studio dettagliato e quasi maniacale della migliore strategia, al solo scopo di salvare più vite possibili. Come Airis, Felther aveva sempre combattuto per proteggere i deboli, non per la vittoria. 
- Qualcosa ti preoccupa? Non mi sembri tranquilla. -
La guerriera tacque, cercando di raccogliere le idee. Per la prima volta in vita sua si ritrovò a sperare che il proprio intuito fosse in errore.
- Perché sei venuto qui, Felther? Voglio la verità. -
L'altro si accigliò: - Non ricordi? Te l'ho detto ieri. Forse avevi la febbre alta e... -
- No, ero lucida. Ti conosco abbastanza bene e capisco quando nascondi qualcosa. - 
Una scintilla di sincero stupore brillò in fondo alle iridi chiare del Generale, ma prima che potesse dire qualcosa Airis continuò.
- Sapevi che il nano e il Drow provengono da Amount-vinya? -
- No, pensavo fossero entrambi di Luthien. -
- Mi hanno detto che, all'epoca degli scontri con i briganti, erano mesi che la città era in preda all'anarchia e che sono stati costretti ad andarsene per fuggire alle rappresaglie dei disertori che aveva preso il potere. Settimane di orrore, morte, stupri e vessazioni, denunciati più volte alla capitale, ma le preghiere delle vittime sono rimaste inascoltate. - strinse i pugni e lo fissò con uno sguardo di fuoco, - Non sei giunto in queste terre per portare soccorso a questa gente, i tuoi uomini non basterebbero nemmeno per abbattere le porte della città. Non sono stupida, Felther, sono diventata Generale per una ragione e mi fido del mio istinto. Dimmi cosa ti ha portato qui, il vero motivo. -
Felther corrugò la fronte e inspirò profondamente, come se stesse soppesando le parole da usare. Si avvicinò al tavolo e, da dentro una sacca di iuta consunta, tirò fuori due calici di bronzo e un piccolo otre. Poi, con un gesto fluido della mano, li riempì entrambi e ne porse uno ad Airis. L'intenso profumo fruttato del vino si mescolò all'odore della legna.
- Ti conviene sederti, potrebbe essere una conversazione lunga. -
La giovane prese il calice e lo portò al naso, annusandolo con circospezione. 
- Non ti preoccupare, non ho intenzione di avvelenarti. Se volessi ucciderti non mi abbasserei a simili sotterfugi. L'effige sulla mia spada è pur sempre quella di un drago. -
Dall'inflessione severa della sua voce Airis capì che era sincero, ma non si fece distrarre. Non appena si lasciò cadere sullo sgabello, i muscoli spedirono fitte dolorose direttamente al cervello, tanto che a stento riuscì a reprimere una smorfia di dolore.
L'uomo si appoggiò al tavolo e bevve un lungo sorso, dandole l'impressione di star cercando di guadagnare tempo. 
- Ti ricordi quale era la mia posizione in battaglia durante l'attacco di Llanowar? -
- Sì. -
- L'onda bianca ha preso in pieno tutto l'esercito, investendoci con la sua forza distruttiva, senza risparmiare nessuno. - posò il calice sul tavolo e incatenò i loro sguardi, - Io, quell'infausto giorno, sono morto. -
Airis sbarrò gli occhi e schiuse la bocca esibendo stupore, incredulità e sconcerto, incapace di articolare una frase di senso compiuto.
- Strano, vero? Normalmente i morti riposano sottoterra, non camminano tra i vivi, ma io non volevo morire, non ero ancora pronto. Il calore mi ha fuso l'acciaio dell'armatura addosso e l'impatto mi ha scaraventato gli dei sanno dove. Mentre agonizzavo riverso al suolo, vidi che intorno a me c'era una distesa infinita di cadaveri e alle mie orecchie giungeva solo un silenzio saturo di morte. Persi conoscenza più volte durante quelle interminabili ore, ma ricordo nitidamente di aver scorto ad un certo punto alcuni dei nostri trascinarsi via dal campo di battaglia, voltando le spalle ai loro compagni e alle loro invocazioni di aiuto. Con quel poco fiato che avevo in gola scongiurai uno di loro di uccidermi, di non lasciarmi alla mercé dei nemici, ma sembrava non sentirmi. In preda alla rabbia tentai di afferrargli un braccio, ma con orrore notai che la mia mano lo attraversava senza nemmeno sfiorarlo. È stato allora che ho capito di essere uno spirito e, sotto di me, giaceva il mio corpo bruciato, trafitto da tre frecce, scagliate da un elfo con i capelli neri e gli occhi color muschio. Stavo morendo, Airis, stavo per andarmene da questo mondo. Se tu fossi un mero essere umano mi prenderesti per pazzo, ma anche a te è capitata la stessa cosa, non è vero? - sorrise insinuante.
Le si gelò il sangue. Gli occhi di Felther si assottigliarono e le scavarono sin dentro l'anima. Non c'erano più dubbi: lui sapeva. 
- Come...? - balbettò sconvolta, alzandosi.
- È stata la regina a rivelarmelo, colei che ha potere di vita e di morte su tutti noi. È arrivata sul campo di battaglia come una divinità benevola e, quando si è accorta del mio desiderio di vivere, ha legato la mia anima alla carne, per poi curare tutte le mie ferite. Mi ha detto che ero sopravvissuto per il volere degli dei, che la mia forza e il mio coraggio l'avevano colpita a tal punto da spingerla ad esaudire la mia preghiera. Lei stessa è una dea, Airis, una dea onnipotente e immensamente buona. -
La scrutò intensamente e ad Airis, per un attimo, parve di intravedere una scintilla sinistra bruciare nelle iridi chiare, come quella che brilla negli occhi dei fanatici. Rabbrividì ancora e deglutì, indignata per quei discorsi privi di senso.
- Immensamente buona? - non riuscì a trattenere una risata, - Penso proprio che non abbiamo conosciuto la stessa persona. Una regina che ordina l'attacco di una città e uccide in modo indiscriminato non è né giusta né buona, ma semplicemente pazza. -
Felther contrasse la mascella e ridusse gli occhi a fessure: - Non osare parlare in questo modo della nostra regina, Airis. Lei è una divinità e noi, poveri mortali, non siamo in grado di comprendere il suo progetto. La nostra stessa caducità e limitatezza non ci permette di vedere al di sotto della superficie. È vero, lei mi ha affidato delle truppe di sangue maledetto, ma il loro compito era quello di scovare quel traditore, Xerxas Ascrocell, prima che attentasse di nuovo alla vita del re. Tu sei una persona di buon cuore e ti sei lasciata ingannare dalle parole di quel mezzosangue, per questo la regina mi ha ordinato di intervenire, non voleva che ti lasciassi plagiare. Però sono arrivato troppo tardi. Xerxas è morto, sì, ma ha avuto tutto il tempo per fare più danni del previsto. Guarda come ha ridotto la città. Se non fosse stato per l'esplosione, chissà quanti altri innocenti sarebbero stati risparmiati. Era un assassino e un nemico di Esperya. -
Airis si allontanò di scatto, disgustata e sconvolta: - Sei completamente folle? Copernico era un mago di tutto rispetto, devoto alla sua famiglia e al suo regno più di qualunque altro uomo. Ha visto morire il suo sovrano davanti ai suoi occhi senza la possibilità di fare nulla, ha portato per anni il marchio dell'infamia e del tradimento e si è dovuto nascondere per fuggire a quelle accuse ingiuste. Eppure, nonostante il destino avverso, non ha mai smesso di compiere il suo dovere di Consigliere, anche se ne aveva tutto il diritto dopo ciò che “la nostra regina” gli aveva fatto passare! -
- Stai vaneggiando. Vedo che ti sei proprio lasciata traviare. - la rimproverò con espressione cupa.
- No, quello che vaneggia sei tu! - lo accusò con fermezza, - Hai visto quello che è successo a Luthien, il massacro che è stato perpetrato? Niente, nemmeno la ricerca di un pericoloso criminale può giustificarlo! E tu vieni qui a dirmi che secondo te è giusto? Che ti sei macchiato le mani del sangue di centinaia di innocenti perché una divinità ti ha ordinato di farlo? Dov'è finito il Cavaliere che ho conosciuto, quello disposto a tutto pur di salvare una vita, persino sacrificare la propria? -
Le gambe le tremavano e una vampata di calore la investì con violenza, ma non ci fece caso. Sentiva le lacrime premere per uscire e la consapevolezza della verità gravarle come un macigno sul cuore. 
Felther la fissò per alcuni momenti, poi distolse lo sguardo con una smorfia scontenta e si avvicinò al manichino. Prese il mantello, lo buttò a terra e lo calpestò. Airis era allibita.
- Sei una pecorella smarrita, Cavaliere del Lupo. - proferì pacato, - Se io fossi nei panni della nostra regina, ti ucciderei solo per le blasfemie che sono uscite dalla tua bocca. Ma lei, nella sua bontà, ha deciso di concederti una seconda occasione per dimostrarle la tua lealtà e devozione. - 
Schioccò le dita e un soldato con in mano una spada dalla lama argentata entrò nella tenda. 
La guerriera strabuzzò gli occhi: - Perché hai preso la mia spada? -
- Perché la utilizzerai per compiere la missione che la regina ti ha affidato. - un ghigno malvagio si allargò sulle sue labbra e intimò al soldato di porgerle l'arma, - Devi uccidere i sopravvissuti. Nessuno deve sapere cosa è successo qui. Vedrai, lei ti perdonerà e ti riaccoglierà tra le sue braccia. -Airis, impallidì, scosse la testa e indietreggiò, guardandolo con sgomento: - Non puoi chiedermi questo... quando sono diventata Cavaliere ho giurato su questa spada che... -
- Proprio per questo devi brandirla adesso per eseguire gli ordini di sua maestà. -
Calò un silenzio gelido e saturo di tensione. Si misurarono con lo sguardo per alcuni interminabili secondi, senza dire una parola. 
Airis si sentì disorientata. Sebbene le sue membra tremassero, non era la paura la causa. Provava rabbia, disprezzo, turbamento, incredulità, ma era lucida e vigile. Inspirò profondamente e scrutò Felther negli occhi, alla disperata ricerca di quella luce familiare che aveva imparato a conoscere. Tuttavia, il sorriso di circostanza del Generale non era altro che l'imitazione di un gesto che in passato trasmetteva benessere e infondeva coraggio. Quello non era più Felther, ma una copia venuta male. Realizzò che il suo amico era morto quel giorno a Llanowar e la speranza di farlo ragionare scemò del tutto.
Strappò la propria arma dalle mani del soldato e serrò le dita attorno all'elsa. Il viso dell'uomo si indurì e grugnì un'imprecazione.
- Non ho intenzione di ascoltarti ancora. Io sono e rimango un Cavaliere. Ho rinnegato la retta via già una volta, non accadrà di nuovo. Ecco cosa farò: me ne andrò oggi stesso e porterò con me i cittadini di Luthien, senza che tu o i tuoi burattini mi ostacoliate. - scandì in un sibilo furente, trattenendosi a fatica dal trafiggerli il cuore con la spada, che pareva vibrasse nella sua mano, assetata del sangue del Cavaliere del Drago. 
Strinse le labbra, lo incenerì con lo sguardo e gli diede le spalle.
- Stai commettendo un errore, Airis. La regina ed io confidavamo nel tuo buonsenso, ma a quanto pare ci siamo sbagliati. - sospirò Felther, suonando dispiaciuto.
Improvvisamente, due soldati non-morti irruppero nella tenda e, prima ancora che Airis potesse capire cosa stava succedendo, una mano le torse violentemente il polso, facendole perdere la presa sulla spada e costringendola in ginocchio. L'osso del braccio si spezzò con uno schiocco sordo e una scarica di dolore lancinante, atroce e pressoché insopportabile, la intontì. La vista si offuscò e dalle sue labbra proruppe un gemito sofferente e un grido strozzato. Tentò di non urlare, per quanto lo desiderasse sin nelle viscere, per non dare a Felther la soddisfazione di sentirla guaire come un cane. Si morse il labbro inferiore fino a farlo sanguinare, ma una lacrima sfuggì dalle ciglia e rotolò su una guancia. Cercò di liberarsi da quella stretta d'acciaio che le bloccava il braccio, ma sentì le forze venirle meno. 
Avrebbe dovuto ascoltare Fenrir e non fare di testa propria come al solito. Non era ancora guarita del tutto dalle ferite provocate dall'esplosione, avrebbe dovuto avere più cura di se stessa.
Avrebbe dovuto ascoltare Baldur e prendere sul serio i suoi avvertimenti, non accusarlo di parlare a vanvera.
Era stata una sciocca.
- Noto con grande rammarico che le ossa non si sono rinsaldate del tutto. -
Felther si inginocchiò, le sollevò il mento con un dito e le osservò il viso da più angolazioni. Dopodiché impugnò la spada di Airis e posò la lama poco sotto il seno. La guerriera guardò prima lui e poi la berdica che la seconda guardia le puntava alla gola. I suoi occhi guizzarono, mentre il cervello elaborava rapidamente un piano di fuga, ma un calcio in mezzo alle costole le mozzò il fiato e vanificò ogni sforzo di pensare. Si rannicchiò e tentò di proteggersi con il braccio sano, anche se sapeva di non avere possibilità in quelle condizioni. 
- Hai intenzione di uccidermi? - biascicò con voce rotta.
- Per ora no, non posso, ma ti farò desiderare la morte. Implorerai il perdono della regina, rimpiangerai la tua arroganza e ti prostrerai ai suoi piedi. E lei, a quel punto, esaudendo le tue preghiere come solo una dea misericordiosa può fare, strapperà via la vita da questo guscio marcio che ti ostini a chiamare 'corpo'. Ricorda, Airis: è solo grazie alla sua magia che ti sei mantenuta così, giovane e bella. Non dimenticare che in realtà sei solo un mucchio d'ossa e brandelli di carne che cammina, una creatura immonda e demoniaca che si nutre del sangue dei viventi. -
In risposta, la guerriera gli sputò in faccia. Felther rimase impassibile, si asciugò la guancia col dorso della mano e infine sorrise freddo, fissandola come un boia fissa la sua vittima.
- Hai segnato il tuo destino, Cavaliere del Lupo. Forse ora ti dispiacerà per tutti gli altri, che pagheranno al tuo posto. - proferì calmo, scrollando le spalle e rinnovando il sorriso.
Pochi secondi più tardi, un coro di grida disperate si levò nell'aria.
  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Himenoshirotsuki