Grazie di essere qui, innanzitutto. Vorrei
dare una breve introduzione di questa mia breve storia.
Amo il personaggio di Kankurou.
Mi dispiace che alla fine sia sempre poco considerato. Credo nasconda
un'introspezione alquanto profonda. Non ha avuto una vita facile ... affatto.
E' un personaggio particolare, a mio
avviso. Inizialmente non lo amavo particolarmente, o meglio, non mi aveva
colpito in modo speciale. Credo che sia una di quelle figure, uno di quei
personaggi che solo col tempo è possibile apprezzare pienamente. Quando si
inizia a comprenderne i pensieri o determinate azioni. Quando lo si osserva da
un punto di vista più "interno". Quando si va "al di là"
...
E poi, personalmente, lo trovo,
assolutamente, un gran bel ragazzo ... ^_^
Questa breve introspezione, in realtà,
parte da un tema piuttosto scontato e trattato più volte: la tentata
comprensione del significato di quella maschera che Kankurou
porta sul volto. La volontà di vederci una sorta di metafora della sua visione
della vita, dei suoi sentimenti, del suo passato.
Questo è un mio punto di vista, ovvio,
molte cose e avvenimenti trattati sono scaturiti dalla mia mente, poiché,
purtroppo, nel manga è dato poco spazio al passato del marionettista.
Spero, comunque, di esserne riuscita a dare
un'interpretazione coerente del personaggio e di essermi avvicinata al suo
essere più vero. Anche se non è un lavoro che mi convince pienamente ... su di Kankurou credo ci sia troppo da dire ...
Se vorrete lasciarmi una vostra opinione,
con critiche, consigli e quant'altro, ve ne sarei davvero grata e mi farebbe
immensamente piacere. Grazie a chiunque leggerà. Grazie davvero di cuore. ^_^
_____________________________________________________________________________________
_____________________________________________________________________________________
MASCHERE SUL VOLTO
E SUL CUORE
Non c'è niente di
meglio che portare una maschera sul viso per vedere il proprio volto.
OSCAR WILDE
Kankurou odiava il suo
volto e i suoi capelli. Odiava i suoi occhi e la forma del suo viso.
Tutte le mattine, come un rituale, davanti
allo specchio impugnava quella matita viola e iniziava a tracciare sul suo viso
linee ben precise. Le conosceva a memoria. Avrebbe saputo tracciarle anche al
buio. Cosa che più di una volta aveva fatto tra l'altro.
Quasi sempre iniziava dal centro del volto.
Tracciava lentamente prima la striscia viola che da una guancia arrivava
all'altra, ripassandola anche più di una volta. Tre di solito. Poi dalla
stessa, all'altezza circa del naso, tracciava due linee parallele che tornavano
a congiungersi sotto al mento, dove una rapida pennellata faceva alzare la riga
fino al centro del labbro inferiore. Era tutto estremamente calcolato e ben
calibrato nella precisione e nella consistenza.
Poi, in successione, passava all'occhio
destro e a quello sinistro. Due linee viola che contornavano gli occhi verde
scuro dando loro una forma leggermente allungata. Ah, certo. Spesso prima di
truccarsi gli occhi doveva asciugarli con un panno di lino bianco, perché
sovente erano pieni di lacrime. Dovute ovviamente al clima di di quel Villaggio che con il suo vento trascinava spesso la
sabbia dentro i bulbi oculari. Ovviamente. Lo diceva sempre a chi entrava
all'improvviso, mentre il marionettista era assorto in quell'opera:
"Maledetta sabbia, è possibile che proprio in questo momento deve entrarmi
negli occhi?"
Perché avesse scelto il viola è presto
detto: è il colore spesso associato al veleno. E lui di veleni se ne intendeva
parecchio, sì. Era una delle sue maestrie l'utilizzo dei veleni. Poi, a chi
volesse indagarne più a fondo il significato, avrebbe trovato che il viola
vuole esprimere anche il desiderio di essere diversi, ma questo è un altro
discorso ... non c'entra nulla ... forse ...
Cambiò più volte le forme geometriche
dipinte nel corso degli anni. Concentrandosi sul centro del viso talvolta.
Altre volte, invece, dando forma a indefiniti disegni ai lati del volto.
Probabilmente non avrebbe mai trovato una forma veramente perfetta. E'
impossibile rendere qualcosa perfetto se quel qualcosa parte da una base
totalmente sbagliata. Il suo volto. Che non sarebbe mai stato cancellato.
Avrebbe dovuto indossarlo per tutta la sua vita. Quel volto che era anche il suo
volto. Di quell'uomo ... no ... "uomo" non è una parola adatta al
concetto che voleva esprimere ... di quel mostro. Ecco. Mostro è un sostantivo
che rende molto più l'idea. Un mostro che accusa altri di essere mostri. Un
patetico. Codardo. Vigliacco. Schifoso. Assassino. Lurido. Padre.
Ed era quello che lui vedeva guardando la
sua immagine nello specchio. Ed era quello che vedevano anche i suoi fratelli
quando lo guardavano in viso. Anche se non glielo dicevano, forse per un
eccesso di compassione ...
A volte Kankurou
invidiava sua sorella che aveva ereditato dalla madre i capelli color del
grano. Addirittura, più di una volta, si era trovato ad invidiare il fratello
minore i cui colori non si rapportavano, direttamente, a nessun appartenente di
quella ... bolgia infernale ... di quella "famiglia" ...
Lui invece ... lui aveva gli stessi occhi
del mostro che chiamava gli altri "mostro". Quella sfumatura verde
mirto era quella paterna. Non era la sua. La stessa forma rotondeggiante
dell'intero volto era identica a quella di suo padre. Se la ricordava perché da
piccolo aveva tentato di accarezzarlo, in un inutile tentativo di accaparrarsi
quell'affetto paterno. Che nelle famiglie normali dovrebbe essere innato. Ma
quella non era una famiglia normale. Non era una famiglia, semplicemente.
Stupido lui ad averci creduto per qualche breve istante. Tre creature sbattute
al mondo perché fossero armi capaci di risollevare quel paese che lui
aveva affondato. Non figli, non persone, non esseri viventi. Armi. Trattate
come tali. Beh ... almeno su quello si era mostrato coerente il Kazekage...
Anche se, e quasi rideva di rabbia ogni
qualvolta gli tornava alla mente, il paparino inizialmente copriva di regali
quel bambino che lui aveva condannato, che aveva ucciso dentro
ancor prima di farlo venire al mondo. Non si vergognava nemmeno. Su di quel
demonio riversava, inizialmente, tutti quei regali e quella specie di affetto
che erano sempre mancati sia a lui che alla sorella. Che poi dopo abbia tentato
di ucciderlo più volte non importava. Perché in quel momento Kankurou odiava il piccolo Gaara.
Perché gli aveva tolto la madre. E poi anche il padre. E lo zio. Lo zio che
preferiva mille volte il demonio della sabbia che quel bambino troppo bruttino,
troppo paffuto, troppo insignificante ...
... Ora si vergognava, Kankurou,
a ripensare a questi suoi sentimenti ... alla fine quel demonio dai capelli
rossi era pur sempre una vittima ... come lui ... quanto lui ... forse ... più
di lui ...
Nemmeno quelle marionette di cui ora è un
esperto, un maestro, all'inizio gli interessavano più di tanto. Gli bastava non
seguire le orme di suo padre. Andavano bene anche quei vecchi burattini che un
giorno avevano buttato lì, nella sua stanza, dicendogli che sarebbero state la
sua arma segreta. Le aveva prese ed osservate. E una volta compreso che non
avevano nulla a che fare con la manipolazione del vento, aveva annuito un
tacito consenso.
Non era già abbastanza crudele il fatto di
dover portare sul volto l'immagine della persona che si è odiata di più?
Utilizzare le sue stesse tecniche non lo avrebbe sopportato.
Comunque poi le aveva imparate ad amare.
Molto anche. Erano gli amici che non aveva mai avuto ... le sue marionette ...
Terminata l'ultima pennellata, solitamente
lasciata alla labbra, che già sottili diventavano una piccola fessura
attorniata dal colore violaceo, si passava una mano tra i capelli, notando
sempre, con disgusto, come fossero anch'essi uguali ai suoi, nel colore,
addirittura nella consistenza fragile e secca. Già perché una volta, sempre
quando era piccolo e ingenuo, si era buttato a capofitto in quella testa castana-rossiccia del padre, afferrando una ciocca di
capelli e dicendogli ridendo "Papà mi hai rubato i capelli!". Ma ne
aveva ricevuto, come al solito, un rimprovero e uno schiaffo "perché non
ci si poteva comportare in quel modo verso il Kazekage".
... anche se per Kankurou
era solo il suo papà ...
Afferrava allora il suo buffo berretto
dalle orecchie feline e se lo infilava sul capo, facendo attenzione che nemmeno
una ciocca di quei capelli ne uscisse. Nemmeno un capello doveva sottrarsi a
quella maschera. Quel rituale gli occupava circa dieci minuti di tempo. Perché
era necessario controllare da ogni angolatura che tutti i capelli fossero al
suo interno. E non importava che gli altri ridessero di quest'abitudine e di
quel ridicolo indumento. Anzi ... forse, inconsciamente, Kankurou
aveva scelto un copricapo così buffo perché gli sguardi degli altri non
ricadessero sempre, inesorabilmente, su quel viso ...
"Ricordi tanto il tuo defunto
padre" ... quante volte dovette sentirlo dire. Quante volte pianse in
silenzio in camera ...
Da piccolo aveva sentito dei bambini
ridacchiare alla vista di quel berretto con orecchie strane nella vetrina di un
negozietto di Suna.
"Ti immagini andare in giro con quella
buffa cosa in testa?!" diceva uno.
"Ah ah che schifo! E' una delle cose
più brutte e ridicole che abbia mai visto!" rispondeva l'altro.
"Con una cosa del genere in testa è
impossibile che qualcuno si fermi a guardare anche la tua faccia!!!" diceva
il terzo con le risatine degli altri due come sottofondo.
Il giorno dopo Kankurou
aveva espressamente chiesto a Baki quel berretto. E
non valsero a nulla i tentativi del maestro di dissuaderlo da quella idea. Lui
lo voleva. E lo ebbe. Lui stesso vi cucì sopra lo stemma degli Shinobi di Suna. Senza molto
orgoglio, a dire la verità. Poi lo indossò, nascondendo i capelli castani
all'interno e calandolo più possibile sul viso. Non corse immediatamente a
farsi vedere dai compagni di accademia, men che mai
dai sui fratelli o da suo padre. Che quando lo vide, quattro giorni dopo perché
"il Kazekage ha impegni più urgenti che andare a
visitare i propri figli la sera", lo guardò con biasimo e sufficienza. E Kankurou vi lesse tutto il disprezzo e la vergogna di avere
un figlio del genere, in quegli occhi. Occhi tremendamente uguali ai suoi.
Quella stessa sera, per la prima volta, prese una matita viola, rubata ai trucchi
della sorella maggiore, e si chiuse nella sua stanza tutta la notte, passandola
sul viso più e più volte e constatando, ogni volta, ogni maledettissima volta,
che il suo volto non sarebbe mai cambiato. Che schifo ...
E ogni volta che finiva quel tremendo
rituale, rideva davanti all'immagine che rimandava lo specchio. Almeno avesse
ereditato anche il fascino del padre! Perché quel maledetto bastardo, nella sua
cattiveria, aveva pure un suo fascino. Glielo riconosceva. Anche lui lo
guardava ammirato quando era un bambino. Ed era anche felice di assomigliargli.
Non nel fascino, va bene, ma almeno nei capelli, negli occhi, nella forma del
viso. Certo, quando ancora non lo sapeva uno schifoso, lurido assassino. Ovvio.
Poi gli fece schifo e basta. Si faceva schifo anche lui. Dopo.
Controllò ancora una volta la correttezza
del suo trucco, ripassando la linea sull'occhio sinistro che aveva notato avere
marcato di meno. Abbasso un poco il copricapo, carezzando le buffe orecchie per
evitare che si ripiegassero su se stesse. Perché dovevano essere visibili a
tutti. Quelle. Non il suo volto.
Poggiò il palmo della mano sinistra sullo
specchio, creando un alone grigiastro sul vetro freddo, e fissò la sua figura
per un breve istante. Era ben conscio che non avrebbe mai avuto gli splendidi
occhi gemmei del fratello minore che facevano tanto impazzire le ragazzine di Suna. E nemmeno quei capelli colore del grano come la
sorella maggiore che avevano colpito anche quel pigrone di Konoha.
Lui aveva solo la sua maschera.
La sua ridicola maschera.
E il suo ancor più ridicolo berretto.
"Che schifo ... "
- Kankurou!
Allora hai finito di prepararti? E' possibile che per fare quei ridicoli
scarabocchi sulla faccia ci impieghi sempre così tanto tempo?! -
- Arrivo Temari
... Che noiosa che sei ... -
"Ridicoli scarabocchi" ...
Kankurou sorrise
amaramente. Poi si guardò un'ultima volta allo specchio. Anche quel giorno la
sua farsa aveva inizio ...
Andava bene così ...
Ancora una volta ...
Tutti i giorni ...
Maschere sul volto ... e sul cuore ...
... il suo questa volta ...
.... almeno questa ...
*OWARI*