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Autore: fortiX    28/06/2015    3 recensioni
Bassai dai é il nome di un kata del karate shotokan. Il termine vuol dire entrare nella fortezza. E cosa sono Sephiroth e Cloud se non due fortezze mai violate? Cloud sta aprendo la sua verso una nuova vita e si accorgerà presto che, nonstante le numerose sconfitte, il suo nemico mortale non é mai stato veramente conquistato. I segreti e le paure verranno mai svelati? Cloud avrà questo coraggio?
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Cloud Strife, Nuovo personaggio, Sephiroth, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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20. Sacrificio

-Un segno, dici? Che finalmente il Pianeta abbia rotto il suo silenzio? –

Mentre proferisco questa frase, più a me stessa che alla mia interlocutrice, mi avvio verso l’uscio, dove la porta a soffietto è stata lasciata aperta, affinché il fresco vento in discesa dalle montagne rinfreschi i rimasugli del caldo pomeriggio estivo. La mia attenzione vaga sul lago che, placido, accoglie i morenti raggi solari, colorando le proprie sponde di un appagante dorato. Mi appoggio allo stipite e avverto il bambino muoversi, cambiare posizione, stiracchiarsi. Appoggio la mano sul punto in cui la sua schiena viene accolta dalle morbide coltri del mio utero e accarezzo la pelle con dolcezza. Mio piccolo, dolce tesoro, quanto vorrei che tuo padre fosse qui per vederti nascere… Avverto una lacrima seguire il profilo della mia guancia.

- Da quanto tempo è che non lo percepisci, ormai? –

La domanda di Natsu mi riscuote dai tristi pensieri e, senza voltarmi, le rispondo, greve.

- Da quando mi sono unita a Sephiroth la prima volta. All’inizio la voce del Pianeta mi giungeva lontana e distorta, fino a scomparire del tutto quando sono rimasta incinta. –

Il bambino si muove ancora, lasciandomi per un momento senza fiato a causa di un deciso calcio diretto allo stomaco. Piccolo birbante…

- Sembra una sorta di interferenza. Forse il mako…-

-No.-

 Tronco il discorso della mia fida ancella con forse troppa durezza, infatti la sento trattenere il respiro, imbarazzata per aver osato a insinuare una teoria, a mio gusto, troppo supponente. Il silenzio aleggia nella stanza, denso d’attesa.

Distolgo l’attenzione dalle acque placide e la rivolgo alla dispettosa collina tondeggiante del mio ventre.

Accarezzo ancora il mio piccolo tesoro e sorrido. Il mako avrà riabilitato il mio fisico, ma l’amore ha fatto sì che tu venissi concepito. Poi, un pensiero spegne la piccola luce di gaiezza sotto cui mi ero rifugiata: una confessione infausta che potrebbe distruggere le speranze riposte nel futuro di mio figlio.

“Mia madre è morta dandomi alla luce. L’unica cosa che so di lei è il suo nome.”

“E qual’era?”

-La causa di questo silenzio è opera di LEI. -

Di Jenova.

 

 

Il ricordo piano piano va sbiadendosi, mentre poggio il diario sul petto. La nostra iniziale supposizione era esatta. Evelyn era in grado di percepire il Pianeta, esattamente come Aerith; anzi forse il legame era anche più profondo data l’età più avanzata della donna. E, soprattutto, conosceva Jenova. Posso solo immaginare la sorpresa pervadere quel volto di porcellana nel sentire pronunciare quel nome nefasto dalle labbra del suo amato. A questo punto una domanda sottile e tagliente s’insinua sottopelle: perché non gli ha raccontato la verità? Forse rivelata dalla donna di cui era innamorato quella versione dei fatti sarebbe sembrata più dolce. Oppure sarebbe stata Garyo a subire lo stesso destino di Nibelheim… Probabilmente, non ha avuto il cuore di distruggere le uniche certezze che Sephiroth avesse mai avuto, per quanto false e fittizie esse fossero. Per un attimo, lei mi mostra un Generale dallo sguardo trasognato, mentre racconta quanto quel nome gli sia stato di consolazione durante la sua terribile infanzia.

Un bambino nel corpo di un uomo.

Posso sentire quella verità solleticarle le labbra, mentre il rimorso le spacca il cuore.

Perdonami, amor mio…

Lo hai abbracciato, interrompendo il flusso dei suoi ricordi, nella speranza di mettere a tacere la crudeltà appena compiuta e, nello stesso tempo, donargli quell’affetto che, sei sicura, è più vero di qualsiasi cosa sia stata nella sua vita.

L’odio e la rabbia prorompono in quel cuore forte e compassionevole, mentre desideri vedere la Shinra sotterrata sotto metri di fiamme. E tu con loro, perché volente o dolente, stai facendo il loro gioco. Tu non lo riesci ad accettare e l’impeto lo stringe maggiormente a te. Lui non capisce e l’eco lontano della sua domanda a malapena raggiunge le tue orecchie, assordate dalla furia. Ti specchi nel tuo riflesso e quasi perdi un battito. Atterrita, noti come le tue pupille abbiano mutato aspetto, divenendo lunghe e sottili, e di come la tua iride sinistra brilli di deboli screziature rosate. Un brivido di terrore ti scuote da capo a piedi, richiamando la preoccupazione del tuo amato. Ti rifugi nel rassicurante incavo della sua spalla e ti ancori con le dita alle sue ciocche argentate. Infine, LEI ti ha raggiunto. Ti ha aggirato magistralmente facendo leva sulla debolezza della tua metà umana. Quella bellezza che è stata fatale per la tua razza ti ha sconfitto ancora una volta; tuttavia, mentre avverti quelle mani grandi e forti accarezzarti per donarti conforto, ti rendi conto che lui non è come la sua antenata. E’ così fragile, così umano, così sensibile. Senti che non sarebbe in grado di reggere la verità che gli è stata taciuta sin dalla nascita. Prima o poi la scoprirà, ti suggerisce una voce ammaliante e crudele. A quel punto, la consapevolezza ti dona una nuova determinazione. Non sarà solo. Liberi il tuo amato dalla morsa in cui lo avevi costretto e lo baci. Leggi nei suoi occhi un interrogativo, ma lo ignori.

Un giorno, capirai, amore mio. E finalmente potremo stare insieme…

Avverto le mie palpebre sbattere, segno chela mia volontà sta risvegliandosi dal torpore. Un altro sogno ad occhi aperti. Ormai capita sempre più spesso che realtà e ricordi si confondano tra loro, senza che riesca ad accorgermene. La verità non è poi così lontana, dopotutto.

 

 

- Sephiroth? Credo ci sia un errore. –

Il Professore si acciglia appena, scrutandomi con quelle iridi verdi così famigliari e calorose. Dopodiché, il suo sguardo si stringe e inizia a lisciarsi i grandi baffoni castani.

-Interessante. –

Non mi piace essere guardato in quel modo clinico. E ancora meno ascoltare le valutazioni sui miei mutamenti.

-Cosa c’è interessante, esattamente? –

Sbotto io, cercando di nascondere il mio disagio dietro un’armatura di spavalderia. Invano. L’uomo non smette di fissarmi, di valutare, di catalogare. Sebbene sia molto meno inquietante di Hojo, la soggezione pervade in egual misura il mio animo.

-I suoi cambiamenti repentini di personalità sono interessanti, signor… Strife? -

Aggrotto le sopracciglia preso alla sprovvista. Cambiamenti di personalità? La mia attenzione viene catturata da un monitor posto alle spalle dell’ologramma, accomodato in un angolo. Su di esso posso vedere un tracciato muoversi concitatamente a singulti su uno sfondo verde, mentre numeri e lettere scorrono al suo fianco. Non sembra essere collegato a nessuna della macchine che lo tengono in vita, quindi deduco si tratti di uno strumento per analisi di altro tipo.

-Cos’è quell’affare? –

Chiedo, indicando col mento. L’ologramma si volta, gettando un’ondata svogliata all’oggetto in questione, poi lo riappunta su di me, spiegando con voce affabile.

- Solo uno scanner per il rilevamento dei parametri vitali. Nel caso lei avesse un altro tracollo potremo agire tempestivamente. –

Rimango per un attimo interdetto. Cosa ha appena detto?

-Come fa a saperlo? –

-Il signor Tuesti mi ha riferito della sua visita all’ospedale di Edge. A quanto pare quel diario ha degli effetti su di lei. Dico bene? –

Una stretta di paranoia artiglia il mio cuore, mentre la mia mente metabolizza l’informazione appena ricevuta. Quindi, Reeve mi teneva sotto controllo… Alla faccia del “Andiamo, Cloud, è solo un libro!”. La paranoia si trasforma in sgomento appena realizzo che probabilmente quello scarto di Shinra sapeva tutto fin dall’inizio. La rabbia fa il resto, mostrando i miei umori chiari e lampanti sul monitor.

-Si calmi, signor Strife. Io sono qui per rispondere a tutte le sue domande. –

- Davvero? Allora, mi spieghi, “Professore”, se eravate a conoscenza delle conseguenze che leggere quel libro mi avrebbe causato, perché me lo avete consegnato? E non dite che speravate che non l’avrei letto, perché ho la netta sensazione che sia stato il vostro obiettivo fin dall’inizio. -

Prima che Gast potesse rispondermi, la realizzazione mi colpisce a come un fulmine a ciel sereno. Una risata, una risata lugubre e ultraterrena mi nasce dal profondo della mia furia.

Ma certo. Siamo sempre topi di laboratorio, in fondo…

- Quel libro non proviene davvero da Midgar. Non è mai stato sotto le macerie del Golden Building. O sbaglio? –

Lo scienziato distoglie lo sguardo liquido di vergogna, lasciandolo vagare per la stanza. Le sue dita s’incrociano, nervose. Anche Aerith si comportava così quand’era in imbarazzo.

- No, è stato trovato nella Shinra Masion di Nibelheim. –

Avverto un moto di stizza pervadere ogni singola cellula del corpo, la voglia incontenibile di abbandonare questa casa e riprendere il mio viaggio verso Wutai. O, in alternativa, distruggere tutto e guardare le fiamme incandescenti fare a pezzi ogni cosa sul suo cammino. Scuoto la testa, accantonando l’ultimo pensiero, il quale stava iniziando a dare segni allarmati sul monitor.

- E’ sempre stato in vostro possesso? –, domando, perseverando nella mia furiosa immobilità.

L’ologramma ancora non trova il coraggio di guardarmi negli occhi e annuisce con un lento movimento della testa. Il suo silenzio, tuttavia, mi ottunde le orecchie. Voglio sapere di più! Sbotto.

-RISPONDETE! –

Il tracciato registra picchi impazziti e fuori scala, mentre il monitor s’infiamma pericolosamente, attivando allarmi sonori. Il professore sobbalza, come punto da un ago incandescente e torna a fissarmi con occhi sgranati. Il suo terrore si riflette nei miei occhi. Mi porto le mani alla bocca, ponendole entrambe su di essa, sebbene rimanga spalancata, vuoi per lo stupore, vuoi per la paura.

E’ la prima volta che mi rendo conto di aver ascoltato la voce di Sephiroth lasciare le mie labbra. Ora capisco perché tutti sbiancano appena la odono. Non c’è traccia della gelida calma che solitamente ammanta quel tono baritonale e perentorio, fatto per comandare; o la maliziosa follia che accarezza ogni lettera come un’amante, fatta per insinuarti il terrore direttamente sottopelle, sottolineando il poco tempo che ti è rimasto per vivere. Dietro all’esigenza dell’eroe e all’ira della Bestia, c’è la disperazione e la sofferenza di un bambino. IL Bambino, il vero Sephiroth. L’uomo sensibile e dolce che Evelyn ha amato. L’uomo fragile e martoriato oppresso da un Pianeta spietato. L’uomo speranzoso e buono distrutto da una verità troppo grande per lui.

LUI che desiderava solo essere normale.

LUI che bramava VIVERE.

LUI che anelava la REDENZIONE.

Ancora scioccato, lascio cadere le mani lungo i fianchi e indietreggio verso il lettino, senza staccare gli occhi dall’ologramma. Mi appoggio alle difese con tutto il corpo, appuntandomi con le mani ad esse. I miei occhi vuoti ora lasciati vagare sul pavimento liscio. Abbasso le palpebre e prendo un profondo respiro.

Le hai giurato che non l’avresti mai lasciata andare. Ciò ti uccide più della Morte stessa, vero?

 

Il dolore…Fallo smettere, ti prego.

 

Sollevo le palpebre di scatto, spiazzato da quella supplica sussurrata dai recessi della mia mente. Una morsa di pietà mi stringe il petto, mentre gli occhi iniziano a pizzicare. Mi porto il pugno all’altezza del cuore, massaggiandolo. Senza fiato, appunto lo sguardo sul viso scarno e pieno di tubi del vero professore. Un’altra stilettata che va a deformare il mio viso per un doloroso secondo.

 

Questa è la fine a cui vanno incontro coloro che amo…

 

Mi mordo il labbro per ricacciare indietro il gemito di dolore nascente dalla gola e le lacrime. Le spire del senso di colpa si stringono ancora di più. Ha ragione, è un dolore insopportabile. Ingiusto.

-Ditemi tutto quello che sapete di LEI. -, proferisco, senza muovere un muscolo, la voce inaspettatamente roca.

Con la coda nell’occhio osservo l’ologramma riscuotersi e annuire, compassionevole, mentre si sistema gli occhiali, si liscia i baffi e scandisce la voce. Movimenti così famigliari…

 

Non è cambiato.

 

Mi pare quasi di vedere un sorriso triste e malinconico impresso in quella osservazione. Ricordi fugaci fanno capolino nella mia immaginazione, disegnando fantasmi fumosi attorno a quella figura digitale. Una libreria, una scrivania, una lampada, un timer e una scacchiera. E una falsa e dolce verità.

“Tua madre si chiamava Jenova. Ti amava, Sephiroth. Più di quanto tu possa immaginare.”

Sospiro di rimando.

- Il suo nome completo era Evelyn Harisawa. Nata da Hiroshi Harisawa, un pescatore Wutai originario del Sud- Ovest del Paese e Tanya Joyfill, una modesta fioraia di Junon. –

-Fioraia? A Junon? –

Il professore annuisce, greve, mentre un sorrisetto appare da sotto i baffi.

-Esatto. Sua madre apparteneva alla stirpe degli Antichi. –

-Come ha fatto la Shinra a non scovarla? –

- Anche se non sembra Evelyn aveva qualche anno in più di Sephiroth. E’ nata prima che il Progetto S prendesse il via. E, di conseguenza, prima che io scoprissi l’esistenza della Terra Promessa. A quel tempo, i suoi genitori si erano trasferiti a Yohaido, una remota cittadina sul mare di Wutai, paese natale del padre, al di fuori del controllo della Shinra. –

Apro la cerniera della giacca e infilo la mano all’interno, alla ricerca della tasca interna, al fine di recuperare il diario. Spiego le pagine e lei è lì, nella sua torreggiante perfezione ad osservarmi, splendida; come se nulla, né guerre e battaglie, fossero mai accadute.

- E quindi alla fine avevo ragione. Lei è un’Antica. -

- E non un’Antica qualsiasi. –

Alzo lo sguardo dalla fotografia e lo appunto all’ologramma, famelico e curioso.

- In che senso? –

- Lei discende dall’eroe che confinò Jenova nella sua prigione di cristallo. –

La mascella cade letteralmente a terra, appena sento quella frase. E credo che nemmeno Sephiroth lo sapesse, tanto che avverto la sua curiosità morbosa invadermi.

- Nientemeno? –

-Già, ma la storia è ancora più complicata di così. -, fa una pausa, durante la quale io pendo letteralmente dalle sue labbra, - Deve sapere, signor Strife, che non tutti i Cetra si ribellarono a Jenova. –

A quella affermazione un brivido di anticipazione mi gela la spina dorsale. Temo di sapere dove andrà a finire questa storia. E ciò spiegherebbe un bel po’ di cose. Nel frattempo, l’ologramma scompare in una pioggia di pixel per poi trasformarsi in una sequela d’immagini, la cui forma è determinata dai concetti esplicati dalla voce digitale.

- Come ben sa, le leggende Cetra raccontano che Jenova condivise la sua sconfinata conoscenza con gli Antichi, al fine di celare le vere intenzioni. Lei voleva soggiogarli, indurli ad accettare che il Pianeta su cui vivevano doveva essere distrutto, perché macchiato dalla piaga degli Umani. Alcuni saggi riuscirono a scoprire il suo piano e combatterono per impedirle di metterlo in atto. Tuttavia, non era sola. Ella raccolse attorno a sé moltissimi accoliti, i quali le mostrarono come avere accesso al cuore del Pianeta, la fonte di tutto il Lifestream. La Terra Promessa, appunto. Ifalna mi disse che quegli uomini e quelle donne vennero bollati come traditori e, dopo la sconfitta della Calamità, sterminati. –

Jenova caduta dal cielo, il cuore del Pianeta, il Lifestream e, infine, immagini raccapriccianti dello sterminio di un intero villaggio, recuperato probabilmente da un antico bassorilievo, dato la grossolanità dei disegni. Tuttavia, un dettaglio cattura la mia attenzione: la sagoma di una donna urlante inseguita da un manipolo di soldati. Sebbene la figura non sia particolarmente dettagliata, posso distinguere un secondo profilo stagliarsi all’altezza del suo petto. Un neonato. Non so perché, ma quel bambino m’impedisce di distogliere lo sguardo e, tutto d’un tratto, mi sento risucchiare in una sorta di limbo. Sento nella mia testa antiche canzoni, in una lingua che non riesco a riconoscere, risate, dialoghi. Tutti suoni tipici delle febbrile vita quotidiana di un villaggio. Essi si fanno sempre più frenetici, come se qualcuno avesse azionato la riproduzione veloce. Come una nenia quei suoni mi stordiscono e m’ipnotizzano, permettendomi quasi di intravedere scorci di una realtà perduta da tempo appartenenti a un’epoca dimenticata. Quando credo di essere in grado di vedere cosa c’è oltre alla patina dei tempi, essa viene squarciata dal fuoco e da urla di morte.

-Signor Strife! -

La voce elettronica del Professore mi strappa da quell’incubo a occhi aperti e lentamente ricomincio a prendere coscienza della realtà. La prima cosa che percepisco è la mia guancia premuta sul pavimento.

- Cloud, mi sente? –

Mi guardo intorno e noto che la prospettiva è drasticamente calata.

- Steven! Steven, venga qui! –

Ci metto qualche secondo a unire le due informazioni per giungere all’ovvia conclusione. Sono svenuto. E sono pure caduto in grande stile a giudicare dal male che mi si propaga per tutta la faccia. Emetto un sonoro sbuffo di rassegnazione.

Devi trovarlo molto divertente vedermi svenire come una donnicciola.

 

Non posso rispondere di no.

 

Trattengo l’offesa gratuita che mi stava per nascere dalla bocca e risparmio energia per alzarmi. Solo allora mi accorgo che il monitor che mostra i miei parametri vitali sta virando da un pericoloso rosso a un acquietante verde. Anche i valori vanno via via abbassandosi. Dopodiché, appunto la mia attenzione sull’ologramma, il quale mi fissa con aria sgomenta. E impotente. Gli rivolgo un sorriso tirato.

- Non preoccupatevi, Professore. Sto bene. Svenire è ormai ordinaria amministrazione. –

Vedo il viso di Gast distendersi e sorridermi di rimando, sollevato.

- Mi dispiace. Temo di aver innescato qualcosa mostrandole questa immagine. I Sephera sono molto sensibili ai ricordi. –

-I che? –

- Sephera. E’ il termine con cui gli Antichi additavano coloro che si sottoposero a Jenova. A quanto pare, la connessione tra lei ed Evelyn è più forte di quanto pensassi. –

Mi rimetto in piedi, senza l’ausilio di un piccolo aiuto da parte delle difese del letto, ed emetto uno sbuffo divertito.

- Oh, siamo molto intimi, ormai. –

Una stilettata di dolore mi pervade tutto il corpo, accompagnata da una voce dal timbro graffiante molto famigliare.

 

Attento a te.

 

L’ammonimento di Sephiroth non passa inosservato nemmeno al Professore, il quale nota tutto dal suo scanner. Egli ridacchia.

- Qualcuno è molto geloso a quanto pare. –

Grugnisco. Simpatico come sempre…

- Umpf. Diceva? –

Il Professore per la seconda volta in quella serata si sistema gli occhiali e si liscia i baffoni, riprendendo il suo solito cipiglio affabile.

- Come stavo dicendo, Sephera fu il termine coniato per indicare coloro che si unirono volontariamente a Jenova. Scritti Cetra raccontano di Sephera in grado di soggiogare il Lifestream al loro volere, usandolo come arma. La vicinanza con Jenova, inoltre, gli aveva resi capaci di manipolare le menti delle persone. La loro specialità erano i ricordi. Giocavano con la memoria degli avversari, rievocando le rimembranze più dolorose o spaventose fino a portare il malcapitato alla pazzia. -

-Un po’ come sta succedendo a me. –

Il professore s’interrompe un attimo e annuisce, poi riprende a spiegare.

- Erano estremamente potenti e molti di loro diventarono le macchine da guerra spietate di Jenova, i suoi più fedeli servitori. –

L’ologramma si fermò, sia con le parole che con il corpo; la sua espressione si fece triste. Rimase un po’ in silenzio, mentre la mia curiosità mi divorava dall’interno.

- Essi vennero sterminati e i fautori di quel genocidio furono proprio gli umani. –, una mesta pausa con annesso tutto il peso di una colpa maturata in 2000 anni di nefandezze, - La vendetta mosse i nostri cuori, in quanto i Sephera, durante il dominio della loro signora, si macchiarono di molti crimini contro l’umanità. Non ebbero pietà di loro, nemmeno di colui che li salvò. -

M’irrigidisco. Le mie dita si artigliano alle difese con più veemenza, mentre trattengo il fiato. Un fuoco m’infiamma il torace. I miei denti scricchiolano, mentre l’eco di un’antica onta ottunde il mio udito. Sono schifato, ma devo continuare. Lei me lo chiede.

- Continui. -, soffio a denti stretti.

- Il nome si è dimenticato, cancellato dall’odio e dal disprezzo, ma si sa che fosse il Sephera più potente, uno dei primi ad accettare il volere della Calamità caduta dal cielo. Nonché, suo braccio destro. –

Mi scappa uno sbuffo divertito. Non poteva non essere una coincidenza. Ciò spiegherebbe il disprezzo di Jenova nei confronti di Evelyn. Il destino è davvero beffardo, alle volte. E schifosamente conveniente.

- Se tutto è andato perduto, come ha fatto a risalire alla discendenza di Evelyn? –

Il professore sorride, soddisfatto.

-Questa è davvero una bella domanda, signor Strife. –

L’ologramma scompare, lasciandomi a un palmo dal naso. Improvvisamente, dei movimenti meccanici attirano la mia attenzione sulla parete dinnanzi a me. Non vedo altro che buio, però; perciò decido di avvicinarmi. Appunto le mie braccia agli stipiti e allungo la testa oltre la soglia, sbirciando alla ricerca di una risposta alle mie domande. La tenue luce della stanza di Gast basta solo ad illuminare i primi gradini di quella che sembra essere una scala diretta verso le viscere della casa. Rivolgo il mio sguardo famelico di risposte verso il lettino. Delineo l’immota figura del Professore e sospiro, per poi riappuntare l’attenzione sul tunnel oscuro che mi si apre dinnanzi. La curiosità spinge il mio corpo ad avanzare, ma un forte timore impedisce alla mia mente di avanzare. Sono tentato a ritornare in dietro per avere delle spiegazioni, quando qualcosa mi attraversa da parte a parte. Avverto un sospiro echeggiare nella testa e un fuoco attraversarmi da capo a piedi. Alzo lo sguardo e… il mio cuore perde un battito. Evelyn, il suo candido spirito mi osserva silenzioso, sorridendomi dolcemente. Rimaniamo a fissarci per attimi infiniti, fino a quando lei non si volta e inizia a fluttuare verso il basso, lambendo gli scalini con le coltri diafane del suo kimono. Automaticamente, la seguo, dimentico di ogni timore o paura, fidandomi completamente della sua luminosa guida. Non saprei dire per quanto tempo c’inoltrammo nelle tenebre squarciate, ma so solo che ad un certo punto lei scomparì, abbandonandomi per un terrificante momento nel buio. Appena i miei occhi si abituarono alla scarsità luminosa, noto un’ondeggiante luce verde provenire da dietro l’angolo. Percorro gli ultimi scalini e sfocio in una cripta. Non è molto grande, quasi claustrofobica, semplice, senza incisioni alle pareti di roccia nuda. Perfino il pavimento non è stato ricoperto. L’unico dettaglio di parvenza artificiale è una teca di cristallo avvolta dal Lifestream, posta al centro della stanza. Al di là di essa, ad attendermi silenziosa, c’è Evelyn. Ha il viso triste e rivolto verso l’interno della teca. Senza pensarci, adocchio il contenuto del cristallo, ma le curvature del materiale rendono impossibile vedere attraverso ad esso. Alzo lo sguardo verso lo spirito e trovo i suoi occhi ad attendermi. Avverto il mio cuore sciogliersi e freddarsi da un gelida fitta di nostalgia. Per un attimo mi pare di vedere la sua espressione dolce incresparsi, come attraversata da un’onda, e deformarle il viso in una maschera di dolore, per poi tornare esattamente come prima. Non faccio in tempo a realizzare ciò a cui ho appena assistito che lei alza la mano e mi fa segno di avvicinarmi. Obbedisco e ho la possibilità di vedere cosa questa teca cela al suo interno, in quanto il coperchio della teca e perfettamente scevro da ogni imperfezione. Ma ciò che trovo ad attendermi per poco non mi fa morire dalla sorpresa. Salto all’indietro indignato e sconvolto. IO… dentro a quella bara di cristallo ci sono io.

-Che significa? –

Evelyn non risponde subito e lascia vagare il suo sguardo sotto di sé.

- Il principio. –

-Cosa?!-

Poi alza le sue iridi brillanti e mi trafigge letteralmente, come a intimarmi al silenzio.

Sephiroth ha ragione: quegli occhi fanno davvero paura.

- E tu sei l’epilogo. –

Sotto la pesantezza di quegli occhi, cerco di riprendere un po’ di contegno, sebbene la visione precedente abbia minato pericolosamente il mio autocontrollo.

- Non capisco. Cosa vuoi dire? –

- Che tu sei la reincarnazione del mio antenato, lo strumento dell’entità che ora chiami Pianeta. Vedi? Il Lifestream ti ha guidato da lui. –

Guardo per terra e vedo il Flusso Vitale lambirmi i piedi con le sue sottili fibre e fluire verso la bara cristallina. Titubante mi riavvicino e osservo di nuovo attraverso il cristallo. Il corpo è avvolto completamente dalle fibre di Lifestream, come se la stessa entità nascesse da quest’uomo. Emetto uno sbuffo divertito, attirando su di me uno sguardo incuriosito e severo.

-La cosa ti diverte? –

-Diciamo che ho sempre avuto la sensazione che il mio destino non mi appartenesse. –

Evelyn accenna un sorriso tirato, senza scomporre la sua espressione severa.

-Come quello di tutti noi… -

Quelle parole aleggiarono nel silenzio, pesanti, pieni di rabbia e, soprattutto, rimpianto.

- Questo dolore deve finire. -, proferisce dopo poco Evelyn, la voce ridotta a un soffio flebile, -Ma prima è necessario che io ti chieda di aiutarmi a compiere un ultimo sacrificio. –

 

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30 Settembre XXXX

 

E’ una nottata uggiosa. Distrattamente, osservo le ampie gocce di pioggia battere insistentemente sulle vetrate, proiettando lunghe ombre e cerchi grigiastri lungo il pavimento, il tavolo, la pareti. Come umide dita, esse vanno a insinuare il gelo nelle mie ossa, mentre, trepidante, attendo. Non sono mai stato così agitato in vita mia. Ho sempre mantenuto un ritegno, una calma tale da avermi fatto guadagnare l’appellativo di Generale di Ghiaccio. Qualunque fosse stata la situazione. Questa volta, tuttavia, non riesco a fermare il tremolio nervoso della gamba sinistra, il contrarsi ridicolo delle mie dita, la pesantezza del mio respiro. Cammino avanti e indietro per la stanza, fermandomi ogni tanto, per appuntare qualche pensiero sulla carta. Sembro un pazzo alle prese con una crisi isterica.

Una donna scende dalle scale, affannata, i panni bianchi pieni di sangue. Mi manca un battito. La mia attenzione viene veicolata direttamente al piano di sopra, di cui riesco ad adocchiare solo le scale inghiottite dal buio. Mi avvio verso di esse, ma la donna di prima mi sfreccia davanti, tagliandomi la strada. Sale le scale rapidamente, senza curarsi di me. Tra le sue mani un secchio d’acqua calda. Urla soffocate mi giungono alle orecchie, prima di essere smorzate dalla porta interposta tra noi. Mi chiedo per l’ennesima volta perché non posso stare lassù anch’io, ma mi accorgo che potrei essere solo d’impiccio. Non riesco a calmare me stesso, come posso pretendere di calmare LEI? Prendo un profondo sospiro. E’ in buone mani. Spero. Mi guardo intorno alla ricerca di qualcosa che possa aiutarmi ad ammazzare l’attesa e, soprattutto, farmi pensare ad altro. Ma non c’è nulla. Questa casa è così misera… Non c’è alcun tipo di sistema avanzato di riscaldamento, se non un focolaio domestico alla portata di chiunque; non c’è acqua calda corrente, se non quella che sgorga da una fonte termale nel cuore della foresta; non c’è alcun tipo di elettricità, la luce è lasciata nella mani di pericolose lampade a olio, alcune nemmeno ben fissate alle pareti. Di legno. O in fibra di riso, in alternativa. Crepate, in certi punti, l’intonaco è crollato rivelando l’intelaiatura ammuffita all’interno. Passo il palmo su quel punto e noto che, in effetti, è zuppo d’acqua. Ci dev’essere un’infiltrazione dal tetto probabilmente. Si capisce che sono anni che nessuno mette piede qui dentro. Come si può pensare di far crescere un bambino in un luogo così retrogrado e miserabile? Forse il lusso della mia infame vita da eroe mi ha fatto scordare l’umiltà. O il semplice rimboccarsi e maniche per migliorare la propria condizione. Lo stile consumistico di Midgar sta cominciando ad infettare la mia capacità di sopportare la miseria. Sono portato più a distruggere e ricostruire da capo a piedi quest’abitazione, piuttosto che perdere del tempo a rattopparne gli infiniti difetti. Ma, come direbbe Angeal, nulla va sprecato, soprattutto in tempi come questo. Anche se la guerra è ancora in corso, le ricche città dell’Oriente sono ben lontane dallo spettro della miseria. L’ideologia del consumismo la fa da padrona, fregandosi le mani in attesa de momento in cui perfino l’ultimo baluardo dell’Anti-Shinra finalmente capitolerà ai loro piedi.

Non voglio che mio figlio cresca con questa mentalità. Voglio che sappia apprezzare ciò che ha e che sviluppi la capacità di aggiustare qualunque cosa. Ho visto fin troppo bene l’epilogo a cui vanno incontro coloro che si avviano sulla via del vizio. Le gente diventa superficiale e superba, convinti che il mondo sia loro dovuto. Non conoscono né il rispetto, né la disciplina. E soprattutto, sono persone vuote. Vittime dei beni materiali e dell’apparenza, esse trascurano l’anima, fino a che la loro esistenza non si trasforma in un guscio vuoto di tristezza e solitudine. Non voglio questo per mio figlio, in quanto non c’è nient’altro che desideri se non la sua felicità. La felicità che non ho mai avuto. La donerò a lui. O a lei. Credo sia il minimo per aver donato alla mia prole un DNA nefasto. Almeno da quanto ho evinto dalla strana catena di eventi avviatosi dopo aver scoperto l’esistenza del Progetto G. Non sono andato molto in fondo alla faccenda, poiché sono stato impegnato a delineare la strategia per l’assalto finale a Forte Tamblin, l’ultimo baluardo della resistenza Wutaniana; tuttavia la mia curiosità è ben lungi dal dirsi sedata; soprattutto dopo ciò che è accaduto a Genesis quasi un mese fa. Come di consueto, Angeal, lui ed io ci riunimmo nella Sala Addestramenti del piano SOLDIER, subito dopo che i 2nd e i 3rd si erano avviati verso le docce. Era una routine ideata dallo stesso Genesis, con l’obiettivo di risollevarmi il morale dalle torture psicologiche a cui mi sottoponevo ogni giorno, ascoltando le registrazioni di Evelyn od osservare le foto inviatomi da Tseng. Tutta quell’infelicità e quel senso di colpa mi risucchiava ogni energia. Ero diventato un automa: pensavo solo a svolgere il mio lavoro per poi tornare a casa a farmi del male. Ci vollero mesi per convincermi, ma l’insistenza del rosso su questo genere di faccende è leggendaria. Il secondo passo era stimolarmi ad uscire dall’apatia e c’è solo un modo per farmi reagire: intaccare l’orgoglio. E questo al rosso viene dannatamente bene. Fu facile cascare nella sua trappola. Quel giorno, lui ha salvato me e la mia famiglia, donandomi la forza di reagire. Una forza che pensavo di aver perduto per sempre, sotto una valanga di dolore e delusione. A volte penso che avrei dovuto ringraziarlo. In quante occasioni avrei potuto farlo…

Ma è proprio quando credi di aver tempo che il destino gioca la sua carta peggiore. Era un giorno come gli altri, tra ispezioni e riunioni strategiche, la Compagnia ci aveva assegnato gli incarichi da svolgere e gli obiettivi da raggiungere per porre fine alla guerra. L’idea ci elettrizzava. Finalmente, di lì a pochi mesi, tutti quegli inutili spargimenti di sangue sarebbero giunti al termine. Anche se, in cuor mio, questa spirale vermiglia non avrebbe mai trovato fine. E probabilmente avevo ragione, ma evitai di rompere l’idillio in cui i miei commilitoni si erano immersi. Loro, in fondo, avevano una terra a cui tornare, una famiglia ad aspettarli, con cui spendere i gironi di meritata licenza. Mi incupii. Sapevo che Evelyn mi amava ancora, ma lo avrebbe ammesso davanti a me? Mi avrebbe permesso di vedere nostro figlio o si sarebbe vendicata nel peggiore dei modi? Venni ridestato dai miei pensieri dalla campana degli impiegati. La giornata lavorativa era finita. E ciò voleva dire solo una cosa: sala d’Addestramento libera. Spiammo da dietro un angolo, tutti i 3rd e i 2nd che uscivano sudati e stanchi dalla stanza digitale, mentre pungenti commenti fioccavano a più non posso, strappando una risatina o due. Quando la strada fu libera, entrammo. Armeggiammo con i settaggi delle simulazioni, impostandole al livello più alto; incuranti dei rischi. In fondo, cosa sarebbe mai potuto succedere a tre SOLDIER First Class affrontarsi al massimo delle loro potenzialità? Per quanto nettamente inferiori al sottoscritto, i due banoriani si sono sempre dimostrati eccellenti combattenti, gli unici in grado di fronteggiarmi. Gli unici da quando sono stato costretto a unirmi al corpo d’élite. Gli unici. La dicitura ‘Progetto G’ fa di nuovo capolino nella mia mente, interrompendo il flusso dei ricordi sostituito da un infernale vortice di domande. Quei dubbi che mi hanno accompagnato per tutta l’infanzia, quando un assistente aveva paura anche solo toccarmi, e l’adolescenza, quando spaccai l’osso del collo a un mio commilitone con la forza della sola mia mano sinistra, sono tornati anche nell’età adulta. Proprio quando iniziavo a credere di non essere unico. Non sono più tanto sicuro che sia stata una buona cosa aver conosciuto i due banoriani. Loro non hanno fatto altro che rafforzare i miei sospetti, anziché fugarli. Inoltre, non riesco a scrollarmi di dosso la sensazione che qualcosa di terribile stia per accadere. O forse sta già accadendo, avviato da quegli eventi che sto raccontando proprio ora, a cui non sono stato in grado di riconoscerne l’effettivo pericolo.

Un urlo più forte degli altri mi ridesta, ricordandomi di avere problemi molto più immediati di cui tenere conto. Mi faccio attento, ma solo gracchianti incitamenti arrivano alle mie orecchie. E’ ancora presto…

Forse siamo solo al primo atto di una storia di cui il finale risulta incerto. Questo fatto m’inquieta, agitando i miei sonni da incubi terrificanti, riducendo drasticamente le ore di riposo. Fin da bambino ho sempre saputo cosa avrei fatto nella vita, dove sarei andato, cosa avrei fatto, come mi sarei comportato. La vedevo sfilare davanti a me ogni giorno nella sua assoluta perfezione, come un ingranaggio ottimamente oliato all’interno di un meccanismo dalla precisione assoluta. Poi, piano piano, piccoli granelli di realtà hanno cominciato a incastrarsi nei denti dell’ingranaggio, causando dapprima lievi rallentamenti, fino a sfociare in veri e proprie disfunzioni. Mi sono arruolato in SOLDIER credendo che sarei morto esattamente come ero vissuto: vuoto e pieno di rimpianti. Ora, mi sto rendendo conto che, da quando ho permesso a questi granelli d’inquinare i miei ingranaggi, un meccanismo complementare si è avviato, dirigendomi verso un futuro diverso, ignoto. So, però, da cosa è iniziato: fuoco. E’ questo l’elemento portante di questa via. Come la dolcezza di quelle labbra rosse; il colore di quel kimono che fluttuava a ritmo di una melodia remota e trasportante; la passione che mi ha consumato per mesi fino a sfociare nella notte più meravigliosa della mia vita; come i brucianti sensi di colpa per aver deluso ed abbandonato la donna che amavo e il figlio che portava in grembo. Da qui in avanti, la fiamma di quel fuoco sembra spegnarsi, gettando il mio mondo in un buio infinito; fino a che, prepotenti come lampi durante una tempesta, testardi banoriani irrompono, riportandomi alla luce. Ricordai il calore e il colore di quelle fiamme, le quali si presentarono a me in diverse forme: tramonto sullo sfondo del Sister Ray di Junon; Rapier infusa di mako; inferno dentro cui venni intrappolato; furia contro ragione; ira scatenata dall’orgoglio ferito. Ci volle il coraggioso intervento di Angeal per fermare la nostra follia. Almeno la mia, perché Genesis non aveva alcuna intenzione di arrendersi e si scagliò di nuovo contro l’amico. Stavolta, però, i suoi intenti vennero bruscamente bloccati. Fu un attimo, eppure mi sembrò che il tempo si stiracchiasse, caricandosi di una tensione di cui non seppi decifrarne il motivo. Vidi la lama sanguigna di Rapier brillare in tutta la sua bellezza, carica di mako e disprezzo, spezzare il debole acciaio della spada d’ordinanza brandita da Angeal. Sentivo che quell’azione avrebbe innescato una reazione a catena, eppure non ebbi la coscienza d’intervenire. Rimanemmo immobili a guardare la lama spezzata schizzare all’indietro e colpire Genesis tra capo e collo, letteralmente. L’urlo del rosso sembrò spezzare quell’incantesimo in cui eravamo caduti. Mi resi conto che la realtà era prepotentemente entrata nella simulazione, distruggendola. Era troppo tardi, anche se ancora nessuno dei tre ne era completamente conscio. In fondo, era solo un graffio. Quante volte era capitato di incorrere in ferite come quella, se non più gravi? Ciò che più bruciava a Genesis, infatti, era l’ennesima sconfitta per mia mano, ma, come sempre, le sue arrabbiature duravano meno di un battito di ciglia. L’unico che sembrava ancora oltraggiato dalla nostra irruenza –e dal fatto di essere stati richiamati dal Direttore in persona per rispondere della quasi completa distruzione della Sala Addestramenti-  fu Angeal, il quale per giorni ci tormentò con i soliti suoi discorsi sull’onore, la disciplina e i sogni. Dev’essere una peculiarità banoriana ripetere i concetti fino alla nausea.

Di nuovo, la ragazza di prima interrompe il flusso dei miei pensieri, correndo rapida giù dalle scale con un secchio vuoto in mano. Rimpiombo di nuovo nella paranoia. Quanto tempo ci vuole ancora? Sembra che sia lassù da secoli. Vorrei placcare la ragazza e interrogarla, ma purtroppo non sarei in grado di capirla, in quanto parla solo una variante del wutaniano tipica della zona di Hourei. Un dialetto a me completamente incomprensibile. Per quanto mi sforzi sembra un’altra lingua. Perfino Evelyn stessa spesso fatica a capire cosa dicono i suoi compaesani. E per l’ennesima volta in questa serata, la giovane scarrozza un altro secchio d’acqua fumante verso i piani superiori. Mi chiedo a cosa possa servire. Poco prima di scomparire al di là del soffitto, la fanciulla mi rivolge un sorriso stanco. Avverto il mio cuore perdere un battito. Forse ci siamo? O forse voleva solo rassicurami? Un brivido d’anticipazione mi scuote da capo a piedi, presagendo l’ennesimo moto d’agitazione. Manca davvero poco, calcolo. E un’altra stretta rinchiude il mio stomaco nella sua morsa. Le mani ricominciano a tremare da un’emozione che a fatica riesco a catalogare. No! Devo calmarmi, resistere ancora per qualche minuto. Mi affido ai miei ricordi, a ciò che successe poco tempo dopo quella maledetta simulazione.

Era stata una giornata infernale. Non solo per il caldo asfissiante, come solo la terra inaridita e l’acciaio di Midgar sono in grado di donare, ma per averla passata a versare sangue nelle vie arrugginite e luride degli Slums. Mi si rivolta lo stomaco al solo pensiero dell’odore nauseabondo che si respira là sotto. Il caldo, catalizzato dall’acciaio e dall’asfalto proveniente dal Piatto, rende quei luoghi praticamente invivibili. L’aria è così calda e pesante da rendere quasi impossibile l’attività respiratoria. Molti anziani e bambini, infatti, muoiono ogni anno a causa di questo. La situazione è peggiorata dalla realtà igienico-sanitaria della zona. Niente fogne, niente cimiteri, animali morti per strada, topi ovunque. Condizioni disumane come poche ho potuto incontrare nei miei belligeranti viaggi. Nemmeno i soldati provenienti dalle campagne non hanno mai visto un’emergenza umanitaria di questa portata. Oltre che uno squallore simile. Si tratta di dignità. La gente degli Slums vuole solo che la Shinra si accorga della loro esistenza e del loro disperato grido d’aiuto. Per questo insorgono, nel vano tentativo di far ascoltare la propria voce. Quando, tuttavia, si ha un esercito di uomini, il cui cervello è stato reso schiavo dalla fame di distruzione, diventa facile fraintendere un grido d’aiuto in un atto d’offesa. E ora che l’ideologia di AVALANCHE inizia a insediarsi nei cuori sfibrati degli abitanti degli Slums la loro ritrosia sembra essere aumentata ancora di più, incendiata da estati sempre più calde ogni anno che passa. Segno inequivocabile che il nostro Pianeta sta lentamente morendo annegando in un’agonia infinita. Un’agonia che sembra aver colpito anche Genesis. Da quando è stata inferta, quella ferita non ha mai smesso di sanguinare. Il rosso ha fatto di tutto per nascondercelo, anche se avremo dovuto intuirlo dal colorito pallido e dal netto calo di prestazioni. Rientrava alla base sempre senza fiato, svuotato di ogni energia anche dalla missione più semplice. Diedi la colpa al caldo, burlandomi della sua delicata costituzione dovuta alla vita agiata vissuta a Banora. Era talmente debole da non avere la forza nemmeno di ribattere. Piuttosto inusuale per lui, dal momento che ogni occasione era buona per attaccare briga, ma pensai che magari avesse imparato un po’ di umiltà, per una volta. La verità, sfortunatamente, era ben diversa. Avevo appena dato l’ordine di raccogliere i caduti e i feriti che Angeal si diresse da me con Genesis in braccio. Mi accorsi appena del colorito mortalmente pallido della sua pelle, dell’angosciante e disperato movimento del petto e dei suoi occhi spenti; poiché la mia attenzione venne catalizzata dall’enorme macchia di sangue rappreso che dal polso destro si allargava fino alla spalla, esattamente là dove poco più di una settimana prima avrebbe dovuto quello che il Comandante definì un graffio. Uno squarcio enorme tagliava nettamente quella pelle normalmente candida e immacolata, dal quale una quantità incredibile di sangue usciva senza alcun freno. Pensai che lo avessero colpito nello stesso identico punto e molto più profondamente, ma i miei dubbi furono sventati da rimasugli di bende che circondavano il petto. Inoltre, i lembi della ferita avevano assunto un colorito insano, il quale cominciava ad espandersi ai tessuti vicini. Era un tipo d’infezione che, tuttavia, non avevo mai visto. La pelle sembrava squamarsi, raggrinzirsi, sfaldarsi come se si stesse… degradando. Non ebbi il tempo d’indagare che Angeal mi riscosse ricordandomi che uno dei miei due unici amici stava morendo dissanguato sotto i nostri occhi. L’impotenza di fronte alla sofferenza fu un’agonia. Esattamente come questo momento.

Da quando sono diventato così emotivo? Che fine ha fatto il mio disinteresse nei confronti di tutto e tutti? Forse è esattamente come dice Hojo: “ Ti sei rammollito, Sephiroth. Da quando ti fai degli scrupoli per quei topi di fogna?”

Una volta tanto, le parole del vecchio mi hanno aiutato a scoprire una verità su me stesso. Mi sono reso conto, infatti, di non più capace di uccidere freddamente come un tempo. Che fosse, soldato, vecchio o anche bambino, ai miei occhi non erano altro che carne da macellare. Erano solo sassolini che s’interponevano tra me e la mia missione. Poi le emozioni e il senso di colpa mi avrebbero tormentato, ma solo DOPO aver commesso quegli atti orribili. Ora, quel discernimento, quel senso di giustizia e pietà, a volte, viene a galla ben prime e blocca la mia lama; le preghiere disperate delle mie vittime raggiungono le mie orecchie e, talvolta, le esaudisco e risparmio loro la vita. E’ strano, eppure, appagante. Forse l’affetto degli amici e la prospettiva di un figlio in arrivo mi hanno colpito molto più in profondità di quanto pensassi, aprendo una piccola frattura nella mia prigione di ghiaccio. Posso a malapena descrivere lo strazio nell’assistere medici e infermieri militari gettarsi su Genesis nel disperato tentativo di salvarlo. Il momento peggiore fu quando lo dovettero defibrillare. Quel corpo s’inarcava e si alzava di qualche centimetro da terra, i muscoli rigidi come marmo, quel torace che non voleva saperne di muoversi. E di nuovo, altre scariche sempre più potenti, ennesimo ciclo di ventilazione. Invani. Per un unico, terrificante istante pensai: E’ morto. Mi sentii accartocciare, nauseato dal senso di colpa. Era colpa mia. Se mi fossi controllato, se avessi ignorato le sue stupide provocazioni, se avessi mostrato la maturità degna del mio rango, nulla di tutto ciò sarebbe successo. Guardai Angeal accanto a me. Era inginocchiato a terra; il busto piegato in avanti, sorretto miracolosamente dalle braccia, le cui dita stringevano convulsamente la stoffa dei pantaloni della divisa. Credetti che l’avrebbe strappata prima o poi, dal momento che a un paio di colpi di defibrillatore avvertii distintamente il tessuto sull’orlo del cedimento. Solo in quel momento notai del liquido calare sulla pelle dei guanti, lavando via il sangue. Piangeva. Era un genere di pianto che avevo visto tante, troppe volte nella mia vita. Un pianto a cui mai avrei creduto di esserne toccato. Mi guardai le mani sporche di sangue e un paio di lacrime caddero sul palmo destro, mentre la sensazione di essere risucchiato all’interno di un vortice pervadeva ogni angolo del corpo. Proprio quando credetti di crollare come Angeal, proprio quest’ultimo mi riscosse, chiamando l’amico d’infanzia. Riuscii a malapena a vedere i suoi occhi aprirsi per un attimo e guardarci. Mi sentii rincuorato nell’accertarmi che quella scintilla superba tanto odiata non si fosse spenta per sempre. Ma era debole, troppo. Non sarebbe rimasta a lungo tra noi, pensai. Provai l’istinto di raggiungerlo e scusarmi con lui prima che fosse troppo tardi, ma i medici non persero tempo e lo trasferirono sull’ambulanza diretta verso lo Shinra Building.

Angeal ed io attendemmo notizie all’esterno della sala operatoria per ORE. Ore interminabili, durante le quali nessuno ci sognò di dirci alcunché. Una scena identica a questo esatto momento, con l’unica differenza che in quell’occasione ho costretto me stesso a mantenere un ferreo contegno. Fu una tortura non poter scatenare tutta quella tensione; in quanto costretto a perseverare immobile, in silenzio, in uno stato di apparente calma. Non mi era concesso perdere il controllo, non con un Angeal così sconvolto al mio fianco. Ci mise un’ora buona a riacquistare un minimo di lucidità. Il resto del tempo lo passò a fare la spola tra la parete di acciaio del corridoio e il centro dello stesso, a fissare la luce rossa con la scritta bianca EMERGENCY affissa al di sopra dello stipite della porta; dove, al di là di essa, Genesis lottava tra la vita e la morte. Se le cose si fossero volte al peggio, era mio dovere essergli in un qualche modo di supporto, in qualità di amico e responsabile dell’accaduto. Quest’ultimo pensiero continuò ad accompagnarmi per tutte le lunghe ore di attesa.

SE fossi stato più indulgente.

SE fossi stato più attento.

SE fossi stato più previdente.

SE fossi stato più paziente.

SE… SE… SE… SE… SE… SE!

Ero stato cieco e stupido e, per colpa del mio orgoglio, non abbi il coraggio di ammetterlo con lui. Sarebbe morto senza sapere che, in fondo, io apprezzavo quell’impegno tedioso e asfissiante nell’aiutarmi a esprimere i miei sentimenti. Senza volerlo, lo ammetto, lui mi stava rendendo un uomo normale. Solo in quel momento realizzai la grandezza dei suoi piccoli e irritanti gesti, dei suoi plateali capricci, delle sue continue frecciate. Ha reso la mia vita piena e inaspettata senza che me ne rendessi conto, troppo accecato dalla mia superbia. In quel momento, ho capito: non sono solo io a dover cambiare il mondo, ma devo anche permettere al mondo di cambiare me. Io non sono solo. Quante volte mi è stato ripetuto, ma dal basso della mia autocommiserazione non volevo ammetterlo! Genesis, Evelyn, il Professore, Aerith, per citare i più importanti, ma io non ho mai colto i loro insegnamenti. Troppo testardo per ammettere i miei tormenti e troppo superbo per accettare consigli. E piano piano li stavo perdendo tutti. Non potevo permetterlo. Ho sofferto troppo e troppo a lungo per lasciarmi sfuggire quest’agognata felicità. Sarà anche un’illusione, un’effimera e transitoria fase e il Fato, il Destino, la Predestinazione, gli Esper, il Karma, o chi per loro, possono anche portarmela via nel modo più doloroso possibile; ma è sempre meglio che fingere che non ci sia mai stata. Quando morirò, almeno, non avrò rimpianti e potrò dire di aver combattuto, di aver avuto un onore. Quell’onore di cui Angeal tanto farfuglia, di cui il piccolo Fair sembra farne una nuova lezione di vita, di cui i Wutai ne hanno fatto la loro bandiera, lo volevo avere anch’io. Ma non come eroe, o come soldato; bensì come uomo. L’uomo che Evelyn si meritava, l’uomo che avrebbe cresciuto quel bambino, l’uomo che si sarebbe preso le sue responsabilità.

Fu lì, nella tensione di quell’attesa, che presi la decisione di tornare a Wutai per riprendermi la donna che amavo. All’improvviso, non m’importò più nulla dei rischi, dei se e dei ma che da mesi m’inchiodavano, delle terribili verità che stavo scoprendo circa il Progetto G e le mie origini. No, questi erano dettagli di una vita che stava passando in secondo piano. Improvvisamente, SOLDIER non era più sinonimo di “casa”. Anzi, mi sono accorto che non lo era mai stato. Mi sento più a casa qui, in un Paese che mi odia, anziché in una città che mi idolatra. Quella gente, tuttavia, non vede null’altro che una corazza creata per difendere la mia famiglia, gli unici esseri umani che contano su questo miserabile, marcio, morente Pianeta. Basta essere un Eroe, un soldato perfetto, un modello da imitare. Evelyn ha ragione, Genesis ha ragione, Aerith ha ragione, il Professore aveva ragione: io non sono quel facciotto falso e ipocrita appiccicato su un poster. E lo dimostrerò! Il sacrificio del rosso non sarà vano. Avrei vissuto anche per lui, decisi, nell’istante in cui credetti che sarebbe morto. Fortunatamente, egli sopravvisse, tuttavia, come dimostra la mia presenza qui in questa notte di urla e sangue e attesa, ciò non fermò i miei intenti. Ho avuto una seconda possibilità, sarebbe stato sciocco sprecarla. Anche se, questa piccola vittoria non ho potuta apprezzarla appieno, a causa dell’entrata in scena di un altro protagonista delle mie indiscrezioni: il professor Hollander. E’ stato il suo intervento a salvare la vita al Comandante di Banora, ma quello che mi ha colpito non sono state le sue capacità mediche.

Il suo nome svettava su ogni cartella clinica dei due banoriani. E in nessun’altra. Questa fu una delle stranezze che più mi stupì, oltre a rivelare un dettaglio a cui non feci mai caso. Avevo sempre creduto che, ad esempio, Hojo sottoscrivesse esami e visite ad altri membri SOLDIER, all’infuori del sottoscritto; invece la sua firma è SOLO nelle mie cartelle. Esattamente come Hollander. Per questo non l’avevo mai sentito nominare, se non per vie traverse: lui non si era occupato di nessun’altro. Come se noi tre fossimo un’esclusiva. I giocattoli dei capi del Reparto Scientifico, con cui trastullarsi per sfogare le loro manie d’onnipotenza. Io non conosco Hollander a fondo, ma credo che questo discorso valga anche per lui. Angeal e Genesis sono i suoi pupilli, i suoi preziosi trofei. E io ne ho ferito uno. Mi disprezza per questo. Lo potevo vedere ogni qualvolta egli m’incrociava nei corridoi o al capezzale di Genesis, ben nascosto dietro una maschera di neutra professionalità. Non mi permise nemmeno di rimediare al danno causato, quando mi offrii per l’esecuzione della trasfusione che avrebbe salvato la vita al Comandante. Avevamo lo stesso gruppo sanguigno, avevo controllato, ma lo scienziato mi disse che non ero compatibile. Non aveva senso… Era solo sangue. Di cosa aveva tanta paura? Quella domanda mi tormentò nei giorni successivi a quell’evento; tant’è che, tra una missione e una visita al rosso, mi rinchiudevo negli archivi della Shinra a scartabellare plichi, documenti riservati, files protetti, alla stregua di una spia industriale. Tra la miriade di segreti e nefandezze che la Compagnia ha cercato d’infangare in quel mondo polveroso e insano, un inquietante quadro sembra emergere da quei fogli. Non so bene cosa di preciso, ma più scopro, più vorrei fermarmi. Ho una brutta sensazione a riguardo. Sento di stare imboccando un sentiero molto pericoloso. Un sentiero che potrebbe cambiare o distruggere la vita di molti. Inoltre, ho scoperto di non essere l’unico ad essere affamato d’informazioni. Un giorno, ero alla ricerca di una serie di documenti riguardanti gli studi sull’infusione di mako negli esseri umani, quando la segretaria addetta all’archivio si lasciò scappare che non ero il primo a ricercare quegli articoli. Stupito, le chiesi di riferirmi il nome del mio predecessore.

“Il Comandante Rhapsodos, signore. Mi ha chiesto di ricercare gli articoli riguardanti la correlazione tra mako e degrado dei tessuti, qualche giorno prima del suo incidente. Non sono molti e alcuni purtroppo sono inaccessibili con la vostra chiave di sicurezza, ma, se lo desidera, Generale, vi consegno lo stesso materiale che ho dato al Comandante.”

La maggior parte di quegli articoli trattava di sperimentazioni molto vecchie, effettuate su animali o piante, a parte un paio, compiute rispettivamente da Hojo e Hollander. Entrambe riportano lo stesso anno di pubblicazione, differenti solo di pochi mesi, come se cercassero di prevaricarsi l’un l’altro a suon di risultati scientifici. Ciò che più mi turba, tuttavia, è il periodo dove questi studi stavano iniziando a prendere piede: 30 anni fa, ossia poco prima delle nostre nascite.

La prima di una serie di coincidenze capace di nausearmi.

Sono tornato in quell’archivio e, con la scusa di consultare vecchi rapporti, sono stato in grado di reperire una lista completa degli articoli redatti dai due più importanti esponenti del Reparto Scientifico, la cui posizione sembra tutt’altro che immeritata. Forse sono tutte mie supposizioni, ma negli anni precedenti alla nostra nascita, quei due, assieme a Gast e a un certo Grimoire Valentine, hanno lavorato a qualcosa di gigantesco: una promessa d’imperitura gloria per la Compagnia. E il raggiungimento di un luogo chiamato “Terra Promessa”.

Dove ho già sentito questo nome?

Purtroppo, la mia ricerca ha dovuto subire un necessario arresto. Oltre al tempo sempre più esiguo a cui potevo dedicare a quella forsennata ricerca – rubato dai preparativi per la partenza per Wutai e le condizioni in miglioramento di Genesis- , un fatto decisivo ha decretato la temporanea fine delle indagini: un sospetto spostamento dei dati su un database più sicuro avvenuto immediatamente dopo la piccola sortita in quell’archivio. La causa ufficiale sembra riferirsi alla presenza di una spia Wutai infiltrata tra i dipendenti della Shinra, ma sono pronto a scommetterci che il vecchio pazzo non ha gradito la mia iniziativa. Per quanto possa essere stato attento, Hojo ha un talento innato nel capire quando sono alla ricerca della verità. Anche se credo che questa “premura” non sia stata causata esclusivamente dal sottoscritto. Credo che Genesis stesso, nel tentativo di capire cosa stesse succedendo al suo corpo, abbia fatto scattare il campanello d’allarme nella contorta mente del vecchio. A questo punto, mi chiedo: li avrà lasciati apposta questi materiali o non credeva che la mia curiosità potesse davvero spingermi così oltre? Lui mi conosce molto bene, SA di che cosa sono capace, quindi mi viene da pensare che questa “dimenticanza” sia proprio da definirsi tale. Un errore grossolano di un indegno avversario. E solo un nome mi ronza per la testa:

 

Hollander

 

1° Ottobre XXXX, mattina

 

Ho lasciato il discorso a metà, perché un evento fin troppo atteso ha fatto irruzione nella bolla di paranoia in cui stavo affondando pian piano.

E’ nata.

 

Takara

La mia… no, la NOSTRA bambina. E, come indica anche il nome voluto da Evelyn, il nostro tesoro. Sono corso trafelato al piano di sopra appena ho udito il suo squillante richiamo. Per poco non travolgevo la ragazza che stava per scendere a darmi la notizia. Evelyn era adagiata sul letto, esausta, scarmigliata e sudata. C’era un forte odore di sangue nella stanza, pungente, penetrante; tuttavia diverso a quello a cui sono abituato. Non era ferrigno, stantio, nauseabondo. Era… fresco, fruttato. So che può sembrare stupido definire il sangue fruttato, ma quell’aroma non saprei come altro definirlo. Il frutto dell’amore incondizionato fra due persone era nato, per cui definirei quest’aggettivo assolutamente legittimo.

Oltre il sangue e le urla, c’era LEI. Quel minuscolo adorabile fagotto paonazzo. Strillava infuriata, imperiosa, agitando i pugnetti e i piedini all’aria, come se stesse lottando. Natsu ha detto che la piccola ha una voce decisa, che non lascia repliche. Da chi avrà preso?

Alzai lo sguardo verso Evelyn e il suo viso, nonostante fosse tirato e sconvolto dallo sforzo, mostrava il sorriso più bello che avessi mai visto. Ogni suo poro trasudava soddisfazione. Avere dei figli era il suo più grande desiderio e, ora, quel desiderio è qui, respira… vive. L’ha stretta forte a sé, mentre lacrime di gioia le solcavano le guance, per poi lasciandole un delicato bacio sulla fronte. Poi guardò me… Quello sguardo non potrò mai dimenticarlo: non ho mai visto i suoi occhi risplendere così intensamente, ringraziandomi silenziosamente dal più profondo del suo cuore, pieni di fierezza. Era felice. Felice come non l’avevo mai vista. Avvertii del calore diffondersi dal petto, fino ad inondare ogni singola parte del mio corpo. I miei occhi pizzicavano e i lati della mia bocca si arricciarono ben oltre il solito limite. Sorrisi a trentasei denti, senza nemmeno accorgermene, come se fosse l’azione più normale del mondo. Ero euforico, stordito dagli ormoni e dalle emozioni più intense della mia vita. Per un momento mi scordai di tutto, del Progetto G, dei dubbi sulla mia origine, degli strani cambiamenti di Genesis dopo il suo ricovero. Non c’era più niente che contasse ai miei occhi, né la guerra, né la Compagnia. Avevo occhi solo per loro: le mie donne, la mia famiglia… Allargai le braccia e le avvolsi nella mia stretta, come per proteggerle. Bacia sulla fronte Evelyn e accarezzai la guancia piena e morbida di nostra figlia.

E’ così bella, come sua madre; anche se Natsu dice che assomiglia di più a me. E’ da qualche minuto che la studio e devo ammettere che il disegno delle labbra è molto simile al mio. Non so perché, ma ciò mi riempie di fierezza, sebbene sia strano vedere i propri tratti su un’altra persona. E’ qui che ci si rende conto che quella creaturina è TUA. Sono stato io a donarle quelle labbra, sulle quali non vorrò mai veder svanire il sorriso. E’ una sensazione così strana: non so niente di questa bambina, non so che donna diventerà, cosa ne farà della sua vita, che carattere abbia, quali siano i suoi gusti; eppure la amo con tutto me stesso. Il solo pensiero che mi venga portata via mi devasta. E non solo lei, ma anche sua madre. Tutto ciò che ho creato non verrà distrutto. Questa volta non ho intenzione di arrendermi così facilmente. Ho troppo da perdere.

La piccola mugola e arriccia la boccuccia, creando un’adorabile espressione imbronciata, per poi mutare rapidamente in un solare sorriso. Per poco non mi scappa da ridere nel vedere le sue gengive sdentate, anche se una stretta allo stomaco per poco non mi mozza il fiato. E’ la stessa sensazione che mi assale quando sua madre sorride. Vuol dire solo una cosa: innamorato. Ed è vero, io amo mia figlia, tanto che a fatica reprimo la voglia di prenderla in braccio.

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- E quale sarebbe questo “ultimo sacrificio”? –

Lo spettro chiude gli occhi e prende un profondo respiro. Ho la netta sensazione che ciò che sta per proferire non mi piacerà.

- Liberare il potere racchiuso in mia figlia. E l’unico modo per farlo è…-, s’interrompe un attimo, durante il quale Evelyn sembra stai cercando di trovare il coraggio di proferire quella terribile e spaventosa parola

 

-…ucciderla. –

 

 

“When the war of the beasts brings about the world's end,

The goddess descends from the sky.

Wings of light and dark spread afar.

She guides us to bliss, her gift everlasting. “

 

[Quando la guerra delle bestie porterà la fine del mondo,

la Dea scenderà dal cielo.

Ali di luce e oscurità si dispiegheranno.

Ella ci guiderà verso la felicità, il suo dono eterno.

LOVELESS, Prologo]

 

Le parole di LOVELESS mi rimbombano nella mente, recitate da un eco lontano proveniente dai ricordi flebili di Sephiroth. Assieme ad esse, una morsa gelida attanaglia le mie membra al solo pensiero di quella sentenza orribile.

Il suo dono eterno… il sacrificio alla fine del mondo…

Anche se si tratta della figlia del mio peggior nemico… Io… non posso… Non dopo aver provato quelle sensazioni e… visto questo disegno.

Non posso…

 

Salve belle signore!!! Eccomi di ritorno con un capitolo super super super lungo e… in orribile ritardo, come al solito. Purtroppo di ritorno dalla Turchia il tempo a disposizione è calato parecchio, a causa di un’altra imminente partenza per un luogo un po’ più freschino: le Falkland!!!! Partirò a fine Agosto e starò là per ben 6 mesi! Laggiù avremo un internet a pagamento, quindi non sarò completamente isolata, però il tempo libero sarà veramente misero rispetto alla Turchia, in quanto si tratta di un progetto già ben avviato e una tabella di marcia bella precisa, per cui temo proprio che non riuscirò nemmeno a scrivere. Ci proverò cmq. Cercherò d’impegnarmi anche a lasciare un altro capitolo prima della mia partenza e magari pubblicare poi da là, così da non lasciarvi con mille rivelazioni sconcertanti senza alcuna spiegazione. Ma non ve lo posso promettere! Io m’impegnerò, giuro!

Bene, bene. Insomma, un capitolo pieno di flashback, questo. Come avrete notato, Evelyn sta diventando un’entità a sé, con uno spazio tutto suo. Non è più un punto differente della stessa situazione, ma un approfondimento di ciò che il diario e il chokobo non possono aggiungere da soli.

Poi si passa al fatidico incontro e tutte le scottanti rivelazioni che il nostro Gastenobi (?) così gentilmente ci concede J Sephera?, direte. Già, è un’idea che mi è venuta leggendo qualche fic qua e là e, forte del detto “il mondo è bello finché vario”, ho detto “perché no?”. Ci può stare che certi Cetra possono aver condiviso le idee di Jenova per poi rimanere fregati, naturalmente.

Ebbene sì, l’antenato di Evelyn è colui che sconfisse Jenova. E ho creduto opportuno che avesse l’aspetto del nostro chokobo (eh sì, il Pianeta fa i suoi eroi con lo stampino XD). Ma riuscirà a compiere l’impresa affibbiatogli da Evelyn? E voi vi chiederete, ma perché? Che diavolo le salta in testa??? Naturalmente, dietro c’è un chiaro e ben definito (?) ragionamento! Più o meno. Forse. XD No, dai, scherzo, diciamo solo che è ora di finirla con questa guerra.

Con Seph siamo un po’ indietro e devono accadere ancora un bordello di cose, spero di riuscirle a toccarle tutte, prima che il chokobo ci rimanga secco. Sicuramente le toccherò tutte, spero solo di non farle troppo sbrigative. Come il suo lato teneroso, ma per quello ho in mente un altro modo per mostrarvelo, nel prossimo capitolo. Perché credo che delle sensazioni così profonde è difficile metterle su carta e uno come Seph, un po’ impedito con queste cose (EHI! ndSeph), non riesce a tirarle fuori a parole, ma a gesti. E poi la voglia di cullare la sua bambina è ben più impellente che stare lì a scrivere come un imbecille (Ebbasta!!! *estrae la Masamune e per poco non mi fa uno scalpo*ndSeph, Okokokokokokokokok!!! ndFortiX, Ma che sei un chokobo? ndCloud, ha parlato -.-‘ ndFortiX), ecco… Cerchiamo di essere logici!

E alla fine… *sospiro esasperato* ho messo un pezzo di LOVELESS. Ho provato ad evitarlo come la peste, perché mi viene da impiccarmi tutte le volte che ne sento anche una sola parola (addirittura mi ero inventata una profezia), ma alla fine… mi sono dovuta arrendere! E’ un pezzo importante della storia di FFVII e non potevo ignorarlo. Non più almeno. Spero che sia il primo e l’ultimo -.-‘

Bon, spero di avere risposto alle domande più immediate!

Alla prossima!

Besos

 

 

   
 
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