-Un segno, dici? Che finalmente il Pianeta
abbia rotto il suo silenzio? –
Mentre proferisco questa frase, più a me
stessa che alla mia interlocutrice, mi avvio verso l’uscio,
dove la porta a
soffietto è stata lasciata aperta, affinché il
fresco vento in discesa dalle
montagne rinfreschi i rimasugli del caldo pomeriggio estivo. La mia
attenzione
vaga sul lago che, placido, accoglie i morenti raggi solari, colorando
le
proprie sponde di un appagante dorato. Mi appoggio allo stipite e
avverto il
bambino muoversi, cambiare posizione, stiracchiarsi. Appoggio la mano
sul punto
in cui la sua schiena viene accolta dalle morbide coltri del mio utero
e
accarezzo la pelle con dolcezza. Mio piccolo, dolce tesoro, quanto
vorrei che
tuo padre fosse qui per vederti nascere… Avverto una lacrima
seguire il profilo
della mia guancia.
- Da quanto tempo è che non lo
percepisci,
ormai? –
La domanda di Natsu mi riscuote dai tristi
pensieri e, senza voltarmi, le rispondo, greve.
- Da quando mi sono unita a Sephiroth la
prima volta. All’inizio la voce del Pianeta mi giungeva
lontana e distorta,
fino a scomparire del tutto quando sono rimasta incinta. –
Il bambino si muove ancora, lasciandomi per
un momento senza fiato a causa di un deciso calcio diretto allo
stomaco.
Piccolo birbante…
- Sembra una sorta di interferenza. Forse il
mako…-
-No.-
Tronco
il discorso della mia fida ancella con forse troppa durezza, infatti la
sento
trattenere il respiro, imbarazzata per aver osato a insinuare una
teoria, a mio
gusto, troppo supponente. Il silenzio aleggia nella stanza, denso
d’attesa.
Distolgo l’attenzione dalle acque placide
e
la rivolgo alla dispettosa collina tondeggiante del mio ventre.
Accarezzo ancora il mio piccolo tesoro e
sorrido. Il mako avrà riabilitato il mio fisico, ma
l’amore ha fatto sì che tu
venissi concepito. Poi, un pensiero spegne la piccola luce di gaiezza
sotto cui
mi ero rifugiata: una confessione infausta che potrebbe distruggere le
speranze
riposte nel futuro di mio figlio.
“Mia
madre è
morta dandomi alla luce. L’unica cosa che so di lei
è il suo nome.”
“E
qual’era?”
-La causa di questo silenzio è opera di
LEI.
-
Di
Jenova.
Il
ricordo
piano piano va sbiadendosi, mentre poggio il diario sul petto. La
nostra
iniziale supposizione era esatta. Evelyn era in grado di percepire il
Pianeta,
esattamente come Aerith; anzi forse il legame era anche più
profondo data l’età
più avanzata della donna. E, soprattutto, conosceva Jenova.
Posso solo
immaginare la sorpresa pervadere quel volto di porcellana nel sentire
pronunciare quel nome nefasto dalle labbra del suo amato. A questo
punto una
domanda sottile e tagliente s’insinua sottopelle:
perché non gli ha raccontato
la verità? Forse rivelata dalla donna di cui era innamorato
quella versione dei
fatti sarebbe sembrata più dolce. Oppure sarebbe stata Garyo
a subire lo stesso
destino di Nibelheim… Probabilmente, non ha avuto il cuore
di distruggere le
uniche certezze che Sephiroth avesse mai avuto, per quanto false e
fittizie
esse fossero. Per un attimo, lei mi mostra un Generale dallo sguardo
trasognato, mentre racconta quanto quel nome gli sia stato di
consolazione durante
la sua terribile infanzia.
Un bambino nel corpo di un uomo.
Posso
sentire quella verità solleticarle le labbra, mentre il
rimorso le spacca il
cuore.
Perdonami, amor mio…
Lo
hai
abbracciato, interrompendo il flusso dei suoi ricordi, nella speranza
di
mettere a tacere la crudeltà appena compiuta e, nello stesso
tempo, donargli
quell’affetto che, sei sicura, è più
vero di qualsiasi cosa sia stata nella sua
vita.
L’odio
e la
rabbia prorompono in quel cuore forte e compassionevole, mentre
desideri vedere
la Shinra sotterrata sotto metri di fiamme. E tu con loro,
perché volente o
dolente, stai facendo il loro gioco. Tu non lo riesci ad accettare e
l’impeto
lo stringe maggiormente a te. Lui non capisce e l’eco lontano
della sua domanda
a malapena raggiunge le tue orecchie, assordate dalla furia. Ti specchi
nel tuo
riflesso e quasi perdi un battito. Atterrita, noti come le tue pupille
abbiano
mutato aspetto, divenendo lunghe e sottili, e di come la tua iride
sinistra brilli
di deboli screziature rosate. Un brivido di terrore ti scuote da capo a
piedi,
richiamando la preoccupazione del tuo amato. Ti rifugi nel rassicurante
incavo
della sua spalla e ti ancori con le dita alle sue ciocche argentate.
Infine,
LEI ti ha raggiunto. Ti ha aggirato magistralmente facendo leva sulla
debolezza
della tua metà umana. Quella bellezza che è stata
fatale per la tua razza ti ha
sconfitto ancora una volta; tuttavia, mentre avverti quelle mani grandi
e forti
accarezzarti per donarti conforto, ti rendi conto che lui non
è come la sua
antenata. E’ così fragile, così umano,
così sensibile. Senti che non sarebbe in
grado di reggere la verità che gli è stata
taciuta sin dalla nascita. Prima o poi la
scoprirà, ti suggerisce
una voce ammaliante e crudele. A quel punto, la consapevolezza ti dona
una
nuova determinazione. Non sarà
solo. Liberi
il tuo amato dalla morsa in cui lo avevi costretto e lo baci. Leggi nei
suoi
occhi un interrogativo, ma lo ignori.
Un giorno, capirai, amore mio. E finalmente
potremo stare insieme…
Avverto
le
mie palpebre sbattere, segno chela mia volontà sta
risvegliandosi dal torpore.
Un altro sogno ad occhi aperti. Ormai capita sempre più
spesso che realtà e
ricordi si confondano tra loro, senza che riesca ad accorgermene. La
verità non
è poi così lontana, dopotutto.
- Sephiroth? Credo ci sia un errore. –
Il Professore si acciglia appena,
scrutandomi con quelle iridi verdi così famigliari e
calorose. Dopodiché, il
suo sguardo si stringe e inizia a lisciarsi i grandi baffoni castani.
-Interessante. –
Non mi piace essere guardato in quel modo
clinico. E ancora meno ascoltare le valutazioni sui miei mutamenti.
-Cosa c’è interessante,
esattamente? –
Sbotto io, cercando di nascondere il mio
disagio dietro un’armatura di spavalderia. Invano.
L’uomo non smette di
fissarmi, di valutare, di catalogare. Sebbene
sia molto meno inquietante di Hojo, la soggezione pervade in egual
misura il
mio animo.
-I suoi cambiamenti repentini di
personalità
sono interessanti, signor… Strife? -
Aggrotto le sopracciglia preso alla
sprovvista. Cambiamenti di personalità? La mia attenzione
viene catturata da un
monitor posto alle spalle dell’ologramma, accomodato in un
angolo. Su di esso
posso vedere un tracciato muoversi concitatamente a singulti su uno
sfondo
verde, mentre numeri e lettere scorrono al suo fianco. Non sembra
essere
collegato a nessuna della macchine che lo tengono in vita, quindi
deduco si
tratti di uno strumento per analisi di altro tipo.
-Cos’è quell’affare?
–
Chiedo, indicando col mento. L’ologramma
si
volta, gettando un’ondata svogliata all’oggetto in
questione, poi lo riappunta
su di me, spiegando con voce affabile.
- Solo uno scanner per il rilevamento dei
parametri vitali. Nel caso lei avesse un altro tracollo potremo agire
tempestivamente. –
Rimango per un attimo interdetto. Cosa ha
appena detto?
-Come fa a saperlo? –
-Il signor Tuesti mi ha riferito della sua
visita all’ospedale di Edge. A quanto pare quel diario ha
degli effetti su di
lei. Dico bene? –
Una stretta di paranoia artiglia il mio
cuore, mentre la mia mente metabolizza l’informazione appena
ricevuta. Quindi,
Reeve mi teneva sotto controllo… Alla faccia del
“Andiamo, Cloud, è solo un
libro!”. La paranoia si trasforma in sgomento appena realizzo
che probabilmente
quello scarto di Shinra sapeva tutto fin dall’inizio. La
rabbia fa il resto,
mostrando i miei umori chiari e lampanti sul monitor.
-Si calmi, signor Strife. Io sono qui per
rispondere a tutte le sue domande. –
- Davvero? Allora, mi spieghi,
“Professore”,
se eravate a conoscenza delle conseguenze che leggere quel libro mi
avrebbe
causato, perché me lo avete consegnato? E non dite che
speravate che non
l’avrei letto, perché ho la netta sensazione che
sia stato il vostro obiettivo
fin dall’inizio. -
Prima che Gast potesse rispondermi, la
realizzazione mi colpisce a come un fulmine a ciel sereno. Una risata,
una
risata lugubre e ultraterrena mi nasce dal profondo della mia furia.
Ma
certo.
Siamo sempre topi di laboratorio, in fondo…
- Quel libro non proviene davvero da Midgar.
Non è mai stato sotto le macerie del Golden Building. O
sbaglio? –
Lo scienziato distoglie lo sguardo liquido
di vergogna, lasciandolo vagare per la stanza. Le sue dita
s’incrociano,
nervose. Anche Aerith si comportava così quand’era
in imbarazzo.
- No, è stato trovato nella Shinra
Masion di
Nibelheim. –
Avverto un moto di stizza pervadere ogni
singola cellula del corpo, la voglia incontenibile di abbandonare
questa casa e
riprendere il mio viaggio verso Wutai. O, in alternativa, distruggere
tutto e
guardare le fiamme incandescenti fare a pezzi ogni cosa sul suo
cammino. Scuoto
la testa, accantonando l’ultimo pensiero, il quale stava
iniziando a dare segni
allarmati sul monitor.
- E’ sempre stato in vostro possesso?
–,
domando, perseverando nella mia furiosa immobilità.
L’ologramma ancora non trova il coraggio
di guardarmi
negli occhi e annuisce con un lento movimento della testa. Il suo
silenzio,
tuttavia, mi ottunde le orecchie. Voglio sapere di più!
Sbotto.
-RISPONDETE! –
Il tracciato registra picchi impazziti e
fuori scala, mentre il monitor s’infiamma pericolosamente,
attivando allarmi
sonori. Il professore sobbalza, come punto da un ago incandescente e
torna a
fissarmi con occhi sgranati. Il suo terrore si riflette nei miei occhi.
Mi
porto le mani alla bocca, ponendole entrambe su di essa, sebbene
rimanga
spalancata, vuoi per lo stupore, vuoi per la paura.
E’ la prima volta che mi rendo conto di
aver
ascoltato la voce di Sephiroth lasciare le mie labbra. Ora capisco
perché tutti
sbiancano appena la odono. Non c’è traccia della
gelida calma che solitamente
ammanta quel tono baritonale e perentorio, fatto per comandare; o la
maliziosa
follia che accarezza ogni lettera come un’amante, fatta per
insinuarti il
terrore direttamente sottopelle, sottolineando il poco tempo che ti
è rimasto
per vivere. Dietro all’esigenza dell’eroe e
all’ira della Bestia, c’è la
disperazione e la sofferenza di un bambino. IL Bambino, il vero
Sephiroth.
L’uomo sensibile e dolce che Evelyn ha amato.
L’uomo fragile e martoriato
oppresso da un Pianeta spietato. L’uomo speranzoso e buono
distrutto da una
verità troppo grande per lui.
LUI che desiderava solo essere normale.
LUI che bramava VIVERE.
LUI che anelava la REDENZIONE.
Ancora scioccato, lascio cadere le mani
lungo i fianchi e indietreggio verso il lettino, senza staccare gli
occhi
dall’ologramma. Mi appoggio alle difese con tutto il corpo,
appuntandomi con le
mani ad esse. I miei occhi vuoti ora lasciati vagare sul pavimento
liscio.
Abbasso le palpebre e prendo un profondo respiro.
Le
hai
giurato che non l’avresti mai lasciata andare. Ciò
ti uccide più della Morte stessa,
vero?
Il
dolore…Fallo
smettere, ti prego.
Sollevo le palpebre di scatto, spiazzato da
quella supplica sussurrata dai recessi della mia mente. Una morsa di
pietà mi
stringe il petto, mentre gli occhi iniziano a pizzicare. Mi porto il
pugno
all’altezza del cuore, massaggiandolo. Senza fiato, appunto
lo sguardo sul viso
scarno e pieno di tubi del vero professore. Un’altra
stilettata che va a
deformare il mio viso per un doloroso secondo.
Questa è la fine a cui vanno
incontro coloro che amo…
Mi mordo il labbro per ricacciare indietro
il gemito di dolore nascente dalla gola e le lacrime. Le spire del
senso di
colpa si stringono ancora di più. Ha ragione, è
un dolore insopportabile. Ingiusto.
-Ditemi tutto quello che sapete di LEI. -,
proferisco, senza muovere un muscolo, la voce inaspettatamente roca.
Con la coda nell’occhio osservo
l’ologramma riscuotersi
e annuire, compassionevole, mentre si sistema gli occhiali, si liscia i
baffi e
scandisce la voce. Movimenti così famigliari…
Non è cambiato.
Mi pare quasi di vedere un sorriso triste e
malinconico impresso in quella osservazione. Ricordi fugaci fanno
capolino
nella mia immaginazione, disegnando fantasmi fumosi attorno a quella
figura
digitale. Una libreria, una scrivania, una lampada, un timer e una
scacchiera.
E una falsa e dolce verità.
“Tua madre si chiamava Jenova. Ti amava,
Sephiroth. Più di quanto tu possa immaginare.”
Sospiro di rimando.
- Il suo nome completo era Evelyn Harisawa. Nata
da Hiroshi Harisawa, un pescatore Wutai originario del Sud- Ovest del
Paese e Tanya
Joyfill, una modesta fioraia di Junon. –
-Fioraia? A Junon? –
Il professore annuisce, greve, mentre un
sorrisetto appare da sotto i baffi.
-Esatto. Sua madre apparteneva alla stirpe
degli Antichi. –
-Come ha fatto la Shinra a non scovarla? –
- Anche se non sembra Evelyn aveva qualche
anno in più di Sephiroth. E’ nata prima che il
Progetto S prendesse il via. E,
di conseguenza, prima che io scoprissi l’esistenza della
Terra Promessa. A quel
tempo, i suoi genitori si erano trasferiti a Yohaido, una remota
cittadina sul
mare di Wutai, paese natale del padre, al di fuori del controllo della
Shinra. –
Apro la cerniera della giacca e infilo la
mano all’interno, alla ricerca della tasca interna, al fine
di recuperare il
diario. Spiego le pagine e lei è lì, nella sua
torreggiante perfezione ad
osservarmi, splendida; come se nulla, né guerre e battaglie,
fossero mai
accadute.
- E quindi alla fine avevo ragione. Lei
è
un’Antica. -
- E non un’Antica qualsiasi. –
Alzo lo sguardo dalla fotografia e lo
appunto all’ologramma, famelico e curioso.
- In che senso? –
- Lei discende dall’eroe che
confinò Jenova
nella sua prigione di cristallo. –
La mascella cade letteralmente a terra,
appena sento quella frase. E credo che nemmeno Sephiroth lo sapesse,
tanto che
avverto la sua curiosità morbosa invadermi.
- Nientemeno? –
-Già, ma la storia è ancora
più complicata
di così. -, fa una pausa, durante la quale io pendo
letteralmente dalle sue
labbra, - Deve sapere, signor Strife, che non tutti i Cetra si
ribellarono a
Jenova. –
A quella affermazione un brivido di
anticipazione mi gela la spina dorsale. Temo di sapere dove
andrà a finire
questa storia. E ciò spiegherebbe un bel po’ di
cose. Nel frattempo, l’ologramma
scompare in una pioggia di pixel per poi trasformarsi in una sequela
d’immagini, la cui forma è determinata dai
concetti esplicati dalla voce
digitale.
- Come ben sa, le leggende Cetra raccontano
che Jenova condivise la sua sconfinata conoscenza con gli Antichi, al
fine di
celare le vere intenzioni. Lei voleva soggiogarli, indurli ad accettare
che il
Pianeta su cui vivevano doveva essere distrutto, perché
macchiato dalla piaga
degli Umani. Alcuni saggi riuscirono a scoprire il suo piano e
combatterono per
impedirle di metterlo in atto. Tuttavia, non era sola. Ella raccolse
attorno a
sé moltissimi accoliti, i quali le mostrarono come avere
accesso al cuore del
Pianeta, la fonte di tutto il Lifestream. La Terra Promessa, appunto.
Ifalna mi
disse che quegli uomini e quelle donne vennero bollati come traditori
e, dopo
la sconfitta della Calamità, sterminati. –
Jenova caduta dal cielo, il cuore del
Pianeta, il Lifestream e, infine, immagini raccapriccianti dello
sterminio di
un intero villaggio, recuperato probabilmente da un antico
bassorilievo, dato
la grossolanità dei disegni. Tuttavia, un dettaglio cattura
la mia attenzione:
la sagoma di una donna urlante inseguita da un manipolo di soldati.
Sebbene la
figura non sia particolarmente dettagliata, posso distinguere un
secondo
profilo stagliarsi all’altezza del suo petto. Un neonato. Non
so perché, ma
quel bambino m’impedisce di distogliere lo sguardo e, tutto
d’un tratto, mi
sento risucchiare in una sorta di limbo. Sento nella mia testa antiche
canzoni,
in una lingua che non riesco a riconoscere, risate, dialoghi. Tutti
suoni
tipici delle febbrile vita quotidiana di un villaggio. Essi si fanno
sempre più
frenetici, come se qualcuno avesse azionato la riproduzione veloce.
Come una
nenia quei suoni mi stordiscono e m’ipnotizzano,
permettendomi quasi di
intravedere scorci di una realtà perduta da tempo
appartenenti a un’epoca
dimenticata. Quando credo di essere in grado di vedere cosa
c’è oltre alla
patina dei tempi, essa viene squarciata dal fuoco e da urla di morte.
-Signor Strife! -
La voce elettronica del Professore mi
strappa da quell’incubo a occhi aperti e lentamente
ricomincio a prendere
coscienza della realtà. La prima cosa che percepisco
è la mia guancia premuta
sul pavimento.
- Cloud, mi sente? –
Mi guardo intorno e noto che la prospettiva
è drasticamente calata.
- Steven! Steven, venga qui! –
Ci metto qualche secondo a unire le due
informazioni per giungere all’ovvia conclusione. Sono
svenuto. E sono pure
caduto in grande stile a giudicare dal male che mi si propaga per tutta
la
faccia. Emetto un sonoro sbuffo di rassegnazione.
Devi
trovarlo molto divertente vedermi svenire come una donnicciola.
Non posso rispondere di no.
Trattengo l’offesa gratuita che mi stava
per
nascere dalla bocca e risparmio energia per alzarmi. Solo allora mi
accorgo che
il monitor che mostra i miei parametri vitali sta virando da un
pericoloso
rosso a un acquietante verde. Anche i valori vanno via via
abbassandosi.
Dopodiché, appunto la mia attenzione
sull’ologramma, il quale mi fissa con aria
sgomenta. E impotente. Gli rivolgo un sorriso tirato.
- Non preoccupatevi, Professore. Sto bene.
Svenire è ormai ordinaria amministrazione. –
Vedo il viso di Gast distendersi e
sorridermi di rimando, sollevato.
- Mi dispiace. Temo di aver innescato
qualcosa mostrandole questa immagine. I Sephera sono molto sensibili ai
ricordi. –
-I che? –
- Sephera. E’ il termine con cui gli
Antichi
additavano coloro che si sottoposero a Jenova. A quanto pare, la
connessione
tra lei ed Evelyn è più forte di quanto pensassi.
–
Mi rimetto in piedi, senza l’ausilio di
un
piccolo aiuto da parte delle difese del letto, ed emetto uno sbuffo
divertito.
- Oh, siamo molto intimi, ormai. –
Una stilettata di dolore mi pervade tutto il
corpo, accompagnata da una voce dal timbro graffiante molto famigliare.
Attento a te.
L’ammonimento di Sephiroth non passa
inosservato nemmeno al Professore, il quale nota tutto dal suo scanner.
Egli
ridacchia.
- Qualcuno è molto geloso a quanto pare.
–
Grugnisco. Simpatico come
sempre…
- Umpf. Diceva? –
Il Professore per la seconda volta in quella
serata si sistema gli occhiali e si liscia i baffoni, riprendendo il
suo solito
cipiglio affabile.
- Come stavo dicendo, Sephera fu il termine coniato
per indicare coloro che si unirono volontariamente a Jenova. Scritti
Cetra
raccontano di Sephera in grado di soggiogare il Lifestream al loro
volere, usandolo
come arma. La vicinanza con Jenova, inoltre, gli aveva resi capaci di
manipolare
le menti delle persone. La loro specialità erano i ricordi.
Giocavano con la
memoria degli avversari, rievocando le rimembranze più
dolorose o spaventose
fino a portare il malcapitato alla pazzia. -
-Un po’ come sta succedendo a me.
–
Il professore s’interrompe un attimo e
annuisce, poi riprende a spiegare.
- Erano estremamente potenti e molti di loro
diventarono le macchine da guerra spietate di Jenova, i suoi
più fedeli
servitori. –
L’ologramma si fermò, sia con
le parole che
con il corpo; la sua espressione si fece triste. Rimase un
po’ in silenzio,
mentre la mia curiosità mi divorava dall’interno.
- Essi vennero sterminati e i fautori di
quel genocidio furono proprio gli umani. –, una mesta pausa
con annesso tutto
il peso di una colpa maturata in 2000 anni di nefandezze, - La vendetta
mosse i
nostri cuori, in quanto i Sephera, durante il dominio della loro
signora, si
macchiarono di molti crimini contro l’umanità. Non
ebbero pietà di loro,
nemmeno di colui che li salvò. -
M’irrigidisco. Le mie dita si artigliano
alle difese con più veemenza, mentre trattengo il fiato. Un
fuoco m’infiamma il
torace. I miei denti scricchiolano, mentre l’eco di
un’antica onta ottunde il
mio udito. Sono schifato, ma devo continuare. Lei me lo chiede.
- Continui. -, soffio a denti stretti.
- Il nome si è dimenticato, cancellato
dall’odio e dal disprezzo, ma si sa che fosse il Sephera
più potente, uno dei
primi ad accettare il volere della Calamità caduta dal
cielo. Nonché, suo
braccio destro. –
Mi scappa uno sbuffo divertito. Non poteva non
essere una coincidenza. Ciò spiegherebbe il disprezzo di
Jenova nei confronti di
Evelyn. Il destino è davvero beffardo, alle volte. E
schifosamente conveniente.
- Se tutto è andato perduto, come ha
fatto a
risalire alla discendenza di Evelyn? –
Il professore sorride, soddisfatto.
-Questa è davvero una bella domanda,
signor
Strife. –
L’ologramma scompare, lasciandomi a un
palmo
dal naso. Improvvisamente, dei movimenti meccanici attirano la mia
attenzione
sulla parete dinnanzi a me. Non vedo altro che buio, però;
perciò decido di
avvicinarmi. Appunto le mie braccia agli stipiti e allungo la testa
oltre la
soglia, sbirciando alla ricerca di una risposta alle mie domande. La
tenue luce
della stanza di Gast basta solo ad illuminare i primi gradini di quella
che
sembra essere una scala diretta verso le viscere della casa. Rivolgo il
mio
sguardo famelico di risposte verso il lettino. Delineo
l’immota figura del
Professore e sospiro, per poi riappuntare l’attenzione sul
tunnel oscuro che mi
si apre dinnanzi. La curiosità spinge il mio corpo ad
avanzare, ma un forte
timore impedisce alla mia mente di avanzare. Sono tentato a ritornare
in dietro
per avere delle spiegazioni, quando qualcosa mi attraversa da parte a
parte.
Avverto un sospiro echeggiare nella testa e un fuoco attraversarmi da
capo a
piedi. Alzo lo sguardo e… il mio cuore perde un battito.
Evelyn, il suo candido
spirito mi osserva silenzioso, sorridendomi dolcemente. Rimaniamo a
fissarci
per attimi infiniti, fino a quando lei non si volta e inizia a
fluttuare verso
il basso, lambendo gli scalini con le coltri diafane del suo kimono.
Automaticamente, la seguo, dimentico di ogni timore o paura, fidandomi
completamente della sua luminosa guida. Non saprei dire per quanto
tempo
c’inoltrammo nelle tenebre squarciate, ma so solo che ad un
certo punto lei
scomparì, abbandonandomi per un terrificante momento nel
buio. Appena i miei
occhi si abituarono alla scarsità luminosa, noto
un’ondeggiante luce verde
provenire da dietro l’angolo. Percorro gli ultimi scalini e
sfocio in una
cripta. Non è molto grande, quasi claustrofobica, semplice,
senza incisioni
alle pareti di roccia nuda. Perfino il pavimento non è stato
ricoperto. L’unico
dettaglio di parvenza artificiale è una teca di cristallo
avvolta dal
Lifestream, posta al centro della stanza. Al di là di essa,
ad attendermi
silenziosa, c’è Evelyn. Ha il viso triste e
rivolto verso l’interno della teca.
Senza pensarci, adocchio il contenuto del cristallo, ma le curvature
del
materiale rendono impossibile vedere attraverso ad esso. Alzo lo
sguardo verso
lo spirito e trovo i suoi occhi ad attendermi. Avverto il mio cuore
sciogliersi
e freddarsi da un gelida fitta di nostalgia. Per un attimo mi pare di
vedere la
sua espressione dolce incresparsi, come attraversata da
un’onda, e deformarle
il viso in una maschera di dolore, per poi tornare esattamente come
prima. Non
faccio in tempo a realizzare ciò a cui ho appena assistito
che lei alza la mano
e mi fa segno di avvicinarmi. Obbedisco e ho la possibilità
di vedere cosa
questa teca cela al suo interno, in quanto il coperchio della teca e
perfettamente scevro da ogni imperfezione. Ma ciò che trovo
ad attendermi per
poco non mi fa morire dalla sorpresa. Salto all’indietro
indignato e sconvolto.
IO… dentro a quella bara di cristallo ci sono io.
-Che significa? –
Evelyn non risponde subito e lascia vagare
il suo sguardo sotto di sé.
- Il principio. –
-Cosa?!-
Poi alza le sue iridi brillanti e mi
trafigge letteralmente, come a intimarmi al silenzio.
Sephiroth
ha
ragione: quegli occhi fanno davvero paura.
- E tu sei l’epilogo. –
Sotto la pesantezza di quegli occhi, cerco
di riprendere un po’ di contegno, sebbene la visione
precedente abbia minato
pericolosamente il mio autocontrollo.
- Non capisco. Cosa vuoi dire? –
- Che tu sei la reincarnazione del mio
antenato, lo strumento dell’entità che ora chiami
Pianeta. Vedi? Il Lifestream
ti ha guidato da lui. –
Guardo per terra e vedo il Flusso Vitale
lambirmi i piedi con le sue sottili fibre e fluire verso la bara
cristallina.
Titubante mi riavvicino e osservo di nuovo attraverso il cristallo. Il
corpo è
avvolto completamente dalle fibre di Lifestream, come se la stessa
entità
nascesse da quest’uomo. Emetto uno sbuffo divertito,
attirando su di me uno
sguardo incuriosito e severo.
-La cosa ti diverte? –
-Diciamo che ho sempre avuto la sensazione
che il mio destino non mi appartenesse. –
Evelyn accenna un sorriso tirato, senza
scomporre la sua espressione severa.
-Come quello di tutti noi… -
Quelle parole aleggiarono nel silenzio,
pesanti, pieni di rabbia e, soprattutto, rimpianto.
- Questo dolore deve finire. -, proferisce
dopo poco Evelyn, la voce ridotta a un soffio flebile, -Ma prima
è necessario che
io ti chieda di aiutarmi a compiere un ultimo sacrificio. –
/////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////////
30 Settembre XXXX
E’ una nottata uggiosa.
Distrattamente, osservo le ampie gocce di pioggia battere
insistentemente sulle
vetrate, proiettando lunghe ombre e cerchi grigiastri lungo il
pavimento, il
tavolo, la pareti. Come umide dita, esse vanno a insinuare il gelo
nelle mie
ossa, mentre, trepidante, attendo. Non sono mai stato così
agitato in vita mia.
Ho sempre mantenuto un ritegno, una calma tale da avermi fatto
guadagnare
l’appellativo di Generale di Ghiaccio. Qualunque fosse stata
la situazione.
Questa volta, tuttavia, non riesco a fermare il tremolio nervoso della
gamba
sinistra, il contrarsi ridicolo delle mie dita, la pesantezza del mio
respiro.
Cammino avanti e indietro per la stanza, fermandomi ogni tanto, per
appuntare
qualche pensiero sulla carta. Sembro un pazzo alle prese con una crisi
isterica.
Una donna scende dalle scale,
affannata, i panni bianchi pieni di sangue. Mi manca un battito. La mia
attenzione viene veicolata direttamente al piano di sopra, di cui
riesco ad
adocchiare solo le scale inghiottite dal buio. Mi avvio verso di esse,
ma la
donna di prima mi sfreccia davanti, tagliandomi la strada. Sale le
scale
rapidamente, senza curarsi di me. Tra le sue mani un secchio
d’acqua calda.
Urla soffocate mi giungono alle orecchie, prima di essere smorzate
dalla porta
interposta tra noi. Mi chiedo per l’ennesima volta
perché non posso stare lassù
anch’io, ma mi accorgo che potrei essere solo
d’impiccio. Non riesco a calmare
me stesso, come posso pretendere di calmare LEI? Prendo un profondo
sospiro. E’
in buone mani. Spero. Mi guardo intorno
alla ricerca di qualcosa che possa aiutarmi ad ammazzare
l’attesa e,
soprattutto, farmi pensare ad altro. Ma non c’è
nulla. Questa casa è così
misera… Non c’è alcun tipo di sistema
avanzato di riscaldamento, se non un
focolaio domestico alla portata di chiunque; non
c’è acqua calda corrente, se
non quella che sgorga da una fonte termale nel cuore della foresta; non
c’è
alcun tipo di elettricità, la luce è lasciata
nella mani di pericolose lampade
a olio, alcune nemmeno ben fissate alle pareti. Di legno. O in fibra di
riso,
in alternativa. Crepate, in certi punti, l’intonaco
è crollato rivelando l’intelaiatura
ammuffita all’interno. Passo il palmo su quel punto e noto
che, in effetti, è
zuppo d’acqua. Ci dev’essere
un’infiltrazione dal tetto probabilmente. Si
capisce che sono anni che nessuno mette piede qui dentro. Come si
può pensare
di far crescere un bambino in un luogo così retrogrado e
miserabile? Forse il
lusso della mia infame vita da eroe mi ha fatto scordare
l’umiltà. O il
semplice rimboccarsi e maniche per migliorare la propria condizione. Lo
stile
consumistico di Midgar sta cominciando ad infettare la mia
capacità di
sopportare la miseria. Sono portato più a distruggere e
ricostruire da capo a
piedi quest’abitazione, piuttosto che perdere del tempo a
rattopparne gli
infiniti difetti. Ma, come direbbe Angeal, nulla va sprecato,
soprattutto in
tempi come questo. Anche se la guerra è ancora in corso, le
ricche città
dell’Oriente sono ben lontane dallo spettro della miseria.
L’ideologia del
consumismo la fa da padrona, fregandosi le mani in attesa de momento in
cui
perfino l’ultimo baluardo dell’Anti-Shinra
finalmente capitolerà ai loro piedi.
Non voglio che mio figlio cresca
con questa mentalità. Voglio che sappia apprezzare
ciò che ha e che sviluppi la
capacità di aggiustare qualunque cosa. Ho visto fin troppo
bene l’epilogo a cui
vanno incontro coloro che si avviano sulla via del vizio. Le gente
diventa
superficiale e superba, convinti che il mondo sia loro dovuto. Non
conoscono né
il rispetto, né la disciplina. E soprattutto, sono persone
vuote. Vittime dei
beni materiali e dell’apparenza, esse trascurano
l’anima, fino a che la loro
esistenza non si trasforma in un guscio vuoto di tristezza e
solitudine. Non
voglio questo per mio figlio, in quanto non c’è
nient’altro che desideri se non
la sua felicità. La felicità che non ho mai
avuto. La donerò a lui. O a lei.
Credo sia il minimo per aver donato alla mia prole un DNA nefasto.
Almeno da
quanto ho evinto dalla strana catena di eventi avviatosi dopo aver
scoperto
l’esistenza del Progetto G. Non sono andato molto in fondo
alla faccenda,
poiché sono stato impegnato a delineare la strategia per
l’assalto finale a
Forte Tamblin, l’ultimo baluardo della resistenza Wutaniana;
tuttavia la mia
curiosità è ben lungi dal dirsi sedata;
soprattutto dopo ciò che è accaduto a
Genesis quasi un mese fa. Come di consueto, Angeal, lui ed io ci
riunimmo nella
Sala Addestramenti del piano SOLDIER, subito dopo che i 2nd e i 3rd si
erano
avviati verso le docce. Era una routine ideata dallo stesso Genesis,
con
l’obiettivo di risollevarmi il morale dalle torture
psicologiche a cui mi
sottoponevo ogni giorno, ascoltando le registrazioni di Evelyn od
osservare le
foto inviatomi da Tseng. Tutta quell’infelicità e
quel senso di colpa mi
risucchiava ogni energia. Ero diventato un automa: pensavo solo a
svolgere il
mio lavoro per poi tornare a casa a farmi del male. Ci vollero mesi per
convincermi, ma l’insistenza del rosso su questo genere di
faccende è
leggendaria. Il secondo passo era stimolarmi ad uscire
dall’apatia e c’è solo
un modo per farmi reagire: intaccare l’orgoglio. E
questo al rosso
viene dannatamente bene. Fu facile cascare nella sua trappola. Quel
giorno, lui ha salvato me e la mia famiglia, donandomi la forza di reagire. Una
forza che
pensavo di aver perduto per sempre, sotto una valanga di dolore e
delusione. A
volte penso che avrei dovuto ringraziarlo. In quante occasioni avrei
potuto
farlo…
Ma è proprio quando credi di aver
tempo che il destino gioca la sua carta peggiore. Era un giorno come
gli altri,
tra ispezioni e riunioni strategiche, la Compagnia ci aveva assegnato
gli
incarichi da svolgere e gli obiettivi da raggiungere per porre fine
alla
guerra. L’idea ci elettrizzava. Finalmente, di lì
a pochi mesi, tutti quegli
inutili spargimenti di sangue sarebbero giunti al termine. Anche se, in
cuor
mio, questa spirale vermiglia non avrebbe mai trovato fine. E
probabilmente
avevo ragione, ma evitai di rompere l’idillio in cui i miei
commilitoni si
erano immersi. Loro, in fondo, avevano una terra a cui tornare, una
famiglia ad
aspettarli, con cui spendere i gironi di meritata licenza. Mi incupii.
Sapevo
che Evelyn mi amava ancora, ma lo avrebbe ammesso davanti a me? Mi
avrebbe
permesso di vedere nostro figlio o si sarebbe vendicata nel peggiore
dei modi?
Venni ridestato dai miei pensieri dalla campana degli impiegati. La
giornata
lavorativa era finita. E ciò voleva dire solo una cosa: sala
d’Addestramento
libera. Spiammo da dietro un angolo, tutti i 3rd e i 2nd che uscivano
sudati e
stanchi dalla stanza digitale, mentre pungenti commenti fioccavano a
più non
posso, strappando una risatina o due. Quando la strada fu libera,
entrammo.
Armeggiammo con i settaggi delle simulazioni, impostandole al livello
più alto;
incuranti dei rischi. In fondo, cosa sarebbe mai potuto succedere a tre
SOLDIER
First Class affrontarsi al massimo delle loro potenzialità?
Per quanto
nettamente inferiori al sottoscritto, i due banoriani si sono sempre
dimostrati
eccellenti combattenti, gli unici in grado di fronteggiarmi. Gli unici
da
quando sono stato costretto a unirmi al corpo
d’élite. Gli unici.
La dicitura ‘Progetto G’ fa di nuovo capolino nella
mia
mente, interrompendo il flusso dei ricordi sostituito da un infernale
vortice
di domande. Quei dubbi che mi hanno accompagnato per tutta
l’infanzia, quando
un assistente aveva paura anche solo toccarmi, e
l’adolescenza, quando spaccai
l’osso del collo a un mio commilitone con la forza della sola
mia mano sinistra,
sono tornati anche nell’età adulta. Proprio quando
iniziavo a credere di non
essere unico. Non sono più tanto sicuro
che sia stata una buona cosa
aver conosciuto i due banoriani. Loro non hanno fatto altro che
rafforzare i
miei sospetti, anziché fugarli. Inoltre, non riesco a
scrollarmi di dosso la
sensazione che qualcosa di terribile stia per accadere. O forse sta
già
accadendo, avviato da quegli eventi che sto raccontando proprio ora, a
cui non
sono stato in grado di riconoscerne l’effettivo pericolo.
Un urlo più forte degli altri mi
ridesta, ricordandomi di avere problemi molto più immediati
di cui tenere
conto. Mi faccio attento, ma solo gracchianti incitamenti arrivano alle
mie
orecchie. E’ ancora
presto…
Forse siamo solo al primo atto di
una storia di cui il finale risulta incerto. Questo fatto
m’inquieta, agitando
i miei sonni da incubi terrificanti, riducendo drasticamente le ore di
riposo. Fin
da bambino ho sempre saputo cosa avrei fatto nella vita, dove sarei
andato,
cosa avrei fatto, come mi sarei comportato. La vedevo sfilare davanti a
me ogni
giorno nella sua assoluta perfezione, come un ingranaggio ottimamente
oliato
all’interno di un meccanismo dalla precisione assoluta. Poi,
piano piano,
piccoli granelli di realtà hanno cominciato a incastrarsi
nei denti
dell’ingranaggio, causando dapprima lievi rallentamenti, fino
a sfociare in
veri e proprie disfunzioni. Mi sono arruolato in SOLDIER credendo che
sarei
morto esattamente come ero vissuto: vuoto e pieno di rimpianti. Ora, mi
sto
rendendo conto che, da quando ho permesso a questi granelli
d’inquinare i miei
ingranaggi, un meccanismo complementare si è avviato,
dirigendomi verso un
futuro diverso, ignoto. So, però, da cosa è
iniziato: fuoco. E’ questo
l’elemento portante di questa via. Come la dolcezza di quelle
labbra rosse; il
colore di quel kimono che fluttuava a ritmo di una melodia remota e
trasportante; la passione che mi ha consumato per mesi fino a sfociare
nella
notte più meravigliosa della mia vita; come i brucianti
sensi di colpa per aver
deluso ed abbandonato la donna che amavo e il figlio che portava in
grembo. Da
qui in avanti, la fiamma di quel fuoco sembra spegnarsi, gettando il
mio mondo
in un buio infinito; fino a che, prepotenti come lampi durante una
tempesta,
testardi banoriani irrompono, riportandomi alla luce. Ricordai il
calore e il
colore di quelle fiamme, le quali si presentarono a me in diverse
forme: tramonto
sullo sfondo del Sister Ray di Junon; Rapier infusa di mako; inferno
dentro cui
venni intrappolato; furia contro ragione; ira scatenata
dall’orgoglio ferito. Ci
volle il coraggioso intervento di Angeal per fermare la nostra follia.
Almeno
la mia, perché Genesis non aveva alcuna intenzione di
arrendersi e si scagliò
di nuovo contro l’amico. Stavolta, però, i suoi
intenti vennero bruscamente
bloccati. Fu un attimo, eppure mi sembrò che il tempo si
stiracchiasse, caricandosi
di una tensione di cui non seppi decifrarne il motivo. Vidi la lama
sanguigna
di Rapier brillare in tutta la sua bellezza, carica di mako e
disprezzo,
spezzare il debole acciaio della spada d’ordinanza brandita
da Angeal. Sentivo
che quell’azione avrebbe innescato una reazione a catena,
eppure non ebbi la
coscienza d’intervenire. Rimanemmo immobili a guardare la
lama spezzata
schizzare all’indietro e colpire Genesis tra capo e collo,
letteralmente. L’urlo
del rosso sembrò spezzare quell’incantesimo in cui
eravamo caduti. Mi resi
conto che la realtà era prepotentemente entrata nella
simulazione,
distruggendola. Era troppo tardi, anche se ancora nessuno dei tre ne
era
completamente conscio. In fondo, era solo un graffio. Quante volte era
capitato
di incorrere in ferite come quella, se non più gravi?
Ciò che più bruciava a
Genesis, infatti, era l’ennesima sconfitta per mia mano, ma,
come sempre, le
sue arrabbiature duravano meno di un battito di ciglia.
L’unico che sembrava
ancora oltraggiato dalla nostra irruenza –e dal fatto di
essere stati
richiamati dal Direttore in persona per rispondere della quasi completa
distruzione della Sala Addestramenti-
fu
Angeal, il quale per giorni ci tormentò con i soliti suoi
discorsi sull’onore,
la disciplina e i sogni. Dev’essere una
peculiarità banoriana ripetere i
concetti fino alla nausea.
Di nuovo, la ragazza di prima
interrompe il flusso dei miei pensieri, correndo rapida giù
dalle scale con un
secchio vuoto in mano. Rimpiombo di nuovo nella paranoia. Quanto tempo
ci vuole
ancora? Sembra che sia lassù da secoli. Vorrei placcare la
ragazza e
interrogarla, ma purtroppo non sarei in grado di capirla, in quanto
parla solo
una variante del wutaniano tipica della zona di Hourei. Un dialetto a me
completamente incomprensibile. Per quanto mi sforzi sembra
un’altra lingua.
Perfino Evelyn stessa spesso fatica a capire cosa dicono i suoi
compaesani. E
per l’ennesima volta in questa serata, la giovane scarrozza
un altro secchio d’acqua
fumante verso i piani superiori. Mi chiedo a cosa possa servire. Poco
prima di
scomparire al di là del soffitto, la fanciulla mi rivolge un
sorriso stanco.
Avverto il mio cuore perdere un battito. Forse ci siamo? O forse voleva
solo
rassicurami? Un brivido d’anticipazione mi scuote da capo a
piedi, presagendo
l’ennesimo moto d’agitazione. Manca davvero poco,
calcolo. E un’altra stretta
rinchiude il mio stomaco nella sua morsa. Le mani ricominciano a
tremare da
un’emozione che a fatica riesco a catalogare. No! Devo
calmarmi, resistere
ancora per qualche minuto. Mi affido ai miei ricordi, a ciò
che successe poco
tempo dopo quella maledetta simulazione.
Era stata una giornata infernale.
Non solo per il caldo asfissiante, come solo la terra inaridita e
l’acciaio di
Midgar sono in grado di donare, ma per averla passata a versare sangue
nelle
vie arrugginite e luride degli Slums. Mi si rivolta lo stomaco al solo
pensiero
dell’odore nauseabondo che si respira là sotto. Il
caldo, catalizzato
dall’acciaio e dall’asfalto proveniente dal Piatto,
rende quei luoghi
praticamente invivibili. L’aria è così
calda e pesante da rendere quasi
impossibile l’attività respiratoria. Molti anziani
e bambini, infatti, muoiono
ogni anno a causa di questo. La situazione è peggiorata
dalla realtà
igienico-sanitaria della zona. Niente fogne, niente cimiteri, animali
morti per
strada, topi ovunque. Condizioni disumane come poche ho potuto
incontrare nei
miei belligeranti viaggi. Nemmeno i soldati provenienti dalle campagne
non
hanno mai visto un’emergenza umanitaria di questa portata.
Oltre che uno
squallore simile. Si tratta di dignità. La gente degli Slums
vuole solo che la
Shinra si accorga della loro esistenza e del loro disperato grido
d’aiuto. Per
questo insorgono, nel vano tentativo di far ascoltare la propria voce.
Quando,
tuttavia, si ha un esercito di uomini, il cui cervello è
stato reso schiavo
dalla fame di distruzione, diventa facile fraintendere un grido
d’aiuto in un
atto d’offesa. E ora che l’ideologia di AVALANCHE
inizia a insediarsi nei cuori
sfibrati degli abitanti degli Slums la loro ritrosia sembra essere
aumentata
ancora di più, incendiata da estati sempre più
calde ogni anno che passa. Segno
inequivocabile che il nostro Pianeta sta lentamente morendo annegando
in un’agonia
infinita. Un’agonia che sembra aver colpito anche Genesis. Da
quando è stata
inferta, quella ferita non ha mai smesso di sanguinare. Il rosso ha
fatto di
tutto per nascondercelo, anche se avremo dovuto intuirlo dal colorito
pallido e
dal netto calo di prestazioni. Rientrava alla base sempre senza fiato,
svuotato
di ogni energia anche dalla missione più semplice. Diedi la
colpa al caldo,
burlandomi della sua delicata costituzione dovuta alla vita agiata
vissuta a
Banora. Era talmente debole da non avere la forza nemmeno di ribattere.
Piuttosto inusuale per lui, dal momento che ogni occasione era buona
per
attaccare briga, ma pensai che magari avesse imparato un po’
di umiltà, per una
volta. La verità, sfortunatamente, era ben diversa. Avevo
appena dato l’ordine
di raccogliere i caduti e i feriti che Angeal si diresse da me con
Genesis in
braccio. Mi accorsi appena del colorito mortalmente pallido della sua
pelle,
dell’angosciante e disperato movimento del petto e dei suoi
occhi spenti;
poiché la mia attenzione venne catalizzata
dall’enorme macchia di sangue
rappreso che dal polso destro si allargava fino alla spalla,
esattamente là
dove poco più di una settimana prima avrebbe dovuto quello
che il Comandante
definì un graffio. Uno squarcio enorme tagliava nettamente
quella pelle
normalmente candida e immacolata, dal quale una quantità
incredibile di sangue
usciva senza alcun freno. Pensai che lo avessero colpito nello stesso
identico
punto e molto più profondamente, ma i miei dubbi furono
sventati da rimasugli
di bende che circondavano il petto. Inoltre, i lembi della ferita
avevano
assunto un colorito insano, il quale cominciava ad espandersi ai
tessuti
vicini. Era un tipo d’infezione che, tuttavia, non avevo mai
visto. La pelle
sembrava squamarsi, raggrinzirsi, sfaldarsi come se si
stesse… degradando. Non
ebbi il tempo
d’indagare che Angeal mi riscosse ricordandomi che uno dei
miei due unici amici
stava morendo dissanguato sotto i nostri occhi. L’impotenza
di fronte alla
sofferenza fu un’agonia. Esattamente come questo momento.
Da quando sono diventato così
emotivo? Che fine ha fatto il mio disinteresse nei confronti di tutto e
tutti?
Forse è esattamente come dice Hojo: “
Ti sei rammollito, Sephiroth. Da
quando ti fai degli scrupoli per quei topi di fogna?”
Una volta tanto, le parole del
vecchio mi hanno aiutato a scoprire una verità su me stesso.
Mi sono reso
conto, infatti, di non più capace di uccidere freddamente
come un tempo. Che
fosse, soldato, vecchio o anche bambino, ai miei occhi non erano altro
che
carne da macellare. Erano solo sassolini che s’interponevano
tra me e la mia
missione. Poi le emozioni e il senso di colpa mi avrebbero tormentato,
ma solo DOPO
aver commesso quegli atti orribili. Ora, quel discernimento, quel senso
di
giustizia e pietà, a volte, viene a galla ben prime e blocca
la mia lama; le
preghiere disperate delle mie vittime raggiungono le mie orecchie e,
talvolta,
le esaudisco e risparmio loro la vita. E’ strano, eppure,
appagante. Forse
l’affetto degli amici e la prospettiva di un figlio in arrivo
mi hanno colpito
molto più in profondità di quanto pensassi,
aprendo una piccola frattura nella
mia prigione di ghiaccio. Posso a malapena descrivere lo strazio
nell’assistere
medici e infermieri militari gettarsi su Genesis nel disperato
tentativo di
salvarlo. Il momento peggiore fu quando lo dovettero defibrillare. Quel
corpo
s’inarcava e si alzava di qualche centimetro da terra, i
muscoli rigidi come
marmo, quel torace che non voleva saperne di muoversi. E di nuovo,
altre
scariche sempre più potenti, ennesimo ciclo di ventilazione.
Invani. Per un unico, terrificante
istante pensai: E’ morto.
Mi sentii
accartocciare, nauseato dal senso di colpa. Era colpa mia. Se mi fossi
controllato, se avessi ignorato le sue stupide provocazioni, se avessi
mostrato
la maturità degna del mio rango, nulla di tutto
ciò sarebbe successo. Guardai
Angeal accanto a me. Era inginocchiato a terra; il busto piegato in
avanti,
sorretto miracolosamente dalle braccia, le cui dita stringevano
convulsamente
la stoffa dei pantaloni della divisa. Credetti che l’avrebbe
strappata prima o
poi, dal momento che a un paio di colpi di defibrillatore avvertii
distintamente il tessuto sull’orlo del cedimento. Solo in
quel momento notai
del liquido calare sulla pelle dei guanti, lavando via il sangue.
Piangeva. Era
un genere di pianto che avevo visto tante, troppe volte nella mia vita.
Un
pianto a cui mai avrei creduto di esserne toccato. Mi guardai le mani
sporche
di sangue e un paio di lacrime caddero sul palmo destro, mentre la
sensazione
di essere risucchiato all’interno di un vortice pervadeva
ogni angolo del
corpo. Proprio quando credetti di crollare come Angeal, proprio
quest’ultimo mi
riscosse, chiamando l’amico d’infanzia. Riuscii a
malapena a vedere i suoi
occhi aprirsi per un attimo e guardarci. Mi sentii rincuorato
nell’accertarmi
che quella scintilla superba tanto odiata non si fosse spenta per
sempre. Ma
era debole, troppo. Non sarebbe rimasta a lungo tra noi, pensai. Provai
l’istinto di raggiungerlo e scusarmi con lui prima che fosse
troppo tardi, ma i
medici non persero tempo e lo trasferirono sull’ambulanza
diretta verso lo
Shinra Building.
Angeal ed io attendemmo notizie
all’esterno della sala operatoria per ORE. Ore interminabili,
durante le quali
nessuno ci sognò di dirci alcunché. Una scena
identica a questo esatto momento,
con l’unica differenza che in quell’occasione ho
costretto me stesso a
mantenere un ferreo contegno. Fu una tortura non poter scatenare tutta
quella
tensione; in quanto costretto a perseverare immobile, in silenzio, in
uno stato
di apparente calma. Non mi era concesso perdere il controllo, non con
un Angeal
così sconvolto al mio fianco. Ci mise un’ora buona
a riacquistare un minimo di
lucidità. Il resto del tempo lo passò a fare la
spola tra la parete di acciaio
del corridoio e il centro dello stesso, a fissare la luce rossa con la
scritta
bianca EMERGENCY affissa al di sopra dello stipite della porta; dove,
al di là
di essa, Genesis lottava tra la vita e la morte. Se le cose si fossero
volte al
peggio, era mio dovere essergli in un qualche modo di supporto, in
qualità di
amico e responsabile dell’accaduto. Quest’ultimo
pensiero continuò ad
accompagnarmi per tutte le lunghe ore di attesa.
SE fossi stato più indulgente.
SE fossi stato più attento.
SE fossi stato più previdente.
SE fossi stato più paziente.
SE… SE… SE…
SE… SE… SE!
Ero stato cieco e stupido e, per
colpa del mio orgoglio, non abbi il coraggio di ammetterlo con lui.
Sarebbe
morto senza sapere che, in fondo, io apprezzavo quell’impegno
tedioso e
asfissiante nell’aiutarmi a esprimere i miei sentimenti.
Senza volerlo, lo
ammetto, lui mi stava rendendo un uomo normale.
Solo in quel momento
realizzai la grandezza dei suoi piccoli e irritanti gesti, dei suoi
plateali
capricci, delle sue continue frecciate. Ha reso la mia vita piena e
inaspettata
senza che me ne rendessi conto, troppo accecato dalla mia superbia. In
quel
momento, ho capito: non sono solo io a dover cambiare il mondo, ma devo
anche
permettere al mondo di cambiare me. Io
non sono solo. Quante volte mi è stato ripetuto,
ma dal basso della mia
autocommiserazione non volevo ammetterlo! Genesis, Evelyn, il
Professore,
Aerith, per citare i più importanti, ma io non ho mai colto
i loro
insegnamenti. Troppo testardo per ammettere i miei tormenti e troppo
superbo
per accettare consigli. E piano piano li stavo perdendo tutti. Non
potevo
permetterlo. Ho sofferto troppo e troppo a lungo per lasciarmi sfuggire
quest’agognata felicità. Sarà anche
un’illusione, un’effimera e transitoria fase
e il Fato, il Destino, la Predestinazione, gli Esper, il Karma, o chi
per loro,
possono anche portarmela via nel modo più doloroso
possibile; ma è sempre
meglio che fingere che non ci sia mai stata. Quando morirò,
almeno, non avrò
rimpianti e potrò dire di aver combattuto, di aver avuto un
onore. Quell’onore
di cui Angeal tanto farfuglia, di cui il piccolo Fair sembra farne una
nuova
lezione di vita, di cui i Wutai ne hanno fatto la loro bandiera, lo
volevo
avere anch’io. Ma non come eroe, o come soldato;
bensì come uomo. L’uomo
che Evelyn si meritava, l’uomo che avrebbe cresciuto quel
bambino, l’uomo che
si sarebbe preso le sue responsabilità.
Fu lì, nella tensione di
quell’attesa, che presi la decisione di tornare a Wutai per
riprendermi la
donna che amavo. All’improvviso, non
m’importò più nulla dei rischi, dei se
e
dei ma che da mesi m’inchiodavano, delle terribili
verità che stavo scoprendo
circa il Progetto G e le mie origini. No, questi erano dettagli di una
vita che
stava passando in secondo piano. Improvvisamente, SOLDIER non era
più sinonimo
di “casa”. Anzi, mi sono accorto che non lo era mai
stato. Mi sento più a casa
qui, in un Paese che mi odia, anziché in una
città che mi idolatra. Quella
gente, tuttavia, non vede null’altro che una corazza creata
per difendere la
mia famiglia, gli unici esseri umani che contano su questo miserabile,
marcio,
morente Pianeta. Basta essere un Eroe, un soldato perfetto, un modello
da
imitare. Evelyn ha ragione, Genesis ha ragione, Aerith ha ragione, il
Professore aveva ragione: io non sono quel facciotto falso e ipocrita
appiccicato su un poster. E lo dimostrerò! Il sacrificio del
rosso non sarà
vano. Avrei vissuto anche per lui,
decisi, nell’istante in cui credetti che sarebbe morto.
Fortunatamente, egli
sopravvisse, tuttavia, come dimostra la mia presenza qui in questa
notte di
urla e sangue e attesa, ciò non fermò i miei
intenti. Ho avuto una seconda
possibilità, sarebbe stato sciocco sprecarla. Anche se,
questa piccola vittoria
non ho potuta apprezzarla appieno, a causa dell’entrata in
scena di un altro
protagonista delle mie indiscrezioni: il professor Hollander.
E’ stato il suo
intervento a salvare la vita al Comandante di Banora, ma quello che mi
ha
colpito non sono state le sue capacità mediche.
Il suo nome svettava su ogni
cartella clinica dei due banoriani. E in nessun’altra. Questa
fu una delle
stranezze che più mi stupì, oltre a rivelare un
dettaglio a cui non feci mai
caso. Avevo sempre creduto che, ad esempio, Hojo sottoscrivesse esami e
visite
ad altri membri SOLDIER, all’infuori del sottoscritto; invece
la sua firma è
SOLO nelle mie cartelle. Esattamente come Hollander. Per questo non
l’avevo mai
sentito nominare, se non per vie traverse: lui non si era occupato di
nessun’altro. Come se noi tre fossimo un’esclusiva.
I giocattoli dei capi del
Reparto Scientifico, con cui trastullarsi per sfogare le loro manie
d’onnipotenza. Io non conosco Hollander a fondo, ma credo che
questo discorso
valga anche per lui. Angeal e Genesis sono i suoi pupilli, i suoi
preziosi
trofei. E io ne ho ferito uno. Mi disprezza per questo. Lo potevo
vedere ogni
qualvolta egli m’incrociava nei corridoi o al capezzale di
Genesis, ben
nascosto dietro una maschera di neutra professionalità. Non
mi permise nemmeno
di rimediare al danno causato, quando mi offrii per
l’esecuzione della
trasfusione che avrebbe salvato la vita al Comandante. Avevamo lo
stesso gruppo
sanguigno, avevo controllato, ma lo scienziato mi disse che non ero
compatibile. Non aveva senso… Era solo sangue. Di cosa aveva
tanta paura? Quella
domanda mi tormentò nei giorni successivi a
quell’evento; tant’è che, tra una
missione e una visita al rosso, mi rinchiudevo negli archivi della
Shinra a
scartabellare plichi, documenti riservati, files protetti, alla stregua
di una
spia industriale. Tra la miriade di segreti e nefandezze che la
Compagnia ha
cercato d’infangare in quel mondo polveroso e insano, un
inquietante quadro
sembra emergere da quei fogli. Non so bene cosa di preciso, ma
più scopro, più
vorrei fermarmi. Ho una brutta sensazione a riguardo. Sento di stare
imboccando
un sentiero molto pericoloso. Un sentiero che potrebbe cambiare o
distruggere
la vita di molti. Inoltre, ho scoperto di non essere l’unico
ad essere affamato
d’informazioni. Un giorno, ero alla ricerca di una serie di
documenti
riguardanti gli studi sull’infusione di mako negli esseri
umani, quando la
segretaria addetta all’archivio si lasciò scappare
che non ero il primo a
ricercare quegli articoli. Stupito, le chiesi di riferirmi il nome del
mio
predecessore.
“Il
Comandante Rhapsodos, signore. Mi ha chiesto di ricercare gli
articoli riguardanti la correlazione tra mako e degrado dei tessuti,
qualche
giorno prima del suo incidente. Non sono molti e alcuni purtroppo sono
inaccessibili con la vostra chiave di sicurezza, ma, se lo desidera,
Generale,
vi consegno lo stesso materiale che ho dato al Comandante.”
La maggior parte di quegli
articoli trattava di sperimentazioni molto vecchie, effettuate su
animali o
piante, a parte un paio, compiute rispettivamente da Hojo e Hollander.
Entrambe
riportano lo stesso anno di pubblicazione, differenti solo di pochi
mesi, come
se cercassero di prevaricarsi l’un l’altro a suon
di risultati scientifici. Ciò
che più mi turba, tuttavia, è il periodo dove
questi studi stavano iniziando a
prendere piede: 30 anni fa, ossia poco prima delle nostre nascite.
La prima di una serie di
coincidenze capace di nausearmi.
Sono tornato in quell’archivio e,
con la scusa di consultare vecchi rapporti, sono stato in grado di
reperire una
lista completa degli articoli redatti dai due più importanti
esponenti del
Reparto Scientifico, la cui posizione sembra tutt’altro che
immeritata. Forse
sono tutte mie supposizioni, ma negli anni precedenti alla nostra
nascita, quei
due, assieme a Gast e a un certo Grimoire Valentine, hanno lavorato a
qualcosa
di gigantesco: una promessa d’imperitura gloria per la
Compagnia. E il
raggiungimento di un luogo chiamato “Terra
Promessa”.
Dove ho già sentito questo nome?
Purtroppo, la mia ricerca ha dovuto
subire un necessario arresto. Oltre al tempo sempre più
esiguo a cui potevo
dedicare a quella forsennata ricerca – rubato dai preparativi
per la partenza
per Wutai e le condizioni in miglioramento di Genesis- , un fatto
decisivo ha
decretato la temporanea fine delle indagini: un sospetto spostamento
dei dati
su un database più sicuro avvenuto immediatamente dopo la
piccola sortita in
quell’archivio. La causa ufficiale sembra riferirsi alla
presenza di una spia
Wutai infiltrata tra i dipendenti della Shinra, ma sono pronto a
scommetterci
che il vecchio pazzo non ha gradito la mia iniziativa. Per quanto possa
essere
stato attento, Hojo ha un talento innato nel capire quando sono alla
ricerca
della verità. Anche se credo che questa
“premura” non sia stata causata
esclusivamente dal sottoscritto. Credo che Genesis stesso, nel
tentativo di
capire cosa stesse succedendo al suo corpo, abbia fatto scattare il
campanello
d’allarme nella contorta mente del vecchio. A questo punto,
mi chiedo: li avrà
lasciati apposta questi materiali o non credeva che la mia
curiosità potesse
davvero spingermi così oltre? Lui mi conosce molto bene, SA
di che cosa sono
capace, quindi mi viene da pensare che questa
“dimenticanza” sia proprio da
definirsi tale. Un errore grossolano di un indegno avversario. E solo
un nome
mi ronza per la testa:
Hollander
1° Ottobre XXXX, mattina
Ho lasciato il discorso a metà,
perché un evento fin troppo atteso ha fatto irruzione nella
bolla di paranoia
in cui stavo affondando pian piano.
E’ nata.
Takara
La mia… no, la NOSTRA bambina. E,
come indica anche il nome voluto da Evelyn, il nostro tesoro. Sono
corso
trafelato al piano di sopra appena ho udito il suo squillante richiamo.
Per
poco non travolgevo la ragazza che stava per scendere a darmi la
notizia.
Evelyn era adagiata sul letto, esausta, scarmigliata e sudata.
C’era un forte
odore di sangue nella stanza, pungente, penetrante; tuttavia diverso a
quello a
cui sono abituato. Non era ferrigno, stantio, nauseabondo.
Era… fresco,
fruttato. So che può sembrare stupido definire il sangue
fruttato, ma
quell’aroma non saprei come altro definirlo. Il frutto
dell’amore
incondizionato fra due persone era nato, per cui definirei
quest’aggettivo
assolutamente legittimo.
Oltre il sangue e le urla, c’era
LEI. Quel minuscolo adorabile fagotto paonazzo. Strillava infuriata,
imperiosa,
agitando i pugnetti e i piedini all’aria, come se stesse
lottando. Natsu ha
detto che la piccola ha una voce decisa, che non lascia repliche. Da
chi avrà
preso?
Alzai lo sguardo verso Evelyn e
il suo viso, nonostante fosse tirato e sconvolto dallo sforzo, mostrava
il
sorriso più bello che avessi mai visto. Ogni suo poro
trasudava soddisfazione.
Avere dei figli era il suo più grande desiderio e, ora, quel
desiderio è qui,
respira… vive.
L’ha stretta forte a
sé, mentre lacrime di gioia le solcavano le guance, per poi
lasciandole un
delicato bacio sulla fronte. Poi guardò me…
Quello sguardo non potrò mai
dimenticarlo: non ho mai visto i suoi occhi risplendere così
intensamente,
ringraziandomi silenziosamente dal più profondo del suo
cuore, pieni di
fierezza. Era felice. Felice come non l’avevo mai vista.
Avvertii del calore
diffondersi dal petto, fino ad inondare ogni singola parte del mio
corpo. I
miei occhi pizzicavano e i lati della mia bocca si arricciarono ben
oltre il
solito limite. Sorrisi a trentasei denti, senza nemmeno accorgermene,
come se
fosse l’azione più normale del mondo. Ero
euforico, stordito dagli ormoni e
dalle emozioni più intense della mia vita. Per un momento mi
scordai di tutto,
del Progetto G, dei dubbi sulla mia origine, degli strani cambiamenti
di
Genesis dopo il suo ricovero. Non c’era più niente
che contasse ai miei occhi,
né la guerra, né la Compagnia. Avevo occhi solo
per loro: le mie donne, la mia
famiglia… Allargai le braccia e le avvolsi nella mia
stretta, come per
proteggerle. Bacia sulla fronte Evelyn e accarezzai la guancia piena e
morbida
di nostra figlia.
E’ così bella, come sua madre;
anche se Natsu dice che assomiglia di più a me. E’
da qualche minuto che la
studio e devo ammettere che il disegno delle labbra è molto
simile al mio. Non
so perché, ma ciò mi riempie di fierezza, sebbene
sia strano vedere i propri
tratti su un’altra persona. E’ qui che ci si rende
conto che quella creaturina
è TUA. Sono stato io a donarle quelle labbra, sulle quali
non vorrò mai veder
svanire il sorriso. E’ una sensazione così strana:
non so niente di questa
bambina, non so che donna diventerà, cosa ne farà
della sua vita, che carattere
abbia, quali siano i suoi gusti; eppure la amo con tutto me stesso. Il
solo
pensiero che mi venga portata via mi devasta. E non solo lei, ma anche
sua
madre. Tutto ciò che ho creato non verrà
distrutto. Questa volta non ho
intenzione di arrendermi così facilmente. Ho
troppo da perdere.
La piccola mugola e arriccia la
boccuccia, creando un’adorabile espressione imbronciata, per
poi mutare
rapidamente in un solare sorriso. Per poco non mi scappa da ridere nel
vedere
le sue gengive sdentate, anche se una stretta allo stomaco per poco non
mi
mozza il fiato. E’ la stessa sensazione che mi assale quando
sua madre sorride.
Vuol dire solo una cosa: innamorato. Ed è vero, io amo mia
figlia, tanto che a
fatica reprimo la voglia di prenderla in braccio.
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- E quale sarebbe questo “ultimo
sacrificio”? –
Lo spettro chiude gli occhi e
prende un profondo respiro. Ho la netta sensazione che ciò
che sta per
proferire non mi piacerà.
- Liberare il potere racchiuso in
mia figlia. E l’unico modo per farlo
è…-, s’interrompe un attimo, durante il
quale Evelyn sembra stai cercando di trovare il coraggio di proferire
quella
terribile e spaventosa parola
-…ucciderla.
–
“When the war
of the beasts brings about the world's end,
The goddess
descends from the sky.
Wings of light
and dark spread afar.
She guides us
to bliss, her gift everlasting. “
[Quando la guerra delle bestie
porterà la fine del mondo,
la Dea scenderà dal
cielo.
Ali di luce e oscurità
si
dispiegheranno.
Ella ci guiderà verso la
felicità,
il suo dono eterno.
LOVELESS, Prologo]
Le parole di LOVELESS mi rimbombano
nella mente, recitate da un eco lontano proveniente dai ricordi flebili
di
Sephiroth. Assieme ad esse, una morsa gelida attanaglia le mie membra
al solo
pensiero di quella sentenza orribile.
Il suo dono eterno… il sacrificio
alla fine del mondo…
Anche se si tratta della figlia del
mio peggior nemico… Io… non posso… Non
dopo aver provato quelle sensazioni e…
visto questo disegno.
Non
posso…
Salve belle signore!!! Eccomi di
ritorno con un capitolo super super super lungo e… in
orribile ritardo, come al
solito. Purtroppo di ritorno dalla Turchia il tempo a disposizione
è calato
parecchio, a causa di un’altra imminente partenza per un
luogo un po’ più
freschino: le Falkland!!!! Partirò a fine Agosto e
starò là per ben 6 mesi!
Laggiù avremo un internet a pagamento, quindi non
sarò completamente isolata,
però il tempo libero sarà veramente misero
rispetto alla Turchia, in quanto si
tratta di un progetto già ben avviato e una tabella di
marcia bella precisa,
per cui temo proprio che non riuscirò nemmeno a scrivere. Ci
proverò cmq.
Cercherò d’impegnarmi anche a lasciare un altro
capitolo prima della mia
partenza e magari pubblicare poi da là, così da
non lasciarvi con mille
rivelazioni sconcertanti senza alcuna spiegazione. Ma non ve lo posso
promettere! Io m’impegnerò, giuro!
Bene, bene. Insomma, un capitolo
pieno di flashback, questo. Come avrete notato, Evelyn sta diventando
un’entità
a sé, con uno spazio tutto suo. Non è
più un punto differente della stessa
situazione, ma un approfondimento di ciò che il diario e il
chokobo non possono
aggiungere da soli.
Poi si passa al fatidico
incontro e tutte le scottanti rivelazioni che il nostro Gastenobi (?)
così
gentilmente ci concede J
Sephera?, direte. Già,
è un’idea che mi è venuta leggendo
qualche fic qua e là e, forte del detto “il
mondo è bello finché vario”, ho detto
“perché no?”. Ci può stare
che certi
Cetra possono aver condiviso le idee di Jenova per poi rimanere
fregati,
naturalmente.
Ebbene sì, l’antenato di
Evelyn
è colui che sconfisse Jenova. E ho creduto opportuno che
avesse l’aspetto del
nostro chokobo (eh sì, il Pianeta fa i suoi eroi con lo
stampino XD). Ma riuscirà
a compiere l’impresa affibbiatogli da Evelyn? E voi vi
chiederete, ma perché?
Che diavolo le salta in testa??? Naturalmente, dietro
c’è un chiaro e ben
definito (?) ragionamento! Più o meno. Forse. XD No, dai,
scherzo, diciamo solo
che è ora di finirla con questa guerra.
Con Seph siamo un po’ indietro e
devono accadere ancora un bordello di cose, spero di riuscirle a
toccarle
tutte, prima che il chokobo ci rimanga secco. Sicuramente le
toccherò tutte,
spero solo di non farle troppo sbrigative. Come il suo lato teneroso,
ma per
quello ho in mente un altro modo per mostrarvelo, nel prossimo
capitolo. Perché
credo che delle sensazioni così profonde è
difficile metterle su carta e uno
come Seph, un po’ impedito con queste cose (EHI! ndSeph), non
riesce a tirarle
fuori a parole, ma a gesti. E poi la voglia di cullare la sua bambina
è ben più
impellente che stare lì a scrivere come un imbecille
(Ebbasta!!! *estrae la
Masamune e per poco non mi fa uno scalpo*ndSeph, Okokokokokokokokok!!!
ndFortiX, Ma che sei un chokobo? ndCloud, ha parlato -.-‘
ndFortiX), ecco…
Cerchiamo di essere logici!
E alla fine… *sospiro
esasperato* ho messo un pezzo di LOVELESS. Ho provato ad evitarlo come
la
peste, perché mi viene da impiccarmi tutte le volte che ne
sento anche una sola
parola (addirittura mi ero inventata una profezia), ma alla
fine… mi sono
dovuta arrendere! E’ un pezzo importante della storia di
FFVII e non potevo
ignorarlo. Non più almeno. Spero che sia il primo e
l’ultimo -.-‘
Bon, spero di avere risposto
alle domande più immediate!
Alla prossima!
Besos