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Autore: Sandra Prensky    29/06/2015    4 recensioni
Ahia.
L'unica cosa che sembrava avere un senso compiuto nel marasma che regnava nella sua testa. Non c'era un solo millimetro del suo corpo che non le dolesse, che non sembrasse andare a fuoco.
Qualcuno faccia smettere quel fischio, pensava. O era solo nella sua testa? Le lacerava i timpani. Voleva solo tornare nell'oblio, dove non avrebbe sentito tutto quel dolore. La sua mente era vuota, non riusciva a formulare dei pensieri di senso compiuto, ma non le importava. Non le importava sapere chi fosse, dove si trovasse, cosa ci facesse lì o cosa fosse successo. Voleva solo che tutto finisse.
Genere: Azione, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clint Barton/Occhio di Falco, Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Appena smise di vederci doppio e sfocato cercò di capire quante ferite avesse e quanto fossero gravi. Sapeva già di quella alla testa, che probabilmente era la ragione principale di tutta quella confusione e anche della difficoltà nei movimenti. Non sapeva quanto fosse grave, ma continuava a sanguinare. Aveva graffi sparsi su tutto il corpo ed era completamente coperta di calce. Si accorse di fare ancora più fatica a muovere la gamba destra. Con estrema difficoltà la girò e notò una ferita che andava dalla coscia fino a sotto il ginocchio. La esaminò un attimo. Era piuttosto profonda. Sospirò. Non sapeva cosa fare, intorno a lei non c'era nessuno. E anche ci fosse stato qualcuno, come faceva a sapere se fossero nemici? Non aveva niente per ridurre l'afflusso di sangue ed era ancora troppo debole per alzarsi. Riusciva a mala pena a stare seduta. Sospirò. Tornò a pensare ai pochi ricordi che aveva. Quindi era anche lei un'agente dello SHIELD. Perchè ci avevano messo un anno prima di fidarsi di lei? Perchè a Budapest stava sparando contro gli agenti, perchè avevano mandato Clint per ucciderla? 

 

 

 Scese dal quinjet insieme agli altri agenti. Sorrise vedendoli rabbrividire dal freddo. Lei era abituata alle rigidissime temperature della Russia d'inverno, e la temperatura che c'era al momento era ancora niente.  

"Romanoff, sei fatta in titanio, non c'è altra spiegazione." Clint comparve al suo fianco, tremando lievemente. Lei in tutta risposta gli rivolse un'occhiata divertita. Nevicava fitto, e i bianchi fiocchi di neve si adagiavano sui suoi capelli rossi. 

 "Meglio mettersi in movimento, prima che diventi un ghiacciolo vivente." 

"Quanto la fai lunga, Barton."Si misero in cammino verso le coordinate che Fury aveva loro fornito, lei in testa al gruppo. Doveva fermarsi continuamente ad aspettare gli altri, più lenti di lei a muoversi sulla neve.Guardandosi intorno, ebbe la strana sensazione di essere già stata lì. Scosse la testa. Doveva essere solo suggestione, in Russia i paesaggi sotto la neve da quelle parti si assomigliavano.Da dove si trovava si vedevano le figure degli edifici di Volgograd stagliarsi all'orizzonte. Volgograd. Faceva ancora difficoltà a non chiamarla Stalingrado. Certe abitudini sono dure a morire. Forse era probabile che lei fosse già stata da quelle parti. Aveva vissuto per tanto tempo a Stalingrado. Si girò e vide che i suoi compagni l'avevano quasi raggiunta. Sospirò e riprese a seguire le coordinate. Nessuno di loro sapeva cosa volesse dire per lei ritrovarsi lì. Non aveva raccontato del suo passato a nessuno, nemmeno a Clint, sebbene talvolta avesse provato il desiderio di farlo. Più andavano avanti a camminare, più la sensazione di familiarità cresceva. Nevicava sempre più fitto, la neve andava subito a coprire i solchi lasciati dalle loro scarpe sul manto che già era presente. La visibilità era piuttosto ridotta, si faticava a vedere oltre i due metri dal proprio naso. Per questo vedere dove conducessero le coordinate la spiazzarono. Era una villa. Era grande ed elegante. Ma non per lei. Lei ci vedeva solo una cosa: quella era la villa dove era cresciuta. Quella era la sede della Stanza Rossa.

 "Nat, stai bene?" Si girò e trovò Clint che la guardava preoccupato. Si accorse di essersi fermata di colpo davanti alla villa, e probabilmente era anche impallidita. Cercò di riscuotersi al meglio che poteva. 

"Certo, tutto bene" Gli rivolse un sorriso tirato, che sperava assomigliasse il più possibile a uno vero. Se mai avesse deciso di raccontargli la verità, non era quello il momento. Ricontrollò le coordinate, sperando di aver sbagliato qualcosa. Imprecò tra sè e sè. Fece un sospiro profondo, e seguì i compagni che avevano già sfondato la porta. 

"Fury cosa vuole che facciamo qui?" Chiese sottovoce a Clint, cercando di evitare che le si incrinasse la voce. 

"Pare che abbiano trovato indizi su un progetto che veniva attuato a inizio secolo. Una cosa crudele, credo che si addestrassero bambini a diventare assassini. Quasi impossibile immaginare cosa voglia dire essere nei loro panni, vero?"Lei non rispose e si guardò intorno, inquieta. Era tutto esattamente come se lo ricordava. 

 "E comunque credo gli servano più informazioni. Tu non ne sai niente, vero?" Continuò lui. Di nuovo ignorò la sua domanda, e si diresse verso la sala. I ricordi del suo passato l'assalirono con violenza, quei ricordi contro i quali lottava ogni giorno per tenerli nascosti a tutti, anche a se stessa. Si rivide anni prima, da piccola, a ballare in quella stessa stanza. Rivide il suo maestro, rivide le compagne. I duri allenamenti, tutto ciò che era successo prima che volessero farla diventare una Vedova Nera. 

"Natasha!"Si girò di scatto verso Clint."Nat, è la quinta volta che ti chiamo. Sei sicura di stare bene?"Prima che lei potesse rispondere un agente arrivò dicendo di aver trovato qualcosa. Clint le lanciò un'occhiata che aveva tutta l'aria di significare "Ne riparliamo dopo" e poi seguì l'agente. Lei non era sicura di voler andare. Credeva di sapere perfettamente cosa avesse trovato quell'agente. Incerta, decise di seguirli. Cosa poteva esserci di così male? Lo rivedeva comunque ogni notte, ritrovarcisi davanti dal vivo non poteva essere tanto peggio. Presero una porta che conduceva a un piano sotterraneo. Si ritrovarono in un corridoio pieno di stanze. Sapeva dire perfettamente cosa ci fosse in ognuna di quelle senza bisogno di aprire nessuna porta. Molte erano solo sale vuote dove ci si poteva allenare nel corpo a corpo. Un'altra era piena di bersagli, che potevano essere colpiti con qualsiasi arma: pistole, coltelli, anche frecce. E quella verso la quale si stava dirigendo Clint... A stento si trattenne dall'urlargli di non aprire quella porta. Quella era la stanza dove si teneva la cerimonia di laurea e dove si svolgevano tutti gli esperimenti. Lì lei aveva dovuto uccidere per la prima volta, lì avevano fatto tutti i test su di lei. Lì Natasha Romanoff era definitivamente scomparsa per fare posto alla Vedova Nera. Seguì gli altri agenti in silenzio, cercando di tenere il respiro regolare. Li vide che esaminavano i lettini, gli attrezzi da lavoro come se stessero tenendo in mano degli oggetti dai laboratori dello SHIELD. Loro non avevano idea delle atrocità accadute in quella stanza. L'unico che sembrava capire la gravità di ciò che poteva essere successo in quella stanza era Clint, che si aggirava inquieto. Lo osservò per un po', da lontano, fino a quando lo vide avvicinarsi a una porta, quasi nascosta nella parete. Si stranì, non se la ricordava. Decise di farsi coraggio e avvicinarsi a lui. 

"A cosa ti serve una stanza segreta, se stai lavorando nel piano segreto di una villa segreta?" Chiese lui, più a se stesso che non a lei. Dopo un po' di tentativi riuscì ad aprire la porta e lei lo seguì all'interno. Era una stanza spoglia, fatta eccezione per una sedia e un piccolo schermo. Lei si avvicinò alla sedia, e notò delle cinghie sui braccioli. Sentì Clint dietro di lei che si avvicinava allo schermo. Pigiò un pulsante e lo schermo si accese. 

"Questa roba funziona ancora? Davvero?"Ma lei non badò a lui. Sullo schermo erano comparse delle ballerine durante delle prove. Quando comparve il maestro, notò una spiccata somiglianza con il suo. Un dubbio orrendo la assalì. Continuò a guardare, per accorgersi che il maestro era effettivamente il suo. Tornò a girarsi verso la sedia, e capì con orrore nello stesso momento in cui iniziò a ricordare. Ricordava di essere stata chiusa lì, legata alla sedia. Ricordava di essere stata costretta a guardare quei filmati. Ricordava un uomo dietro allo schermo, che continuava a parlarle lentamente mentre faceva girare un anello sul proprio dito. Portò le mani alla testa. I ricordi delle uniche cose buone successe nella sua infanzia, prima dell'addestramento nella Stanza Rossa, erano tutti fasulli. Clint si girò verso di lei e le disse qualcosa che lei non sentì. 

 "No.." mormorò. "No no no no no!" Ripetè, la voce che si alzava sempre di più. Corse fuori dalla stanza, fuori dal corridoio, fuori dalla villa. Si ritrovò di nuovo all'aria aperta, la neve che cadeva sempre più fitta. Girò su se stessa, spaesata, senza veramente vedere ciò che aveva davanti. Di colpo, ricominciò a correre. Verso cosa, non lo sapeva. Correva solo, sulla strada, tra gli alberi, senza fare attenzione alla neve che diventava scivolosa sotto di lei. Dopo aver corso per circa venti minuti, si fermò e cadde sulle ginocchia, ansimante, lo sguardo vacuo. Sentì distrattamente dei passi dietro di sè. 

 "Poi mi spieghi come fai a correre così veloce anche sulla neve, Romanoff. Ho rischiato di rompermi il collo una decina di volte." Clint si sedette accanto a lei con il fiatone, ma lei non diede segno di accorgersene. Restarono un po' fermi, in silenzio, a riprendere fiato. Appena fu in grado di respirare normalmente, Clint si piazzò davanti a lei e le prese il viso tra le mani per costringerla a guardarlo. 

"Nat, si può sapere che diavolo ti è successo? Non ti posso aiutare se non mi racconti niente... Ancora non riesci a fidarti di me?" 

"Sei l'unica persona di cui mi sia mai fidata Clint." Riuscì a mormorare dopo un po' 

"E allora per favore, raccontami tutto." 

"E' una storia lunga. Molto lunga." 

"Beh, allora sarà meglio che inizi a parlare subito, oppure quando avrai finito sarò completamente ibernato."

Lei lo squadrò per un attimo. Non lo aveva mai raccontato a nessuno. Però Clint se lo meritava... E ciò che aveva detto era vero, era l'unica persona di cui lei si fosse mai fidata. Sospirò e iniziò a raccontare. Gli disse tutto. Gli disse la sua vera età, e gli raccontò dei sieri della Vedova Nera della Stanza Rossa, quelli che rallentavano l'invecchiamento e irrobustivano il corpo. Gli disse della danza, e di come avesse appena scoperto che erano ricordi fasulli. Gli disse dell'addestramento nella Stanza Rossa, del programma Vedova Nera. Gli disse della cerimonia di laurea, della sterilizzazione, dei suoi primi incarichi, del KGB, della figlia di Dreykov, di San Paolo, dell'incendio all'ospedale, gli disse tutto quello che poteva fino alla missione a Budapest. Gli disse tutto ciò che non aveva mai condiviso con nessuno, tutto ciò che si era tenuta dentro per anni, mentre la neve continuava a scendere su di loro. Lui ascoltò tutto in silenzio, con attenzione, senza mai interromperla. Quando lei finì la osservò a lungo. Poi scrollò le spalle. 

"Natasha, se prima pensavo che fossi la persona più forte che avessi mai incontrato ora sei riuscita a superarti." Senza aggiungere altro, si avvicinò a lei e la abbracciò. Lei rimase un attimo rigida, stupita da quella reazione. Poi si sciolse nell'abbraccio, e lasciò che le braccia dell'arciere la stringessero. Quando era stata l'ultima volta che qualcuno l'aveva abbracciata così? Solo allora si accorse di quanto ne avesse avuto bisogno, come una bambina piccola che aveva appena avuto un incubo. Peccato che il suo incubo fosse la vita reale. Chiuse gli occhi, e adagiò la testa sul petto di Clint. Restarono fermi così per diverso tempo, in silenzio, la neve che continuava ignara a cadere, facendo loro da sfondo.     

   
 
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