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Autore: _Krzyz    29/06/2015    1 recensioni
"Ogni persona ha dei segreti."
Qualcosa di prezioso, di personale, scheletri chiusi a chiave in armadi inesistenti. Ogni persona ha una storia alle spalle , una storia che non si può conoscere. Ma basta una parola, una parola per conoscere le vite degli altri. Una parola che può aprire un mondo e distruggerne un altro.
Una parola sussurrata in punta di piedi.
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Raccolta di One - shot, per raccontare le storie di quei personaggi che una storia non ce l'hanno :)
[Il rating potrebbe variare; spoiler!]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC, Raccolta | Avvertimenti: Spoiler!
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Cellar Door – [letteralmente] la porta della cantina [espr.] dal 1903 considerata
a livello estetico la più bella espressione della lingua inglese


La Porta della Cantina 


Quante cose si possono nascondere dietro la porta della cantina. Qualcuno ci mette dentro vecchi mobili, oramai antiquati e tarlati; qualcun altro ci mette le marmellate, le conserve, il vino a decantare; altri ancora ci mettono i vestiti dei bambini che sono cresciuti, lasciando le piccole magliette a impolverarsi. Dietro la porta della cantina della casa di Peter però non c’era nessuna di queste cose.

Sua madre, prima di decidere che la verità era da preferire ad ogni altra cosa, era stata un’Abnegante. Era una donna severa, che perseguiva strenuamente le proprie convinzioni ed educava il figlio in maniera austera. Fin da quando era piccolo Peter era stato abituato a non disobbedire mai agli ordini dei genitori, e fra questi vi era il divieto assoluto di entrare in alcune zone della casa. La prima zona era la lavanderia, poiché si sarebbe potuto fare male toccando l’asciugatrice bollente o rovesciandosi addosso prodotti chimici per la pulizia domestica. La seconda zona era lo studio del padre, ricolmo di pratiche burocratiche estremamente importanti che avrebbe potuto danneggiare giocando o disegnandoci sopra. La terza zona era la cantina. La mamma non voleva che ci entrasse perché diceva che avrebbe potuto scivolare sui gradini ripidi, o si sarebbe potuto chiudere dentro per sbaglio. A Peter questa motivazione era sempre sembrata poco esauriente: lui era un ragazzino molto curioso, dirgli che non poteva fare qualcosa perché non poteva e basta gli dava fastidio. Avrebbe voluto guardare oltre la porta per vedere quali cose strane avrebbe potuto trovare, voleva scoprire cosa c’era di tanto speciale nella cantina. Tuttavia, Peter aveva sempre rispettato le regole dettate dai suoi genitori, senza trasgredire nemmeno una volta, per timore o per pigrizia. Fino alla primavera dei suoi nove anni.
Era tornato  da scuola, i suoi genitori non erano in casa. Era una cosa molto comune, assorbiti com’erano dal loro lavoro di rado si facevano trovare a tavola per l’ora di pranzo. Fuori c’era il sole e non era troppo caldo, ma lui non aveva voglia di scendere a giocare con gli altri bambini Candidi. Per un po’ guardò la televisione, poi si spostò  in terrazzo con gli occhiali da lettura di sua madre, divertendosi a bruciare le formiche. Un raggio di sole canalizzato attraverso quei piccoli pezzi di vetro diventava così potente da poter carbonizzare un esserino nel giro di pochi secondi. Era questo che facevano i desideri: in un attimo bruciavano tutti i limiti che venivano imposti, ogni divieto, ogni briciola di buon senso. E Peter quel giorno desiderava aprire la porta della cantina. Scese i gradini calibrando ogni singolo passo, per evitare di cadere; li contò tutti, erano tredici.  Eccola li, di fronte a lui, bianca come tutte le altre porte della sua casa, di legno laccato con la maniglia in acciaio lucido. Girò la chiave nella toppa, mentre un fremito gli correva lungo la schiena.
Dietro la porta della cantina non c’era niente. Un parallelepipedo di cemento leggermente interrato con due lampadine che pendevano dal soffitto, questa era la cantina della casa di Peter. Nessun cimelio di epoche passate, nessuno scatolone da aprire, nemmeno le vecchie pratiche del signor Hayes, nulla. Era vuota, perché i suoi genitori non avevano nulla da nascondere. Le scarpe del ragazzino lasciavano una scia di impronte nella polvere, sollevando una nuvoletta ad ogni passo.  Non c’era nulla da nascondere  nella cantina. Allora perché non iniziare da li?

Peter non aveva la stoffa dei Candidi, perché non disse mai ai suoi genitori della cantina. Ma piano piano dietro quella porta il vuoto iniziò a colmarsi. Il giorno dopo Peter portò la dei fogli, una scatola di pastelli colorati e un giocattolo di peluche. Passava il tempo la, disegnava, giocava da solo nel suo posto speciale, uscendo pochi minuti prima che i suoi genitori rientrassero in casa. Diceva di aver fatto i compiti, di aver letto qualche libro quando in realtà aveva passato le ore a muovere la polvere nel seminterrato. Il giorno dopo ancora portò la una macchinina giocattolo e un pallone; dopo toccò a due libri. E a dei dadi, a un trenino di legno. E via così, più il tempo passava più erano le cose che Peter portava là sotto.
Iniziò a nascondere le chiavi. Disobbedire ai suoi genitori divenne una cosa ordinaria, imparò a mentire molto in fretta. I giorni diventavano mesi, i mesi anni, e le cose nascoste dietro la porta della cantina divennero sempre di più.
Nascose dietro la porta dei proiettili che aveva trovato per terra, forse residui di un’esercitazione degli Intrepidi, quando la guerra era ancora un gioco.
Nascose dietro la porta un test andato male a scuola, perché i suoi genitori non dovevano saperne niente.
Nascose dietro la porta la sua prima cotta, e non la fece mai uscire da li. Capelli morbidi e lunghi, capelli fra i quali le sue dita non sarebbero mai passate, capelli che non avrebbe mai accarezzato.
Nascose dietro la porta un sacco da allenamento che gli Intrepidi avevano gettato in un cassonetto e che lui aveva preso per allenarsi.
Nascose dietro la porta le lacrime e la rabbia che portava dentro, rompendosi le nocche contro le pareti grigie, mentre fuori la pioggia non cessava e i lampi che scuotevano i bicchieri nelle case degli altri rimbombavano a vuoto nel suo cuore
E nascose dietro la porta tante altre cose, tanti oggetti, tante emozioni, uscendo esattamente com’era entrato. Prima giocattoli, poi cosine che aveva trovato per terra o che aveva rubacchiato di qua e di la, oggetti presi in prestito e mai restituiti, sassi colorati, pezzi metallici dalla forma strana , ossa.

L’ultimo giorno in cui Peter varcò la soglia della cantina fu il giorno prima della Cerimonia della Scelta, i  capelli scuri non ancora pettinati, gli occhi verdi stanchi, desiderosi di sonno. Si guardò intorno , circospetto: come al solito sua madre e suo padre non erano in casa. Scese i tredici gradini velocemente ed entrò senza emettere un suono.  Nel parallelepipedo di cemento ora c’erano i ricordi di una vita, ammassati gli uni sugli altri, infilati in scatoloni o barattoli vuoti di marmellata. Si sedette la, al centro della stanza, in silenzio, senza pensare a niente . Eccola la, davanti a lui la sua vita si stagliava prepotente sotto forma di una collezione sconclusionata che un bambino un po’ annoiato aveva iniziato sette anni prima violando una regola. E per cosa? Per un capriccio, un desiderio, la voglia di non passare il tempo come gli altri . Lui sapeva che non sarebbe più tornato la dentro. Sapeva che , una volta chiusa, la porta della cantina sarebbe rimasta sigillata, che nessuno l’avrebbe mai aperta. Chiusa come una bara, immobile. La polvere avrebbe nascosto tutto, così come il tempo. Non era un Candido, per quanto se ne vantasse, i Candidi non hanno nulla da nascondere.
Uscì.
 
Quell’ultimo giorno, Peter nascose dietro la porta della cantina tre cose.
La prima era la chiave, in modo tale che nessuno potesse più accedervi.
La seconda erano gli occhiali da lettura di sua madre, con cui aveva bruciato le formiche tanto tempo prima.
La terza era qualcosa di impalpabile, una perdita delicata che aleggiava nell’aria come una ragnatela, densa come nebbia eppure invisibile. Non ne avrebbe avuto bisogno, non ne aveva bisogno, perché in realtà era stata persa molto tempo prima. Non voleva che il suo cuore battesse per amore, nè per paura, erano cose da deboli, e le parole che definiscono i sentimenti mancano di obbiettività. Seppellì in quella stanza dai muri grigi tutta la sua umanità.

E dietro le spalle del ragazzo si chiuse, un’ultima volta , la porta della cantina.  

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IL KACTUS DI KRZYZ

Beh, eccoci qua con il primo capitolo di questa raccolta! Che dire, spero sinceramente che vi sia piaciuto (chiedo scusa a tutte le fan di Peter per l'OOC D:). Questo capitolo può darvi un'idea sull'impostazione delle storie: come vedete, ogni storia si basa su una parola inglese che ho tradotto con l'aiuto del buon vecchio dizionario, che mi ha colpito per come suona, o per i suoi molteplici significati. Questa parola può essere il tema centrale della storia, oppure un mezzo, o ancora qualcosa di marginale e contemporaneamente estremamente importante. Le One-shot raccontano stralci di vite passate che nascondono dei segreti. 
DISCLAIMER! In questa raccolta non verranno inserite storie su Tris o Quattro semplicemente perchè hanno una tre l'altro un libro all'attivo per poterli conoscere abbastanza bene. Io voglio dare una storia a quelli che una storia non ce l'hanno! :)
Grazie mille per aver trovato il tempo di leggere questa cosa oscena storia! :D
Saluti dal Kactus!
_Krzyz :D

 
  
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