Quando si chiude un capitolo c’è buio, c’è paura.
Quando si chiude un capitolo c’è rassegnazione.
Quando si legge l’ultima riga le parole si rincorrono e l’ultima taglia il traguardo, sotto: bianco.
Quando si prova a girare pagina l’anima freme di impazienza e le dita tremano-  dietro, mille pagine bianche, pesantissime.
Quando si chiude un capitolo non si piange, ma si scivola a terra.

Quando finisce,  le braccia si fanno piccolissime e non riescono più a stringere il petto, le gambe si accorciano e non toccano più terra, i polmoni si ritirano e si agitano spasmodicamente per incamerare più aria possibile, le palpebre s’ingrossano, s’ingrassano, arrivano a pesare tonnellate e così, quando gravano
sugli occhi, non c’è verso di vedere altro che nero.

All’improvviso la mensola che ho davanti è diventata grigia, e quella foto ora è in bianco e nero, le parole cadono giù dai libri e si ammucchiano in una cascata sulle mie mani, e diventa difficile scrivere. I contorni si fanno confusi, le dita pesanti, i colori sfusi e tutto diventa un’uniforme, gigantesco, nulla nero. Brandelli di parole e di frasi, virgole, punti si insinuano nella tastiera aggrovigliandosi fra di loro, facendo nascere inverosimili storie, che galleggiano tra loro appese a lunghi fili trasparenti.