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Autore: _yulen_    30/06/2015    2 recensioni
Yekaterina Danilenko è una ragazza di origine russe, ma che prima dell'Apocalisse abitava a Fargo, un piccolo paesino in Georgia. Orfana di madre, morta dandola alla luce, è cresciuta con il padre che nonostante la mancanza della moglie, è riuscito ad educarla.
All'età di cinque anni fa la conoscenza dei fratelli Dixon e da lì nasce una profonda amicizia che l'accompagnerà per tutta l'adolescenza, ed è proprio in quel periodo che si innamora di Daryl, il minore dei due fratelli.
Quando i morti iniziano a risorgere, Kate sa che potrebbe morire da un momento all'altro, ma non vuole andarsene senza prima essere riuscita a dichiarare il suo amore.
Tra fughe da orde di vaganti e lotte per sopravvivere, Kate dovrà riuscire a trovare il coraggio di confessare al suo amico di vecchia data i suoi sentimenti e un'altro piccolo segreto che potrebbe distruggere la loro amicizia.
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daryl Dixon, Merle Dixon, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo27

 
 
 
 
 
 
«Perché devi fare sempre di testa tua?».
Qualcuno mi stava parlando e allo stesso tempo stringendo la mano. Le mie palpebre fremettero, cercando di sollevarsi, ma fu come se fossero troppo pesanti e alla fine mi arresi.
«Ti ho detto di essere coraggiosa, non avventata. Dannata ragazza».
C’erano altre voci, ma erano ovattate, come se qualcosa impedisse al suono di giungere limpido alle mie orecchie, non riuscii nemmeno a capire quale fosse l’argomento della discussione.
«Devi svegliarti ora, sono passati tre giorni».
Tre giorni? Ma che diavolo è successo? Come ho fatto a dormire così tanto?
«Sei un’incosciente, Katerina».
Il mio flusso di pensieri fu interrotto quando sentii quel nome. Nessuno mi aveva mai chiamata così se non tre persone, due delle quali erano scomparse.
Daryl?
Strinsi la mia mano attorno a quella del mio interlocutore, un calore rassicurante si irradiò in tutto il corpo e respirai a fondo assorbendo quell’energia che mi diede la forza necessaria per aprire finalmente gli occhi. La mia vista era offuscata e i contorni degli oggetti non erano ben definiti, dovetti sbattere le palpebre più volte prima di riuscire ad avere una messa a fuoco nitida e quando ci riuscii mi focalizzai sulla plafoniera attaccata al soffitto bianco.
Che posto è questo?
Lentamente voltai la testa a sinistra per capire meglio dove fossi finita, ma la mia attenzione fu spostata dalla mobilia della camera all’uomo che sedeva accanto a me.
«Daryl?» gracchiai a causa della gola secca.
Subito i suoi occhi incontrarono i miei e respirò pesantemente, scrollandosi di dosso un peso che, a giudicare dall’espressione stanca, lo aveva perseguitato durante i giorni precedenti.
Si sporse leggermente tendendo un braccio verso un mobile e prese un bicchiere che poi portò alle mie labbra. Nonostante la mia sete bevvi a piccoli sorsi, finendo tutta l’acqua che rinfrescò la mia gola bruciante.
Osservai il suo volto notando un piccolo taglietto sullo zigomo destro e uno sul labbro inferiore, con un cenno del capo indicai le sue ferite.
«Che ti è successo alla faccia?».
Cercai di sorridere, ma come vidi la sua espressione preoccupata anche io mi feci seria. Ero viva, stavo bene… non del tutto, ma non ero morta, quindi perché tutta quella pena?
«Che c’è?» chiesi roca.
«Sei stata una stupida».
«Grazie».
«A che pensavi quando sei corsa nel bosco?» chiese con tono di rimprovero.
«Pensavo che c’era una bambina sola e spaventata inseguita da due zombie che volevano pranzare con le sue viscere e che qualcuno doveva salvarla» risposi secca.
Cosa che non sono riuscita a fare.
Mi fermai quando la mia mente elaborò ciò che avevo appena detto e pensato e come un uragano tutti i ricordi tornarono a galla e si tinsero di rosso. C’era l’orda passata sulla strada e l’urlo della bambina, la corsa mia e di Rick per riprenderla, c’erano i due giorni alla chiesa e il terzo in cui abbiamo ripreso il viaggio con la speranza di ritrovare tutti e infine l’ultima lotta che era costata la vita a un’innocente.
Sentii qualcosa contorcersi dentro di me e subito sentii il bisogno di dare di stomaco, portai una mano al petto e l’altra alla bocca per reprimere quell’istinto, ma più cercai di combatterlo, più esso premette per uscire. Saltai fuori dal letto cadendo a terra e subito Daryl fu al mio fianco per aiutarmi a rialzarmi e distendermi, ma io scossi la testa.
«Portami in bagno» riuscii a dire.
Tenendo una mano attorno il mio fianco e l’altra attorno il mio gomito aprì una porta che prima non avevo visto e dopo che entrai in quella stanza mi chinai sulla tavoletta del water. Subito il mio corpo iniziò a contrarsi in preda agli spasmi e rigettai quel poco c’era nel mio stomaco.
La vista si appannò a causa delle lacrime e iniziai a singhiozzare. Come avevo potuto lasciarlo accadere? Ero responsabile per lei, come avrei potuto guardare tutti gli altri sapendo di non essere riuscita a salvarla?
Daryl si inginocchiò di fianco a me e tenne indietro i miei dread fino quando mi sentii completamente vuota. Mi rialzai per sciacquarmi la bocca e tornai a letto.
«È colpa mia» dissi stringendo le lenzuola. «Avrei dovuto salvarla, glielo avevo promesso».
Le lacrime avevano creato una pozza sul lenzuolo bianco ed io non riuscivo a fermarle. Stavo cercando di essere forte, di non farmi abbattere, ma era tutto inutile. Mi sentivo malissimo e volevo solo poter sparire per sempre e non tornare mai più, se non ero riuscita a proteggere una bambina come potevo sperare di coprire le spalle a qualcun altro?
«Mi dispiace, Daryl».
«Sophia è viva» disse.
Tirai su di scatto la testa e lo guardai incredula come se avesse parlato in una lingua sconosciuta.
«Come?» soffiai.
«Quando siete arrivate stava soffocando, ma Hershel è riuscita a salvarla. È nell’altra stanza che riposa».
Respirai a pieni polmoni e sorrisi sentendo quel nodo nello stomaco andare via, se avessi avuto le forze probabilmente avrei iniziato a saltare e gridare per la gioia che quella notizia mi aveva portato.
«E Carol?».
«È con lei. Non ha lasciato il suo capezzale sin da quando siete arrivate».
«Sophia è viva» ripetei non credendoci ancora.
Scostai da un lato le coperte con un gesto energico e spostai le gambe al lato del letto pronta ad alzarmi: dovevo vedere con i miei occhi o non sarei riuscita a darmi pace.
Poggiai la pianta del piede sul pavimento freddo e mossi le dita intorpidite, tre giorni di riposo totale avevano fatto addormentare anche i miei arti e la stanchezza muscolare accumulata iniziava a farsi sentire. Puntai il tallone destro per terra e mi alzai riuscendo a rimanere in quella posizione per alcuni secondi, non appena posai la punta del piede sinistro però sentii una forte scarica di dolore e sbilanciata dal peso che posava tutto su una gamba, inciampai sui miei stessi passi.
Accidenti!
«Dove hai intenzione di andare?» chiese Daryl prendendomi al volo prima che potessi farmi ancora più male
«Voglio vedere Sophia» risposi cercando di avvicinarmi alla porta.
«Non vai da nessuna parte finché non potrai camminare senza finire a terra come un sacco di patate».
Portando un mio braccio dietro la sua nuca mi sollevò e mi rimise a letto, coprendomi e sedendosi di nuovo per bloccare ogni mia via di fuga.
In quello stesso istante la porta della camera si aprì e Rick, accompagnato da un uomo anziano, fece il suo ingresso. Guardai i due e poi Daryl che si alzò dalla sedia e se ne andò salutandomi con un cenno del capo.
«Lui è Hershel e questa è casa sua» disse Rick.
Quindi è lui il veterinario.
Sorrisi gentilmente e ritornai con lo sguardo verso l’ex sceriffo, aveva il viso pallido e i suoi occhi azzurri sembravano stanchi e spenti.
«Come va la spalla?» chiese l’uomo che avevo appena appreso chiamarsi Hershel.
Mossi il braccio in modo circolare e feci un’altra smorfia di dolore. No, non stavo affatto bene.
«Male, ma il dolore è sopportabile».
«Devo controllare, permetti?» domandò.
Annuii e scostai la spallina della maglia leggermente macchiata di sangue cosicché lui potesse cambiare le fasce.
«Perché non sei tornata sull’autostrada?» chiese Rick.
Lo guardai e sospirai. «Il piano era quello, ma la mia caviglia faceva male, così ci siamo fermate in una chiesetta».
«Una chiesetta?». Il suo sguardo si fece più interessato.
Annuii. «Piuttosto piccola, nessun campanile e un piccolo cimitero davanti. Siamo rimaste lì per tre giorni poi abbiamo dovuto spostarci quando degli zombie sono entrati».
Si passò una mano sul volto e sospirò. «È la stessa che abbiamo passato noi, all’interno…».
«C’erano i cadaveri di tre vaganti» finii per lui. «Li abbiamo visti».
Feci un piccolo salto sul letto quando sentii la garza tirare via con sé dei pezzi di pelle che si erano attaccati al tessuto. Mi morsi l’interno guancia e trattenni il respiro fino quando sentii il dolore andare via.
Hershel cercò di fare il più delicatamente possibile, ma la ferita non aveva ancora fatto la crosta e la carne si era inevitabilmente appiccicata alla medicazione.
Ecco perché bisogna sempre usare la connettivina!
«Riposa ancora per un paio di giorni, poi potrai uscire, ma non strafare. Hai la scapola scheggiata e la tua caviglia è messa davvero male» disse Hershel.
Annuii e sorrisi ringraziandolo prima che lui uscisse dalla stanza, lasciando me e Rick da soli.
«Da quanto siete qui? E perché?» chiesi.
«Il mattino dopo il passaggio dell’orda abbiamo organizzato una piccola spedizione per trovarvi ma quando la ricerca si è rivelata infruttuosa ci siamo divisi e Carl è stato colpito da un proiettile».
I miei occhi si spalancarono per lo stupore e la preoccupazione, possibile fosse così sofferente a causa della perdita del figlio?
«Sta bene. Un po’ troppo forse» disse sorridendo e annullando ogni mio dubbio. «Sono tre giorni che esce dalla stanza di Sophia per vedere come stai tu».
Sorrisi anche io, ma il suo sguardo preoccupato spense la mia felicità.
«Perché ho come l’impressione che ci sia dell’altro?».
«Sei stata via per una settimana quasi» disse. «Sono successe tante di quelle cose che non saprei da dove iniziare».
«Beh, non è che possa andare molto lontano. Ordini del dottore».
Si sedette su una poltrona affianco al letto, appoggiò un gomito sul braccio della poltrona stessa e guardò fuori dalla finestra.
Mi raccontò che Carl fu colpito da un proiettile destinato ad un cervo, l’uomo che aveva sparato, Otis, era in seguito andato insieme a Shane a prendere le attrezzature mediche necessarie al fine di salvare la vita del giovane ragazzo e non era più tornato. Shane invece aveva assunto un atteggiamento avversivo nei suoi confronti, cosa che non giovava la precaria situazione. Il padrone di casa infatti, voleva che una volta che io e Sophia ci fossimo rimesse lasciassimo la proprietà, Rick ovviamente non era d’accordo, vedeva quel posto come la salvezza che stavamo cercando e avendo anche appreso che la moglie aspettava un bambino, era più che mai determinato a trovare un modo per convincere Hershel a farci restare.
«Che mi dici di Benning? Non era quello il piano iniziale?» domandai.
«E se non ci fosse più? Non voglio rischiare di abbandonare questa fattoria dove siamo al sicuro per un posto che potrebbe essere andato distrutto».
Anche se il suo ragionamento non faceva una piega pensai che stava rischiando troppo. Nella base militare avrebbe potuto trovare personale medico in grado di prendersi cura della moglie durante il parto, Hershel nonostante fosse un veterinario aveva mostrato di sapere il fatto suo, ma fare nascere un bambino non era cosa di poco conto.
«Immagino che sia questo che non piaccia a Shane».
«Secondo lui dovevamo essere già arrivati».
Inarcai un sopracciglio non capendo cosa volesse dire e lasciai che continuasse il discorso.
«Quando non vi abbiamo trovate pensava che fosse inutile rimanere sull’autostrada e aspettare che passasse un’altra mandria, voleva partire e lasciarvi una nota nel caso fosse tornate così ci avreste raggiunti».
Me ne ricorderò quando dovrò salvargli la vita.
«Daryl stava per ucciderlo per aver pensato una cosa del genere».
Coprii con un colpo di tosse la risata che era appena uscita e abbassai la testa mentre sulle mie labbra si formò un piccolo sorriso, ricordandomi del suo volto però mi feci seria.
«È per questo che la sua faccia è ridotta così male?».
Sospirò guardando a terra senza darmi una risposta e quando lo vidi esitare temetti per il peggio, come una guerra con una banda di altri sopravvissuti con cattive intenzioni.
«È stato Merle» disse.
La paura provata poco prima non era nulla in confronto a quella che sentii in quel momento, com’era possibile che fosse colpa di Merle se lui era rimasto ad Atlanta.
«Mentre Daryl stava cercando te e Sophia ha trovato il fratello nel bosco, quando sono arrivati qui erano già tutti e due feriti e sanguinanti, ho chiesto il perché delle loro azioni ma non hanno risposto».
Lo so io il perché.
Morsi il labbro inferiore e desiderai di poter infilarmi del tutto sotto le lenzuola per sparire completamente.
Mi sentii mortalmente in colpa per ciò che avevo causato, ero stata io a farli litigare ed era una cosa che non riuscivo a perdonarmi. In ventitré anni da quando li conoscevo, le volte in cui si erano rivoltati l’uno contro l’altro erano state così poche da poterle contare sulle dita di una mano ed io ero riuscita a farli separare.
«Il loro litigio è un altro dei motivi per cui Hershel non ci vuole qui, dice che Merle è troppo imprevedibile e non si fida».
Possibile che quel testa di cazzo debba sempre rovinare tutto?
Appena fossi uscita ci avrei parlato io con lui, non mi avrebbe ascoltata, ma volevo comunque provarci, ne valeva la sicurezza del gruppo.
Alla porta ci fu un lieve bussare e prima che potessi rispondere, essa si aprì. Sulla soglia c’era Kim con un vassoio in mano e un grosso sorrisone sul volto che mostrava tutta la contentezza del momento, dietro di lei spiccava anche Glenn.
«La cena di sotto è pronta» disse la mia amica guardando Rick. Egli annuì e se ne andò richiudendo la porta dopo avermi salutata.
Kim posò ciò che teneva in mano sul comodino e feci una smorfia di disapprovazione quando vidi un piatto con delle verdure e due fette di pane.
Non volevo mangiare, sentivo lo stomaco ancora tutto sotto sopra e non volevo che la mia cena finisse nel gabinetto.
«Hai idea dello spavento che mi hai fatto prendere?» chiese Kim un po’ agitata.
«Che ci hai fatto prendere» la corresse Glenn.
«Non sai cosa ho provato quando sono uscita dal mio nascondiglio per venirti a cercare e non ti ho trovata».
Roteai gli occhi e feci finta di ascoltare le sue prediche e lamentele fino quando si accorse che non stavo prestando attenzione alle sue parole, indispettita dal mio comportamento raggiunse l’altra parte del letto per prendere un cuscino e lanciarmelo in faccia. A causa dell’impatto il mio capo si piegò all’indietro e rimasi per alcuni secondi in quella posizione leggermente confusa, poi massaggiandomi il naso le restituii il colpo.
«Ma sei impazzita?» chiesi.
La mia amica scoppiò a ridere per la mia espressione e alla fine mi aggiunsi anche io, ci abbracciamo felici di esserci ritrovate di nuovo e guardando Glenn coinvolsi anche lui in quel momento di serenità, staccandomi poco dopo mentre con una mano asciugai una lacrima di commozione.
Kim prese il vassoio per metterlo sul mio grembo, ma quando vide che invece di mangiare mi ero limitata a spiluccare qualcosa qua e là, iniziò a picchiare con il piede sul pavimento e a guardarmi come farebbe una nonna con il nipote.
«Non riesco» dissi. «E ti prego di risparmiarti le critiche, almeno per questa volta».
«Le mie non sono critiche. Sono solo preoccupata» rispose. «Lo so che ti sei svegliata dopo tre giorni e che il tuo stomaco ora è in guerra, ma se vuoi rimetterti devi iniziare da qui». Indicò il vassoio e fece un gesto con la mano per spronarmi a mangiare.
«D’accordo, ma ho bisogno che tu faccia qualcosa per me, poi mangerò. Te lo prometto».
Mi guardò inarcando un sopracciglio non sapendo se fidarsi di me o no, ma alla fine acconsentii con un sospiro.
«Mi farai diventare matta, cosa vuoi adesso?».
«Voglio vedere come sta Sophia».
«Non se ne parla!» protestò.
«Ha ragione lei» intervenne Glenn. «Non puoi camminare da sola».
«Per questo mi aiuterete voi, amici» dissi pronunciando con enfasi l’ultima parola e sorridendo in modo furbo.
La mia amica sbuffò sonoramente e rimase ferma a valutare la mia proposta per vari secondi, ma alla fine acconsentì e insieme a Glenn, mi diede una mano ad alzarmi dal letto e a muovere i miei primi passi.
Il dolore era peggiorato e la caviglia assomigliava ad un pallone da calcio, ma con il loro aiuto riuscii a percorrere tutto il corridoio.
«Daryl mi ucciderà se viene a saperlo» borbottò Kim. «E sarà tutta colpa tua».
«E smettila di lamentarti».
Bussai due volte alla porta della giovane ragazza che subito si aprì. Dall’altra parte c’era Carol e nonostante il suo sorriso, riuscii a vedere la stanchezza sul suo volto, sotto i suoi occhi si erano formate delle brutte occhiaie violacee che li facevano sembrare più infossati.
«Sono venuta a vedere come sta Sophia» dissi con un sorriso.
La donna si fece da parte per farci entrare e non riuscii a trattenere la mia felicità quando vidi che la ragazzina stava riposando beata come se i giorni precedenti non l’avessero turbata. Non volendo disturbarla la lasciai dormire, prima di andare via però salutai Carol che mi abbracciò.
«Non sai quanto ti sia grata per aver salvato la vita di mia figlia. Lei è l’unica cosa di buono che io abbia mai avuto» disse.
«Non devi ringraziarmi, non ho fatto nulla che gli altri non avrebbero fatto».
Tranne Shane.
«Ora devo tornare in camera, ma se hai bisogno di me, sai dove sono».
Uscimmo accompagnando la porta senza far rumore per non svegliare Sophia e camminammo in punta di piedi per non farci sentire da nessuno, non volevo che sapessero che mi ero alzata e che stavo allegramente camminando in giro.   Percorremmo il corridoio illuminato solo dalla luce soffusa dalla piantana che dal piano di sotto giungeva fino a noi, la semi oscurità mi fece strizzare gli occhi più di una volta per capire dove mettere i piedi, ma con un po’ di attenzione riuscii a non inciampare e alla fine mi ritrovai davanti la porta della mia camera, lì Glenn si congedò dicendo che andava a dormire e dopo averlo abbracciato una seconda volta lo lasciai andare.
Rimasta sola con Kim entrai nella stanza e mi mossi velocemente verso il letto. Ora che sapevo che Sophia stava bene non sentivo più lo stomaco chiuso, al contrario iniziavo ad avvertire lo stimolo della fame tornare.
«Sei contenta adesso?».
Mi sedetti sul letto e portai il vassoio sulle mie gambe con un sorriso compiaciuto.
«Non è stato difficile, e tu che ti preoccupavi per Daryl».
Portai alla bocca la forchetta con la quale avevo infilzato dei cetrioli e delle patate e masticai lentamente gustando ogni sapore che le mie papille gustative riuscivano a captare. Mai il sapore del cibo mi era sembrato così buono, mi sembrava di essere una bambina e di aver assaggiato per la prima volta qualcosa di assolutamente delizioso.
«La fai facile tu, a te non ti toccherebbe, ma io finirei come i suoi amati scoiattoli».
«Quanto sei drammatica» commentai.
Inarcò un sopracciglio e mi guardò per qualche secondo, valutando se dirmi o no qualcosa che sapeva e che a giudicare dall’espressione sul suo viso la divertiva.
«Non ti sei accorta di niente, vero?».
Questa volta fui io a guardarla, ma in modo confuso.
«Da quando sei tornata Daryl è venuto ogni giorno a trovarti. Si sedeva lì» disse indicando la poltrona. «E non si muoveva. Di tanto in tanto ti parlava o forse parlava da solo, non so» continuò.
Non è vero.
Continuai a mangiare con fare disinteressato, non credendo ad una sola parola.
«Non può essere, è ancora arrabbiato con me. Sono andata a letto con suo fratello e se i ruoli fossero invertiti e avessi una sorella che si è fatta il mio migliore amico sarei incazzata anche io, anche se forse non l’avrei presa a pugni… forse».
Alzò le spalle e prese il vassoio sul quale c’era il piatto ormai vuoto.
«Pensala come vuoi».
Guardai Kim fermarsi di spalle sulla soglia della porta e poi voltare il capo verso di me con un sorrisetto spiaccicato sulle labbra.
«Ma tu non lo hai visto il giorno in cui Shane ti ha portata qui per affidarti alle cure di Hershel...».
Non sapevo dove volesse arrivare, ma le sue parole aveva catturato completamente la mia attenzione.
«Ha aspettato che il vecchio uscisse e poi è entrato come un uragano. Se davvero ti odia ha un modo abbastanza strano per mostrartelo».
Uscì dalla stanza senza darmi modo di ribattere e rimasi ad osservare la porta ormai chiusa.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
*angolo autrice*
Ciao C:
sono ancora io e ho un annuncio da fare, non sono cattive notizie, poi tutto dipende da voi x)
Siamo al capitolo ventisette il che vuol dire che in una decina di capitoli questa storia può considerarsi conclusa, MA! Ci sarà una seconda parte.
Devo ancora pensare alla trama e tutto, ma grosso modo ho le idee abbastanza chiare su come procedere.
Detto questo io me ne vado e vi saluto,
 
yulen c:
   
 
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